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    Siamo educatori o brucaliffi?



    Valeria Di Francesco

    (NPG 1997-04-60)


    Si alzò in piedi e sbirciò oltre l’orlo del fungo, e i suoi occhi immediatamente incontrarono quelli di un grande bruco azzurro che era seduto in cima al fungo, a braccia conserte, intento a fumare in silenzio un lungo narghilè, senza minimamente curarsi di lei né di alcuna altra cosa.
    Il bruco ed Alice si guardarono in silenzio per qualche tempo. Da ultimo il bruco si tolse di bocca il narghilè e l’apostrofò con voce languida, assonnata: «Ma chi sei?», disse il bruco. Come inizio di conversazione non era certo incoraggiante...
    (Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie)

    Ammettiamolo: non è certo facile vivere serenamente la propria adolescenza con i tempi che corrono! Ci si ritrova sballottati, confusi, incapaci di dare voce ai tanti mutamenti che incalzano e si avvicendano dentro e fuori se stessi. Non stupisce, allora, se altra risposta non si trova al di fuori di quella, imbarazzata e perplessa, offerta da Alice: «Sono io la prima a non capirci nulla... perché non sono io!».
    Divisi da una molteplicità di appartenenze: oltre la famiglia – a cui si dedica un tempo sempre più piccolo – e la scuola (obbligatori, ormai, anche gli studi superiori), ci sono gli allenamenti in palestra, le esercitazioni di chitarra, le prove del saggio di danza moderna, il gruppo di amici, i videogames...; assillati, vezzeggiati, adulati da centinaia di invitanti suggestioni (si pensi soltanto a quelle provenienti dai diversi mass media), i ragazzi si ritrovano immersi in un mondo caotico, privo di un saldo centro ordinatore, intorno al quale riorganizzare le disparate esperienze. E tutto questo proprio nel momento più critico dell’esperienza umana, quando si è chiamati a dare nome e ordine ad un modo di essere, di porsi e proporsi, che sta cambiando.
    Diventa allora importante il confronto, costante e sereno, con i coetanei, soprattutto se avviene nel luogo – privilegiato – di un gruppo di amici, e con la presenza, non invadente, di un adulto educatore; il quale, alla stregua di un moderno brucaliffo (se pur assai meno burbero di quello incontrato da Alice!), si assume l’incomodo compito di porre le domande che contano, lasciando al gruppo, nel suo insieme, la responsabilità di costruire una, possibile, risposta.

    Il dialogo come costruzione collettiva di una conoscenza che si fa esperienza

    Anche se vi si presta scarsa attenzione, accanto al pensiero individuale esiste un pensiero comune, che nasce da conoscenze condivise e da esperienze «comunicate». La cultura stessa è comunicazione, è discorso; e l’esperienza – per poter incidere nell’intimo della persona, divenire atteggiamento, mentalità – attraverso la riflessione deve rendersi pensiero che si comunica: un pensiero, appunto, discorsivo.
    Abituati come siamo a frantumare esperienze e progetti, a ragionare in termini settoriali, tendiamo oggi con eccessiva facilità a separare il pensiero dall’azione, la parola detta dal suo tradursi in esperienza di vita. Sulle nostre labbra la parola «si fa voce, ma senza farsi mai carne» (scrive don Tonino Bello). L’animazione culturale sa che l’esperienza deve essere accompagnata dalla riflessione nella sua dimensione individuale e collettiva, perché diventi vissuto.
    * Si parla tanto oggi; si parla spesso. Grazie anche all’azione di diffusione esercitata dai moderni media, si moltiplicano le occasioni per parlare in pubblico. Pensiamo alle diverse assemblee di condominio o di quartiere, alle numerose riunioni di associazione, di partito o di sindacato, oppure ai vari dibattiti pubblici... A ciascuno di noi è richiesta, e in modo sempre più pressante, l’abilità di parlare in pubblico, la capacità di fare un intervento, di impostare e guidare una discussione, di «far passare» una proposta (R. Ferrari, a cura di, Come condurre una riunione e fare un discorso, Angeli, Milano 1974). È ormai una realtà: un cittadino che non sa parlare in pubblico oggi è escluso dalle decisioni che lo riguardano (R. Zuccherini, Dall’inventio alla actio, in «Italiano e oltre», 1988, n°4, pp. 183-184).
    L’animazione culturale sa che «educare alla partecipazione democratica» significa, in sostanza, formare cittadini capaci di sostenere, in modo efficace, i propri punti di vista e di capire e valutare quelli altrui; individui che sanno comprendere criticamente i messaggi persuasivi dei media e che sono capaci di intervenire nella vita pubblica attraverso le varie forme offerte (foss’anche solo con la lettera ai giornali).
    * Oggi, nel nome vacuo e ridondante di un’educazione rispettosa di una libertà falsa e anonima, scuola e famiglia hanno talvolta abdicato ai compiti che le erano propri, delegando altri o, meglio, fingendo di ignorare prospettive e problemi. Succede così che nel ricordo e nel timore di una demagogia imperante, a casa e in classe poco si discute di valori che contano; si parla tanto, ma non alla coscienza; e il cuore cerca, sì, ma altrove. «Abili nell’usare la parola per nascondere i pensieri più che per rivelarli, abbiamo perso il gusto della semplicità. Convinti che per affermarsi nella vita bisogna saper parlare anche quando non si ha nulla da dire, siamo diventati prolissi ed incontinenti» (T. Bello, Maria, donna dei nostri giorni, Edizioni San Paolo, 1993). Occorre riscoprire – ed aiutare i ragazzi a farlo insieme a noi – la dimensione autentica della parola; una parola fatta anche di silenzi, carichi di significato; una parola che diviene «ponte» fra noi e il cielo stellato sopra di noi; una parola che si fa comunione, di vita e di pensiero. Se è la vita quotidiana «il cantiere in cui si costruisce la storia della salvezza» (T. Bello), non sarà inutile soffermarsi sulle modalità più quotidiane in cui si articola la nostra parola: il narrare, ed accanto, ma non secondariamente, l’argomentare.

    Argomentare in gruppo per crescere insieme

    Il gruppo di animazione è luogo privilegiato per riscoprire e valorizzare l’esperienza della narrazione e quella dell’argomentazione. Sull’importanza e metodologia della prima, rimandiamo ad un libro ormai noto (R. Tonelli-L. Gallo-M. Pollo, Narrare per aiutare a vivere, Elle Di Ci 1992)
    Nell’interazione dialogica con i compagni, e sotto la guida di un adulto-educatore, il ragazzo comprende la necessità di difendere le proprie opinioni, giustificandole in modo adeguato e tenendo conto dei punti di vista altrui. È ciò che abbiamo imparato (noi educatori-educandi e i ragazzi quattordicenni del gruppo) nel corso di un intero anno di attività, proponendoci di riscoprire valori troppo spesso dati per scontati, come l’ascolto, la comprensione, la correzione reciproca. Accanto ad altre usuali attuali attività, abbiamo trovato nella discussione di gruppo un ottimo strumento per crescere come persone e come comunità.
    Diverse interazioni, sorte spontaneamente, sono state registrate all’insaputa dei ragazzi e trascritte poi in modo integrale.
    Crediamo che l’osservazione e l’analisi delle interazioni, che trovano spazio all’interno del gruppo, rappresentino una buona base non solo per comprendere il ruolo di ogni singolo partecipante e il grado di maturità raggiunto dal gruppo, ma anche per avvicinarsi, non visti, al mondo esperienziale, variegato e multiforme, in cui i ragazzi stessi si muovono e agiscono. Comprendere come ragionano, verificare come argomentano è il primo passo del «mettersi in ascolto».
    Quelli che seguono sono taluni brani scelti tra i più significativi. Ne proponiamo una lettura che ne evidenzia gli aspetti più interessanti dal punto di vista educativo.

    Parole frantumate

    Nel corso di una riunione abbiamo organizzato l’animazione dell’Eucaristia domenicale. I ragazzi, suddivisi in piccoli gruppi di due o tre persone, hanno curato le intenzioni di preghiera.
    Parole vuote, si diceva; parole scelte più per la musicalità del suono che non in coerenza al discorso.
    Parole che frantumano l’esperienza, scindendo ciò che in origine è unità in una serie molteplice di atti, svincolati gli uni dagli altri.
    Parole che non diventano preghiera perché non nascono dall’esperienza del cuore.
    Ridonare senso ed unità al nostro vissuto: l’esperienza del gruppo di animazione, promuovendo attività-dialogo e riflessioni comuni, ne rappresenta un valido aiuto.

    Un egocentrismo anche cognitivo

    Durante una giornata di campo estivo, riflettendo insieme sulla parabola del fariseo che nel tempio pregava in piedi, mentre il pubblicano, battendosi il petto, chiedeva perdono a Dio, si arrivò a parlare di coerenza del cristiano fra ciò che dice e ciò che fa:
    Quando l’adolescente riflette su concetti astratti (quali la giustizia, la libertà, la felicità), seguendo un pensiero ipotetico-deduttivo, inizialmente procede solo per categorie assolute. Il ragionamento del ragazzo molto spesso è di tipo bianco/nero; nell’affrontare i vari problemi, anche di carattere personale, egli riconosce solo soluzioni molto radicali; inoltre, fa difficoltà ad includere nelle proprie riflessioni i pensieri altrui.
    Nel nostro caso Francesco non ha seguito il ragionamento dell’animatore, che non metteva certo in discussione il principio, in sé indiscutibile, della libertà.
    Nel discorso dell’adulto – centrato sulla responsabilità e consapevolezza necessarie in qualsiasi scelta, anche piccola, come quella relativa alla lettura – Francesco ha avvertito una minaccia alla sua libertà.
    La discussione di gruppo può aiutare i ragazzi a superare questa fase di egocentrismo cognitivo, offrendo loro la possibilità di imparare ad ascoltare gli altri, cercando di comprendere la prospettiva di chi sta parlando.
    È, questa, d’altra parte, condizione essenziale perché vi sia dialogo autentico.

    Lo sviluppo morale

    Un brano di Alberto Moravia, tratto da Racconti romani, ha offerto spunto per discutere insieme sull’esperienza-valore dell’amicizia.
    L’adolescente, mentre, da un lato, mette in discussione i valori trasmessigli dai genitori, dall’altro ha bisogno di confrontarsi con un sistema di valori stabile e saldo.
    Assomiglia un poco ai piccoli uccelli dalle lunghissime zampe, di cui parla Fulco Pratesi nel romanzo I cavalieri della grande laguna (Sansoni, Firenze, 1982).
    Tali animali, egli scrive, nel loro viaggio alla ricerca di una Grande Laguna, desiderano una Grande Legge in cui credere e da cui farsi guidare senza più dubbi e angosce.
    Attraverso l’interazione con i coetanei (fatta di confronti continui, scambi di esperienze, discussioni) il ragazzo scopre quali sono le norme e i valori validi per sé e per gli altri, dai quali farsi guidare, dopo averli scelti nella libertà.

    La battuta che pone problemi

    L’interazione nel gruppo di animazione rimane comunque per i ragazzi un momento di gioco, un «luogo» in cui si sperimenta lo stare bene insieme, un divertimento sano, vissuto nella gratuità.
    Per questo anche le discussioni più accese fioriscono sempre di battute, simpatiche ed imprevedibili, lanciate a volte come fuochi di artificio nell’azzurro cielo di una notte serena. Abbiamo imparato a valorizzare questi messaggi, anch’essi rivelatori di una ricerca sempre attiva, se pur nascosta da una molteplicità di impegni ed apparenze; lo abbiamo imparato, e lo dobbiamo a loro che, affatto intimoriti dallo sguardo indagatore di impacciati brucaliffi, lanciano battute spensierate, che spiazzano, rinviando a noi, beffati, la domanda a loro rivolta.

    Debora: (legge la sua preghiera:) «O Maria... l’abbiamo fatta io e l’Elisa... tu che sei la madre di tutti gli uomini, fa’ che in questo giorno a te dedicato tutti coloro che si sentono soli...»
    Michi: «Non è vero! La madre di tutti gli uomni è Eva!»
    Debora: «Eva non è nemmeno esistita!... (riprendendo la lettura) tutti coloro che si sentono soli nella preghiera trovino il conforto nella speranza di incontrare un giorno persone amiche».
    Animatore: «In pratica, cosa chiedete?»
    Debora: «Eh... che quelli che sono soli...»
    Animatore: «Cercate di essere più chiare!»
    Debora: «Ne faccio un’altra, eh?»
    (dopo qualche minuto Debora legge l’intenzione che ha riscritto).
    Debora: «O Maria, tu che sei l’Immacolata, fa’ che gli uomini possano vedere le loro colpe per trasformare questo mondo d’egoismo in un mondo d’amore»
    Animatore: «Ma perché non preghiamo per questo egoismo nelle sue manifestazioni concrete?
    Debora: «Ho capito... Fa’ che questo mondo d’egoismo...»
    Animatore: «Facciamola proprio su di noi... quando manifestiamo il nostro egoismo?»
    Debora: «... perché liberi il mondo dalle ambizioni del male...»
    Michi: «Ma come cavolo parlate tutti, qui?»
    Animatore: «A volte siamo egoisti anche noi?»
    Debora: «A voglia!»
    Animatore: «Allora, prima di pregare per il mondo, preghiamo per noi, per le nostre difficoltà... il mondo cambia se cambiamo noi»
    Debora: «Allora... perché tutti gli uomini cerchino di capire i loro errori... se no, per il nostro gruppo!»
    Animatore: «Meglio!»
    Debora: «O Maria, tu che sei l’Immacolata, fa’ che il nostro gruppo... la scrivo a casa!»
    Animatore: «... Il peccato è proprio questo scarto tra l’impegno di seguire Gesù e diventare suoi discepoli, e i comportamenti di ogni giorno...
    Dire una parolaccia non è peccato perché ‘non sta bene’; ma diventa peccato quando è parola cattiva che offende l’altra persona, perché incrina i rapporti con l’altro, perché non lo rispetta...
    Leggere un libro ‘cattivo’ è peccato non perché viene detto dall’alto, ma perché ci rovina come persona, perché insegna un modo di pensare che è sbagliato, uno stile di vita che è sbagliato...»
    Francesco: «Dipende dai punti di vista!»
    Animatore: «Cosa vuoi dire?».
    Francesco: «Eh, che... va bè... se uno... un libro è giusto, lo legge... scusa, è libero di leggere quello che vuole, di farsi le proprie idee, mica deve essere costretto a pensarla in quel modo!...
    Eh, se te parti da quel principio!... Uno mica è costretto a pensare come un altro!... Se uno vuol pensare così, cioè... è libero! È libero di scegliere!»
    Animatore: «Anche l’amicizia è un patto, e un patto implica una certa fedeltà, o no? Ci si intende su qualcosa, è un impegno anche l’essere amici, non è una cosa che si accetta così, se cambia la persona...»
    Andrea: (sovrapponendosi): «Non vuol dire essere amici, essere fedeli!»
    Animatore: «Allora cosa vuol dire essere amici, secondo te?»
    Andrea: Niente... un amico, boh!... come si diceva qui l’altra volta...»
    Animatore: «Cioè, vedersi, fare certe cose insieme?...»
    Andrea: «Eh!»
    Animatore: «Voi siete d’accordo con quello che dice lui?... Potrebbe anche avere ragione...»
    Andrea: «Vedi, ho messo tutti in imbarazzo!»
    Sonia: «No, perché l’amicizia non si basa solo sulle cose...»
    Debora: «... che si fanno insieme...»
    Sonia: «... materiali, bisogna... insomma, l’amicizia non è così! Bisogna appunto impegnarsi, e poi... andar d’accordo...»
    Animatore: «Domani è una festa particolare... l’Ascensione. Sapete cosa significa?»
    Cristiano: «La Pentecoste?»
    Animatore: «No, la Pentecoste è un’altra cosa...»
    Andrea: Allora... che è nato il Papa!» (risate)
    Animatore: «Cosa vuol dire festa dell’Ascensione?»
    Ale: «Eh... dello Spirito Santo!»
    Animatore: È ASCESO lo Spirito Santo?»
    Ale: «No... è disceso... ma poi è tornato su!».


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