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    Camminarono insieme. Dieci anni di pastorale giovanile zonale



    Consulta per la pastorale giovanile - zona suburbana prima

    a cura di Mario Battaglia

    (NPG 1996-02-64)


    Nella Diocesi di Lucca, a partire dal 1985 si costituisce in una particolare zona pastorale una nuova forma di organismo ecclesiale finalizzata specificamente alla pastorale giovanile, a ripensare ed ipotizzare una pastorale non più chiusa dentro i confini parrocchiali, ma aperta alla dimensione vicariale o zonale.
    Il presente articolo vuole, da una parte, «ricordare» il cammino fatto in questi dieci anni, e dall'altro «celebrare» un felice progetto di pastorale giovanile nell'ambito di vicariati e zone pastorali le cui parrocchie siano relativamente piccole.
    L'articolo seguirà un andamento storico-narrativo, privilegiando, dunque, gli eventi e i fatti che hanno preceduto e realizzato questa memoria scritta.
    Nel raccontare questa storia, ci si soffermerà su alcune considerazioni e riflessioni a carattere generale, indicando le linee portanti di questo progetto, le idee ispiratrici che hanno «illuminato» il cammino ed insieme una valutazione complessiva dell'esperienza finora vissuta.

    Un progetto di pastorale giovanile con un orientamento zonale aveva cominciato a muovere i primi passi già dalla seconda metà degli anni '70. Si era costituito, allora, un Gruppo giovanile zonale (circa 20 persone provenienti dalle diverse parrocchie).

    Fase pre-consulta: un terreno già preparato

    Riportiamo un brano tratto da un giornale-ciclostilato del 1977:
    «Il Gruppo giovanile Zona Suburbana Prima è un gruppo cristiano, che si riconosce nella realtà della nostra Chiesa e desidera lavorare liberamente e responsabilmente per la crescita della comunità cristiana e di quella civile. Il gruppo è nato nel 1975 per opera di alcuni giovani, i quali hanno cercato di coinvolgere le parrocchie della Zona pastorale Suburbana Prima. Questo perché non si voleva costituire un ennesimo gruppo spontaneo che procedesse per proprio conto indipendentemente dalla realtà della zona, ma un gruppo rappresentativo delle varie realtà giovanili parrocchiali, aperto a tutte le persone disposte a lavorare per una crescita cristiana delle nostre comunità parrocchiali e pronte a dare il proprio contributo per una promozione umano-politica di tutti i cittadini della nostra zona. Abbiamo proposto, ai giovani e agli adulti, momenti di riflessione e di preghiera per incrementare una crescita comunitaria di fede; inoltre abbiamo organizzato attività politico-culturali per favorire una presa di coscienza di alcuni valori umani e per stimolare un maggior interesse verso i molteplici problemi della nostra società».
    Le attività di questo Gruppo zonale erano, dunque, orientate su due filoni: quello spirituale (incontri di preghiera) e quello politico-culturale (tavole rotonde e cineforum). Entrambi avevano lo scopo, realizzando le indicazioni della Lumen Gentium, di riscoprire e valorizzare il laicato cristiano tanto nelle realtà temporali quanto in quelle ecclesiali. Attività di preghiera e di formazione politica che hanno suscitato consensi e apprezzamenti, ma che nel breve volgere di qualche anno si sono inabissate per una sostanziale chiusura del Gruppo verso altre proposte e un insufficiente radicamento nelle parrocchie (causa di forti contrasti con i sacerdoti). Tuttavia l'idea di una pastorale giovanile zonale era stata elaborata. Si realizzerà più tardi, come spesso accade nella chiesa, intorno ad un'altra componente zonale di quei tempi: il gruppo giovanile della Parrocchia di S. Maria a Colle, soprannominato GASMAC. Fu il primo gruppo giovanile parrocchiale dopo-cresima a nascere nella nostra zona (1974), proponendo un cammino di crescita umana e spirituale per adolescenti e giovani, non più vincolato dagli schemi della catechesi tradizionale e comunque non collegato all'A.C. La nascita fu, sicuramente, facilitata dalla presenza delle Suore Figlie Maria Ausiliatrice (le Salesiane), da un oratorio attrezzato e da alcune vocazioni sacerdotali sorte in quegli anni nella Parrocchia.
    Occorrerà, però, aspettare gli anni 80, perché l'idea di un progetto di pastorale giovanile zonale fosse ripreso e riproposto in modo più organico e più aderente alla vita delle singole parrocchie.
    Le indicazioni provenienti dal secondo Convegno Diocesano dei giovani del 1984 («Comunione e comunità nella Chiesa: la presenza e l'impegno dei giovani») furono proprio recepite dal GASMAC e dalle Suore Salesiane, che diventarono così il centro nevralgico di una rinnovata pastorale giovanile zonale.
    A mo' di testimonianza riportiamo il punto 6 della Nota esplicativa in ordine al secondo Convegno dei giovani avente il titolo «Opera di sensibilizzazione zonale per i giovani»:
    «Costituzione di una commissione per la pastorale giovanile all'interno dei Consigli Pastorali Zonali; iniziative di coordinamento dei vari gruppi giovanili parrocchiali e associazioni; conoscenza della situazione giovanile e problematica dei bisogni; proposta di progetti capaci da farvi coinvolgere giovani e gruppi, preparazione stabile e confronto fra gli animatori dei gruppi».

    I tratti peculiari della consulta

    Nell'ottobre del 1985 venne eletta la Consulta per la Pastorale Giovanile a cui ogni parrocchia fu chiamata ad esprimere uno o due rappresentanti. Gli eventi più salienti di quell'anno furono questi: il Vescovo nominò un sacerdote incaricato, al quale fece seguito la presenza e l'opera di quattro seminaristi, che misero a disposizione il sabato pomeriggio e la domenica mattina; le Suore cominciarono a ripensare il loro impegno apostolico anche in vista di un servizio alla pastorale giovanile ampliato alla zona. Si gettarono, in sostanza, le basi di un impegno educativo e pastorale che è rimasto, nelle sue linee fondamentali, inalterato fino ai giorni nostri.
    La Consulta fu creata proprio per rappresentare fedelmente le realtà giovanili parrocchiali. Le finalità che si prefissò sin dall'inizio (c'è stato anche un tentativo di elaborazione di un regolamento scritto) furono queste: promuovere, coordinare, sviluppare l'attività dei gruppi giovanili parrocchiali, la preparazione nonché la formazione degli animatori dei gruppi giovanili e organo di studio per l'elaborazione di proposte educative e di organizzazione di iniziative. Si è così preoccupata di studiare gli obiettivi, i contenuti e i metodi di un progetto pastorale educativo fissando le direttive organizzative nel rispetto degli orientamenti generali dei singoli gruppi, della zona e della diocesi. Fu composta, come accennato, da uno o da due rappresentanti (giovani) di ogni gruppo o parrocchia, anche se non ha mai, nel corso di questi dieci anni, visto l'adesione di tutte le parrocchie.
    La costituzione di un tale organismo con queste finalità e struttura fu la vera novità rispetto alla precedente pastorale giovanile zonale; ed è intorno ad essa che si è potuto costruire una pastorale giovanile zonale che avesse un futuro, con prospettive di crescita. Un organismo rappresentativo di 20-30 persone, ma al contempo agile nella struttura, vitale ed efficace operativamente, presente nel territorio della zona.
    Subito, dal primo anno, ci si occupò essenzialmente di tre cose:
    - creare dei settori operativi all'interno della Consulta;
    - responsabilizzare alcune persone e affidargli la gestione di questi settori (segreteria, amministrazione, responsabilità di alcune attività o iniziative);
    - tenere un collegamento diretto con i gruppi e le parrocchie. Per alcuni anni, infatti, le riunioni mensili, come anche alcune iniziative, si svolgevano a rotazione nelle parrocchie, per una maggiore conoscenza della proposta zonale, per far incontrare i giovani delle diverse parrocchie e scoprirsi vicendevolmente persone credenti in cammino verso Gesù Cristo, superando così i limiti campanilistici parrocchiali ed anche, dove c'era bisogno, per dare presenza ed aiuto educativo a quelle comunità parrocchiali prive di educatori e di catechisti.
    Il dialogo, il confronto e talvolta lo scontro tra i diversi rappresentanti, portatori ciascuno della propria esperienza, contribuì, tuttavia, a stabilire rapporti di amicizia, ad assumersi impegni comuni nel progetto educativo. L'apporto della Consulta è diventato così insostituibile al nostro camminare insieme come zona, proprio perché ciascun membro non ha assolutizzato la propria esperienza, ma si è posto nei confronti di questa nuova realtà in termini di proposta e non di lamento, di impegno e non di attesa, di una convinta partecipazione e non di una semplice presenza-assenza.
    Nel corso degli anni, l'organismo si è un po' appesantito, ed è stato talvolta latente sul piano progettuale come inconcludente sul versante della concretizzazione, ma l'idea che lo ha fatto sorgere, di mettere insieme, di legare gruppi giovanili, è sempre viva.
    Il problema di maggior peso che la Consulta sta ora vivendo è la necessità di un ricambio generazionale. Essa, come si è detto, si appoggia sui giovani ed è rivolta ai giovani, ma l'età giovanile è un periodo circoscritto nella vita dell'uomo. Così il giovane-adulto che è da diversi anni impegnato nelle attività zonali fa fatica ad «uscire», perché o non trova, nelle nuove generazioni, giovani che recepiscono un progetto di tale portata, o anche se ci sono, la loro partecipazione è ancora troppo passiva, in quanto continuano ad affidarsi e ad appoggiarsi all'esperienza dei più anziani. C'è forse una paura all'impegno e alla responsabilità. È un problema di crescita, di passaggio da una fase di sviluppo, di novità, ad una fase di stabilità.

    GLI ANNI DELLA NASCITA E DELLO SVILUPPO (1985-91)

    Questo cammino decennale si può dividere in due tappe. Un primo tempo che va dagli inizi fino al 1991 e un secondo momento fino al 1995. Il 1991 è stato un anno denso di cambiamenti, tale da dover affermare e sostenere che a partire da esso si delinea una nuova fase di vita all'interno della Consulta e, comunque, dell'intero mondo giovanile delle nostre parrocchie.
    Se si vuole tracciare un bilancio del cammino della prima fase dell'attività zonale, mi sembra che questo sia stato caratterizzato da una costante volontà, nonostante varie resistenze frutto di campanilismi parrocchiali, di camminare insieme a livello zonale, educatori, giovani e giovanissimi, attraverso gli itinerari formativi e le attività che ogni anno la Consulta proponeva. Gli itinerari educativi hanno consentito di scegliere con intelligenza ed attenzione gli argomenti da trattare, sottraendoli da improvvisazioni spesso banali e di compiere, soprattutto, un cammino formativo, rimanendo ciascun gruppo dentro la propria comunità parrocchiale, ma percorrendo tutti uno stesso itinerario di formazione.
    Infatti uno dei principi cardini del nostro progetto di pastorale zonale è stato quello di garantire autonomia alle realtà parrocchiali, di rispettare la volontà del parroco o del gruppo di non aderire al progetto; dall'altro canto non abbiamo mai smesso di presentarci come un organismo che si preoccupava di venire incontro, di sostenere quei gruppi parrocchiali, che per l'esiguo numero di partecipanti, non erano in grado di attuare un adeguato progetto formativo.
    Sono stati, e lo sono tuttora, occasioni importanti di formazione e di crescita zonale i momenti comuni che i vari gruppi sono stati chiamati a vivere, in particolare i campi-scuola, la scuola di preghiera, le feste giovani, la Via Crucis, i riti d'avvento e di quaresima. Sono stati momenti decisivi per superare campanilismi o particolarismi duri a morire.
    Questa prima fase del cammino zonale è stata contrassegnata anche da un'esplosione dei gruppi giovanili (adolescenti e giovani) raggiungendo la quasi totalità delle parrocchie.
    L'azione congiunta e mirata del sacerdote, delle suore e dei seminaristi (solo per due anni) e dei rappresentanti della Consulta ha prodotto i suoi risultati.
    Si può così mettere in evidenza un secondo elemento chiave che ha guidato il nostro cammino zonale: la collaborazione attiva fra i vari ministeri presenti nella Chiesa. Collaborazione, talvolta conflittuale, ma rispettosa delle ricchezze della diversità dei ministeri.
    Si è trattato, in concreto, da parte del sacerdote, di non far pesare la sua autorità, ma di ascoltare i bisogni dei giovani e di mettersi al servizio di essi; delle suore di non soffocare le capacità del giovane ma di aiutarlo a scopre la sua vocazione; e del giovane di essere protagonista della sua formazione con scelte libere e consapevoli ascoltando chi nella fede e nella vita ha maturato più esperienza.
    Un ulteriore annotazione riguarda il giornalino zonale «The Rainbow» portato avanti appassionatamente per alcuni anni da un gruppo di redattori vivaci e competenti. È stato uno strumento utilissimo ed efficace che ha favorito sia la conoscenza e il collegamento tra i vari gruppi della zona, sia una presenza della Chiesa sul territorio, quasi una proposta verso quell'ampio margine di giovani che non partecipavano ai nostri gruppi parrocchiali.
    Infine un ultimo dato da rilevare è stato il collegamento costante e assiduo (partecipazioni a feste, convegni e c.b.a.) con il Movimento Giovanile Salesiano che ha plasmato tutto il nostro essere cristiani e uomini della mentalità e dello stile di vita di Don Bosco.
    Accanto a questi elementi positivi, abbiamo dovuto anche registrare in questa prima fase alcuni dati problematici, che solo in parte sono stati superati.
    Il primo e più decisivo fattore che ha reso lento il nostro cammino e talora indefinita l'identità dei nostri gruppi è l'insufficienza di motivazione per coloro che ne fanno parte. È stata una costante che si è protratta ed accentuata anche nella seconda fase. Un gruppo giovanile ecclesiale ha agito e agisce per lo più come «centro gravitazionale» verso persone che cercano solo occasioni di stare assieme o di conoscere ed incontrare altre. Difficilmente si è potuto constatare che queste persone abbiano fatto un cammino di crescita e di scelta della persona di Gesù Cristo.
    Per lo più, il ruolo del gruppo giovanile è stato quello di venir incontro ai disagi del giovane, alle disattenzioni e ai disimpegni educativi della famiglia. Compito lodevole e importante, ma la specificità cristiana ed ecclesiale è stata ed è molto diluita.
    Ma è anche vero che abbiamo cercato di instaurare il nostro intervento educativo e la proposta di Gesù Cristo gradualmente: terminata l'iniziazione cristiana, ogni animatore provvede a far la proposta di un cammino di fede a livello di gruppo a tutti gli adolescenti che hanno ricevuto il sacramento della Cresima.
    I contenuti e le tematiche affrontate nei gruppi spaziano molto (dalla sfera della conoscenza personale, alle problematiche giovanili fino a giungere ai temi religiosi); soltanto nella fase di passaggio dall'età adolescenziale a quella giovanile, il discorso su Cristo e sulla Chiesa si fa più preciso e coinvolgente. A tutto ciò, il giovane è chiamato a fare le prime scelte, ad assumersi i primi impegni di gruppo o ecclesiali affinché la fede professata diventi anche vissuta.
    Un secondo punto problematico è stato il campanilismo. Ci sono stati gruppi che hanno durato grande fatica ad incontrare altri e a condividere momenti di vita e di crescita a livello zonale: sono stati per lo più rivolti verso il loro interno, hanno evitato gli impegni zonali; sembrano trovarsi bene solo con se stessi ed hanno espresso una grande forza di condizionamento reciproco.
    Un campanilismo che nel corso degli anni si è molto ammorbidito ma che non è ancora stato sconfitto del tutto. È ancora troppo presente negli adulti e negli anziani perché sia debellato dalle comunità parrocchiali. Tuttavia il cambiamento di rotta a livello giovanile c'è stato.
    Altro elemento negativo è l'indifferenza verso i problemi sociali e politici. L'attenzione al territorio, come accennavo precedentemente, fu una connotazione del Gruppo Giovanile degli anni '70, ma che nei giovani degli anni '80 dei nostri gruppi ecclesiali ha avuto scarso riscontro. C'è stato e c'è una marcata e decisa disaffezione, se non una chiusura, verso l'ambito politico. In qualche anno, si è cercato, timidamente, di proporre qualche iniziativa in merito, ma con risultati deludenti. Dobbiamo tuttavia considerare che le caratteristiche dominanti di questi dieci anni di pastorale giovanile zonale sono state soprattutto quella formativa (educazione alla vita di fede) e quella spirituale (educazione alla preghiera). È stata una scelta pastorale voluta, chiara e responsabile, che ha avuto come obiettivo prioritario quello di ricreare, a partire dai giovani, il tessuto cristiano delle nostre comunità.
    Un aspetto che si è evoluto in questa prima fase della vita zonale è stato quello della formazione degli animatori. Finché c'è stata la presenza e l'animazione dei seminaristi, la formazione degli animatori dei gruppi adolescenti e giovani ha ricevuto scarsa attenzione e partecipazione.
    Cessata la loro presenza, si è generato, all'interno di ogni gruppo parrocchiale, un processo dinamico di responsabilizzazine che ha portato ad una esplosione di animatori. La maggior parte di loro erano desiderosi di impegnarsi ma impreparati, altri cooptati per necessità.
    Tuttavia, sanata l'emergenza dovuta alla mancanza di responsabili per i gruppi, ci si è subito preoccupati di programmare e organizzare itinerari formativi stabili, per animatori e aiuto animatori che avessero lo scopo di consolidare e maturare la scelta educativa di stare in mezzo ai giovani.
    Questo ha comportato un notevole salto di qualità nel progetto di pastorale giovanile zonale, ed è stato una delle «chiavi di volta» che ha portato ad una nuova fase della pastorale giovanile zonale.
    Infine è stato molto problematico il nostro rapporto con gli altri organismi ecclesiali: Consiglio Pastorale Zonale e Diocesi. In parte, perché il nostro progetto di pastorale zonale, essendo una proposta innovativa che rompeva i vincoli parrocchiali, pur rispettandoli, ha incontrato molte resistenze e obiezioni da parte dei sacerdoti (in prevalenza anziani).
    La difficoltà ad accettare una rinnovata ecclesiologia comunionale, di cui la Consulta è, in certo senso, espressione, è la causa delle resistenze incontrate. D'altro canto, ci è sempre mancato e continua a mancarci o almeno è ampiamente insufficiente una mentalità più ecclesiale, più diocesana, meno limitata dal nostro orizzonte giovanile e zonale. Questa insufficienza non è solo dei giovani, ma è profondamente presente in ogni comunità parrocchiale, compresi talvolta anche i sacerdoti. La Chiesa si identifica con la parrocchia. Questa è la fotografia della maggior parte del Popolo di Dio. La verità teologica che solo attorno al Vescovo e dentro la più ampia comunità diocesana si fa Chiesa, è dura da accettare.
    Dentro questa prospettiva, un progetto di pastorale giovanile zonale, che accomuni e integri l'attività dei vari gruppi giovanili parrocchiali è un notevole passo in avanti nell'attuazione dell'ecclesiologia del Concilio Vaticano II, di una chiesa che si prepara a varcare le soglie del 2000, con pochi preti e per lo più molto anziani. A dieci anni di distanza, con la dovuta serenità ma anche con estrema franchezza, si può ragionevolmente dire che un progetto di pastorale aperto ad una dimensione più ampia della parrocchia è senza dubbio «profetico».
    Permette una valorizzazione dei laici nelle funzioni educative e spirituali, instaura un processo dinamico di mutua collaborazione fra i vari membri del «Corpo di Cristo» ricreando le fondamenta delle comunità cristiane, ma soprattutto permette ai giovani di sentirsi a casa propria quando vengono alla Chiesa e alla Chiesa di essere aperta alle istanze dei giovani. Il giovane vuole vedere nella Chiesa, una famiglia che lo accoglie e lo ama per quello che è, consentendogli di maturare le scelte importanti della vita nella libertà e nella verità.

    GLI ANNI DI UNA PASTORALE GIOVANILE ADULTA (1991-95)

    Il 1991 ha rappresentato una svolta nel cammino zonale per i seguenti motivi.
    Innanzitutto il cambiamento dell'incaricato per la pastorale giovanile. Come è nella logica delle cose, ciò ha comportato un necessario confronto della Consulta e degli animatori con la nuova personalità, il riadattamento di alcune iniziative e l'introduzione di nuove attività. Tutto questo è anche il riflesso di un quadro ecclesiale e pastorale che stava evolvendo.
    Nel mese di febbraio, c'è stata la consegna del «Mandato di Animatore» a circa una ventina di giovani educatori che per due anni avevano fatto un cammino di formazione. È stato un gesto importante che ha detto come ormai non si guardava più a questo settore sotto il segno dello spontaneismo e dell'improvvisazione, ma ci si preparava, ci si formava, si progettava e ci si impegnava da parte di un gruppo di giovani, per divenire stabilmente e competentemente, educatori e guide nel cammino di altri verso la fede, accolta e vissuta nell'età giovanile. Gli animatori diventeranno così il «motore» della pastorale giovanile zonale. Già nell'estate del 1991, gli animatori prenderanno in mano non solo l'organizzazione, ma lo stesso svolgimento dei temi e degli argomenti nei campi-scuola giovanissimi. È da questo momento in poi che, con chiarezza, si comincia a percepire come la pastorale giovanile nella nostra zona sta diventando un fatto sempre più assodato, capace di camminare con le proprie gambe e di guardare con maggiore serenità e sicurezza verso il futuro.
    Sempre in questo anno, nel mese di maggio, si ha l'ingresso in Diocesi di un nuovo Vescovo. Ciò ha comportato, anche su sua esplicita richiesta, la necessità di ricordare il cammino fatto negli anni, a far «memoria» del passato, per riscoprire l'attualità delle opere di Dio operanti per ognuno di noi. Da qui, è nata l'idea di costituire un archivio (terminato e inaugurato nel mese di maggio nel 1992). È stata una tappa significativa, dove alla raccolta del materiale, ha fatto seguito una riflessione sul senso del nostro camminare insieme come zona e del nostro impegno con i giovani per annunciare Cristo. Solo una pastorale che ha una «memoria scritta» avrà un futuro. Molte nostre «pastorali» (di ogni tipo o natura) mancano di questa dimensione storica: vivono troppo sul presente, sulla giornata, rischiando, come succede spesso, di perdersi perché non fanno tesoro di ciò che hanno faticosamente conquistato.
    La seconda fase del cammino di pastorale giovanile zonale si può, così, ragionevolmente racchiudere nell'arco di tempo che va da questi eventi fino ai giorni nostri.
    Un periodo caratterizzato da luci ed ombre, da una stanchezza generale negli animatori, da una evidente crisi di numero e di impegno nei gruppi giovanili, da diverse situazioni particolarmente conflittuali e problematiche, ma anche da germi di speranza per il futuro.
    Il primo elemento positivo da segnalare è la caratterizzazione missionaria che ha assunto la nostra pastorale giovanile di un mese in Africa, Asia e America latina, di volontariato e di aiuto ai profughi nella ex-Jugoslavia.
    La preparazione a queste esperienze e la ricchezza formativa di tali esperienze si è poi riversata nella nostra realtà locale, producendo nei gruppi giovanili, un'attenzione maggiore e una dedizione particolare ai poveri e agli ultimi. C'è stata perciò una maggiore apertura alla dimensione «sociale» (quasi assente negli anni precedenti) realizzata soprattutto attraverso la conoscenza di alcune comunità di ex tossicodipendenti. Si è così instaurato un intenso rapporto fatto di incontri frequenti, sia nel loro ambiente di vita, sia con la partecipazione di loro ad alcune nostre iniziative.
    Un secondo dato positivo è il protagonismo e la centralità degli animatori:
    - protagonismo: i giovani educatori hanno guidato attivamente la pastorale giovanile zonale, progettando, organizzando e realizzando le varie attività. Si sono assunti nuovi compiti e responsabilità, lasciando al sacerdote di fare solo il prete, e non il prete tuttofare come accade nelle «normali» pastorali;
    - centralità: in un periodo caratterizzato da una generale instabilità della pastorale zonale (cambiamento della responsabile delle suore per la pastorale giovanile, «morte» di alcuni gruppi, perdita di alcuni animatori che abbandonano il loro impegno educativo) e da una conflittualità costante (presenza di due nuovi seminaristi che non riescono a integrarsi armonicamente nella nostra pastorale e di contrasti all'interno della Consulta), gli animatori hanno avuto in mano la «bussola» della pastorale. Alle soglie del terzo millennio, solo una Chiesa composta da laici responsabilizzati e competenti potrà essere in grado di attuare quella nuova evangelizzazione che la Chiesa annuncia costantemente. Occorre proprio che ogni pastorale, ma soprattutto una pastorale giovanile, viva sull'apporto decisivo di laici animatori o educatori motivati, preparati. Si tratta, in definitiva, di «investire» in persone, che abbiano il dono di saper educare i giovani, di specializzarsi e di dedicarsi totalmente al complesso mondo giovanile, essendone punti di riferimento stabili.
    La situazione di maggior criticità che si è rivelata in modo quanto mai evidente di questa seconda fase, è il vistoso calo nel numero delle presenze e di una motivazione nello stare insieme dei giovani e degli adolescenti. Se nella prima fase, i giovani e i giovanissimi venivano al gruppo, per lo meno per «stare assieme», ora c'è la difficoltà seria di metterli insieme, di aggregarli. L'atteggiamento dominante è l'indifferenza anche alle sole proposte aggregative o di festa. Mancando ciò, risulta ancora più difficile il cammino di fede, se non in alcuni casi improponibile. Giovani che vivono sul presente, poco disponibili a pensare e a riflettere, ma pronti anche a «donarsi all'altro» se c'è bisogno. Giovani che vivono una vita schizofrenica, conseguenza della mancanza di un serio punto di riferimento familiare, ma che non riescono a trovarlo né in Cristo né nella Chiesa. Dentro questa prospettiva, il nostro intervento educativo e il progetto di pastorale giovanile zonale non è molto modificato rispetto agli inizi. Stiamo, perciò, attuando una pastorale di conservazione (negli ultimi anni non sono stati più costruiti itinerari formativi, ma rielaborati quelli degli anni precedenti e le attività sono rimaste sostanzialmente le stesse) che riflette un'incertezza di fondo di tutta quanta la Chiesa di fronte all'universo giovanile. Hanno successo soprattutto le iniziative del tempo libero (feste e giornate di musica) e quelle di formazione ma limitate nel tempo (campi-scuola estivi). L'impegno costante e assiduo nel cammino feriale del proprio gruppo è molto incerto. Le attività zonali continuano, comunque, a riscuotere un certo consenso, ma il giovane o l'adolescente le vive più da spettatore che da attore.
    In conclusione la prospettiva di una pastorale giovanile a livello zonale vive, perciò, al momento presente, di una chiara dicotomia. Per gli animatori e gli educatori è assodata e li aiuta concretamente nel loro cammino di crescita personale come nella loro formazione umana e spirituale; per i giovani e gli adolescenti, non avendo un rapporto stabile con la parrocchia, è una realtà che li sovrasta, che li organizza in alcune attività, ma di cui non riescono a capire significato e valore.
    Il problema principale rimane, comunque, quello di una fede realmente vissuta nella prassi parrocchiale. Occorre tuttavia considerare che le piccole parrocchie, come quelle della nostra zona, sono soggette ad una rapida trasformazione, ad essere unite per mancanza di sacerdoti, e nella situazione in cui si trovano si preoccupano molto poco di «investire» nella formazione dei giovani.
    Le sfide che ci attendono sono, proprio, quelle di una ristrutturazione della realtà ecclesiale diocesana nel suo insieme. Un ruolo molto importante, credo, potrà avere una zona pastorale e gli organismi collegati ad essa, se le verranno attribuite funzioni e compiti che una singola parrocchia non può più adempiere per mancanza di forze, tanto più se questo avviene nell'ambito della pastorale giovanile.


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    A cura del MGS


     

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