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    La pastorale giovanile dopo Palermo



    Oratori Diocesi Lombarde

    (NPG 1997-03-61)


    «Il Convegno ecclesiale di Palermo è stato un evento di grazia, animato dall’ascolto della parola di Dio, da una profonda esperienza di preghiera, da un clima di vera comunione, sorretta dalla gioia dello stare insieme come fratelli nel Signore Gesù.
    In questo contesto, a Palermo è maturata un’intensa riflessione pastorale, che ha toccato i punti più importanti dell’odierna cosciensa ecclesiale: l’anelito ad andare in profondità, alla radice del nostro essere Chiesa, della nostra fede e della nostra missione, evidenziando il primato di Dio nella vita personale e comunitaria; la consapevolezza, poi, che l’annuncio e la testimonianza della carità – intesa nella pienezza del suo senso teologale – possono costituire il fermento e il principio di un autentico rinnovamento della nostra società; infine, la constatazione della necessità di evangelizzare la cultura e di inculturare il Vangelo nel concreto di una società in rapida evoluzione, istanza che costituisce l’anima e il senso di quel “progetto culturale” con cui la Chiesa in Italia intende stare dentro al nostro tempo con amore e insieme con libertà propositiva e critica» (Card. Ruini).
    Con il testo che segue gli Oratori delle diocesi lombarde intendono ripensare con più calma alcune scelte ormai condivise nella PG, richiamando quelli che sembrano essere «punti decisivi» per la pastorale giovanile oggi, indicando anche le priorità, alla luce delle «quattro parole» che hanno guidato la riflessione al Convegno di Palermo.

    1. La prospettiva in cui ci poniamo è positiva, una prospettiva che vede i giovani più come profezia che oggetto di analisi, più come promessa che problema.
    Ci pare giusto abbandonare alcuni luoghi comuni quali: «condizione giovanile» (piuttosto essere attenti alle persone), «problema giovani» (pure gli adulti sono poco credibili), «vicini e lontani» (è necessario rispettare e valorizzare i diversi cammini), «centralità della PG» (essere invece attenti alla pastorale nel suo insieme)... e andare alla questione di fondo: «Il primo impegno a cui siamo chiamati è una rinnovata esperienza del mistero di Cristo,... offrire alle nuove generazioni la possibilità di un incontro personale con Cristo, nell’ambito di una comunità fraterna», dicono i Vescovi nella nota pastorale Con il dono della carità dentro la storia (nn. 3 e 38).
    «In Italia infatti la Chiesa, per grazia di Dio, continua ad essere viva e sta prendendo più chiara coscienza che il nostro non è il tempo della semplice conservazione, ma della missione. È il tempo di proporre di nuovo, e prima di tutto, Gesù Cristo, il centro del Vangelo», aveva affermato con forza il Papa nel suo discorso a Palermo il 23 novembre. Dobbiamo avere cioè uno sguardo più positivo.

    2. Fondamentale quindi è riproporre con coraggio l’annuncio di Cristo, metterci in atteggiamento di missione. Facciamo ancora fatica, ci si consola perché gli oratori non sono ancora spopolati, si fanno però sforzi sempre più grandi per portare avanti l’esistente, si guarda magari con rimprovero chi si muove fuori della parrocchia. «La Chiesa sa di dover condividere con tutti la pienezza della sua esperienza di fede. Esiste per evangelizzare, per far incontrare gli uomini con l’amore di Dio in Cristo.
    Oggi in Italia l’evangelizzazione richiede una conversione pastorale: bisogna passare ad una pastorale di missione permanente. Tale annuncio è efficace se è sostenuto dalla testimonianza di carità dei cristiani e della comunità e se esso stesso si attua con uno stile di carità» (ivi n. 23).

    3. È convinzione condivisa la centralità dell’impegno educativo. La formazione va ripensata, il CdG/1 (Io ho scelto voi) uscito in questi anni e il CdG/2 (Io sono la vita) di prossima pubblicazione, tracciano un cammino di fede, sono punti di riferimento imprescindibili. Alla luce di essi si può fare uno sforzo per ridisegnare la «figura» della fede adulta e lo stile della proposta cristiana, i linguaggi con i quali è significativo ed interessante oggi proporre e vivere un’esperienza di fede.
    Particolarmente prezioso può risultare l’accostare i giovani alle figure della fede, i santi, che pur lontani nel tempo sanno suscitare ancora oggi il desiderio di una rinnovata fedeltà a Cristo.
    Prima che cose da fare, e oltre i contenuti da trasmettere, c’è la proposta di esperienze da vivere (le scelte di servizio come sbocco e verità del cammino formativo) e un’accoglienza ricca di relazioni significative.
    È necessario rinvigorire i «punti fermi» di una significativa formazione cristiana: il cammino di iniziazione, la vita sacramentale, la vita comunitaria, l’eucaristia..., soprattutto la Parola di Dio ha una priorità essenziale per leggere la propria vita e per il recupero di una dinamica vocazionale. («Un’attenta riflessione, per la formazione di salde convinzioni, appare ancor più indispensabile nel pluralismo culturale e religioso che caratterizza il nostro tempo. In questa prospettiva c’è anzitutto da diffondere la Bibbia e promuovere una lettura sapienziale di essa. L’incontro diretto con la Parola di Dio scritta è di importanza vitale per la formazione di personalità cristiane e per il discernimento evangelico della vita e della storia» – ivi, n. 16).
    Per la cura della vita di fede non è possibile rinunciare a creare ed offrire occasioni per esercizi spirituali, ritiri, momenti di silenzio...
    Si possono formulare itinerari di primo annuncio e cammini di fede differenziati, precisando però i criteri perché siano esperienze di fede.
    Da recuperare è soprattutto la carità come via all’evangelizzazione («Proprio perché è la verità dell’amore, la verità cristiana viene trasmessa in modo credibile mediante il segno della carità vissuta tra gli uomini. La carità è il contenuto centrale e nello stesso tempo la via maestra dell’evangelizzazione» ivi, n. 5): valorizzare le Caritas parrocchiali, sostenere con forza le scelte di obiezione di coscienza e servizio civile, di non violenza e difesa dell’ambiente, incoraggiare il volontariato internazionale, riconoscere il servizio educativo come scelta di carità.
    La cura delle relazioni tra le persone, l’attenzione all’animazione, al tempo libero... hanno ormai una loro piena dignità educativa.

    4. Nell’esperienza di fede si entra e si è accompagnati sempre da qualcuno. È fondamentale la formazione di educatori che siano figure significative, «in grado di accompagnare i giovani nel cammino personale e di gruppo, disponibili a loro volta a lasciarsi educare dagli stessi giovani» (ivi, n. 40). Quindi, oltre che curare la propria maturità personale, diventa decisivo per l’educatore curare particolarmente la propria capacità relazionale e di accompagnamento.
    Questo vale anche per i giovani sacerdoti, che spesso sono l’unica figura educativa per i giovani, e talvolta anch’essi risentono della stanchezza e dello smarrimento che investono chi fa scelte di servizio educativo. Può essere interessante ridefinire la figura del sacerdote (o dell’educatore) impegnato nella PG («i presbiteri non siano soltanto amici e animatori, ma si comportino da veri pastori, capaci di svolgere la direzione spirituale e di condurre i giovani, con regolare frequenza, all’incontro con il Signore Gesù nel sacramento della Penitenza, ivi n. 40). Ma è necessario dare «dignità», spazio ed efficacia educativa anche a figure diverse: allenatori, insegnanti, operatori nel tempo libero, operatori nelle comunità... che hanno un contatto estremamente significativo con i giovani. Occorrerà precisare meglio quali possono essere i percorsi di formazione e accompagnamento di educatori adulti.

    5. Ci si chiede se davvero la parrocchia, e l’oratorio in essa, è «casa accogliente», aperta a tutti, o se si chiedono pedaggi o si pongono ricatti. Occorre interrogarsi sulla qualità della vita delle comunità, sull’immagine che essa dà, sulle figure che in essa vivono. Forse il primo segno è che ci siano capacità di ascolto e relazioni sincere per un rapporto non banale. La comunità cristiana diventa la testimonianza quotidiana della fede adulta, la liturgia luogo privilegiato di costruzione della personalità cristiana. Attenzione dunque alla qualità della vita spirituale, alla significatività degli educatori, al privilegio di chi fa più fatica, ecc. Bisogna guardare con simpatia chiunque, nella Chiesa e non, lavora per i giovani.
    «Oggi, però, di fronte alla carenza di relazioni educative, che provoca disagio ed emarginazione, si avverte l’urgenza di ripensare la pastorale giovanile, conferendole organicità e coerenza in un progetto globale, che sappia esaltare la genialità dei giovani e riconoscere in essi un’opportunità di grazia» (ivi, n. 39).
    Andare avanti a caso, improvvisare... non costruisce nulla: non c’è bisogno, in parrocchia, di grandi progetti teorici, ma di consapevolezza, organicità, programmazione, collaborazione.

    6. Decisivo è che la PG impari sempre più a lavorare in modo coordinato con altre agenzie educative e con altri «soggetti» della pastorale. Tanto più che si tocca con mano quotidianamente quanto sia difficile lavorare insieme.
    Occorre pensare insieme, avere comuni punti di riferimento e obiettivi, confrontarsi su cose sostanziali, avere progetti adeguati, fare proposte semplici. Prioritaria sembra essere la collaborazione tra le diverse realtà giovanili, con i Centri vocazionali, con la Pastorale del lavoro e della famiglia, con gli operatori scolastici... Occorre creare momenti di collaborazione per far cadere definitivamente la diffidenza e l’ignorarsi reciproco tra le diverse aggregazioni ecclesiali vive per riscoprire, non solo a parole, la ricchezza e l’originalità nella costruzione della comunità. Decisivo è oggi entrare in dialogo con la realtà sociale, le strutture pubbliche, sia per un’efficace collaborazione (Centri di aggregazione), sia per il confronto e la progettazione (progetti di prevenzione, dialogo con i vari «Informa giovani», «Osservatori», «Sportelli»...).

    7. La tensione missionaria impone di essere attenti agli ambienti di vita dei giovani.
    «La pastorale deve andare oltre i luoghi e i tempi dedicati al ‘sacro’ e raggiungere i luoghi e i tempi della vita ordinaria: famiglia, scuola, economia e lavoro, arte e spettacolo, sport e turismo, salute e malattia, emarginazione sociale. La pastorale attuata nelle strutture parrocchiali dovrà saldarsi organicamente con la cosiddetta pastorale degli ambienti, in modo che la parrocchia si edifichi come comunità missionaria e soggetto sociale sul territorio» (ivi, n. 23).
    Accanto e insieme a proposte particolarmente stimolanti o straordinarie che sono senz’altro efficaci (GMG, pellegrinaggi, riscoperta di «luoghi significativi»...) non bisogna far venir meno lo sforzo di investire sempre più energie, persone, tempo, fantasia, non solo per «chiamare», ma per «stare»nei luoghi, perché sia possibile l’incontro con Cristo e con i suoi testimoni là dove quotidianamente si vive.
    Facciamo nostre le parole conclusive sui giovani dei nostri Vescovi (ivi n. 40): «I giovani credenti siano aiutati ad essere i primi testimoni e annunciatori del vangelo ai propri coetanei, ovunque Dio vorrà chiamarli. Tutti dobbiamo ricordare che, investendo energie a favore di coloro che saranno protagonisti del primo secolo del nuovo millennio, si testimonia la speranza che ha il suo fondamento in Cristo, Signore della storia».


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