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    Il modello dell’animazione culturale del CSPG



    Mario Delpiano

    (NPG 1998-07-18)


    L’animazione culturale: il suo contesto vitale

    Per la comprensione del modello che verrò descrivendo, è importante anzitutto cogliere il «contesto vitale» entro cui si è venuto delineando e definendo negli anni, attraverso un processo di autocomprensione e di riappropriazione della parola.
    Tale contesto vitale è costituito da una prassi quotidiana di gratuità, che ha come stile il volontariato coniugato nella forma dell’educativo, come luogo fisico ed insieme ambiente educativo l’Oratorio, il Centro Giovanile, o anche la strada, la piazza, il quartiere, il gruppo giovanile, e come orizzonte ideale e ispiratore la memoria vivente del Sistema Preventivo di don Bosco nella sua coniugazione quotidiana.
    Perché l’animazione culturale è anzitutto innovazione di una pratica sociale quanto mai diffusa, la pratica educativa. Dicendo questo intendo affermare di questa pratica sociale la qualità che la pone alla portata di tutti, prima e al di là di tutte le confessionalità: intendo dire il suo carattere «laico», cioè desacralizzato, emancipato ed autonomizzato rispetto a sorgenti sacrali di senso, universale e alla portata di tutti, come lo è la cultura, il sistema sociale, la stessa prassi educativa.
    Scaturita e nata come ricerca innovativa della prassi educativa, l’animazione culturale ha però cercato di autocomprendersi e autodefinirsi ricorrendo a categorie interpretative, ed elaborando un proprio linguaggio – si potrebbe dire «di gergo» – nel tentativo di chiarire a se stessa la propria collocazione all’interno delle pratiche sociali.
    Da questa circolarità continua che si è venuta instaurando tra una prassi alla ricerca di configurarsi in teoria dell’azione di cambiamento, e una teorizzazione tesa a descrivere e delimitare la specificità e la peculiarità di una pratica sociale, è nata appunto l’animazione in quanto animazione culturale.
    Il CSPG è divenuto allora la cassa di risonanza di una prassi multiforme e il tavolo di riflessione più o meno strutturata che di volta in volta emergeva; esso ha in tal modo svolto la funzione di catalizzatore e di spazio di decantazione critica, ma anche di rielaborazione sistematica e corale di tanti discorsi frammentati o appena intuiti, nonché di percorsi coraggiosamente innovativi nella pratica educativa. La rivista NPG è stata poi in questi vent’anni di storia dell’animazione lo strumento di divulgazione, di confronto e di discussione, e anche di formazione.
    C’è tuttavia ancora una precomprensione che fa da sottofondo al contesto vitale or ora delineato. L’animazione a cui facciamo riferimento si muove «animata» – soprattutto nella sua prassi quotidiana di Sistema Preventivo vissuto e di azione educativa in quanto azione di chiesa – da una profonda ispirazione evangelica che non toglie nulla al carattere di laicità sopra descritto, ma che è massimamente attenta, nella vita prima che nella teoresi, alla ricerca e alla pratica di un dialogo stretto e fecondo tra fede e cultura, tra cultura e pratica educativa cristianamente ispirata, tra passione educativa e tensione evangelizzatrice.
    L’animazione culturale insomma, pur collocandosi tutta sul terreno della cultura, della società, della formazione, della prassi collettiva di cambiamento sociale e di ricerca della qualità della vita, ha un’anima religiosa che riesce a far dialogare fede e cultura, e che, liberatasi da chiusure aprioristiche o pregiudiziali di tipo ideologico, non rifiuta il metodo della critica della ideologia.

    L’animazione culturale: un po’ di memoria

    Parlo dell’animazione culturale non come osservatore neutro o distante, ma dal di dentro della sua storia. Da una storia infatti mi sento ospitato.
    È una storia che mi precede, che ha segnato il suo inizio prima della storia personale di tanti di noi, dalla quale ci si riconosce fortunatamente ospitati e accolti.
    È anzitutto una storia da rispettare e da accogliere.
    Alla radice della prassi di animazione, perché essa non è nata a tavolino, pensata da qualche teorico, ci sono i «movimenti sociali e culturali di cambiamento», strutturale prima e culturale poi, o tutt’e due insieme, che hanno preso il via negli anni mitici del dopo ’68.
    L’animazione culturale in quanto prassi innovativa e di cambiamento respira dunque un contesto nuovo di sommovimenti culturali e cambi strutturali.
    Essa infatti porta all’interno della prassi pedagogica corrente, oratoriana, parrocchiale, associativa, scolastica ed extrascolastica soprattutto, una ventata di aria nuova.
    Muove infatti dalla critica della prassi pedagogica istituzionale, ne smaschera l’impianto autoritario e, sull’onda delle correnti antiautoritarie, anatomizza la pratica del potere corrente e della sua gestione istituzionale, mentre si ispira fortemente alle nuove prassi della pedagogia attiva, di quella non direttiva, fino ad autocomprendersi come prassi di libertà e di liberazione in profonda sintonia con le correnti liberatrici della pedagogia latino-americana (P. Freire).
    Pur prendendo le mosse dalla critica ai modelli e alle prassi istituzionali tradizionali o dominanti, l’animazione culturale riscopre e afferma la «centralità delle soggettività» in educazione, andando oltre le remore strutturalistiche dissolutrici del soggetto, per un forte ricupero anzitutto della soggettività delle nuove generazioni, ma anche di quei nuovi giovani che si attribuivano ruolo e funzione diversi dalla funzione tradizionalmente cristallizzata dell’educatore e si proclamavano «animatori».
    Inoltre, proprio perché collocati all’interno di un movimento di critica sociale e politica rivolta alla struttura (sistema) e alla cultura come cinghia di trasmissione, il movimento culturale dell’animazione conservava quella impronta di forte attenzione alla globalità dei processi macro e microsociali.
    In tal modo il movimento si caratterizzava per una acuta e nuova consapevolezza del suo «porsi in differenza» (sia spaziale che metodologica, e più globalmente culturale), con una accentuata «coscienza della diversità», rispetto alle prassi correnti e alle teorie pedagogiche dominanti, fino a sviluppare col tempo una propria collocazione all’interno del pluralismo, quando non della babele, dei modelli educativi circolanti; esso veniva a collocarsi in forma equidistante sia dall’autoritarismo vecchio e nuovo che dal permissivismo rinunciatario e dilagante. Nella sua breve storia l’animazione culturale ha rivelato infatti una solida capacità di dialogare e di relazionamento con i cambiamenti storici e culturali.

    L’ANIMAZIONE CULTURALE: LE SFIDE E I PROBLEMI

    Per descrivere l’animazione culturale in forma comparabile con altri modelli correnti di animazione, è quanto mai utile e opportuno riferirsi all’autocomprensione di sé che l’animazione culturale stessa ha sviluppato, perché essa ci dica quali sono i problemi e le sfide cui far fronte e le risposte che essa intende attivare per la loro elaborazione e superamento.
    L’animazione culturale infatti, prima che una pratica sociale e una sua sistematizzazione teorica, è un «punto di vista» nuovo o diverso sulla realtà nel suo complesso. La realtà sociale, culturale e istituzionale, e quella formativa in particolare, diventa una «realtà osservata e costruita» proprio a partire dal suo punto di vista.
    Svilupperemo successivamente l’articolazione di questo modo di vedere la realtà e di porsi verso di essa quale prassi per il cambiamento. Le sfide comunque già rivelano, come in un poliedro, le diverse facce entro cui questa realtà viene rispecchiata e interpretata.

    Complessità e differenziazione sociale

    La prima sfida proveniente dalla realtà l’animazione la individua nella complessità del sistema sociale e nella sua frammentazione. Essa ha sviluppato la consapevolezza di vivere e operare in un’epoca di transizione. Il cambio che essa andava perseguendo al suo inizio si collocava all’interno di una trasformazione storica ed epocale della società: il passaggio accelerato della società tradizionale a struttura semplice, unificata sia dal sistema produttivo dominante che dalla unità culturale, verso un sistema sociale a struttura «complessa», caratterizzato dalla policentricità, dalla differenziazione dei modi di produzione e di riproduzione sociale, dalla sua scomposizione in frammenti. Una complessità che diventa articolazione della società in sottosistemi sempre più regolati da logiche autonome e diverse, fino a produrre quella frammentazione che ricade sia sul sistema-cultura e sul sistema-formazione che sulle stesse soggettività individuali.
    La società diviene allora il labirinto dai mille percorsi e dagli esiti imprevedibili, mentre i soggetti diventano sempre più spaesati e smarriti, nomadi in un arcipelago, senza più centri di riferimento simbolici in grado di assicurare quel minimo di unità e di orientamento alla persona.

    La crisi della «cultura»

    La frammentazione e la differenziazione sociale toccano tutto il sistema e coinvolgono in modo del tutto particolare il sistema simbolico attraverso cui gli individui si muovono e comunicano senso all’interno della società. La crisi dunque coinvolge anche la cultura sociale.
    Il primo dei segni di questa crisi, e che non appare come tale, è la frammentazione culturale, il pluralismo dei mondi e dei modelli che non solo attraversa il sistema, ma ciascuno dei sottosistemi. Questo significa in breve la rottura della unità culturale del sistema.
    Una rottura che segna perciò la crisi dell’identità storico-culturale dell’uomo contemporaneo.
    Egli viene a trovarsi, pur navigando nel pluralismo dei mondi simbolici, all’interno di uno scontro tra mondi culturali in frizione: da un lato la cultura tecnologico-universalistica che avanza la pretesa di instaurare la nuova ecumene planetaria; dall’altro le culture locali, cariche di tradizione e uniche custodi del senso dell’esistenza. Non è necessario spendere considerazioni sull’esito nel presente di questo impari conflitto di progetti culturali.
    L’animazione culturale si pone criticamente nei confronti di questo trapasso, e denuncia della cultura attuale la lontananza dall’essere (il nichilismo della tecnologia) e dalla vita (l’esito mortifero della monocultura della scienza).
    Nella sua analisi della crisi culturale, l’animazione coglie anzitutto la perdita della dimensione temporale: il predominio della cultura del presente e la perdita del «senso della storia», cioè della doppia direzione del tempo: dal presente verso il passato e dal passato attraverso il presente verso il futuro.
    In ciò intravede una della minacce e dei pericoli più gravi proprio per le possibilità di vita delle nuove generazioni.
    Dall’analisi della crisi delle culture locali e della perdita della memoria culturale, l’animazione intravede la «deriva della secolarizzazione» della cultura attuale: essa smarrisce o subisce il dissolvimento del «senso», cioè del centro unificante la cultura stessa, e del soggetto che in essa si colloca, e conseguentemente la perdita dell’orientamento della cultura stessa in direzione di un nucleo di valori che la costituisce come tale e la apra al suo trascendimento (oltre la democrazia fondata sul formalismo valoriale).
    L’esito di tutto ciò è la perdita della funzione simbolica della cultura dell’uomo di oggi in relazione al senso dell’esistenza.
    L’animazione intende porsi in termini critici rispetto ad una cultura dominante che ha da un lato dimenticato il linguaggio «vero» dei simboli e dall’altra lo ha distorto e ferito, svuotandolo della sua funzione propria di connessione al livello vitale per rinchiuderlo nella prigione del virtuale e dell’immaginario massmediale.
    La cultura dunque rappresenta il terreno di sfida particolare per l’animazione del modello che vado presentando, e proprio per questo essa si qualifica come «culturale».
    Essa si pone come tentativo di riattivare i processi vitali di comunicazione sul terreno della cultura, di comunicazione tra vita e cultura, tra prassi di cambiamento e cultura sociale, tra cultura fatta e cultura da fare.

    La crisi della comunicazione nel sistema sociale

    La crisi della sociocultura inoltre si dilata fino ai processi di comunicazione del sistema sociale, e diviene crisi di transazione tra mondi vitali e sistema sociale; la frattura tra mondo vitale quotidiano (la famiglia, il piccolo gruppo, il frammento del contesto sociale in cui si opera) e le istituzioni e il sistema sociale organizzato è ciò che impedisce da un lato la identificazione grande degli individui con il sistema sociale e culturale, e dall’altra la possibilità di far transitare la forza innovativa e rigeneratrice dei mondi vitali, quelli delle nuove generazioni in particolare, verso i livelli più alti e complessi del sistema.
    Essa diviene crisi dei meccanismi di trasmissione culturale e impossibilità di un interscambio tra i valori della memoria storica codificati nelle istituzioni sociali (tipica è la messa in discussione dei valori della resistenza e della memoria storica della liberazione, ma lo stesso può dirsi dei valori religiosi) e i valori allo stato nascente emergenti nelle nuove generazioni.
    Si accentua perciò la distanza culturale tra mondo dei giovani e mondo degli adulti e delle istituzioni, e la possibilità di trovare un terreno comune di condivisione vitale che vada oltre la strategia della mera convenzionalità o della funzionalità utilitaristica e strumentale.
    Così la trasmissione di una «memoria culturale» da una generazione all’altra non è più oggi un dato pacificamene assicurato e meccanicamente acquisito nei sottosistemi formativi.
    Da qui la sfida della comunicazione vitale intorno al senso della vita e alle sue qualità, i valori, tra le diverse generazioni.

    La crisi dei sistemi formativi

    La crisi della comunicazione nel sistema sociale l’animazione la coglie nella sua manifestazione più macroscopica, cioè nella crisi dei sistemi e dei percorsi formativi.
    La crisi della formazione, e dell’educazione, ha certo le sue radici anche nella messa in discussione e nel bando delle prassi pedagogiche autoritarie a cui non è seguito facilmente un cammino di rielaborazione nuova di modelli che non fossero quelli propri della deriva delle prassi permissivistiche, libertarie e rinunciatarie.
    L’animazione ha colto la fatica e lo smarrimento dell’educazione contemporanea tesa tra il pendolarismo di questi due poli, e vuole essere un tentativo di elaborazione di un modello che sia una risposta nuova, non solo parziale e settoriale.

    La crisi del linguaggio

    Infine l’approccio alla cultura giovanile diviene per l’animazione un’operazione di critica e di smascheramento del linguaggio giovanile.
    Il linguaggio giovanile infatti rischia l’implosione, e la parole dei giovani l’autoreferenzialità: esso viene perdendo la sua capacità di apertura alla realtà e al mondo della vita e degli altri.
    Ciò a motivo anzitutto dell’offuscamento della funzione referenziale delle parole: la lingua da strumento di accasamento e appaesamento nella realtà, si rivela sempre più per i giovani uno strumento di smarrimento, di distanziamento dalla realtà e di perdita del senso di essa.
    Così anche il pensiero giovanile si tramuta nelle sue strutture logiche: assistiamo alla trasformazione della struttura logico-lineare del linguaggio (discorsiva e consequenziale, da cui la capacità di narrare) nella deriva del pensiero circolare o d’insieme.
    A ciò si accompagna, nell’analisi dell’animazione, l’impoverimento del lessico giovanile e la interscambiabilità delle parole che diventano sempre più a valenza polisemica, meri oggetti convenzionali e interscambiabili a piacere.
    Infine il linguaggio simbolico dei giovani ha bisogno di una grande opera di bonifica, per non confondere e circuitare simboliche regressive (l’animazione utilizza la metafora degli «inferi») con simboliche progressive capaci di aprire alla dimensione di futuro e di speranza (i «cieli»).
    Queste analisi del linguaggio convergono verso un sfida che l’animazione coglie e fa propria: quella di restituire le nuove generazioni alla possibilità della riscoperta di un linguaggio «sensato».

    LE SCOMMESSE

    Per far fronte alle sfide, ogni pensiero umano cerca in se stesso e nella memoria vitale della propria appartenenza culturale le «ragioni vita e di futuro da offrire», attraverso prassi e narrazioni efficaci, che motivano una scelta di cambiamento e una scommessa sulla vita e sulla sua trasformazione in direzione di una qualità che è anzitutto culturale.
    E l’animazione, tra prassi e interiorizzazione simbolica di essa, è venuta chiarendo a se stessa, nel corso di questo decennio, le «ragioni vitali da mostrare» (non da dimostrare) ai suoi interlocutori e ai suoi cultori; ragioni che alimentano la fiducia stessa nella vita e indicano ad essa prospettive di futuro sensatamente fondate sulla speranza.
    Una prassi e una teoria di militanza, come essa si pone, superando le logiche di neutralità come spesso si dà in campo educativo, ha bisogno di articolare le sue scommesse di cambiamento in alcune sue proposizioni essenziali che costituiscono come l’a-monte motivazionale e il proprio credo sulla vita.
    Le richiamo nella loro formulazione sintetica e lapidaria.
    L’animazione culturale è anzitutto una scommessa sulla vita coniugata come «passione per la vita», a partire dalla quotidianità e dell’«in piccolo» vissuto però in una prospettiva «in grande».
    La vita sta al centro dell’interesse e dell’attenzione dell’animazione, la vita in tutte le sue forme e manifestazioni, che appella alla sua accoglienza anche nel frammento e nelle sue forme più mascherate e impoverite. La vita ricercata e accolta diviene consapevole passione per essa.
    La scommessa sulla vita diviene però fondamentalmente «scommessa sull’uomo», consapevolezza della centralità dell’uomo nel biosistema, e scommessa sulla sua redimibilità e sulla sua possibilità di recupero anche quando la vita in lui assume le forme più sfigurate.
    L’amore alla vita si coniuga perciò come passione per l’uomo, per ciascun uomo.
    Tale possibilità di ricupero sempre aperta, di rigenerazione della vita nelle forme della «umanità», diventa allora scommessa sull’educazione, tra prevenzione e ricupero; e l’educazione viene colta come azione politica efficace di cambiamento a partire dai soggetti (scommessa sui giovani e sugli animatori) e dalla cultura per assicurare vita in pienezza.
    La passione per la vita vissuta nella prassi quotidiana di liberazione, quale l’animazione è e vuole essere, trova però in una «memoria pericolosa e vitale», carica di amore e fantasia, le radici credenti di tale passione.
    Allora la scommessa si coniuga tra fede e speranza.
    Il dono della fede offre all’animazione la nuova coscienza della grande scommessa di Dio sull’uomo resa visibile nella persona e nella storia di Gesù di Nazareth: l’uomo appassionato alla vita dell’ultimo nel nome del Dio della Vita.
    Ma quali le risposte alle sfide odierne?

    LE RISPOSTE DELL’ANIMAZIONE CULTURALE ALLE SFIDE EPOCALI

    I due decenni che stanno alle spalle hanno favorito nella prassi di animazione quotidiana fatta di accompagnamento, di accoglienza, di aggregazione giovanile, di espressioni di creatività e di vita entro forme inedite, l’emergere sempre più consapevole e critico di un proprio originale modo di porsi nella sociocultura italiana; si è venuto perciò sviluppando un confronto culturale, serrato ed appassionato, tra operatori militanti attorno alla rivista NPG, che ha trovato momenti significativi di dibattito e di ricerca-azione in decine e decine di convegni sull’animazione culturale a partire dalla metà degli anni ’70 su tutto il territorio nazionale. A ciò si aggiunge quel continuo autocomprendersi e autodefinirsi dell’animazione culturale in quel luogo privilegiato e permanente che sono le scuole di animazione territoriali, diocesane e non.
    Il venire a definirsi come modello formativo ed educativo in particolare, nel mare aperto del pluralismo delle prassi e dei modelli ad esse soggiacenti, ha sviluppato negli animatori prima e nella teorizzazione dell’animazione poi, la consapevolezza che è l’insieme strutturato delle risposte alle sfide ciò che definisce la originalità e la specificità del modello.
    Provo ad indicarle in termini sintetici.

    La progettualità della cultura come risposta alla dissoluzione dell’umano

    L’animazione si autocomprende come progettualità sociale e culturale e guarda l’uomo come progettualità, e all’educazione in quanto prassi di animazione che nasce da un progetto, da uno sguardo complessivo e dinamico sull’uomo, sulla società, sul mondo.
    L’autocomprensione come progettualità, come organizzazione dinamica attorno ad alcune scommesse e come sviluppo sistemico di esse è da vedersi come una risposta all’appiattimento del tempo umano sull’unica dimensione del presente.
    La progettualità dell’uomo e dell’animazione sgorga anzitutto da un rapporto diverso con il tempo da quello che l’uomo tecnologico coltiva. Il progetto infatti rappresenta la ricerca della qualità del tempo a partire da un suo radicamento. La progettualità dell’animazione nasce perciò come esigenza imprescindibile dell’uomo di fare memoria, di ricuperare in essa le ragioni della fiducia vitale, di appropriarsene e coniugarle nell’oggi per aprire l’uomo e il mondo alla speranza di un futuro in cui la vita può cambiare secondo alcune direzioni privilegiate di valore intraviste e sognate. Dal passato, custode della memoria, attraverso il presente che ritrova le sue radici, l’animazione si pone come progettualità di futuro sull’uomo e sulla società.
    Progettare sarà allora individuare le direzioni di cambiamento antropologico e culturale, ma anche sociale e istituzionale. Un cambiamento che non è subìto, temuto, atteso passivamente o solo sognato. Il cambiamento verso la «qualità della vita» dell’uomo e della società, l’animazione lo persegue attraverso l’autocomprensione dell’uomo come progetto, cioè tensione, slancio e apertura all’inedito, e come progetto di società e di sistema sociale da perseguire intenzionalmente e sistematicamente.

    La sistemica dell’uomo e della società come approccio alla complessità

    L’animazione culturale coglie il rischio per l’uomo, e in particolare per i giovani di oggi, di vivere nella più totale frammentazione dell’identità e di ritrovarsi prigioniero smarrito nel labirinto della complessità.
    Alla complessità occorre reagire in termini globali, cercando di superare le risacche del settorialismo da un lato, e perciò del particolarismo, e della semplificazione operata dalle forme ricorrenti di integrismo dall’altro.
    A ciò l’animazione culturale ha risposto attraverso l’elaborazione di alcune linee ipotetiche di antropologia, la cui categoria interpretativa dominante è quella di «sistema».
    L’uomo viene visto dunque come «sistema complesso»: insieme di elementi differenti e molteplici che reagiscono come «un tutto». Unità e pluralità sono le due qualità da assicurare nell’approccio ai sistemi. Uomo e cultura tuttavia sono considerati e colti come «sistema aperto», all’interno del quale vige non il principio di determinismo dei sistemi chiusi, bensì il principio di equifinalità, proprio dei sistemi aperti, quale principio di libertà.
    Il costrutto culturale di sistema l’animazione lo utilizza non solo per la comprensione delle dinamiche individuali dell’uomo, e del giovane destinatario, ma anche alla società nel suo complesso e ai sottosistemi di essa quali l’ambiente, la cultura, le agenzie formative.

    La comunicazione culturale quale risposta alla sfida della incomunicabilità

    Uomo – cultura – comunicazione sono tre coordinate fondamentali dell’antropologia dell’animazione culturale.
    L’animazione, secondo il modello che stiamo illustrando, si autocomprende proprio, in differenza rispetto ad altre scuole di animazione, come «culturale». Con ciò essa indica il suo centro e il nucleo vitale della propria identità/differenza.
    Anzitutto l’uomo viene compreso e visto come «animale linguistico-simbolico». La sua interazione con il mondo circostante, con i suoi simili in particolare, è mediata appunto da quel particolare sistema che è il linguaggio, di cui egli ne è produttore. La cultura diviene perciò, in quanto sistema simbolico, il modo attraverso cui l’uomo vive e si muove nel mondo, come l’acqua per i pesci, e l’aria per gli uccelli. L’uomo abita il mondo attraverso il sistema simbolico dei linguaggi propri della sua cultura.
    La cultura, come sistema simbolico, è vista dall’animazione come organismo vivente, tenuta in vita appunto dalla ricchezza e dalla molteplicità degli scambi simbolici tra i sistemi, e tra i sistemi uomo in particolare.
    Se ogni uomo abita il sistema simbolico della propria cultura con la propria originalità e creatività, allora diventa importante per l’animazione individuare ed assicurare la possibilità di scambio ed incontro tra mondi linguistici differenti.
    Il problema dell’incomunicabilità dell’uomo di oggi è una sfida centrale che per l’animazione richiede una risposta consapevolmente elaborata.
    La «prospettiva ermeneutica» sul terreno della comunicazione culturale costituisce l’orizzonte di scambio tra mondi simbolici differenti, e instaura la possibilità della comunicazione tra diversi, sia nella dimensione diacronica (di qui la distinzione necessaria tra indisponibile di una cultura e rivestimento culturale) che nella dimensione sincronica (di qui la ricerca del terreno comune e condiviso della sovrapposizione semantica tra mondi linguistici diversi).
    Infine l’animazione ricerca e riafferma con forza la possibilità, sul terreno della cultura, di riscattare e di comunicare «il senso» della vita nell’avventura dell’esistenza dell’uomo, quale elemento che attraversa ogni cultura, e lo fa attraverso la riscoperta e la liberazione del linguaggio simbolico proprio di ogni cultura, quale linguaggio dimenticato e/o rimosso.

    L’animazione come modello: una risposta alla crisi dei processi formativi

    L’animazione culturale, pur pensandosi anzitutto come «qualità diffusa» dei processi comunicativi che toccano tutti gli ambiti dell’esperienza umana, si autocomprende e si propone, proprio all’interno del pluralismo dei modelli di educazione oggi ricorrenti, come originale proposta in termini di «modello educativo».
    Formazione, socializzazione, educazione non sono più oggi quelle realtà univoche che riscuotono consenso e unanimità. Il pluralismo delle visioni culturali impone di giocare a carte scoperte e di autodefinirsi. L’animazione culturale, secondo il modello che vengo presentando, ha sentito l’esigenza di chiarire a se stessa anzitutto il proprio modo di intendere i processi formativi e comunicativi, e di identificare se stessa attraverso la definizione di tutti gli elementi che concorrono nel definire un modello rispetto ad un altro.
    Da qui la distinzione fondamentale che essa pone tra processi di socializzazione, inculturazione e formazione, intendendo porsi al crocevia di esse, quale originale modello educativo.

    L’ANIMAZIONE COME MODELLO EDUCATIVO

    Sono molteplici le domande a cui rispondere per definire un modello rispetto ad un altro.
    Esso non si distingue solo per alcune caratteristiche o qualificazioni particolari.
    L’originalità dell’animazione culturale consiste proprio nella particolare costellazione di risposte che essa fornisce alle domande di base che definiscono un costrutto formativo: esse sono «A chi? o con chi? Perché? Che cosa? Verso dove o, se si vuole, per quale meta? Come e con quali risorse?».
    È soltanto dalla originale risposta a queste domande e dall’interazione sistemica di queste risposte che emerge la specificità di tale modello, che non solo si pone in relazione e in differenza rispetto a modelli circolanti di educazione, ma permette di identificare l’animazione culturale rispetto ad altre accezioni e modelli di animazione oggi ricorrenti.

    L’animazione «chi e con chi?»

    L’animazione culturale del CSPG si qualifica anzitutto per la definizione del «campo dei destinatari», o meglio ancora, dei compagni di viaggio con i quali essa decide l’avventura della comunicazione culturale.
    I soggetti di questa avventura sono da un lato gli animatori. L’animazione infatti è l’animatore in azione, e dunque la scommessa sulla sua figura e funzione sociale. Dall’altra parte l’animatore ricerca la compagnia di qualcuno: i destinatari della sua intenzionalità educativa, i partner potenziali della comunicazione culturale.
    I compagni privilegiati di questo modello di animazione sono i giovani, le nuove generazioni.
    La scelta privilegiata dei giovani porta con sé per l’animazione un modo di leggere la condizione giovanile del tutto originale. Essa propone un tipo di approccio globale al mondo giovanile che vada oltre le letture parziali e settoriali: accostarsi ai giovani da animatori implica la capacità di cogliere la grande domanda di vita e di senso che attraversa la cultura e la ricerca d’identità dei giovani. Animazione è allora accostarsi al mondo giovanile con fiducia e accoglienza del positivo che la loro vita si porta dentro, e questo significa alcune scelte di campo:
    – la valorizzazione degli interessi giovanili per essere capaci di accogliere tutti, a partire dalle domande di vita più deboli, di elaborare proposte non emarginanti e selettive, di camminare con tutti a partire dagli ultimi;
    – assumere la «globalità» dei processi di cambiamento, per riconoscere e rispettare la complessità in un’ottica sistemica. Dunque la coniugazione di un I care riferito a tutta la vita del giovane, nessun ambito escluso;
    – la ricerca dei temi generatori di vita nei giovani, sui quali scommettere per delle direzioni di marcia verso un cambiamento globale della vita nella direzione della sua liberazione e qualità.

    L’animazione «in quale contesto?»

    L’animazione ha consapevolezza di «essere in sistema» e di essere «azione di sistema». E tale sistema è anzitutto l’ambiente di vita e il territorio su cui essa opera.
    Il territorio viene considerato naturalmente non solo dal punto di vista geografico, fisico-materiale, ma come il reticolo culturale, come sistema aperto di soggetti-sistemi plurali e individuali in interazione tra loro, in un intersecarsi di azioni e coscienze collettive e individuali vicendevolmente influenzantisi fra loro in maniera circolare.
    L’animazione culturale proprio per questo si è fatta in questi ultimi anni promotrice di una intenzionalità di aggregazione e di cooperazione allargata. Essa spinge verso il «patto educativo territoriale» tra agenzie formative in rete e verso lo sviluppo di una autocoscienza di una comunità educativa territoriale tutta da sviluppare e da consolidare facendola emergere da un livello implicito ad un livello esplicito.
    Proprio per questo l’animazione si dà una soggettività collettiva minimale: la comunità educativa, che ritrova unità, convergenza e sinergia di azione attorno allo strumento proprio della progettazione/programmazione educativa.
    Tutto ciò non esclude, anzi evidenzia la necessità di definire, delimitare e qualificare un contesto vitale più circoscritto, in parte «protetto», entro cui possa darsi una comunicazione educativa: è ciò che l’animazione chiama ambiente educativo.

    L’animazione «verso dove?» Quale uomo per quale società?

    Le coordinate antropologiche che definiscono l’uomo e la cultura sociale dell’animazione (il costrutto di sistema aperto, la struttura simbolica dell’uomo, la comunicazione come evento fondamentale per il cambiamento personale e culturale) pesano fortemente nella definizione dell’impianto di obiettivi che essa si dà.
    Perché fare animazione, secondo il modello che sto descrivendo, vuol dire perseguire intenzionalmente degli obiettivi definiti di cambiamento riguardanti l’uomo, la collettività e la cultura sociale. Questa intenzionalità non può né deve essere nascosta a nessuno, agli operatori come ai compagni di viaggio; ma anche a quanti, curiosi, si interrogano sulla specificità dell’animazione culturale e del suo modello.
    L’animazione culturale perciò accoglie lo strumento della progettazione/programmazione per obiettivi e lo assume come elemento indispensabile per il superamento dell’educazione come sistema di contenuti predefiniti e di «programmi». In tal senso essa ha contribuito non poco allo spostamento dell’attenzione in campo educativo dai programmi alla programmazione.
    Gli obiettivi però non sono predefiniti dall’animazione una volta per tutte, senza tenere conto della situazione di partenza e del potenziale culturale e di cambiamento dei destinatari.
    Ciò comporta l’assunzione di un modello di circolarità (ermeneutica) nella ridefinizione degli obiettivi che tenga conto della situazione oltre che della idealità e della intenzionalità di cambiamento, al fine di superare l’inadeguatezza dei modelli deduttivi e di quelli induttivi.
    In concreto, qual è il grande obiettivo generale dell’animazione e come esso viene ad articolarsi in direzioni privilegiate?
    Il grande obiettivo generale dell’animazione culturale è quello di liberare e dare consistenza all’amore alla vita nei destinatari, permettendo loro di riconciliarsi con essa e di scoprire come questo amore alla vita debba radicarsi nelle sorgenti del senso della vita che attraversa l’intera vicenda umana, come storia di senso, di ragioni di fiducia nella vita e nel futuro codificate nella cultura sociale di ciascun popolo; inoltre questo amore alla vita che si radica nella grande avventura di ricerca e di incontro con il senso dell’esistenza, lungi dal chiudere il giovane, l’uomo, in sé, lo apre alla condivisione del senso e dell’amore alla vita al punto da viverla con responsabilità di fronte a se stessi e a ciascun vivente.
    Questo obiettivo generale trova poi consistenza dentro un percorsi di obiettivi di cambiamento, individuati come sentieri educativi in tre spazi simbolici privilegiati: l’identità come ricerca del «centro» della persona in un progressivo decentramento oltre se stessa; la scoperta della responsabilità che apre verso la solidarietà con l’altro; l’apertura verso l’ulteriorità e alterità radicale che porta a vivere l’amore alla vita al cospetto del «mistero» che essa si porta dentro.

    L’animazione «come si fa?»

    Una volta dichiarate le proprie intenzionalità, in un tempo storico in cui si fa sempre più fatica a chiarire a se stessi e agli altri, quale esigenza di onestà intellettuale e di coscienza del limite, l’animazione culturale si pone, coerentemente ad esse, il problema del «come» assicurarne la realizzazione, peraltro sempre parziale e imperfetta.
    Allora e solo a questo punto l’animazione diviene anche «metodo», cioè un modo peculiare e specifico di selezionare e riorganizzare le risorse entro un modello coerente.
    È qui che si definisce il metodo dell’animazione culturale, cioè la strategia organizzata e sempre ridefinentesi, di assicurare il cambiamento personale, antropologico, sociale e culturale che essa ha tentato di chiarire a se stessa, in sintonia anche con i cambiamenti culturali e strutturali avvenuti.
    Spesso l’animazione infatti viene confusa con il proprio metodo, e il modello ridotto ad una metodologia, pregiudicando a se stessi in tal modo la possibilità di comprenderne la complessità e la globalità.
    L’animazione culturale come «metodo» è infatti da intendersi come strategia di intervento formalmente educativo nella realtà. Perciò in quanto metodo valorizza le risorse tradizionali, ma anche quelle occultate o dimenticate dalla prassi educativa corrente.
    Ciò che la distingue da altre prassi educative e di animazione, è la configurazione degli elementi-risorsa, l’importanza che essa attribuisce ad alcuni fino a considerarli centrali, e la secondarietà o la perifericità o la strumentalità che essa attribuisce ad altri.
    Richiamo soltanto gli elementi che la configurano e la collocazione che essi vengono ad avere all’interno del sistema.
    * Anzitutto l’accoglienza: va vista come l’intenzionalità e la competenza acquisita di avvicinare, di convocare e aggregare i giovani nel nome e attorno alla vita, al livello di autocoscienza in cui essa si dà in loro, per farla crescere in termini di responsabilità (l’animazione tra accoglienza, ambiente educativo ed educazione della domanda).
    * La comunicazione educativa: l’incontro che si realizza attraverso l’accoglienza è per qualcos’altro da sé; perché accada un evento assolutamente importante: la comunicazione educativa intorno alla vita. La comunicazione educativa costituisce perciò il «centro» del metodo. Creare una possibilità nuova di comunicazione nella differenza, tra adulti e giovani in maniera del tutto particolare, intorno alla vita, scommettendo nella possibilità di far incontrare mondi culturali diversi sul terreno comune dell’amore alla vita, nella forma di condivisione di qualche frammento di essa, è la strategia delle strategie.
    Al suo interno poi l’animatore va alla ricerca della relazione educativa, il vero e proprio «cuore del metodo». C’è infatti tipo e tipo di comunicazione; quella centrata sui contenuti e sui compiti, e quella centrata sulla relazione. La comunicazione educativa per l’animazione è quella che sa riconoscere nei processi comunicativi la centralità della relazione tra animatore e giovani, e quella che può sbocciare dei giovani tra loro, quando questa relazione acquista alcune particolare qualità e diviene comunicazione «significativa» tra le persone. Una relazione, quella educativa, che non è monopolio di nessuno; infatti va perseguita come relazione anzitutto diffusa nel contesto comunicativo, anche se essa viene a concentrarsi simbolicamente in una figura, l’animatore.
    * Il nuovo mondo vitale del gruppo giovanile: esso costituisce il contesto vitale, vero e proprio grembo, che dischiude e rigenera le identità personali dei giovani; esso non diviene tale da sé, quasi spontaneamente, ma va perseguito intenzionalmente dall’animatore, perché possa fiorire la relazione educativa diffusa; al suo interno solamente si legittima l’autorevolezza della figura dell’educatore. La storia della prassi educativa di questo modello, in questo decennio, ha sviluppato al riguardo una riflessione articolata e preziosa sul gruppo come «soggetto educativo». Nessuno educa nessuno, ma ci si educa reciprocamente.
    * Altro elemento fortemente identificante il modello che stiamo presentando riguarda invece la questione dei «contenuti» in educazione. Cosa è contenuto? Cosa è che, nelle condizioni assicurate dalle altre variabili suindicate, permette di produrre cambiamenti dentro la mappa mentale e la rappresentazione del mondo del giovane? Qual è la materia prima da macinare in modo che i giovani diventino produttori, non consumatori soltanto, di cultura vitale?
    La risposta a questi interrogativi è quello che in animazione possiamo denominare la rivoluzione dell’esperienza: solo ciò che viene vissuto con la totalità del proprio essere nel mondo può essere interiorizzato e lasciare traccia permanente per divenire così mondo interiore dell’individuo. Ecco allora la scelta qualificante dell’esperienza; una esperienza da far fare (dunque da progettare e vivere insieme e non da consumare) e da far vivere, fino a poter comunicare intorno ad essa. Si tratta di un punto discriminante del modello dell’animazione rispetto ad altri modelli. Cioè: produrre cambiamenti facendo fare esperienza della realtà.
    * Liberare la parola intorno alla vita e ai linguaggi, a partire da quelli dimenticati. Secondo il nostro modello di animazione non più darsi esperienza se essa non viene «detta» attraverso la parola e la molteplicità dei linguaggi della cultura.
    * Il profilo rigoroso dell’animatore tra militanza e competenza è un altro punto qualificante e discriminante. Non è sufficiente dire animatore e scommettere sul suo intervento, se non si definisce prima il suo profilo. Il profilo dell’animatore emerge tra la competenza comunicativa e relazionale da un lato, e l’autorevolezza e il modo di gestire il potere dall’altro.
    * Uno dei grandi equivoci denunciati dal modello è quello nato attorno agli strumenti e tecniche di animazione; esso porta spesso i superficiali ad identificare l’animazione con le sue tecniche, producendo con ciò una grande distorsione e impoverimento del modello. Gli strumenti e le tecniche di animazione vanno invece liberati dall’enfasi dominante per essere ricollocarli al posto che loro spetta. Strumenti e tecniche sono soltanto elementi funzionali a ciò che è invece assoluto e irrinunciabile: la risorsa e l’evento della relazione tra persone che fa crescere entrambi. Un buon animatore è dunque colui che riesce a fare a meno degli strumenti e delle tecniche apprese.

    Ho offerto un panorama veloce e sintetico del modello dell’animazione culturale. Esso appare certamente articolato e complesso. Nel corso della presentazione spero sia emersa progressivamente la sua originalità e la sua specificità.
    Oggi tutti utilizzano il termine di animazione e richiamano l’animazione come strumento di intervento e di azione sociale.
    Persino negli ambiti più impermeabili a livello istituzionale essa sembra venire riconosciuta e ad essa si intende ricorrere.
    L’obiettivo del mio intervento non era quello di appassionare ad un modello rispetto ad un altro. Ciascuno fa le proprie scelte e si assume le proprie responsabilità.
    Sarebbe però opportuno e auspicabile, in un tempo in cui le unanimità tornano ad apparire facilmente accessibili e gratificanti, che ci si accorgesse e si desse riconoscimento anche delle diversità e delle differenze.
    Alcuni sono tentati di affermare, una volta confrontatisi con il modello dell’animazione culturale: «ma non è nient’altro che un discorso di educazione!».
    Sì, è vero, quando parliamo di animazione culturale parliamo il linguaggio dell’educazione.
    Il fatto è che oggi, anche quando tutti usano le stesse parole e attorno ad esse sembra crescere l’unanimità e il consenso, ci si scorda piuttosto facilmente di un fatto, reale quanto elementare, accessibile alla verifica in ogni istante: con la stessa parola indichiamo realtà, nel nostro caso, prassi e autocomprensioni dell’uomo, profondamente diverse.
    La coscienza della diversità è la prima condizione per un fecondo incontro nella differenza.


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