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    Per un modello di animazione attraverso il gioco e lo sport



    Mario Pollo

    (NPG 1990-04-5)


    Sino a non molto tempo nessuna persona di buon senso avrebbe avuto dubbi nell'attribuire all'attività sportiva delle valenze educative. Anzi, in molte situazioni di particolare rischio e disagio giovanile lo sport sembrava essere, almeno a livello utopico, l'unica strada percorribile per tentare una efficace azione di prevenzione.

    SPORT: SPECCHIO DELLA SOCIETÀ?

    Oggi la situazione appare radicalmente cambiata perché l'immagine che lo sport offre di se stesso non è significativamente diversa da quella delle altre attività in cui si articola la vita sociale. Al contrario lo sport sembra essere diventato il palcoscenico privilegiato della rappresentazione delle tensioni e dei problemi sociali. Si ha, infatti, l'impressione che lo sport sia diventato il luogo in cui si scaricano i problemi non risolti della vita sociale, in particolar modo quelli della condizione giovanile.
    Basta pensare al fenomeno della violenza negli stadi che tocca una frangia, marginale sin che si vuole ma comunque significativa, del mondo giovanile. Questa violenza checché ne dicano i sacerdoti un po' miopi e stolidi del calcio è il frutto di un malessere sociale che tocca una parte dei giovani e che trova nel fenomeno sportivo, così come oggi esso è venuto configurandosi, il luogo ideale per la sua manifestazione più immediata e radicale. Infatti, se è vero che la violenza che alcuni giovani manifestano dentro e fuori degli stadi non nasce all'interno del mondo sportivo ma della società è altrettanto vero che lo sport così come è concepito e praticato oggi è il luogo sociale più consono alla manifestazione della violenza. Per capire questo è necessario fare una breve analisi delle trasformazioni che lo sport ha subito in questi ultimi anni partendo però dalla definizione di gioco. Infatti la tesi che qui si sostiene è quella che lo sport in questi ultimi decenni si sia andato allontanando dal modello del gioco per entrare a pieno titolo in quella del lavoro - spettacolo. Proprio a causa di questo allontanamento il gioco ha perso le sue più genuine valenze educative ed è divenuto il luogo funzionale alla manifestazione del disagio sociale.

    COSA È IL GIOCO

    La definizione classica indica nel gioco una attività strutturata mirante ad una gratificazione immediata o di gruppo, svincolata da fini immediati di produzione (lavoro) e da necessità immediate di difesa individuale o del gruppo o della specie. Come si osserva da questa definizione il gioco possiede due qualità particolari: la capacità di gratificare chi lo pratica e l'assoluta gratuità. Tuttavia nella cultura sociale attuale è invalsa l'abitudine di designare come gioco alcune attività che sono si gratificanti ma tutt'altro che gratuite, essendo finalizzate a scopi "produttivi" o, addirittura, di sopravvivenza dell'individuo. Vengono, infatti, dette giochi attività didattiche, tecniche di animazione di gruppo e attività lavorative vere e proprie come lo sport professionistico.
    Se una attività viene svolta per conseguire un fine particolare: l'apprendimento, la sperimentazione di dinamiche di gruppo o la produzione di una competizione-spettacolo retribuita, anche se gratificante per chi la pratica essa, a rigore, non può essere detta gioco. Manca a questa attività, infatti, il requisito della gratuità. Questo requisito è fondamentale per poter definire una attività gioco avendo il gioco come suo fine proprio null'altro che se stesso.
    Questa affermazione non vuole assolutamente negare che il gioco possa avere benefici effetti sulla persona umana. È noto ad esempio che esso è per i bambini una notevole forma di apprendimento, oppure che esso è per gli adulti una importante forma di compensazione psicologica e di creatività. Questa affermazione vuole solo sottolineare che il gioco offre questi suoi benefici effetti gratuitamente, senza, cioè, che chi gioca debba proporseli.
    Il gioco è nato ed esiste sotto il segno della libertà tipica del gesto gratuito e ogniqualvolta si vogliono piegare intenzionalmente i suoi effetti ad un particolare disegno esso si trasforma in lavoro, in manipolazione o in qualcos'altro che tutto si può dire sia salvo che gioco vero.
    L'uso ambiguo che della parola gioco viene fatto nella vita sociale odierna è il segno della volontà di piegare l'inutilità del gioco, e quindi la ricchezza di cui questa inutilità è portatrice per la vita umana, a fini eminentemente utilitaristici.
    Nella attuale vita sociale delle società industriali la liberazione del gioco passa, perciò, necessariamente attraverso la liberazione della sua gratuità.

    I tre tipi di gioco

    Gli studiosi hanno raggruppato le forme di gioco che compaiono nella vita umana in tre grandi classi:
    - puro divertimento (paidia secondo R. Callois): in questa classe sono comprese tutte quelle attività di improvvisazione motoria, verbale o semplicemente mentale, che hanno un elevato carattere di gioiosità ed un quasi inesistente fondo di strutturazione;
    - trastullo (play): sono solitamente collocate in questa classe quelle attività che si articolano attraverso regole informali, improvvisate e chi vi partecipa finge, imita e viene sollecitato ad una continua invenzione;
    - gioco vero e proprio (game, ludus): appartengono a questa classe i giochi strutturati secondo regole formali che consistono o nello svolgimento gratuito di un compito finalizzato o nella competizione secondo gli schemi codificati di una fittizia battaglia. La caratteristica di questa classe di giochi è quella di avere al proprio interno un insieme di attività che vivono una condizione di difficile equilibrio tra la volontarietà, la libertà e la creatività tipiche del gratuito atto di giocare e un sistema di costrizioni, regole, rischi e punizioni.
    Lo sport, almeno quello autentico, appartiene a questa classe. Lo sport ha alcune caratteristiche particolari esso, infatti, si esplica prevalentemente attraverso la destrezza, lo sforzo fisico all'interno di un elevato livello di competitività che richiede la dimostrazione di capacità personali.
    Nel caso dello sport vi è un ulteriore fattore, oltre quello della gratuità, che segna positivamente o negativamente la sua appartenenza alle attività umane dette gioco. Questo fattore è legato alla presenza istituzionale del pubblico nel suo schema di svolgimento.

    Il secondo livello di istituzionalizzazione del gioco: lo sport spettacolo

    Il gioco vero e proprio, di cui lo sport è un tipico esempio, si distingue dalle altre forme di gioco per il possesso di un insieme di regole formalizzate, per essere, cioè, in qualche modo, istituzionalizzato. Questo livello di istituzionalizzazione è l'unico che il gioco sopporta. Ora nella realtà sociale attuale molte attività sportive sono fatte prevedendo organicamente la presenza del pubblico al suo interno e tendono a definirsi, correttamente, come forme di sport-spettacolo. La presenza del pubblico, formalizzata, rappresenta un secondo livello di istituzionalizzazione che ha come effetto quello di far perdere alle persone che praticano lo sport, o qualsiasi altro gioco, il loro atteggiamento volontario e libero e di trasformare lo sport stesso in una attività ripetitiva ed ossessiva simile a quella lavorativa.

    LAVORO E GIOCO NELLE SOCIETÀ INDUSTRIALI

    Dopo aver definito cosa è il gioco autentico e la sua tipologia principale è necessario affrontare il discorso sulla funzione che ad esso viene assegnata nella cultura delle società industriali e post-industriali.
    Dalle riflessioni sviluppate intorno alla definizione di gioco è emersa, anche se un po' indirettamente, la tendenza delle moderne società industriali a trasformare in molti casi il gioco in una forma di lavoro. Questa tendenza può essere considerata l'effetto della manifestazione di quella volontà di potenza che accompagna lo sviluppo delle società industriali. Una volontà di potenza che vuole governare ogni aspetto della vita umana e renderlo funzionale alle esigenze dell'organizzazione sociale e dei modelli di realizzazione umana culturalmente dominanti. Questa volontà fa si che il gioco, di cui si sono individuati gli indubbi positivi effetti sulla vita sociale ed individuale, sia forzatamente condotto all'interno di funzioni sociali particolari. La programmazione sociale del gioco ha fatto in modo che esso assumesse un ruolo parallelo a quello della produzione industriale all'interno dell'area economica del cosiddetto "terziario avanzato". Il gioco, snaturato della sua gratuità e della sua libertà, è diventato in alcuni casi una sorta di funzione sociale di servizio utile a sostenere l'attività della produzione di beni.
    Il gioco vero è rimasto una attività riconosciuta utile solo all'età infantile. Occorre però dire che anche nell'età infantile il gioco è minacciato sia dalla produzione industriale di giochi e di giocattoli, sia dalla produzione di metodi e strumenti didattici centrati sul gioco. Tuttavia, nonostante tutto, il gioco vero continua, magari tra mille difficoltà, ad abitare i tempi ed i luoghi dell'infanzia e della fanciullezza. Con più difficoltà il gioco abita i tempi della giovinezza e, soprattutto, dell'età adulta.

    Il gioco come compensazione e scarico

    Nelle società industriali o post-industriali la funzione di gran lunga dominante è quella legata allo sviluppo economico e, quindi, alla produzione. Questa funzione subordina tutte le altre, anche quelle legate alla realizzazione della persona umana. L'avere, per usare una formula che ha avuto un grande successo, prevale sull'essere. In questo schema di fondo il gioco, che ha subito la doppia istituzionalizzazione, assolve la funzione di scarico e di compensazione. Scarico delle tensioni e dello stress che gli individui accumulano nella loro attività lavorativa e sociale in genere. Compensazione delle varie forme di spossessamento e di alienazione che sono connesse al lavoro ed ad una vita sociale in cui la persona non si sente protagonista ma oggetto di un processo che sfugge alla sua possibilità di controllo. In altre parole questo significa che il gioco serve alle persone per recuperare il loro equilibrio psicofisico ed il controllo delle finalità dei propri gesti che, troppo spesso, il lavoro e la vita sociale non offrono loro. Da questo punto di vista la funzione del gioco consiste nel liberare gli individui dalle tossine che il lavoro e la vita sociale producono, per consentire loro di riprendere con rinnovato vigore il ciclo della produzione e del consumo a cui la società li chiama.
    Il gioco, che per alcuni è divenuto un lavoro altamente retribuito, è in quanto compensazione e scarico un'attività collaterale al lavoro ed al consumo che svolge la funzione di regolatore dell'accumulo di stress e di alienazione delle persone che producono e consumano nelle società industriali. Da questo punto di vista il gioco appare anche essere una sorta di funzione di controllo che il sistema sociale si è dato e che dovrebbe consentirgli una certa stabilità.
    Questa concezione dominante, dualistica, che affida al gioco la funzione di compensare gli effetti negativi del lavoro e della vita sociale, di fatto, introduce anche la concezione della felicità umana come evasione dalla realtà del quotidiano.

    Il gioco come evasione: la felicità lontano dal quotidiano

    Se giocare è trovare quella felicità che il quotidiano non offre. Se il quotidiano viene vissuto come immutabile. Se il lavoro è solo una fonte di reddito che consente di acquistare i beni ed i servizi - tra cui il gioco - che possono dare la felicità, allora il gioco è vissuto dalle persone come qualcosa che non ha relazione con la realtà che intesse di sé l'esperienza del quotidiano, come una realtà separata in cui "sarebbe bello stare per sempre!" ma da cui le necessità della sopravvivenza costringono dopo un po' a tornare. Il tempo del gioco è un tempo festivo, fuori dal mondo, in cui è possibile vivere una esperienza di felicità. Questo tempo, però, non è in grado di dire nulla al tempo del quotidiano se non attraverso le sfumature della nostalgia e del rimpianto. Giocare significa perciò, dentro questa concezione culturale, evadere dalla prigione delle ferree leggi della sopravvivenza che il quotidiano impone.
    Questa concezione oscura e snatura la vera funzione che il gioco ha nella vita umana, sociale ed individuale. Non consente soprattutto di cogliere la carica di trasformazione della realtà di cui esso è portatore.
    Dopo avere rapidamente evocato alcune suggestioni su come il gioco è concepito e vissuto nell'attuale realtà sociale è perciò utile cercare di esplorare, al di là del suo uso attuale, la vera funzione del gioco nella vita umana individuale e sociale.

    IL GIOCO COME SISTEMA DI COMUNICAZIONE

    Il gioco può essere definito un sistema di comunicazione in quanto possiede le caratteristiche tipiche di questo tipo di sistemi. Esso, infatti, è un sistema di relazioni che la persona stabilisce con se stessa, con gli altri e con la realtà naturale e simbolica in cui vive. Questo sistema di relazioni ha una propria struttura logica e veicola attraverso i segni ed i simboli dei particolari significati.
    Ogni gioco è costituito da un insieme di segni che spesso hanno anche una dimensione simbolica, in quanto oltre al significato letterale manifesto possiedono un senso latente o, addirittura, più sensi latenti. Da questo punto di vista il gioco appare come uno dei fattori responsabili della organizzazione da parte dell'individuo della realtà nella sua coscienza e nel suo inconscio.
    Questa dimensione del gioco, anche se maggiormente verificabile nell'età infantile, dove il suo contributo alla formazione della coscienza di sé e del mondo è molto evidente, è presente anche, in misura minore, nell'età adulta.

    IL GIOCO COME FUNZIONE DEL SISTEMA SOCIALE

    Il gioco svolge nel sistema sociale alcune funzioni rilevanti che non sempre però si sviluppano concretamente. Ciò a causa o del forte controllo sociale, specialmente nelle società autoritarie, o della presenza del mito della produzione. In questi casi queste funzioni sono sostituite, come si è già visto, da quelle della distensione e della compensazione e trasformate in funzioni di scarico della fatica e delle tensioni della vita sociale ed individuale.

    Il gioco tra innovazione-tradizione

    Una funzione rilevante del gioco è indubbiamente quella di consentire alle persone ed ai gruppi sociali di esplorare, sperimentandole in modo simulato, modalità di comportamento individuale e sociale nuove che tendono ad ampliare le possibilità di relazione e di azione dell'uomo nella vita quotidiana. Questo avviene anche perché il gioco consente una esplorazione non traumatica dei limiti dei comportamenti umani e delle loro combinazioni. La persona, che giocando sperimenta nuove realtà mentali o relazionali, non va incontro ad alcuna sanzione sociale per aver deviato dagli schemi culturali abituali del suo gruppo sociale. Nello stesso tempo sperimenta la possibilità di nuovi modi di pensare la realtà e di vivere i rapporti con gli altri. Questa sperimentazione apre indubbiamente la persona umana verso l'innovazione.
    Tuttavia il gioco non apre solo al nuovo perché esso consente al bambino, ad esempio di apprendere i comportamenti sociali ammessi dal suo gruppo sociale e di inibire quelli vietati. Questa funzione di comunicazione del gioco, che mette in relazione l'individuo con la realtà delle norme e della cultura sociale in cui vive, è perciò assai complessa in quanto consente sia la conservazione che l'innovazione.

    Il gioco e la liberazione della fantasia

    Un'altra funzione del gioco è quella della liberazione della fantasia attraverso l'offerta alle persone ed ai gruppi sociali della possibilità di trascendere il limiti dell'utilità e della finalità biologica. Questa funzione è vicina, ma non identica, a quella che consente alle stesse persone di recuperare il valore gratuito della vita e dei rapporti umani. Valore che sovente è offuscato dalla subordinazione delle azioni umani ad ideologie od a fini particolari.

    Il gioco e la ricerca della felicità

    La funzione centrale del gioco però è quella della ricerca della felicità. Il gioco è il luogo in cui ogni persona può sperimentare la possibilità reale della felicità nello spazio-tempo della vita umana. Il gioco può infatti dare felicità all'uomo anche quando vive l'esperienza dell'esilio, inteso come impossibilità per l'uomo di una vita piena a causa delle condizioni naturali, sociali e personali che affliggono la sua vita. Il gioco è un dono di felicità e di speranza.

    Il gioco e la stabilità del sistema sociale

    Un'ultima funzione del gioco è quella di dare stabilità ai sistemi di relazione tra le persone. Stabilità che il gioco ottiene sostituendo gli abituali schemi di relazione sociale con i propri. Questa sostituzione interrompe l'accumulazione delle tensioni presenti nelle forme simmetriche di interazione sociale. In altre parole questo significa che il gioco consente di allentare le tensioni derivanti dalla competitività, dal bisogno di affermazione e di dominio che, purtroppo, compaiono nei rapporti quotidiani tra le persone che sono prossime. È questa la funzione che, isolata dalle altre, è alla base della ideologizzazione del gioco come forma di scarico e di compensazione delle tensioni e delle alienazioni della vita sociale a cui si accennava prima.


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