Antonio Amato
(NPG 1998-01-44)
Ad ognuno sarà capitata l’esperienza più o meno dura e coinvolgente di ammalarsi. In ogni caso la prima impressione che si percepisce è quella di una disarmonia tra il proprio io psichico e la dimensione della corporeità. Il corpo, strumento ed espressione dell’«essere» più intimo e personale, diviene incapace di mettere in atto progetti e prospettive, inidoneo a manifestare sentimenti e, in casi più seri, limite insormontabile per le scelte di libertà. La sofferenza che ne deriva è facilmente dimenticata quando la malattia si risolve con rapidità; ma in alcuni casi può succedere di dover imparare a convivere con questa condizione per un considerevole periodo di tempo, se non per tutto il resto della vita.
È a questo punto che la malattia diventa anche elemento di isolamento: si rimane soli col proprio male, ospite sgradito della propria corporeità. Una tale situazione genera le reazioni più varie, dall’irritazione alla depressione, alla rimozione, alla ribellione; ognuna conseguenza di un conflitto profondo condotto contro quella oscura minaccia alla vita che è la malattia. È in questo conflitto che si scopre il bisogno degli altri, non solo come responsabili dell’assistenza, ma prima ancora come uomini.
In chi soccorre alle necessità di chi soffre è indispensabile una dose sovrabbondante di umanità, perché la qualità del servizio prestato non è soltanto legata all’abilità tecnica dell’operatore sanitario quanto alla attenzione, alla premura e al rispetto che accompagnano l’attività professionale. Perciò le competenze diagnostiche o terapeutiche non possono essere disgiunte dalla capacità di avere relazione con il malato tanto da sottrarlo alla propria condizione di solitudine e risolvere la sua ansia e la sua angoscia.
Cristo stesso che, il più delle volte, è additato quale modello per i sofferenti, si è trovato frequentemente nella veste di «medico». L’incontro tra il Dio della vita e chi non poteva più viverla in pienezza è sempre caratterizzato da una forte tensione emotiva che si accompagna ad una umana comprensione e una sollecitudine che esprimono con grande efficacia la tenerezza di Dio per l’uomo che soffre: Cristo è vicino a chi è segnato dalla malattia come colui che vuole ridare dignità alla persona e significato alla vita.
Il nostro modello di assistenza ha bisogno di un «supplemento d’anima», una cultura della solidarietà che sia alla base di ogni scelta di servizio in ambito sanitario.