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    Pastorale di inculturazione tra presenza e mediazione


     

    Presentazione dello studio di B.Sorge

    (NPG 1986-06-9)


    Attorno a queste parole-chiave sembra venga a giocarsi il futuro della pastorale in Italia, compresa quella giovanile.
    Da una parte i sostenitori di una pastorale della «presenza» che insiste sulle proposte forti e sulla educazione a distinguere tra «noi» e «gli altri»; dall'altra i sostenitori di una pastorale della «mediazione» che insiste per il paziente dialogo tra cultura odierna e tradizione di fede, e per una educazione al rispetto dell'autonomia delle realtà umane.
    Il problema appassiona tutti. Appassiona in particolare coloro che si dedicano alla pastorale giovanile. Fino al punto in cui prevale la tendenza alla sconfessione reciproca e alla sufficienza nel giudicare le posizioni dell'altro.
    Ci sembra che si debba andare oltre. Non. tuttavia verso un ambiguo eclettismo, in cui miscelare elementi delle due scuole pastorali e prima ancora teologiche, ma piuttosto attraverso il salire ad un livello di ordine superiore dove il conflitto viene utilizzato per inventare nuove riflessioni sulla vita e sulla fede.
    Su questa linea ci fa piacere ospitare un intervento di padre Sorge.
    La sua riflessione punta ad una pastorale di inculturazione che assume il conflitto tra presenza e mediazione e lo risolve in una logica di ordine superiore.
    La riflessione di Sorge è centrata sul rapporto tra fede e cultura oggi. Ma ci sembra che tocchi punti decisivi del problema che ci sta a cuore. Per collegare la sua riflessione con la pastorale giovanile premettiamo un «corsivo» di Antonio Martinelli.

    PASTORALE GIOVANILE E INCULTURAZIONE

    Il tema è sempre attuale. Si potrebbe affermare che è stato ed è, da sempre, l'unico problema della chiesa.
    La comunità credente è chiamata ad incarnarsi, sull'esempio del suo Signore. La riflessione richiesta a p. Bartolomeo Sorge si colloca in un contesto molto ben definito, e coglie un aspetto particolare nella complessità del fenomeno che chiamiamo inculturazione.
    Le osservazioni che seguiranno intendono allargare l'orizzonte della problematica, offrire spunti di riflessione sulle conseguenze pratiche ed operative legate al tema/problema, apportare alcuni chiarimenti indispensabili.

    Il problema

    Innanzitutto si tratta di prendere coscienza del problema e della sua vastità. L'inculturazione può essere letta in chiave storica (coma fa l'articolo di Sorge), nel tentativo di comprendere le possibili e realistiche scelte che in contesti temporali e culturali compie una comunità credente. Ha dimensioni pratiche ed operative che non possono essere eluse, ponendosi solo sul piano dei grandi principi e senza compiere lo sforzo della loro applicabilità ed applicazione.
    Ci sono aspetti strategici e metodologici che fanno da supporto all'intera chiesa o a porzioni di chiesa che si decide ad intervenire nei processi culturali.
    Ha riflessi sul piano della spiritualità, in quanto provoca una riorganizzazione del proprio essere e del proprio vivere nella comunità degli uomini.
    Utilizzo due esemplificazioni per spiegare questa molteplicità di riferimenti. Pensando all'atteggiamento globale della chiesa nel Concilio Vaticano secondo e al cammino postconciliare, si può notare uno spostamento di accenti.
    I termini prevalenti ieri erano: conversione, rinnovamento, adattamento, aggiornamento. Oggi la chiesa si esprime con il termine e la realtà che sottende la parola inculturazione. Perché?
    Si vuole indicare non solo un particolare impegno missionario, quanto piuttosto una modalità particolare nell'esprimere il cristianesimo, nel vivere di Cristo: una modalità che passa attraverso la storia e la vita dei soggetti che credono.
    Trasferiamoci nel campo della spiritualità. Si pensi al Pantokrator, oppure all'Amore crocifisso, o anche al Cristo Re, o infine al Risorto che manda i suoi apostoli nel mondo intero. Ci troviamo di fronte a polarizzazioni ugualmente valide, ma complementari, di una medesima realtà. Cambiano le prospettive storiche e culturali. Sono storie diverse dell'unico popolo di Dio. La coscienza del problema induce una conclusione importante da un punto di vista educativo e pastorale: bisogna evitare di assolutizzare la propria versione della figura di Gesù, a cui si è abituati, e bisogna essere aperti a riconoscere altri aspetti della medesima realtà, più accessibili ad altri gruppi culturali.

    Cosa intendere per inculturazione

    Un secondo passo è da compiere nella linea della comprensione del contenuto incluso nel termine inculturazione. Utilizzo una definizione ampiamente condivisa da quanti studiano il tema in esame.
    Inculturazione è l'inserzione della vita e del messaggio cristiano in una concreta area culturale, in modo tale che questa vita e questo messaggio non solo riescano ad esprimersi negli elementi propri della cultura in questione, ma abbiano anche una funzione ispiratrice, normativa e unificante, che trasforma e ricrea questa cultura, dando origine ad una nuova creazione.
    Della definizione riportata si colgano tre passaggi determinanti.
    Il primo: l'adattamento. È il sapersi inserire con conoscenza dei dati e con la coscienza della propria identità. È un invito a mettersi in ascolto dell'uomo, dell'uomo concreto che vive in uno spazio geografico e in un tempo culturale, per comprenderlo e per inventare un nuovo tipo di dialogo, che permetta di portare l'originalità del messaggio evangelico al cuore delle attuali mentalità.
    Il secondo: l'assimilazione. La sintesi tra cultura e fede non è solo un'esigenza della cultura, ma anche della fede. Una fede che non diventi cultura è un fede che non è pienamente accolta, interamente pensata, fedelmente vissuta. Se l'inculturazione è legata alla vita, è necessariamente una partecipazione alle sofferenze di un popolo e alle sue speranze, affinché uomini e donne che vivono nelle diverse culture trovino la loro realizzazione nella salvezza portata da Gesù Cristo.
    Il terzo: la riespressione. Il gruppo evangelizzato si sforza di riformulare il messaggio, secondo la propria comprensione e nella cultura propria.
    La fede che diventa cultura è una fede che diventa chiesa.

    Per una pastorale giovanile d'inculturazione

    A questo punto potrà sorgere spontaneo l'interrogativo: perché interessarsi di inculturazione nella pastorale giovanile? Le motivazioni sono molte.
    Il progetto di pastorale giovanile che NPG offre fa centro nell'incarnazione. L'inculturazione è l'incarnazione sempre rinnovata del mistero di Cristo nella sua storia della salvezza, su tutte le strade di Emmaus. L'incarnazione umana del Verbo è stata un'incarnazione culturale: siamo invitati a seguirlo su questa strada. Il progetto di animazione che NPG ha introdotto nella riflessione pastorale si qualifica come animazione culturale: è immediata l'esigenza del dialogo, tra i quadri di riferimenti che ogni gruppo umano assume nell'organizzazione della propria esistenza quotidiana.
    I modelli di trasmissione del vangelo hanno un influsso rilevante nella problematica dell'inculturazione. Ci sono modelli gerarchici, dialettici, spiritualistici, educativi, ecc. Una scelta si impone. E questa imporrà un orientamento pratico nei vari ambiti d'intervento. Mi riferisco per esempio all'intervento più specificamente catechistico; ai processi educativi; al rinnovamento richiesto alle diverse istituzioni.
    Quest'ultimo aspetto diventa il più significativo nella pratica.
    Sono stati certamente acquisiti alcuni punti di non ritorno in tema di inculturazione. Si tratta però di punti teorici. Le difficoltà sono oggi sul piano dell'applicazione.
    Che cosa comporta una inculturazione giovanile? Ecco la sfida odierna.
    La lezione da ricavare dallo studio di Sorge si riferisce ad una pratica impossibilità di cristianità oggi: si tratti di nuova cristianità, oppure di restaurazione di cristianità.
    Il senso dell'attuale non permette che si percorrano questi sentieri.
    Che cosa resta da fare?
    Alcune piste indicative.
    Vero protagonista dell'inculturazione è la comunità.
    L'ambiente per una cultura, per lo sviluppo della cultura è l'insieme, la comunità. L'inculturazione non è mai un'operazione da laboratorio. Non è questione di esperti che a tavolino studiano i processi che gli altri dovranno vivere. Come protagonista è la comunità, così ancora la comunità è destinataria e soggetto.
    L'evangelizzazione delle culture assume dimensioni che superano il puro rapporto tra la fede e le culture locali, poiché queste non solo non sono isolate, ma neppure possono essere isolate, dal momento che subiscono l'influsso delle culture dominanti in tutte le regioni del mondo. Così anche una così detta cultura giovanile non vive in clima asettico e al riparo da ogni contaminazione esterna. L'attenzione perciò ha bisogno di guardare ben più in là dell'immediato e del singolo. Parlare di inculturazione è cosa ben diversa che parlare di culturizzazione del vangelo: quest'ultima è la riduzione del cristianesimo alla sola dimensione sociale, politica o ideologica. L'esatto contrario del vangelo. L'inculturazione del vangelo pone perciò di fronte alla necessità di denunciare i valori anti-evangelici e anti-umani che possono inquinare alcune culture. È una forma di coraggio sempre necessaria, particolarmente oggi nel pluralismo di proposte a livello giovanile.
    Un compito serio e previo.


    T e r z a
    p a g i n A


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