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    Imparare a decidersi per il bene, l’utile, il giusto e il bello


    Carlo Nanni

    (NPG 1999-04-03)

    1. Certamente vivere in questo mondo di oggi non è facile per nessuno. Ma a pagare lo scotto della complessità e della non chiara percezione di un futuro di speranza sono proprio i giovani. La disoccupazione – fenomeno generale degli stessi paesi del sovrasviluppo – sembra intaccare particolarmente i giovani. Per tutti la sicurezza di un posto o di una occupazione professionale assicurata diventa una prospettiva assolutamente incerta.
    Più specificamente essi, più che gli altri, sembrano trovare difficile gestire la propria vita, dare un senso al loro agire, aprirsi con sguardo fiducioso al futuro.
    Complessità sociale e difficoltà socio-economiche fanno da «pendant» alla non chiarezza e trasparenza civile e politica. La «questione morale» è diventata questione politica di prim’ordine, a cui si accoppia la incompetenza e la mancanza di prospettive ideali di profondo spessore umano e valoriale, che rendono difficile il senso della legalità civile e del bene comune sociale. Certamente, anche grazie all’uso diffuso e generalizzato dei mass-media e dei nuovi media computerizzati, l’informazione si è accresciuta, le indicazioni di lettura e di comprensione delle realtà e degli eventi si sono moltiplicate, ma in pari tempo si è pure fatto più forte il «conflitto delle interpretazioni» e magari si sono oscurate le stesse evidenze etiche che permettevano alla coscienza soggettiva di poterne «ascoltare la voce» ed esserne stimolata a decidersi e ad impegnarsi per il bene, il bello, il buono, l’utile in modo libero e umanamente degno.

    2. Gli studiosi di morale e di pedagogia hanno inoltre messo in luce il fatto che agire liberamente in vista del bene non viene da sé. La vita è infatti per certi versi un dato o un dono, ma per altri versi un compito che chiede dedicazione e impegno. Per alcuni versi è già determinata, per altri è da determinare, maturare, accrescere, specificare. Per certi versi è già tutta bell’e fatta, per altri è invece da costruire in tutto o in parte sulla base di virtualità e potenzialità soggettive, e grazie alle stimolazioni e alle offerte ambientali. Essa chiede informazioni, ma vuole anche decisioni, sia perché ci si presentano indicazioni spesso non chiare, molteplici, in parziale o totale alternativa, sia perché, come diceva l’antico poeta romano Ovidio (ma qualcosa di simile lo afferma anche S. Paolo), si può vedere il bene e persino approvarlo, ma poi seguire il peggio. Per tal motivo la tradizione cristiana ha sempre ricordato che abbiamo bisogno della «grazia» di Dio e dello Spirito del Signore al fine di compiere e realizzare il bene. E prima ancora ci invita ogni anno a «convertirci», «abbandonare l’iniquità», a pregare, a fare digiuno, a compiere opere di misericordia e credere al Vangelo.
    Una vita di libertà passa anche – per tutti, giovani e adulti – per una «vita buona», onesta. E certamente chiede ricerca, ascesi, disponibilità, apertura, umiltà, senso del limite. La ricerca della verità e della moralità, così come la pratica della giustizia e della pace, sono condizioni per capacità consolidate di decisioni e scelte di libertà.

    3. Un po’ di aiuto educativo in questa ricerca di libertà e di responsabilità è compito non solo delle famiglie, ma della società intera. Come c’è una «questione morale», così c’è (non senza connessioni con essa) una «questione educativa» che chiede in concomitanza, e come sua precondizione, la riforma economica, civile, politica, culturale, religiosa. L’educazione è infatti opera delle comunità nel suo insieme e nelle diverse forme ed espressioni della società civile (famiglia, scuola, chiesa, gruppi, associazioni, movimenti, sistema della comunicazione sociale, organizzazione dello sport e del divertimento, promozione dell’opinione pubblica e del consenso politico, ecc.).

    4. In questa linea vorrei provare a indicare alcune percorsi educativi che mi pare possono cooperare a un potenziamento delle capacità di decisione e di scelte libere e responsabili.
    – In primo luogo porrei l’attenzione alla maturazione di un’identità personale psicologica, culturale, sociale, etica e religiosa soddisfacente, condizione di possibilità per l’azione libera e responsabile e per la propria ubicazione nella vicenda storica comunitaria. L’educazione diventa così graduale e continua promozione dell’autonomia personale, aiuto a superare la dipendenza o la dispersione anonima negli altri, nel gruppo o nella massa. Ma nello sviluppo della propria e intrinseca apertura relazionale diventa opera di coscientizzazione e d’iniziazione al comune processo storico di crescita personale e sociale.
    – Tale consolidamento del sé, della personale capacità relazionale e del senso di appartenenza comunitaria suppone anche la capacità di saper guardare in faccia alla realtà personale e a quella circostante, umana, sociale, ambientale, storica. In tal modo si potranno cogliere meglio possibilità e limiti, propri e altrui, in sé e nell’ambiente. Un’educazione ad essa richiederà perciò l’apprendimento delle idee e dei principi di valore presenti nel vissuto della propria esperienza e che reclamano una presa di decisione e una risposta in ordine alla loro attuazione, costruzione e introduzione innovativa.
    – In terzo luogo educare a decidersi e a saper scegliere vorrà dire previamente formare a quegli atteggiamenti di rispetto, di apprezzamento, d’impegno, di fedeltà, di apertura agli altri e ai valori presenti in loro e nell’ambiente circostante. Ma vorrà dire anche coltivare la fantasia creatrice e promuovere capacità di prospettiva, di ulteriorità, di trascendenza oltre che di coraggio ad agire.
    – Bisognerà pure iniziare concretamente alla responsabilità, mediante il graduale inserimento in strutture e istituzioni e mediante la partecipazione alle prese di decisione e alle attività delle istituzioni, in cui ci si ritrova a vivere, a cominciare dalla vita familiare e dalla vita scolastica. E forse anche bisognerà guidare nell’impegno sociale e nelle attività socio-politiche che alcuni intraprendono al di dentro delle organizzazioni professionali e di lavoro, nelle strutture di partecipazione della vita urbana, civile, partitica, ecclesiale.
    – Infine, come già si è accennato, in un mondo pluralistico, fortemente influenzato dai mass-media e segnato profondamente dallo sviluppo della scienza e della tecnica, essere liberi suppone anche – e forse fondamentalmente – aver senso critico e possedere competenze specifiche e precise. Un’attività educativa in tal senso darà particolare significato all’attività dell’insegnamento, della formazione professionale, dell’animazione socio-culturale e di altre iniziative formative.

    5. Dal punto di vista metodologico sembrano senz’altro da privilegiare, per quanto è possibile, le forme dell’autoformazione, e prima ancora i momenti attivi nei quali l’educando o gli educandi prendono posizione di fronte a se stessi e al loro processo di sviluppo personale, operando in prima persona per la propria crescita. Ad essi dovranno essere vicini comportamenti adulti di ragionevolezza, di orientamento propositivo, di vicinanza solidale e comprensiva.
    Allo stesso modo sembrano chiaramente da seguire il principio della gradualità e della continuità educativa, nel rispetto delle forze personali e del momento evolutivo che ognuno attraversa, interiormente e relazionalmente, in modo da non sovraccaricare il ragazzo o il giovane o il gruppo con pesi che neppure l’adulto riesce a portare: e nella convinzione che in questa materia non si ha mai né tutto, né insieme, né subito, ma che certo è da stimolare il già possibile, per quanto si può, con apertura prospettica al di più e all’umanamente degno per tutti e per ciascuno.
    E sempre nella coscienza che si tratta come di un «mestiere» che si apprende operando e facendo esercizio e pratica di libertà, «provando e riprovando».

    6. Dal punto di vista educativo, il saper decidere si può far rientrare in quella che in termini tradizionali (forse con una certa connotazione dovuta a modi di vita pre-industriali) si potrebbe dire l’educazione alla virtù della «saggezza». Essa dà vigore, saldezza e continuità a decisioni coerenti e coraggiose, aderenti alla concretezza storica e fondate sulle possibilità reali, individuali e collettive, senza autoinganni; in vista dell’attuazione di progetti «a misura d’uomo» che qualificano la vicenda storica individuale e comunitaria, e danno il senso e la dignità umana alla propria e altrui esistenza nella diversità, nel mutamento, nell’innovazione e nella complessità della vita individuale e comunitaria.
    Essere «saggi» forse è oggi è qualcosa di raro e di prezioso che tutti ricerchiamo.


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