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    Adolescenza: cantiere aperto



    Severino De Pieri

    (NPG 1997-08-11)


    Com’è l’adolescente degli anni ‘90? Articoli giornalistici, interventi di studiosi, chiacchiere tra amici cercano di definirlo. Ma non sempre ci convincono. Una cosa è certa: l’adolescenza sta cambiando... Tutti lo dicono. Ma dove va? Al di là delle intuizioni di qualche profeta, è difficile dirlo. Le ricerche, pur con i loro limiti, rimangono ancora lo strumento più serio per capire l’evoluzione del fenomeno. Tra queste spicca nettamente la ricerca COSPES L’età incompiuta, Elle Di Ci 1995. Teniamo perciò conto soprattutto dei risultati conseguiti da questa ricerca per cercare di descrivere i nuovi adolescenti.

    Chi sono gli adolescenti?

    Gli adolescenti vanno considerati come parte di sistemi più vasti: la famiglia, la scuola, i gruppi, i ceti sociali, le classi, fino a quello più esteso, costituito dall’intera società. Società «complessa» come quella attuale, ricca di stimoli e proposte, ma carente di un «centro», di un piano organico e preciso, dove vari attori e forze sociali si incontrano, si confrontano, si scontrano cercando di prevalere sulle altre, ma senza che ci sia un vero dominatore. In questa società, pulsante e caotica, per gli adolescenti non sembra esserci posto, se non come consumatori. Il loro comportamento sarà sovente una risposta, magari solo immediata e reattiva, a questa situazione. Ecco allora che essi appaiono assumere comportamenti di adattamento più che di vera progettazione di sé. Ciò pone interrogativi sul tipo di identità che essi andranno ad assumere. Da un lato, vanno considerate le dinamiche degli adolescenti e dei giovani che urgono verso la creazione di spazi più autonomi, dall’altro non si deve trascurare come la rete dei sistemi «esterni» si comporti di fronte a tali richieste. In particolare è importante tener conto della rete delle relazioni, e dentro a questa cogliere i processi di formazione dell’identità, nell’interscambio che corre tra il sottosistema giovani e l’intero sistema della società
    Gli adolescenti risultano così un sottosistema unitario in evoluzione, in cui si incrociano molteplici fattori interni, dentro un vasto intreccio di interscambi «esterni». Ne risulta che, se essi sono frutto del condizionamento ambientale, dimostrano buona capacità di controcondizionamento, il che ne fa dei co-produttori della propria identità.
    Consideriamo ora le varie agenzie di socializzazione, cercando di vedere come al loro interno gli adolescenti intessono i propri rapporti e vivono la propria tensione evolutiva.

    Famiglia

    Gli adolescenti sembrano dipendere ancora fortemente dal sistema famiglia. È una dipendenza che per molti versi viene incoraggiata da indubbie difficoltà della condizione sociale e culturale attuale. I mutamenti intervenuti nella struttura della famiglia e della società hanno indotto gli adolescenti a restare dentro l’istituzione familiare e hanno influito sulla tendenza della famiglia italiana a mantenere il più a lungo possibile i propri figli dentro il sistema protettivo familiare.
    A parte le considerazioni sociologiche, è interessante cogliere come gli adolescenti, dentro questo orizzonte di dipendenza, compiono via via un viaggio progressivo di distanziamento, di controdipendenza, fino a vivere da autonomi dentro un sistema genitoriale e familiare che risulta complesso e pluriarticolato. L’orizzonte finale di questa curva evolutiva porta alla compresenza in famiglia di adulti e giovani, a diversi livelli di maturazione, e che costruiscono ciascuno la propria identità in un sistema di relazioni reciproche ed interdipendenti. Non sono chiare e sempre maturanti le relazioni per entrambi i sistemi, giovani e adulti. Si osserva nei giovani un cammino progressivo verso l’autonomia e d’altro canto anche una evoluzione globalmente positiva della famiglia italiana che cammina verso un dialogo sempre più fluido e aperto con le nuove generazioni.
    La ricerca documenta un consistente passaggio dalla famiglia autoritaria del passato alla famiglia dialogica di oggi. Anche se al genitore affettivo, ampiamente presente nel sistema della protezione, non corrisponde ancora il genitore sociale, quale è da attendersi per favorire una compiuta identità nelle nuove generazioni.
    In altri termini la famiglia italiana sembra ancora propensa più ad avvolgere che a disperdere, a contenere che a lanciare verso l’autonomia e la corresponsabilità. Una parte poi non trascurabile di genitori d’oggi, per almeno un terzo, sono ancora tributari di un sistema educativo imperniato sull’autoritarismo, e pertanto incapaci di accogliere il dialogo come modalità di relazione, e soprattutto non disponibili ad entrare in una relazione di reciprocità con i figli, pur mantenendo il ruolo autorevole della relazione di paternità e di maternità.
    La famiglia in ogni caso si rivela come l’istituzione che, nonostante tutto, ottiene anche i più elevati risultati nella formazione dell’identità, tanto è vero che la sua carenza e il suo degrado sono tra le prime cause della devianza e dell’insorgenza del disadattamento. La famiglia che educa diviene terapeutica, come la comunità terapeutica che accoglie i disadattati e i soggetti della devianza quando si ispira al modello familiare, se vuole diventare educativa.
    In dimensione sociale la domanda emergente è la possibilità di avere delle amicizie proprie, anche eterosessuali, senza interferenze da parte dei genitori. Alla perdita di forza gravitazionale del sistema famiglia corrisponde via via l’aumentare di un sistema concorrente, quello dei coetanei, che visualizza il decrescere dell’accordo dei figli con i genitori e mette in luce di pari passo l’aumento di intesa con gli amici. Questa dinamica è accrescitiva e si espande massimamente durante tutto il periodo dell’adolescenza. In questo concorrere dei due sistemi abbiamo tendenze che procedono verso un limite di rottura. Le più esposte ad una crisi di segno negativo sembrano di fatto le ragazze, per le quali le situazioni conflittuali risultano più consistenti, soprattutto con la figura paterna, già a partire dal dodicesimo-tredicesimo anno di età.
    L’esito positivo appare connesso con i climi educativi che favoriscono il distanziamento e l’aggiustamento continuo degli equilibri, con l’avvio verso una maggiore autonomia.
    Climi educativi non corretti favoriscono invece il conformismo, la dipendenza e portano alla ribellione e talvolta danno il via alla stessa devianza.
    Durante l’adolescenza tutta la famiglia entra in crisi, come avviene per i figli. La crisi fa decadere il sistema bilanciato dei rapporti precedenti ed impone un processo di riorganizzazione sia nella struttura psicodinamica della personalità sia sotto il profilo della rete delle relazioni.
    Le esigenze rinnovate che l’adolescente presenta comportano un rimodellamento continuo dell’intero nucleo familiare. In particolare le trasformazioni dei figli e il bisogno di autonomia mettono in crisi «in modo speculare» anche il sistema genitoriale. Per cui le interazioni genitori-figli, se talvolta raggiungono dei toni drammatici, sono sempre agite dall’una e dall’altra parte. Spesso assumono la connotazione di conflitti funzionali, talvolta di opposizioni radicali, più spesso di sperimentazioni al limite della sopportazione. Di solito però restano semplicemente sforzi di adattamento reciproco. L’indagine documenta una diminuzione dei toni prevalentemente conflittuali che si verificavano più comunemente in un recente passato. Oggi il percorso verso l’autonomia appare prolungato, certamente spostato in avanti, in connessione con un inserimento sociale vistosamente ritardato. I processi di identità che maturano all’interno della vita familiare appaiono ancora per vari aspetti incompiuti, soprattutto quanto all’autoreferenza dell’adolescente rispetto agli adulti, e cioè nella definizione di sé e nella stabilizzazione affettiva. Del resto gli adolescenti non prefigurano una apertura decisa al futuro, per cui certe maturazioni di fine adolescenza appaiono ancora come relative e di «transito».
    La ricerca sull’adolescenza mette in luce in modo vistoso alcune differenze significative tra maschi e femmine. I maschi vivono in famiglia una esperienza complessiva da cui escono con un assetto relazionale scarsamente stabilizzato. All’inizio dell’adolescenza denotano un adattamento abbastanza positivo, connesso con aspetti di relativa immaturità e dipendenza affettiva dai genitori. Nel tempo però essi incontrano difficoltà che determinano progressivi mutamenti nei loro rapporti in famiglia. Questo si può vedere specialmente nel periodo 16-17 anni. Tuttavia verso i 19 anni si nota una specie di conclusione di questo andamento, anche se esso rimane variamente aperto e problematico. Invece le femmine già al termine della preadolescenza danno segni maggiori e più anticipati di conflitto nelle relazioni familiari. Successivamente esse vivono momenti di crisi più acuti, anche se non necessariamente conflittuali, di ricerca di indipendenza e di allontanamento. Ora esse vivono più vistosamente il confronto-scontro con la madre, che però può più facilmente, perché più vicina, calibrare meglio la ragazza, che al termine del percorso adolescenziale risulta in genere più autonoma e più equilibrata rispetto ai maschi, i quali invece sembrano protrarre la loro immaturità nel periodo del giovane adulto.
    In altri termini l’incontro-scontro con le figure genitoriali sembra essenziale. Soprattutto è carente la figura paterna che non offre al maschio italiano la possibilità di incontrarsi e scontrarsi con una conduzione autorevole e talvolta anche provocatoria del proprio percorso adolescenziale.
    Questa disparità dell’evoluzione al maschile e al femminile pone problemi riferiti all’assetto familiare, agli stili educativi instaurati in famiglia e soprattutto allo scontro con i modelli di riferimento che i genitori rappresentano anche in forza di condizionamenti culturali più vasti.
    Il ruolo dei genitori rispetto alla crescita di autonomia e di identità segnala aspetti di fragilità e di insicurezza. La maggior parte pone ai figli valori guida per l’esistenza, tuttavia una certa parte di genitori negli stili educativi presentano ancora una certa dose di rigidità e di asprezza. Questo comporta una conflittualità talvolta tacita e rassegnata, spesso mascherata, che dà la stura a comportamenti infantilizzanti di proroga, di dipendenza, di compromesso e non matura verso un’identità adulta. In altri termini, accanto al genitore protettivo non subentra il genitore guida forte e autorevole, capace di puntuale provocazione. La famiglia italiana dovrebbe essere aiutata oggi ad affrontare stili educativi più adeguati all’adolescenza dilatata, che comporta una educazione prolungata.

    Scuola

    Già nella preadolescenza la scuola viene valutata dai ragazzi stessi i quali, se all’inizio l’apprezzano perché insegna cose nuove, via via che passano i tre anni della scuola media sembrano chiedere alla scuola orientamenti di vita e soprattutto una valorizzazione dei percorsi con cui essi compiono il loro cammino di crescita affettiva e sociale. Soprattutto chiedono un ambiente che permetta l’esplodere della vita. Non quindi una scuola che dia nozioni e contenuti ma che favorisca la qualità della vita in tutti gli aspetti affettivi, sociali, culturali e ambientali.
    Sotto questo profilo appare pesante talora il condizionamento che viene recato dall’ambiente scolastico degradato in certi contesti o da uno stile educativo non ispirato alla valorizzazione dei ragazzi ma semplicemente ad una valutazione formale del rendimento.
    Infatti il disadattamento che si instaura a scuola appare connesso soprattutto con l’etero-valutazione negativa che si coglie nella incapacità di molti docenti di sostenere un processo vitale in espansione e quasi di volerlo frenare con il pretesto della disciplina e della pregnanza dei contenuti da impartire.
    La domanda di docente animatore e di stimolo alla crescita esplode con particolare forza durante il periodo adolescenziale vero e proprio. È questo il momento in cui gli adolescenti prendono maggiormente coscienza della valenza ma anche dei limiti della scuola. In genere la scuola viene apprezzata, anche se via via gli adolescenti italiani prendono le distanze da questa istituzione, soprattutto quando non la sentono vicina ai problemi della costruzione dell’identità.
    I docenti accompagnano la crescita nella misura in cui divengono modelli di comportamento e soprattutto guide significative di cui gli adolescenti hanno bisogno, anche se con la loro irrequietezza e con i loro stili trasgressivi, che di solito assumono specialmente nel biennio, possono mettere a dura prova la maturità del docente che stenta a confrontarsi con la vita in ascesa.
    Ciò che pone problema agli adolescenti di oggi è il fatto che nella comunità scolastica difficilmente gli insegnanti superano la soglia dell’individualismo e dell’incomunicabilità, per cui essi chiederebbero alla scuola un modello di comunicazione e di confronto, di dialogo a tutto campo. L’orientamento educativo dovrebbe non solo tendere alla gestione della scuola, al controllo e alla terapia della devianza ma soprattutto a modificare le condizioni che si instaurano nei rapporti interpersonali. È nella «classe segreta» che l’adolescente italiano vive e costruisce la propria identità. È nella dinamica di gruppo che instaura tra i pari e nel confronto con i docenti che perfeziona via via la definizione di sé.
    Alla scuola dei contenuti e delle discipline gli adolescenti chiedono che si affianchi la scuola della vita, la scuola del dialogo, la scuola dell’accoglienza dei problemi evolutivi.
    Chiedono un accompagnamento forte, di chiarificazione e di guida, da parte dei docenti, soprattutto riguardo ai grandi problemi che si riferiscono al senso della vita, alle valutazioni sui comportamenti morali, alle scelte politiche e in particolare alla preparazione del futuro. La scuola secondaria italiana non prepara sotto il profilo professionale, anche se dà dei contenuti che sono essenziali, però appare molto distante dal mondo del lavoro e della professione. Soprattutto non utilizza le risorse di operatività e di sperimentazione che gli adolescenti potrebbero vivere in ambiente scolastico e gioca il tutto sulla valutazione verbale e non sulla crescita comportamentale e sulla sperimentazione di percorsi che preparino ad un inserimento sociale e lavorativo adeguato. Il malessere della e nella scuola ha le sue radici nell’operare non sempre armonico dei sottosistemi politico, amministrativo e docente che interagiscono nel sistema scolastico italiano.
    In questo contesto è drammatico il fenomeno della dispersione scolastica, soprattutto in alcune regioni del nostro paese, dove aumenta via via lo scarto fra presenza e assenza, e incide sul disagio e condiziona i processi della formazione dell’identità. Le ragioni del malessere non sono soltanto connesse con fattori strutturali, come il mancato prolungamento dell’obbligo scolastico, che si è via via ridotto negli ultimi anni, ma soprattutto possono essere individuate nel prevalere di un eccesso di garantismo egualitario. Molti adolescenti sono così esposti a corsi di studio troppo impegnativi rispetto alla preparazione conseguita in precedenza. In secondo luogo, determinati tipi di scuola secondaria vengono in effetti composti da soggetti il cui percorso formativo e culturale risulta molto eterogeneo. Inoltre per molti la scuola assolve semplicemente ad una funzione di parcheggio sociale, perché manca la possibilità di uno sbocco occupazionale immediato. Il malessere nella scuola ha radici non solo nell’immaturità adolescenziale ma soprattutto a livello strutturale specifico, e questo richiede che si incida politicamente sulla struttura in modo da renderla più funzionale alla maturazione dell’identità globale degli adolescenti italiani.

    Comunità ecclesiale

    Durante la preadolescenza c’è il massimo di presenza e di partecipazione dei ragazzi alla vita ecclesiale, specialmente nelle comunità parrocchiali e nelle attività da esse promosse. Sembra quasi che i genitori italiani si avvalgano di questa specie di «baliatico» socio-religioso che viene richiesto alla parrocchia in connessione col rapporto protettivo svolto dalla famiglia. Tuttavia già durante la preadolescenza si effettua un distacco da una religiosità cultuale e di appartenenza semplicemente rituale, ad una richiesta di incontrare nella comunità esperienze di vita e promozione di aspetti di protagonismo. I ragazzi italiani chiedono alla comunità ecclesiale uno spazio vitale, chiedono di dire la loro e di contare di più sul piano comunitario, al di la della semplice inculturazione religiosa di contenimento e di protezione.
    Ma è nell’adolescenza soprattutto che si accentua l’abbandono dell’appartenenza e della pratica religiosa, e si assiste all’aumento, quasi paradossale, di una domanda religiosa che la ricerca COSPES ha documentato in maniera incontestabile.
    In effetti nel periodo più acerbo della vita, quando gli adolescenti compiono il trapasso da una fede infantile ad una domanda religiosa adulta, essi vivono un aumento di disagio, di dubbio, di sofferenza. Essi in ciò non sempre sono bene interpretati. Ciò comporta l’aprirsi di enormi problemi per il futuro, per l’identità religiosa degli italiani. Nella cultura italiana manca un accompagnamento adeguato della crescita religiosa a favore degli adolescenti. Nei cammini del dopo Cresima non sempre si tende a formare una fede adolescente e adulta, ma talora si perpetua semplicemente l’inculturazione infantile. E questo crea disagio, pone enormi problemi ed è all’origine di un disadattamento inatteso e doloroso, per cui cresce un distacco fatto d’irritazione, talvolta di rabbia e di acredine verso l’istituzione che non sembra in grado di accogliere la vita che cresce e che chiede risposte. Gli adolescenti chiedono attenzione alla propria persona, al divenire problematico dell’esperienza religiosa. Negli incroci con la variabile geografico-culturale abbiamo delle significative differenze: i soggetti del sud e delle isole testimoniano un rapporto più positivo con la Chiesa e sottolineano, insieme all’attenzione, anche un grado maggiore di accoglienza e di partecipazione. Essi fanno così vedere una rappresentazione di Chiesa più vicina alla gente e sensibile ai bisogni delle persone, forse anche per l’assenza e la lontananza di altre istituzioni. Al nord invece e al centro abbiamo un panorama più variegato, che dipende anche dal modo con cui il laicismo e la secolarizzazione sono diffusi a macchia di leopardo nel contesto religioso italiano.
    Gli adolescenti chiedono spazi di protagonismo alla comunità ecclesiale. Tuttavia con il tempo questo sembra decrescere, eccetto per quella piccola parte di adolescenti che assumono compiti di animazione verso i ragazzi più giovani o di disponibilità al volontariato nelle istituzioni ecclesiali. Si apre a questo riguardo un duplice interrogativo: è l’istituzione ecclesiale che preferisce l’adolescente passivo e sottomesso proprio quando egli sembra chiedere maggiore responsabilità, o ciò è forse una fuga camuffata, compiuta dagli stessi adolescenti, che non si assumono ruoli di impegno, di corresponsabilità e di partecipazione?
    È certo però che la ricerca COSPES mette in luce anche una certa rigidità istituzionale. Tre adolescenti su dieci indicano una esperienza molto negativa sotto questo profilo, mentre la maggioranza vive piuttosto il distacco e l’emancipazione rispetto ad uno stile di dialogo che non è giocato secondo i linguaggi richiesti dall’età.
    Questo pone enormi problemi per l’incontro tra Chiesa come istituzione e i giovani, e postula l’offerta di condizioni, soprattutto capacità di rivolgersi in modo congruo e pertinente ad un sistema religioso in crescita con le modalità comunicative e promozionali. Il cambio avviene attraverso la decantazione, la crisi, la ricerca sofferta, il bisogno di moratoria e di distanziamento, la ricerca di autonomia, di sperimentazione, di confronto interculturale e di domanda, soprattutto di motivazioni per cui credere e sperare, crescenti con l’età. Questo è un grosso problema per la società e la Chiesa italiana che storicamente sembrano aver preferito l’inculturazione infantile alla maturazione del cristiano adulto nella fede.

    Tempo libero

    Per gli adolescenti l’impiego del tempo libero appare caratterizzato dall’ambivalenza. Nel tempo libero gli adolescenti esprimono anzitutto la dimensione pulsionale, nell’ambito dello spazio personale in cui essi possono costruire la loro ricchezza personale improntata allo spontaneismo, alla fuga dai luoghi di controllo.
    Infatti gli adolescenti nel tempo libero possono incontrarsi con i coetanei al di fuori degli spazi protetti e quindi potersi confrontare in un processo lento, che dà molte opportunità di confronto, anche possibilità di assumersi responsabilità personali, e soprattutto di esercitarsi nelle decisioni che la vita di gruppo e il confronto con i coetanei continuamente pongono. Nelle situazioni di spazio personale, gli adolescenti di ambo i sessi sviluppano dunque capacità, sfogano tensioni, canalizzano energie, indirizzano sforzi.
    Intuiscono in questo modo le dimensioni complete della propria identità incompiuta, misurata all’esterno dalla crescita fisica e dalle abilità psicomotorie, e all’interno dal riempimento emotivo di se stessi. Nel tempo libero essi possono esprimere una modalità nuova, più vicina al proprio stile personale e anche in certo qual modo raccordata con il futuro.
    Tuttavia il tempo libero nell’adolescenza è anche un tempo a rischio. In gran parte gli adolescenti vengono condizionati in senso negativo. Anzi per un terzo di essi la ricerca dimostra non solo assenza di progetti nel gestire il tempo libero ma rileva soprattutto il condizionamento dei coetanei, l’assimilazione delle mode culturali veicolate dai mass media e dai valori presenti nella società, per cui il tempo libero può diventare per una certa parte di adolescenti un tempo vuoto, un tempo perduto, in quanto il cammino verso l’identità rimane bloccato, costruendo l’identificazione negativa da dipendenza e da conformazioni a modelli di comportamento che non favoriscono l’autodefinizione e la progettualità.

    Mass media

    Per i preadolescenti i mass media rappresentano soprattutto l’insidia della televisione. Infatti è l’età della vita in cui hanno l’accesso più elevato alla televisione per occupare il tempo libero. I preadolescenti sembrano fortemente condizionati per l’elaborazione dell’identità personale proprio dall’eccessiva esposizione alla televisione. Questo facilita la persistenza della dipendenza acritica e l’assunzione di comportamenti ampiamente massificati.
    Non esiste una pedagogia di formazione all’uso adeguato dei media durante la preadolescenza, e manca soprattutto una politica di contenimento, di programmazioni adatte e di proposte positive per i preadolescenti, effettuate dalle reti televisive.
    Quanto agli adolescenti i media, soprattutto la musica e la televisione, hanno un notevole potere di condizionamento per il fascino che esercitano. Essi sono nel contempo il canale più usuale per veicolare le novità della crescita. La cultura dei valori trasmessi dai media, specialmente la musica e TV, appare coerente con il sistema del consumismo, la cui assimilazione viene facilitata, durante l’adolescenza, dall’eccitazione emotiva e dal bisogno di gratificazione. È per questo che di fronte ai mass media gli adolescenti vivono essenzialmente una condizione di ambivalenza. Da un lato si produce un fenomeno di elevata identificazione con i contenuti e i modelli che essi presentano, e in tal senso essi vengono molto condizionati, spesso anche negativamente, nella loro crescita. Dall’altro, si assiste a un lento avvio di attitudine critica, di distacco e di superamento della dipendenza. Ciò mette in luce il cammino che durante questa età gli adolescenti iniziano a compiere per costruire la propria identità, anche in forza degli stimoli offerti dai media. È importante a questo proposito sottolineare come sia utile e opportuna l’interazione con i coetanei e con gli adulti significativi .
    Questa interazione potrebbe permettere all’adolescente il confronto, la critica e quindi il ridimensionamento dei contenuti dei media se però si ponessero le basi per una autentica educazione ad un uso critico dei mass media. Infatti le ricerche sull’adolescenza hanno dimostrato che l’influsso negativo maggiore si produce sugli adolescenti che dispongono di una minore scolarizzazione. Emerge infatti che i ragazzi e le ragazze che frequentano scuole sono molto più distaccati e critici, fatte le debite proporzioni, di quelli che non frequentano. Sembra dunque che la crescita culturale resti il migliore antidoto verso l’effetto condizionante dei media. Solo un intervento intenzionale specifico degli educatori potrà regolare e far evolvere positivamente l’altra educazione proposta dai mass media.

    Disagio e disadattamento

    Le ricerche pongono in risalto il forte potere di condizionamento che proviene dall’appartenenza di ceto e di area regionale dell’Italia. Anche se si può affermare una estesa omologazione rispetto ai comportamenti e ai modelli di riferimento in tutto il paese, soprattutto a seguito dell’influsso dei mass media, a livello locale tuttavia hanno notevole incidenza le situazioni di condizionamento che provengono dall’appartenenza di ceto e dalla variabile di area regionale. In particolare la ricerca sul disadattamento ha dimostrato che il degrado sociale e la carenza di valori che si verificano in determinati contesti espongono gli adolescenti a esiti negativi e devastanti nella formazione dell’identità. È per questo che il riscatto sociale e una nuova ecologia delle relazioni, affidata alla educazione e alle politiche sociali, potrebbe fungere da vero sistema di ampia prevenzione primaria per evitare esiti negativi nella formazione dell’identità e il rischio soprattutto del disagio, del disadattamento, della devianza in queste età molto delicate e esposte.
    La ricerca ha documentato come possiamo ritenere pressoché normale e non necessariamente patologica la «fragilità adolescenziale», in quanto è proprio attraverso di essa che l’adolescente acquisisce una capacità specifica sia di quotidiano funzionamento che di progressivo cambiamento verso il futuro.
    Questa «identità in divenire», più propria dell’adolescenza che di qualsiasi altra età della vita, assume l’andamento di una crescita più «focale» o a spirale che lineare. È per questo che nella formazione dell’identità tale periodo non può essere concepito come una sequenza regolare e successiva di percorsi rigidi e determinati.
    Questo procedere caratterizzato da continuità e allo stesso tempo da discontinuità rende l’età adolescenziale essenzialmente fluida e ambivalente, dove la difficoltà, il disorientamento, il malessere e lo stesso rischio sono costitutivi del processo di cambiamento o, se vogliamo, del modo stesso di conseguire la propria identità. Queste modalità e tonalità evolutive possono trasformarsi in una risorsa e non sono automaticamente destinate a divenire una anomalia o peggio una malattia. Il disagio pertanto è da assumere come un elemento del divenire adolescenziale e non come un indicatore da interpretare subito e sempre in senso patologico. È da riconoscere tuttavia che in alcuni casi il disagio può sfociare in disadattamento e devianza se non viene correttamente affrontato dall’adolescente stesso e da coloro che hanno nei suoi riguardi una qualche responsabilità formativa.
    Riconosciamo in altri termini la «natura relazionale» del disagio, cioè delle difficoltà evolutive che l’adolescente vive nei confronti di se stesso e delle varie realtà che entrano in rapporto con lui. Tale rapporto di reciprocità mette in atto notevoli e reali difficoltà di relazione, riconoscimento e comunicazione.
    Più che a livello statico, il disagio deve essere considerato a livello dinamico, riferito cioè alle modalità con cui i processi riguardanti le difficoltà evolutive vengono finalizzati al superamento o restano, in caso contrario, ancorati all’immaturità o anche alla regressione.
    Riteniamo pertanto, secondo una delle ipotesi di fondo che hanno guidato la ricerca, che il disagio evolutivo sia da concepire come una categoria trasversale, cioè come una dimensione che caratterizza ogni adolescente e non solo soggetti in difficoltà o devianti.
    In quanto tale il disagio, come anche il disadattamento, è possibile ritrovarli in ogni soggetto o gruppo adolescenziale e sono da concepire come un «ambito di possibilità».
    È significativo che sul disadattamento influisca anche e più immediatamente il modello educativo familiare. A generare il disadattamento si trovano quattro concause ricorrenti: una limitata attenzione in famiglia alla personalità del ragazzo; una scarsa abitudine da parte dei genitori a condividere le scelte dei figli, piccole o grandi che siano; una mancata attribuzione ai ragazzi di compiti di responsabilità familiare; la carenza di un dialogo motivante da parte degli adulti. È da tali atteggiamenti educativi dei genitori che si produce poi uno stile di vita dispersivo e privo di motivazioni e progetti.

    Considerazioni conclusive

    Si è notato che durante la preadolescenza nasce in forma embrionale un sistema autonomo che poi si consolida via via durante il periodo adolescenziale. Tuttavia è l’adolescenza l’età cruciale, soprattutto perché essa si caratterizza come molteplicità di comportamenti che visualizzano in modo emblematico una fase di passaggio che è necessaria per raggiungere l’integrazione e conseguire una più articolata identità.
    Tuttavia questo processo non è né semplice né lineare. Spesso, anzi, determinati comportamenti non confluiscono nella formazione dell’identità ma possono dar luogo a frammentazione o addirittura a disintegrazione dell’io e alla crescita di identità sociali negative.
    La ricerca sull’età incompiuta ci suggerisce di pensare a delle tendenze di fondo che si manifestano nell’incontro tra la peculiarità della personalità adolescenziale e l’influsso del mondo esterno. La società attuale, nella sua complessità, influenza in maniera sostanziale la scelta dei comportamenti da adottare. Non esiste più un unico e preciso modello ma ne esistono molti. Per questo l’adolescente ha bisogno di sperimentarsi nelle sue più diverse espressioni per poter cogliere la propria individualità attraverso la revisione dei suoi modelli operativi interni. Spesso possiamo assistere ad una provocante leggerezza dei giovani di fronte a cui la società e in primo luogo i genitori dovrebbero, si dice, adottare una permissività selettiva. A questo punto è inevitabile il richiamo al periodo di «moratoria», inteso come la capacità di tollerare e attendere, nei confronti dell’adolescente che ancora deve prendere tempo, che non è ancora pronto a far fronte ad un obbligo. Non domina la stagnazione nell’adolescenza; essa è invece uno spazio psichico allargato, pulsante, vivente e vario. L’adolescente costruisce la sua identità dentro la stagione dell’immaturità. Il suo futuro nasce dalle ceneri di un passato recente.
    L’adolescente d’oggi presenta il volto di un Giano bifronte, come la società che lo esprime e di cui è specchio e amplificatore: porta in sé l’esplosione della vita e la voglia di morte, un corpo che cresce, il desiderio dell’amore pulito e le spinte all’abuso sessuale, la gioia dell’identità che cerca di compiere e le nuove forme di dolore che provengono dalla mancanza di senso e dalla paura del futuro, la compagnia festosa e la solitudine amara, l’eccitazione e la depressione, il dubbio di fede e la ricerca di ragioni per cui credere e sperare. Il suo destino è affidato ad un soffio: quel poco di sperimentazione di sé che gli è concesso in una società che non lo ha previsto come soggetto attivo nella sua programmazione e nella sua ipotesi di futuro.
    L’io dell’adolescente è alternativamente dappertutto e da nessuna parte, fluttua secondo i gradi dell’eccitazione: è tutto tranne che pietrificato. Sotto questo profilo è importante concepire un sistema d’intervento educativo che sia flessibile e duttile, che entri in rapporto di dialogo e di collaborazione con gli stessi adolescenti, i quali non crescono in maniera lineare ma ciclica e che quindi pongono serie difficoltà alla stabilità dell’adulto che procede in modo automatico, lineare e talvolta rigido. Anche l’adulto oggi è in crisi, anche l’identità adulta sembra incompiuta. Questo potrebbe comportare un vantaggio. Se l’adulto si presenta come un sistema mobile e pertanto in continua crescita, esso potrebbe diventare più congeniale nell’intervento educativo nei confronti di un sistema altrettanto mobile e incompiuto come quello dell’adolescenza. Sotto questo profilo l’adolescenza è specchio della società ed è stimolazione della stessa società perché possa cambiare e configurarsi in uno stile di crescita più fluido e più attento ai cambiamenti.
    Solo l’adolescenza accolta e non negata permette alla società di poter crescere e di affrontare il futuro con speranza.

    IDENTITÀ IN PROGRESS

    L'identità indica, dal punto di vista psicologico, l'insieme dei riferimenti interni ed esterni che permettono alla persona di riconoscersi ed essere riconosciuta nella sua specificità ed unicità.
    Vivendo un forte cambiamento (fisico, cognitivo, valoriale, relazionale) l'adolescente si trova inserito in un processo di ridefinizione di sé di ampia portata. Per questo motivo non pochi studiosi ritengono che, dal punto di vista psicologico, il compito fondamentale dell'adolescente sia quello di definire la propria identità. Questo è anche l'assunto base della ricerca COSPES. Il titolo di «età incompiuta» indica che si ravvisa nella condizione dell'adolescente medio italiano degli anni '90 una situazione di «incompiutezza» rispetto a questo compito. Tutto ciò collima con i dati di altre ricerche che arrivano a parlare della giovinezza come di una «adolescenza prolungata».

    Concezione di sé in mutamento

    L`adolescente italiano di questi anni è particola ente sensibile ai mutamenti che avvengono nella sua persona, e manifesta una spiccata propensione alla autoriflessione.
    Sta affrancandosi dalla tutela famigliare, non solo dal punto di vista sociale, ma anche in quello affettivo e cognitivo. Pensa di più con la propria testa e ha altrove i suoi amici confidenti.
    Inoltre sperimenta parziali autonomie comportamentali: come aver più tempo per le uscite serali, avere la/il ragazza/o, disporre di propri soldi.
    Questi elementi, per quanto effimeri, sono percepiti dagli adolescenti come riconoscimenti della propria crescita e del mutamento rispetto al mondo circostante. Tutta questa serie di mutamenti interni ed esterni porta l'adolescente a sentirsi diverso da ciò che era prima, anche se non ha ancora maturato una idea precisa di sé. Tuttavia emerge che sta intervenendo nel corso dell'adolescenza una serie di trasformazioni che si potrebbe così sintetizzare:
    - transizione da una concezione di sé basata sulle azioni a una concezione di sé basata su caratteristiche psicologiche (carattere, idee, valori);
    - passaggio da una comprensione di sé in termini fisici a un'altra in termini mentali o psicologici;
    - tendenza a una definizione di sé in termini intenzionali e progettuali;

    - accentuazione di caratteristiche di tipo relazionaie (rapporto con gli altri).

    Una progettualità incerta

    Un altro degli aspetti su cui si struttura l'identità è l'idea di sé nel futuro. Il fatto di non ave-re un futuro certo, sia dal punto di vista occupazionale che sociale, fa capire quanto questo aspetto dell'identità possa dipendere dalle condizioni sociali. La scarsità di prospettive occupazionali e l'incertezza ricade pesantemente sull'idea di sé dell'adolescente. Il tutto comporta una tendenza a non farsi un'idea chiara del proprio futuro e quindi delle competenze ed abilità necessarie per affrontarlo. Questa dinamica si fa più evidente con il passare degli anni. Se questo dipende in parte dalle caratteristiche personali e dal tipo di formazione ricevuta, non va sottovalutato il peso della situazione sociale. Un futuro privo di garanzie ha delle ricadute pesanti sulla strutturazione della personalità. Se qualcuno sa reagire e darsi ugualmente delle mete e degli obiettivi, bisogna riconoscere che nella maggioranza della popolazione adolescenziale questa incertezza funziona come una cappa che impedisce di progettare oltre l'immediato e quindi di dare alla propria identità una prospettiva. «Non vorrei crescere» dice un intervistato, spaventato di fronte alle incertezze del futuro. Questa paura di crescere, di fare progetti comporta un generale impedimento nella formazione dell'identità perché, in mancanza di progetti, il sistema di sé non riesce a riorganizzarsi attorno ad uno scopo verso cui orientare bisogni e comportamenti.
    Ecco allora la tendenza diffusa a rinunciare a riflettere e ad affrontare le situazioni con realismo e capacità progettuale e il rifugio nello stordimento dell'alcool o degli stupefacenti, ma anche nel tempo libero vissuto nella dispersione e nel frastuono.
    Mancando una prospettiva a lungo termine, anche i valori saranno calibrati sul breve e medio termine, ingenerando così una propensione a valorizzare scelte che danno soddisfazione immediata o il cui esito è prevedibile. Ecco allora il trionfo dei valori espressivi, soprattutto di tipo affettivo-relazionale, e l'abbandono di quelli acquisitivi (studio, lavoro, carriera) e dei requisiti per conseguirli (impegno, sacrificio, dedizione, ecc.).
    Anche la ricerca del senso alla vita, in questo contesto, se da una parte si fa più viva e sentita, dall'altra non riesce a dotarsi di quei procedimenti che consentono di orientarla verso una soluzione positiva. Ciò determina un aumento dell'incertezza e dell'insoddisfazione. La rielaborazione personale dei valori in una visione del mondo e della vita si presenta piuttosto vaga e limitata. Il senso della vita si presenta piuttosto complesso e problematico. In alcuni adolescenti appaiono venature elevate di angoscia esistenziale, connessi con pensieri depressivi, come la morte e il suicidio.


    T e r z a
    p a g i n A


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