Gioia Quattrini
(NPG 1998-01-10)
Don Luigi Di Liegro non inventava niente.
Suo padre era un pescatore di Gaeta che più volte aveva cercato fortuna in America. Così, negli immigrati che da qualunque parte del mondo si rifugiavano in Italia per cercare quella stessa fortuna, don Luigi vedeva anche suo padre oltre il Cristo.
Aveva cominciato a sporcarsi le mani facendo il prete-operaio in Belgio e in Francia, tra i minatori della Gioventù Operaia. Da allora non aveva più pensato a lavarsele.
Lo chiamavano il «prete rosso». Ora è «l’anima eletta». E le grane che esigente e intransigente procurava spesso e a molti, sembrano non essere mai esistite.
Lo hanno salutato lacrime sincere ma anche sinceri sospiri di sollievo. Picchiava a destra e a manca. Di Cristo aveva gli occhi azzurri ma anche la straordinaria e incontenibile fredda rabbia.
Niente di melenso. Niente di quella bontà strascicata e vischiosa, che nasce dal disagio di avere tutto, in un mondo dove questo non è proprio la regola.
Niente di quel «ben fare» che inizia fuori la soglia della nostra casa e finisce davanti quella stessa soglia.
Un po’ come quelli che a Betlemme non trovarono niente di meglio per Maria e Giuseppe che una stalla.
La stessa gente che riempie le Chiese nelle feste comandate lo attaccò indignata davanti al centro per i malati di AIDS a Villa Glori.
Don Luigi aveva la colpa di aver osato varcare quella fatidica soglia.
A vederlo combattere con le distrazioni dei potenti nelle varie giunte capitoline, nessuna delle quali fu mai risparmiata, ricordava l’ardore severo di Fra’ Cristoforo, pur senza averne in comune il passato violento da espiare. L’ira severa che il sentimento infallibile e continuamente offeso della giustizia scatena nel tempio. L’ira severa che rovescia i tavoli e le sedie, che scaccia i mercanti. L’ira fredda del «Guai a voi...» per i farisei, che Matteo ci racconta. L’ira fredda ma pur sempre ira.
«Via lontano da me, maledetti...». Senza mezze parole si esprimeva Cristo con chi si era dimenticato di cercarlo nei fratelli poveri o malati.
Senza mezze parole si esprimeva don Luigi quando doveva difendere gli zingari, gli immigrati albanesi, perfino le vittime dell’usura.
Allegro e brusco, trovava lavoro a Renato Curcio, e a quanti mostravano la loro indignazione rispondeva che era stato Dio a farci il dono della Riconciliazione. Un dono che chiamava tutti alle proprie responsabilità.
Ira ma anche infinita pazienza. Imparate probabilmente sui moli di Gaeta, dove troppe volte suo padre aveva imprecato davanti le reti smagliate da una pesca avara. Per poi con pazienza cominciare a ricucirle. Don Luigi aveva capito che quando Cristo parla dei malati, intende comprendere anche i malati di AIDS. Quando Cristo parla di fratelli affamati e assetati, nudi e senza riparo, non esclude che possano essere albanesi o zingari. (Non risulta oltre tutto che si sia detto favorevole ad un versamento su contocorrente per alleggerire la coscienza, nel caso il contatto diretto con i poveri e i malati ci infastidisca).
Quando Cristo raccomanda di visitare uomini che hanno sbagliato e stanno pagando col carcere, non nutre pregiudizi per nessuno.
Insomma, Cristo faceva sul serio. Luigi Di Liegro lo aveva capito.