28° Rapporto Censis
(NPG 1997-01-7)
Fenomeni di carattere demografico, ma anche sociale, culturale ed economico, hanno prodotto in Europa occidentale una significativa evoluzione del modello tradizionale di famiglia.Le trasformazioni sono così profonde che non è sempre facile prevederne i risultati, in una situazione di «cantiere aperto», tanto che alcuni demografi hanno voluto sintetizzare i «lavori in corso» in quattro direttrici principali:
- dall’«epoca d’oro del matrimonio» all’«alba della coabitazione»;
- dall’epoca del «bambino-re» a quella della «coppia-re con bambino»;
- dalla contraccezione preventiva al concepimento scelto come gratificazione personale;
- da un modello unico di famiglia a una pluralità di forme familiari.
Le suddette linee di tendenza vanno ovviamente calate nella realtà dove assumono tratti diversi: dall’incremento dei divorzi e delle separazioni, alla crescita del numero delle convivenze rispetto alle unioni legalizzate, all’aumento delle nascite fuori dal matrimonio, al proliferare in genere di nuove tipologie quali le famiglie ricostituite, i nuclei monogenitore, le coppie omosessuali, i «single», ponendo questioni nuove non solo sul piano della vita sociale, ma anche su quello giuridico.
Il mutamento della famiglia italiana presenta proprie peculiarità, rispetto al «trend» europeo in quanto meno «brusco» e caratterizzato da trasformazioni che avvengono in primo luogo «all’interno» e non «all’esterno» delle forme tradizionali di convivenza. Le nuove tipologie familiari che si diffondono rapidamente in altri paesi aumentano quindi in Italia ma a ritmo piuttosto contenuto: l’aumento dei «single», ad esempio, riguarda nella maggior parte dei casi persone anziane e non giovani che vivono soli (che tendono a rimanere sempre più in famiglia).Aumentano i matrimoni civili, ma i matrimoni religiosi restano comunque una larga maggioranza; aumentano le nascite naturali, ma in misura assai contenuta; diminuisce la fecondità, ma la coppia ha almeno un figlio; aumentano separazioni e divorzi, ma tali fenomeni non raggiungono la dimensione di altri paesi europei.
Mentre in Europa si denuncia una chiara disaffezione verso il matrimonio e l’istituzione familiare, in Italia dunque la situazione appare meno «coerente», e lo sviluppo italiano sembra sostanziarsi in un modello «ibrido», indirizzato più a un cambiamento di «contenuto» che di «forma».Piuttosto che di una diffusione di forme «alternative» alla coppia coniugale e di pluralizzazione dei modelli di convivenza, si può infatti parlare di un cambiamento nei modi e nei tempi della famiglia all’interno di un modello «tradizionale»: i giovani si sposano tardi, ma rimangono con i genitori; si fanno pochissimi figli, ma all’interno di un legame istituzionalizzato; i divorzi aumentano, ma abbastanza frequentemente sono seguiti da un altro matrimonio; le unioni sono più di ieri di tipo «civile», ma comunque legalizzate.
Si può quindi ipotizzare che, se il calo dei matrimoni si rivelerà sintomo di un profondo sovvertimento culturale e l’affacciarsi di alcuni fenomeni nuovi la premessa di un processo destinato a modificare la struttura stessa della famiglia, l’Italia si muoverà sulla linea dei binari nord-europei.Se invece il calo dei matrimoni ed alcune manifestazioni «innovative» rispetto al modello tradizionale di famiglia si riveleranno frutto di una lunga fase congiunturale negativa legata alla crisi economica, alla situazione di incertezza in cui vive la società, ai problemi occupazionali dei giovani, i «segnali» di cambiamento sono destinati a «rientrare» o comunque a non operare sovvertimenti ulteriori dell’istituto familiare nel nostro Paese.
Secondo recenti indagini condotte dal Censis, la famiglia italiana continua ad avere una forte valenza psicologica e immateriale.Viene considerata assai positivamente come «palestra» relazionale, e come «terreno» solido che permette di instaurare, anche verso l’esterno, rapporti umani significativi.Appare un forte bisogno di sicurezza, di un ambito umano «protetto», di un luogo in cui sentirsi effettivamente accolti.In una realtà sociale sempre meno fondata sui valori della solidarietà, in cui pressante si fa l’incertezza per il proprio futuro e in cui vengono a mancare molti punti di riferimento, anche di carattere ideologico, riemerge con forza il «bisogno di famiglia».
Ma l’incertezza è anche materiale: uno sguardo alle condizioni economiche della famiglia permette di individuare le difficoltà che soprattutto alcune tipologie familiari stanno attraversando.La condizione generale è quella di un certo benessere, ma la forte capacità di riequilibrio economico e redistribuzione sociale della «Famiglia S.p.A.» degli anni ’80 sembra aver subito contraccolpi davanti alle attuali «turbolenze congiunturali».L’ampia fascia di classe media e di benessere generalizzato, che risulta particolarmente robusta in corrispondenza del segmento medio-basso della società, rivela la presenza di una fetta di famiglie che rischiano di scivolare nell’area della povertà ogni qual volta fattori di varia natura (dalle manovre di contenimento della spesa pubblica, alla disoccupazione, o altro) ne minano le basi.Lo «scivolamento» sembra aver già coinvolto alcune tipologie familiari come le famiglie monogenitoriali, le famiglie numerose e le donne sole (in genere anziane) nel corso degli ultimi anni.
Sul versante relazionale le trasformazioni culturali e sociali che hanno interessato la vita del nostro Paese negli ultimi anni hanno progressivamente favorito l’instaurarsi di rapporti meno conflittuali tra le generazioni. Un’indagine condotta dal Censis individua tuttavia un «disagio latente» dei giovani nei confronti della famiglia: essa viene infatti avvertita spesso come ostacolo alla propria crescita personale.
Un simile fenomeno risulta essere, in effetti, una sorta di campanello di allarme rispetto a visioni dell’universo giovanile facilmente ottimistiche che, a partire da un’apparenza fatta di omologazione culturale e valoriale, assenza di conflitto e mancanza di riferimenti forti a valori ideologici radicali, vedono il giovane come una figura sempre più difficilmente identificabile e sempre meno portatrice di valori e problematiche specifiche.L’apparente accordo pacifico si presenta pertanto sotto una veste inquietante: la «calma piatta» che sembra regnare nella famiglia non nasconde forse solo un conflitto o un disagio sotterraneo, ma anche un’accettazione delle regole del gioco (o ciò che altri hanno definito un «patto scellerato» tra generazioni) che, seppure avvertita come frustrante e limitante per la crescita personale, sembra essere l’unica strada percorribile.
Sugli equilibri generazionali hanno comunque influito in modo pesante anche le trasformazioni demografiche degli ultimi decenni.Le tendenze della fecondità e della mortalità hanno progressivamente alterato il rapporto numerico tra generazioni.In questo progressivo mutamento, le donne continuano a prendersi cura dei componenti deboli della famiglia, sia dei figli che degli anziani genitori, vivendo una condizione non facile per via del contemporaneo impegno nel mondo del lavoro. Recenti indagini sembrano indicare uno sviluppo per ciò riguarda la responsabilità per la cura dei figli e per le questioni legate alla salute e alla cura dei membri più deboli: mentre per altre questioni il «trend» familiare si muove verso una maggiore collegialità delle decisioni, per la «cura» sembra crescere il ruolo e la responsabilità della donna, e questa responsabilità sembra essere destinata a non diminuire anche per l’aumentare della presenza degli anziani e la prolungata permanenza dei figli in famiglia.
Tutto ciò dovrebbe avere conseguenze sul piano della organizzazione generale della società.Ad esempio l’aumentata complessità di organizzazione della vita familiare dovrebbe comportare una maggiore offerta di lavoro part-time per le donne, cercando al tempo stesso di evitare che, come è avvenuto in altre esperienze europee, il ricorso al part-time conduca a limitare le possibilità di carriera delle donne e comunque attivando interventi mirati per la situazione di particolare vulnerabilità sociale e materiale.
La crescente femminilizzazione delle forze lavoro, e quindi la significativa presenza di famiglie a doppio lavoro (o monogenitore), richiederebbero una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, migliori possibilità di riqualificazione professionale e di inserimento nell’attività professionale di fasce di popolazione femminile adulta, e tempi di lavoro e tempi sociali più coordinati.
Non è la sola donna, comunque, ma è la famiglia stessa che si presenta in questa situazione come una sorta di «soggetto-vittima» che non trova adeguata attenzione né soddisfazione rispetto alle proprie esigenze nuove e vecchie.Al di là della questione del «sovraccarico» delle donne, la scarsa attenzione istituzionale è evidente in Italia in particolare per quanto riguarda la politica fiscale e contributiva.Il fisco italiano non considera come unità imponibile la famiglia ma l’individuo, e privilegia l’imposizione separata rispetto alle forme di cumulo, quoziente familiare e splitting, assai più diffuse in tutti gli altri paesi europei.Anche i trasferimenti monetari risultano poco incisivi: emblematica in questo senso è la sorte degli assegni familiari che a seguito di una serie di modificazioni introdotte nel corso degli anni hanno quasi perso la funzione di riequilibrio rispetto a situazioni economiche difficili.L’Italia inoltre non possiede altre forme di contribuzione economica alla famiglia, come avviene nel resto dell’Europa.Un recente provvedimento potrebbe tuttavia introdurre una serie di modifiche legislative ed economiche a sostegno della famiglia e un aumento del fondo destinato agli assegni familiari.
La maggior parte dei paesi europei inoltre prevede congedi di maternità e congedi paternali, nonché la possibilità di allontanarsi dal lavoro nel caso di malattia dei figli, una particolare organizzazione dell’orario lavorativo rispetto alle esigenze familiari, il part-time ed altre forme di riduzione dell’orario lavorativo cui prima si faceva cenno.Solo per quanto riguarda il congedo di maternità l’Italia usufruisce di una normativa che si colloca nella media delle situazioni europee.Per quanto riguarda la flessibilità nel mercato del lavoro, invece, l’Italia presenta gravi ritardi cui va aggiunta l’arretratezza nel campo dei servizi (consultori familiari, asili, assistenza a disabili e anziani) spesso inefficienti e notevolmente frammentati e non equamente distribuiti sul territorio.
Si è più coscienti oggi del fatto che la famiglia, o meglio le famiglie, da sostenere non sono solo quelle «tradizionali», ma piuttosto tutti i nuclei di convivenza primaria.
Il passaggio dalla «famiglia» alle «famiglie» nell’analidi sociologica e nella percezione collettiva è dunque l’altro elemento che rende più concreta ed evidente la necessità di sostenere il nucleo di convivenza nella sua interezza, sia con servizi tagliati sulla dimensione collettiva del vivere comune, che con politiche fiscali e previdenziali che tengano conto della numerosità del nucleo e dei problemi economici che ne derivano.
Una rinnovata attenzione merita oggi, nei confronti della famiglia come soggetto di politiche sociali ed assistenziali, anche e soprattutto il problema dell’equità fiscale e sociale, nel passaggio da una fase di «welfare consociativo e particolaristico» ad un’altra nella quale si sta tentando di introdurre nel sistema elementi di certezza dei diritti e di precisazione delle titolarità di accesso alle prestazioni secondo principi generali condivisi.
Infine va considerato che la attuale fase di recessione economica impone un riesame attento e un potenziamento di tutto ciò che può essere considerato ammortizzatore sociale, e dunque anche delle politiche sociali e previdenziali nei confronti dei singoli e dei gruppi.
La necessità del contenimento della spesa pubblica deve quindi integrarsi con la altrettanto importante necessità di intensificare gli sforzi nei confronti delle aree deboli della società, tra le quali non si può non annoverare una parte non trascurabile dei nuclei familiari.