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    Maria, la sorella di Marta e Lazzaro



    Gioia Quattrini

    (NPG 1999-02-45)


    Dove sarà corsa Marta? – qualcuno domandava d’intorno. Maria non lo sapeva. E non aveva neppure voglia di pensarlo. Seduta immobile nella casa, la testa vuota, il respiro che non veniva senza che i polmoni bruciassero tanto. Gli occhi fissi in terra, i capelli schiacciati sul collo dal dolore, completamente persa nella attesa.
    Quattro giorni prima, sua sorella aveva insistito con forza perché il Maestro fosse avvertito della malattia di Lazzaro ma ancora nulla si sapeva di lui e ormai era troppo tardi. Se fosse stato per lei non avrebbe nemmeno provato… Chissà dov’era il Signore… E poi di dolore era pieno il mondo e loro non avevano certo alcun titolo di privilegio.
    Invece Marta testarda non aveva voluto sentire nulla. Testarda e impulsiva. Maria riteneva fosse inutile correre e affannarsi. Centinaia di volte aveva cercato di trattenerla ma Marta non aveva mai quiete. Anche quando il Signore veniva a far loro visita e al chiarore del fuoco parlava di amore e di morte, Marta aveva sempre qualcosa da fare, era sempre un po’ distratta e faceva rumore con le stoviglie, a volte perfino cantava.
    Gesù invece andava ascoltato con attenzione. Maria si sedeva ai suoi piedi e rallentava il respiro tentando quasi di non battere le palpebre per non perdere nemmeno un attimo la visione del suo Signore che le raccontava di un padre buono nei cieli, infinito nella misericordia e fermo nella giustizia. Ella ascoltava e aveva paura delle sensazioni che si rincorrevano nel suo cuore. Mai si era sentita così prima. Sospirava leggera, invasa dal benessere e sentiva che qualunque cosa di terribile fosse accaduta l’avrebbe trovata così, serena e quieta. I suoi pensieri timorosi si addolcivano alle parole del Signore, come gli incubi di un bimbo si sciolgono nelle nenie notturne cantate dalle vecchie della tribù. Un nuovo tempo di attesa si era aperto per lei, attendere il regno di Dio, una nuova età dell’oro con il lupo e l’agnello amici a bere nello stesso fiume di latte. Un progetto cristallino, senza ombre o difficoltà, assurdo il solo pensiero che avrebbe potuto non verificarsi nella sua assoluta completezza. Perfetto, troppo per essere vero. Lei avrebbe atteso, così serena e quieta.
    Durante le serate di primavera Maria sedeva davanti alla porta della loro casa e molte donne del villaggio, che non osavano incontrare Cristo, per troppa reverenza o per pudore, si chiudevano intorno a lei e la ascoltavano in silenzio riferire le parole del Messia. Maria le vedeva sgranare gli occhi e sospirare avide dei suoi racconti e si sentiva importante come fosse un’appendice di quella straordinaria missione in cui si era sentita coinvolta da subito, dalla prima volta che l’ombra di Cristo si era stagliata sulle pareti della sua cucina.
    Lei sarebbe stata soltanto l’eco insistente del verbo che avrebbe cambiato il mondo di lì a poco. Maria parlava, parlava e mai che vedesse accanto a sé Marta, che sempre sgattaiolava via, credendo di non essere vista. Una volta l’aveva seguita e così si era spinta fino alla parte più povera del paese, dove in molti non osavano aggirarsi neanche per errore. Uno squallore che affannava il cuore e in giro occhi torvi, volti abbassati e dietro ogni angolo, mani violente rese avide dalla miseria. Aveva visto Marta entrare circospetta in una casa cadente e uscirne molto tempo dopo. La sera seguente l’aveva seguita di nuovo ed era salita anche lei senza farsi vedere. La donna del mercato, quella dai lunghi capelli che trascinava una gamba e portava appesi al collo due bimbi uguali. Sua sorella la pettinava e riassettava la povera stanza, rifocillava i bimbi senza spendere troppe parole e con disinvoltura. Lei ne era stata spaventata ed era fuggita. Maria temeva l’orrore della sofferenza e della povertà; non che negasse la loro esistenza, ma non poteva fare a meno di temerle. Maria era padrona di mille parole, e apriva e chiudeva discorsi con abilità e leggiadria, ma quando si trattava di gesti aveva difficoltà a trovarne. Il dolore le si faceva incontro senza che lei riuscisse a muoversi. Cristo era stato il medicamento di questo assurdo male, di questa debolezza che la faceva sentire tanto fragile e inadeguata. Era finalmente certa che l’orrore sarebbe scivolato via dall’umanità e che la parola nuova di Cristo si sarebbe levata come vento a spazzare via fame e afflizioni. A lei era chiesto di diffondere quel verbo: amare il proprio prossimo come se stessi, consolare gli afflitti, vestire gli ignudi e sfamare gli affamati. Maria doveva confessare a se stessa che il progetto le sembrava straordinario ma la realtà dietro quelle frasi la riempiva di paura.
    Le sue mani erano come paralizzate anche se il suo cuore traboccava di carità. Come lavare una piaga? Come parlare al dolore? Come scorgere il proprio fratello tra vesti lacere e sporche, sotto uno strato denso di lebbra? Come porgere il cuore a chi alza un bastone o vibra un pugnale?
    Marta no, non era così. Aveva mani forti ed efficienti, e i suoi gesti pulivano e rifocillavano con misura, essenziali, e mai succedeva che si lasciasse andare a qualche debolezza. Maria era affettuosa e a volte abbracciava sua sorella così senza motivo, e Marta fuggiva come un animaletto indocile e selvatico. Era simile a Lazzaro, ma Lazzaro era un uomo e certe asprezze erano perdonabili, mentre Marta era una donna. Maria amava le carezze e lunghe conversazioni davanti al focolare. L’amore non poteva essere sottinteso. Era necessario farlo parlare nei baci e nelle carezze, nelle parole e negli abbracci.
    Alle sue proteste Marta rispondeva piuttosto scocciata: era ovvio che l’amasse, erano o non erano sorelle? Non bastava a dimostrarlo con quanta sollecitudine si prendesse cura di lei? Maria avrebbe voluto dirle che non bastava affatto, soprattutto in quelle giornate in cui il mondo sembra veramente pesare troppo per le nostre forze e si sente con insistenza il bisogno di una voce, di una frase d’amore detta a voce alta, una conferma, un grido del cuore che esca dalle labbra.
    L’amore che mette le ali. Leggero come fresco nel cuore. Che cerca e trova il suo amato. Che brucia, che arde e che crea. Che balla come api in tondo su un fiore. Che chiama e subito ottiene risposta. L’amore che rende più forti.
    Ma all’improvviso, ecco il dolore andarle incontro: Lazzaro, il suo fratello adorato era morto. Una marea di sofferenza aveva sommerso quella serenità. Una marea che andava e veniva, sembrava non dovesse finire mai più. Era come se in un attimo i discorsi del suo Signore, tante volte ascoltati e tante altre ripetuti alle donne del villaggio, la vita eterna e la resurrezione, il regno dei cieli dove tutti ci incontreremo alla luce di Dio nell’amore che tutto avvolge… Le frasi si rincorrevano nella sua mente, senza ordine e fuori dagli incastri dove fino a pochi giorni prima risplendevano tersi come gemme nei castoni. Il mondo di giustizia, che aveva fatto capolino dalle parole di Cristo e che lei era stata capace di scorgere nitidamente dietro le prevaricazioni e i pregiudizi che ancora la circondavano, si era come dissolto, consumato dal male che aveva divorato fino all’ultimo goccio la vita di suo fratello.
    Fu Marta a distoglierla dai pensieri. Le disse: «Il Signore è qui e ti chiama». La prese per mano e la trascinò verso l’entrata del villaggio. Maria corse, corse ai piedi del Signore, ma la serenità di un tempo era persa tra la polvere e riuscì a dire soltanto: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto».
    Maria aspettava certezze. Aspettava che le parole incantate di Cristo scendessero ancora nel suo cuore e illuminassero la notte buia della disperazione, così come tante volte era accaduto. Voleva che le fossero restituite al più presto le fresche serate di chiacchiere e suo fratello a mescere il vino. Tutto come prima, per sempre. Invece alzò gli occhi e vide il pianto di Gesù.
    La testa le cadde sul petto. La favola bella era giunta all’epilogo. Il progetto cristallino aveva un punto fragile che lo aveva mandato in pezzi. Perfetto, troppo per essere vero. Se la pietra sepolcrale di suo fratello faceva piangere Cristo, allora chi avrebbe consolato il suo dolore? Perché nessuno le parlava più della Resurrezione e della vita nel Regno dei cieli? Perché solo lacrime?
    Il dolore e la sofferenza, chi altri avrebbe mai potuto sconfiggerli? Allora veramente l’umanità li avrebbe trascinati con sé come pesanti catene, senza senso e senza speranza, per sempre.
    Si avviarono verso il sepolcro e Gesù chiese di togliere la pietra. Maria neppure lo guardava. Pensava che sarebbe stato meglio evitare tutto ciò. Perché spostare la pietra? Perché Cristo potesse entrare nella tomba, pronunciare un ultima preghiera e uscire garantendole che Lazzaro sarebbe stato felice nel Regno del Padre? Le avrebbe indicato il cielo e dietro una stella suo fratello l’avrebbe attesa con ansia.
    Maria chinò la testa davanti ad una vita dove il dolore non muore mai, la morte annulla ciò è stato costruito con difficoltà e fatica, l’amore esce sconfitto.
    L’amore senza più ali. Che pesa come piombo nel cuore. Che cerca e non trova il suo amato. Che torna nell’animo e brucia insoddisfatto. L’amore che dove poco prima creava, ora distrugge. Che gira a vuoto come falena impazzita. Che chiama e nessuno risponde. L’amore che sfianca.
    Guardava piuttosto sua sorella, il volto di Marta pieno di luce. Cosa stava accadendo che a lei sfuggiva? Cosa faceva sorridere Marta e la rendeva così serena? La pietra fu tolta e Gesù disse: «Lazzaro, vieni fuori».
    Maria sprofondò lo sguardo tra i suoi sandali, nella polvere. Lacrime scivolavano giù per il collo. Piangeva non solo per Lazzaro, oramai addormentato nel suo letto di pietra, piangeva soprattutto per sé, per la fine della sua attesa, di ciò che lei aveva creduto possibile, per le sere che nessuno avrebbe potuto restituirle e per il vino che nessuno avrebbe più versato per loro, per quel morto che nessuno avrebbe mai riportato alla luce, per il buco nero del sepolcro spalancato che aveva inghiottito suo fratello e dove era inutile guardare. Piangeva per Marta che pettinava la sua amica erbivendola, scappando di soppiatto, per i due bimbi che non avrebbero mai assaggiato l’alba di un mondo più giusto, per le donne del villaggio che non avrebbero avuto nulla da ascoltare ancora e molto su cui piangere.
    Maria gettò via un sospiro e stava per allontanarsi quando Marta gridò.


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