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    Parlare di Dio ai giovani



    Juan E. Vecchi

    (NPG 1997-05-3)


    I giovani configurano un areopago. Lo si coglie già a livello di quartiere e di città. Tanto più a raggio nazionale e mondiale.
    L’accenno solleva la questione su come parlare loro di Dio in maniera credibile. Ha dovuto pensarci San Paolo di fronte agli ateniesi.
    Egli si appellò al loro sentimento religioso. Autentica e consapevole o meno, la loro religiosità supponeva un’attenzione alla divinità che includeva un rapporto con essa.
    Fece leva sulla loro intuizione del dio ignoto: un dio che si aggiungeva agli altri, rappresentati in qualche effigie; o forse era l’inconoscibile eppure percepito, che stava dietro a tutte le immagini insufficienti ad esprimerlo. Era questa una intuizione feconda su Dio che non può essere rinchiuso nei templi, raffigurato in effigie e nemmeno interpretato adeguatamente mediante concetti.
    Riprende ancora la testimonianza dei loro poeti sul riflesso di Dio nel nostro essere. È l’unica citazione di autori non sacri che si trova nelle lettere e discorsi dell’Apostolo. L’areopago la suggeriva come la sinagoga portava a riprendere l’esperienza religiosa di Israele, i profeti e i libri santi. Una cosa infatti è dire Dio nel contesto di una conoscenza religiosa socialmente condivisa; un’altra è nominarlo là dove i riferimenti mentali a cui ci si affida sono impliciti, confusi o addirittura assenti. È il caso di non pochi giovani del nostro contesto secolarizzato. Chi ne ha fatto l’esperienza ne sa qualcosa.
    In un convegno sull’evangelizzazione dei giovani d’Europa si invitava a ricuperare almeno i frammenti dell’immagine di Dio che i giovani possiedono, prima di tentare l’annuncio di Cristo. Senza di essa, si diceva, la presentazione di Gesù veniva inquadrata dagli ascoltatori in un orizzonte temporale. Risultava loro difficile vederlo come Testimone e Figlio di Dio quando di questo Dio non avevamo la minima rappresentazione. Tale è stato per molto tempo l’itinerario catechistico che partiva con le domande: Esiste Dio? Chi è Dio?
    L’indicazione è certamente utile e ragionevole. Appare invece discutibile se la si volesse erigere a regola universale dei percorsi verso la fede. Questa ha punti di partenza e snodi molto vari. Gesù, bisogna ricordarlo, è rivelazione di Dio. La sua umanità è sacramento del Padre. Per non pochi Egli è stato «via» verso un Dio al quale non pensavano. La storia di Gesù può diventare dunque per molti la prima parola ascoltata e capita su Dio. Il cammino di preparazione per il Terzo Millennio sembra seguire questo criterio. L’immagine che il giovane si va formando su Dio è determinante nello sviluppo della sua fede. L’attira verso una sempre maggiore maturità nel pensiero e nella vita. Se invece rimane infantile o mentalmente inaccettabile ne mina le basi, specialmente in certi passaggi vitalmente più delicati. Non è indifferente dunque parlare di Dio ai giovani e farlo bene.
    La storia di molti giovani catechizzati presenta una certa somiglianza. Erano convinti di credere. Il progredire delle conoscenze, l’espandersi della visione del mondo con le sue complessità e problemi e, simultaneamente, l’inadeguatezza in cui è rimasto il loro pensiero religioso hanno finito per rendere «incredibile» tale immagine di Dio o l’hanno ridotta all’insignificanza per l’impossibilità di rapportarla al mondo reale e a se stessi. Va preso atto che Dio interessa i giovani. Ogni ricerca lo conferma. Un’alta percentuale dichiara di sentire in qualche modo bisogno di Dio e di esser convinti della sua esistenza. Non ne consegue l’obbligo del culto e di una morale coerente e nemmeno ci si lega alla «verità» che su Dio propone qualcuna delle Chiese.
    L’immagine che di Dio hanno i giovani è diversificata, quasi a caleidoscopio. Ma sarebbe affrettato bollarla come falsa. Piuttosto è incompleta e sfuocata, a volte parecchio. Affermatasi una certa diffidenza riguardo alle istituzioni e all’immagine di Dio che esse presentano e accettati alcuni principi di verifica del pensiero umano, non rimangono criteri per valutare obiettivamente la validità delle diverse rappresentazioni di Dio. Nell’assumerne qualcuna prevale la scelta soggettiva. Non è totalmente male: la fede è un atto libero della volontà, mossa dalla grazia e illuminata dalla ragione. Ma certamente risultano immagini sbilanciate. Dio viene ad essere un oggetto, un’immagine, un interlocutore, un rapporto e una scoperta a misura del singolo. Ne risulta una concezione notevolmente vaga.
    Sembra ormai poco frequente l’immagine di Dio giudice-vendicatore-custode dell’ordine morale, forse sull’onda della tolleranza e della caduta del senso del peccato. Il rischio è però un Dio, l’incontro col quale non comporta responsabilità. Ricorre di meno pure quello di spiegazione ultima per i vuoti della conoscenza umana. Coloro che hanno una dimestichezza anche solo televisiva con temi scientifici hanno assimilato la separazione tra scienza e fede, natura e divinità. Fanno invece difficoltà gli interrogativi riguardo al male nelle sue diverse e più tragiche espressioni. Ci sono giovani nei quali l’immagine di un Dio personale è quasi scomparsa. E così pure qualsiasi interrogativo su Dio. Immagini e interrogativi rimangono tra le pieghe della coscienza, come in un angolo di essa non più visitato.
    In questo contesto, più paragonabile ad una piazza che a una chiesa, si pone la domanda su quanto e come parlare di Dio, verso quale immagine di Lui orientare esperienze e messaggi. È chiaro che come Dio si è rivelato attraverso fatti e parole, anche il nostro parlare avviene mediante fatti e parole, avvenimenti e illuminazioni.
    Il Dio dell’esperienza biblica è il Dio delle promesse, quelle che riguardano la vita dell’uomo. Egli si manifesta ad Abramo assicurandogli la sua protezione e benedizione, una terra, una discendenza, una missione storica di lievito per l’umanità. Così lo provoca alla fede e la fa nascere. La fede fu una nuova dimensione umana che dischiudeva orizzonti impensati di rapporto, di conoscenza, di senso e convogliava tutte le energie della persona.
    Si trova qui una indicazione per il nostro parlare coi giovani: presentiamo Dio come Colui che si impegna a compiere quanto il giovane sente di importante e definitivo in relazione alla vita. Anzi ad andare oltre: il Dio delle possibilità latenti e sconosciute, che fa possibile l’impossibile nel compimento di quello a cui l’uomo legittimamente aspira.
    Nella tradizione pastorale abbiamo due ispirazioni che portano verso questa presentazione. Quella che vede il cuore di ogni persona «irrequieto finché non giunge a Dio e riposa in Lui». E quella che scorge in Dio la sorgente e la realizzazione suprema della bellezza, della verità, della bontà che l’uomo rincorre.
    Il Dio delle promesse è quello dei padri, dell’umanità, che ha orientato l’esistenza umana, gli ha dato un senso più pieno e allettante, ha aperto nuovi orizzonti, ha stimolato la libertà degli uomini perché la vita arrivasse a noi con la ricchezza e le sfide che oggi presenta: il Dio del futuro sempre aperto e della novità imprevedibile. Tutto ciò fece attraverso la coscienza degli uomini che si affidarono a Lui, quelle persone che la Scrittura descrive come piene dello Spirito di Dio, che compirono imprese di liberazione in favore del proprio popolo, illuminarono la gente con la saggezza del loro insegnamento facendogli prendere coscienza della sua dignità e destino, o che la organizzarono in comunità quando erano disperse. Le troviamo ancora oggi queste persone tra coloro che conosciamo direttamente o attraverso l’informazione. Questa immagine del Dio della vita, della storia, del futuro dell’umanità ha la sua rivelazione più chiara e il suo compimento in Gesù Cristo. In Lui viene offerto e realizzato ciò che Dio è per l’uomo, il compimento delle promesse. L’incarnazione realizza la volontà di compagnia e comunione storica tra Dio e l’uomo. Le azioni e le parole di Gesù ci insegnano a vederlo come Padre provvidente, Pastore alla ricerca degli ultimi considerati perduti. La risurrezione conferma il suo impegno definitivo per la vita di tutti nel senso più pieno.
    Sono queste le vie della rivelazione. Quindi anche quelle di un discorso su Dio capace di provocare alla fede e rispondere ai suoi desideri e aneliti.


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