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    «Integrazione fede-vita» come obiettivo per i preadolescenti



    Mario Delpiano

    (NPG 1988-08-18)


    Per la definizione dell'obiettivo al primo livello basta guardarsi attorno e interrogare l'autocomprensione ecclesiale attuale.
    Ci chiediamo: come la comunità ecclesiale oggi esprime l'obiettivo generale della pastorale giovanile?
    Risposte autorevoli e mature le abbiamo; non c'è da inventare da capo tutto. Basta scegliere tra le formulazioni più riuscite e intorno alle quali si è creata maggiore convergenza.
    Il documento-base, Il Rinnovamento della catechesi, quasi facendo eco alle proposte più attente maturate nel clima conciliare, ha suggerito alcune formule di sintesi attorno a cui la convergenza si è accresciuta.
    In continuità con le formulazioni di quel documento, la comunità ecclesiale oggi esprime l'obiettivo della pastorale giovanile nella formula sintetica: «integrazione fede-vita».
    In verità la proposta del documento base è assai più articolata; l'integrazione fede-vita era solo un aspetto di un processo più complesso.
    «Mentalità di fede» sembrava in quel documento la formula che sintetizzasse meglio l'obiettivo globale di ogni cammino di catechesi; un obiettivo che si articolava in alcune direzioni privilegiate:
    - la conoscenza sempre più profonda e personale della fede;
    - l'accrescimento del senso di appartenenza a Cristo nella chiesa;
    - l'apertura ai non credenti o a quelli che vivono altre fedi religiose: noi diremmo la coscienza di condivisione, con tutti gli uomini di buona volontà, della prospettiva del Regno;
    - e, come ultima dimensione, l'integrazione fede-vita, perché la fede diventi prospettiva organica e dinamica dell'esistenza.
    Per molti operatori di pastorale, e la nostra rivista, quest'ultima formula, assunta con tutto il suo spessore antropologico e teologico evocato, è divenuta quadro di riferimento globale.
    Essa diviene così il modo di esprimere l'attenzione privilegiata alla situazione attuale e l'elemento a partire dal quale e all'interno del quale ritrovare la globalità dell'obiettivo di ogni iniziazione cristiana e di ogni pastorale giovanile.

    INTEGRAZIONE FEDE-VITA COME OBIETTIVO GLOBALE

    Cosa vuol indicare tale formula sintetica? Cosa evoca in quanto obiettivo globale della pastorale giovanile?
    Integrazione fede-vita esprime, dentro un preciso modello culturale, il modo di pensare l'essere credente, e il ruolo che la fede gioca, o deve giocare, all'interno della esistenza quotidiana dell'uomo di oggi.
    Andiamo dunque a raccogliere i tentativi più familiari di esprimere oggi, con le nostre parole, il significato di questa formulazione.
    Si tratta di percorrere velocemente sentieri ormai collaudati, e riflessioni frutto di una profonda quanto fruttuosa ricerca che, riconosciamo, ci giunge come dono da far fruttificare.
    «Integrazione fede-vita», per restare in un linguaggio che ci è familiare ed esprime un profondo livello di condivisione semantica, è la «riorganizzazione della personalità attorno a Gesù Cristo e al suo messaggio, testimoniato nella comunità ecclesiale attuale, realizzata in modo da considerare Gesù il 'determinante' sul piano valutativo e operativo» (cf Tonelli, NPG 8/85, pp. 519).

    Alcune considerazioni sulla «formula»

    Alcune annotazioni su questa esplicitazione-interpretazione del significato che tale formula sintetica evoca:
    - L'integrazione fede-vita, così esplicitata, è mediata da un modello culturale, quello dell'identità, ricompresa, cioè risignificata e giudicata, alla luce della fede vissuta dalla comunità ecclesiale.
    Esso prende l'avvio dalla constatazione della reale situazione di dissociazione della fede dalla vita quotidiana dell'uomo, e perciò si sbilancia in questa direzione nell'individuare l'obiettivo verso cui orientare la prassi.
    «Al centro dell'identità dell'uomo credente sta Gesù di Nazareth, incontrato ed accolto come «il Salvatore» nell'esperienza quotidiana di vita, in modo tale che egli diviene «il determinante» della sua esistenza. Gesù Cristo è proposto come evento globale: la sua persona e la sua storia, il suo messaggio, la sua causa, testimoniate nel popolo che lo confessa il Signore»[1].
    Cercare l'integrazione fede-vita significa lavorare educativamente per formare un'unica struttura di personalità i cui criteri valutativi e operativi (cioè il modo di comprendere la realtà e di intervenire su di essa con un progetto umano) fanno riferimento a Gesù Cristo, alla sua prassi e al suo messaggio, come «determinanti». Egli infatti funziona da principio unificatore «totalizzante» della struttura di personalità del cristiano, in quanto offre un senso globale che risignifica la sua esistenza, già carica di senso[2].
    - Si assume però il modello dell'identità per specificare la collocazione della fede nella vita quotidiana dell'uomo e nel suo processo di umanizzazione, con una intenzionalità e un modo del tutto particolari: la fede viene a collocarsi nel cuore stesso del processo di elaborazione dell'identità della persona, ma «al livello del senso», dunque nell'ambito della autonoma produzione di senso dell'uomo; all'interno delle produzioni di senso del giovane il dono del senso della fede si esplica come «fondamento» del senso autonomo prodotto dall'uomo, un «di più di senso» che raccoglie i frammenti e li salva così dalla caduta nel nulla; inoltre acquista anche la funzione di sfondamento del senso umano, cioè di relativizzazione e de-assolutizzazione verso ogni produzione di senso che abbia la pretesa di porsi come definitiva, autofondantesi e totalizzante.

    Gesù Cristo né concorrente né coabitante

    In tal modo la fede (e quindi la collocazione di Gesù Cristo e del suo messaggio al livello dell'identità della persona impegnata nella produzione del senso) non annulla, anzi sollecita ed esige tutto lo sforzo creativo di elaborazione e produzione di cui ogni uomo è capace, in solidarietà con la cultura e il gruppo sociale entro cui vive.
    In tal modo intendiamo reagire ai modelli integristi di un passato mai scomparso, in cui il rapporto fede-vita è definito in termini concorrenziali, come se il contenuto della fede si sostituisse all'autonoma ricerca di senso dell'uomo e si ponesse in radicale alternativa nei confronti di quanto l'uomo elabora, mentre costruisce la propria identità.
    Questo modello inoltre evita la sacralizzazione di una qualche cultura privilegiata, e permette all'uomo di rimanere fedele al proprio tempo e alla propria esistenza storica. In tal modo a Gesù Cristo non viene più fatto giocare il ruolo di concorrente al livello dell'identità personale e storico-culturale dell'uomo contemporaneo.
    Con questa chiarificazione la comunità ecclesiale intende anche promuovere le esigenze irrinunciabili della fede. La collocazione della fede a livello del senso permette a questa di esprimere ciò che di proprio e di originale essa ha da offrire all'esistenza dell'uomo di oggi, anche del giovane che faticosamente costruisce la propria debole identità.
    Privando invece la fede della sua rilevanza rispetto alla produzione umana di senso, si rischia la sua vanificazione e ci si avvia sulla strada del riduzionismo, della chiusa prigione immanentistica, propria di una secolarizzazione radicale che ha smarrito la dimensione del mistero. La fede perciò ha da assolvere, a livello soggettivo (quello della produzione del senso), una funzione di risignificazione critico-profetica dell'autonoma (sempre relativa) produzione di senso dell'uomo e del giovane. Gesù Cristo col suo messaggio in questo modo non diventa il coabitante dell'uomo, a livello dell'identità, il coinquilino sconosciuto e irrilevante dell'esistenza quotidiana.

    LA SITUAZIONE ATTUALE COME PROBLEMA PER L'OBIETTIVO

    Ora dobbiamo vedere se e come è possibile riferire oggi, nel presente contesto culturale, ai nostri concreti destinatari, l'obiettivo generale della pastorale così definito.
    C'è anzitutto da interrogarsi sul senso e sul valore del modello dell'identità e del problema della crisi del senso nella cultura attuale, per l'uomo di oggi, e più ancora per le nuove generazioni[3].
    L'analisi della situazione delle nuove generazioni e riflessioni autorevoli sulla cultura attuale ci sollecitano a pensare anzitutto ad «identità imperfette» quale esito del cammino adolescenziale di elaborazione dell'identità, e ad una «identità debole» per l'uomo di oggi: una identità che faticosamente riesce a ricucire in unità la frammentazione, o addirittura, lucidamente e serenamente disincantata, «rinuncia» (perché adulta e matura, non soggetta a desideri onnipotenti, emancipata dai bisogni di sicurezza di tipo infantile, liberata da volontà di potenza e di assoluto) non solo al possesso, ma anche alla pretesa, della ricerca del «fondamento», ai frammenti di senso elaborati dall'uomo, ai suoi fragili progetti.
    È dunque in gioco un nuovo modello dell'identità, un nuovo paradigma dell'uomo maturo e della sua pienezza di umanità?
    Questa è una prima difficoltà, il primo problema.

    La situazione dei preadolescenti: una sfida

    Guardando inoltre da vicino al mondo dei preadolescenti e alla loro concreta situazione nasce l'interrogativo: è possibile e praticabile il raggiungimento dell'obiettivo integrazione fede-vita nell'educazione alla fede dei preadolescenti?
    Che senso ha, cosa vuol dire, integrazione fede-vita, nei termini descritti precedentemente, con i preadolescenti, di cui siamo compagni quotidiani di cammino?
    Intorno al primo interrogativo formulato sopra, richiamo soltanto alcune suggestioni, ricordando che esso è il punto di confronto più caldo della pastorale giovanile nel presente momento storico.
    Solo alcune battute, perché non è mio intento affrontare un tema così impegnativo.
    La soluzione a questo problema comunque rimane sullo sfondo (è infatti un problema di confronto fede-cultura tutto aperto) ai nostri interrogativi più ravvicinati al mondo dei destinatari.
    Prendere sul serio l'esperienza di assenza e la rinuncia alla pretesa di ricerca-possesso del fondamento (rinuncia disincantata alla volontà di potenza, senza nostalgia e rimpianti); atteggiamento proprio di una coscienza matura che soggiace al principio della realtà e chiama i desideri per quel che sono) implica cogliere la provocazione a ripensare la fede e perciò la funzione critico-profetica di Gesù Cristo e il suo messaggio all'interno della esistenza, non più in termini «forti come macigni» di fondamento, ma in termini «deboli» di solidarietà ospitale, sintonia empatica, di vicinanza inattesa, di compagnia gradita, di pietas; comporta una consapevolezza profonda dell'assenza di un fondamento in quanto posseduto, la rinuncia alla assolutizzazione di ogni senso prodotto, l'apertura disponibile a qualsiasi incontro, evento, novità, sorpresa gradevole o meno, che la vita offre, magari solo una disponibilità all'incontro con la realtà (le cose, gli altri, l'Altro) che si offre come qualcosa che possiede una meno, dimensione di cui non potrò mai appropriarmi né disporre.

    INTEGRAZIONE FEDE-VITA A PARTIRE DALLA VITA DEL PREADOLESCENTE

    Veniamo invece a confrontarci con il secondo interrogativo: il confronto dell'obiettivo così formulato con la situazione complessa e problematica dei destinatari, i preadolescenti.
    I preadolescenti sono soggetti che vivono un momento evolutivo e anche un'esperienza di reale, anche se momentanea e provvisoria, disintegrazione personale dell'identità in precedenza acquisita e di disorganizzazione esperienziale della vita.
    Essi vivono sulla loro pelle la rottura di un'armonia e di una integrità precedente; quasi l'infrangersi di un incantesimo, allorquando l'unità esperienziale e l'identità personale era, per così dire, «garantita» dell'esterno e quietamente e felicemente accettata dal soggetto in quanto «attribuita» a lui, conferitagli da altri, in un ben determinato contesto vitale di appartenenza, attraverso processi di identificazione.
    Nel momento della presa di distanza da questa identità attribuita (l'identificazione con l'adulto in autorità e l'autoriconoscimento in quei determinati modelli, ruoli, immagini, aspettative dell'adulto e del suo contesto vitale) il preadolescente non può sottrarsi all'esigenza, né fare a meno, di consegnare ad altri soggetti e contesti vitali il compito di riformulazione della propria identità psicologica e socio-culturale; si tratta di una consegna contrattata su basi nuove, ma resta pur sempre un riconsegnare nuovamente la gestione della crescita e della vita quotidiana a nuovi contesti e a nuovi soggetti; e ciò mentre opera i primi incerti tentativi di ascriversi una identità sua propria, frutto di conquista e fatica personale, di scelte soggettive.
    Tutto questo assume però una valenza nuova: è la conquista di alcune condizioni preliminari al processo di appropriazione della vita e di elaborazione della identità personale.
    Si può allora pensare all'avvio di un nuovo processo di identificazione, di una ricerca e di un bisogno di nuovi contesti identificativi per il preadolescente, entro i quali egli si ritaglia (ancora per eterodefinizione, anche se in parte contrattata) una identità situazionale, contestuale, su misura.
    Per questo è rilevante il cambio dei contesti di identificazione che i preadolescenti realizzano.
    Un ulteriore elemento da tener presente nella situazione dei preadolescenti è quello dell'avvio appena incipiente di tutto il processo di elaborazione della identità soggettiva attorno alla ricerca/scoperta/produzione dei significati e del senso delle esperienze vitali, senza poter giungere (se non in maniera «puntiforme») a porsi in termini riflessi il problema e la domanda intorno al senso globale dell'esistenza[4].

    L'obiettivo fa problema

    La situazione descritta sembra mettere in discussione l'obiettivo integrazione fede-vita nella sua legittimità, oltre che nella sua praticabilità, e, più ancora, nella sua significatività per la preadolescenza odierna.
    L'obiettivo della pastorale viene infatti formulato attraverso il modello dell'identità (per quanto imperfetta e debole si voglia), in quanto colloca la fede dell'uomo al livello della produzione del senso e della sua ricerca: dai frammenti ad una loro composizione in unità, allo sfondamento del senso che ha pretese totalitarie, fino alla ricerca del senso donato a cui acconsentire.
    Questa messa in crisi dell'obiettivo è proprio legata al fatto che il preadolescente attuale vive una situazione di moratoria, di sospensione dell'identità, in quanto comincia appena a porne le premesse; inoltre la via della produzione umana del senso è da lui appena percepita e «sentita», e il processo di produzione dei significati e dei frammenti di senso delle esperienze quotidiane è appena avviato, senza giungere propriamente allo sfondamento e alla attesa del fondamento.
    Siamo in un vicolo cieco?
    Cediamo alla tentazione di squalificare l'obiettivo della pastorale per i preadolescenti di oggi? Decidiamo di rinunciarvi in attesa di tempi più felici?
    Credo ci siano ancora spazi e vie d'uscita per un ripensamento profondo dello stesso obiettivo.

    LA RIFORMULAZIONE DELL'OBIETTIVO PROVOCATA DAI DESTINATARI

    Decisi a non abbandonare troppo presto il campo, ci chiediamo: cosa implica tutto ciò per la riformulazione dell'obiettivo integrazione fedevita, se ad esso non intendiamo rinunciare?
    Ci sembra possibile guardare le cose da una prospettiva nuova, suggerita dal rilievo sulla situazione.
    Occorre però operare uno spostamento, una dislocazione dell'attenzione pastorale, dall'integrazione fede-vita, ricompresa nei termini dell'identità, all'integrazione fede-vita pensata nei termini di una nuova identificazione.
    L'obiettivo della pastorale dei preadolescenti andrebbe così pensato nella direzione di una ricerca, di una accettazione e di una integrazione attiva del preadolescente dentro un «nuovo contesto identificativo» che garantisca la possibilità, offertagli dall'esterno ma acconsentita responsabilmente, di ritrovare un minimo di interpretazione unificante della vita e delle esperienze dentro un senso più grande.
    Ciò dovrà essere considerato certamente «momento transizionale», soluzione instabile e provvisoria; esso avrà tuttavia la funzione di provocare e sollecitare i soggetti nella direzione di una progressiva autodefinizione e di una autonomizzazione della produzione dei significati e del senso della vita, sempre però nella condizione vitale e irrinunciabile del radicamento e dello scambio simbolico con gli altri e con i significati e il senso codificato nella cultura.
    Da questo nuovo punto di vista integrazione fede-vita, per il preadolescente di oggi, è pronunciare un «sì insieme a Gesù Cristo», Signore della sua vita. Un «sì» perciò ad una appartenenza vitale qualitativamente nuova, rispetto alle precedenti appartenenze; un sì ad un contesto identificativo, in cui Gesù Cristo sia giocato come il determinante oggettivamente, anche se non in maniera direttamente tematizzata, nella produzione della vita (le esperienze vissute) in quel contesto.
    Non dunque un contesto in cui Gesù di Nazareth sia il «grande assente», o viceversa il «grande invasore».
    Tale funzione critico-profetica naturalmente sarà garantita dall'adulto, da quelle figure educative vitalmente appartenenti ad una comunità educativa che vive essa stessa in integrazione fede-vita e gioca continuamente nell'educativo (cioè nella produzione vitale di esperienze umanizzanti) la funzione risignificante e critico-profetica della fede.
    Questa formulazione tuttavia, mentre supera la prima delle nostre difficoltà, non ci soddisfa ancora pienamente, se si pone attenzione alla situazione realissima dei destinatari.
    Molti preadolescenti rimarrebbero esclusi dalla nostra proposta, attraverso una formulazione ancora discriminante dell'obiettivo.
    Non è troppo chiedere a tanti preadolescenti, con la loro sete di appartenenze nuove, un «sì» ad un contesto identificativo in cui Gesù Cristo sia giocato in maniera tematizzata come determinante? Non è già questo «sì», un «sì troppo grande», perché espresso in maniera tematizzata ed esplicita, tutto giocato sul versante della fede oggettivata?
    Molti preadolescenti al presente si presentano disponibili all'assunzione di un nuovo contesto identificativo liberante, tuttavia non giungono ancora, né sembrano affascinati, alla scelta esplicita e tematizzata di un contesto identificativo entro il quale Gesù Cristo sia confessato il Signore della vita e abbia il ruolo di determinante nelle produzioni di vita al suo interno.
    Le disponibilità di tanti soggetti è grande nel coinvolgersi insieme per la produzione e sperimentazione di uno stile nuovo di vita, di esperienze vitali liberanti, anche se misurate ancora spesso su domande a corto respiro.
    Tale disponibilità ed entusiasmo invece appaiono meno evidenti quando risuonano contenuti e linguaggi «religiosi» che hanno sapore di un passato o di un presente che, nel loro vissuto, richiamano troppo poco la vita nella sua quotidianità e nel suo fascino, insieme alla sua liberazione fantasiosa.
    Per molti di questi preadolescenti Gesù di Nazareth appare scarsamente connesso alla ricerca dell'esperienza vitale e liberante della crescita e del cambio.
    Anzi questo «mondo religioso» richiama contesti identificativi e appartenenze infantili di cui disfarsi al più presto; e il mondo della fede acquista la forma di un'azione forzata, predisposta ancora una volta dai grandi, tesa a conservarli più a lungo tempo bambini, a trattenerli nel giardino beato dell'infanzia.

    LA «VITA»: IL CONTENUTO DELLA NUOVA APPARTENENZA

    La ricerca e la riflessione di questi anni attorno all'obiettivo della pastorale giovanile possono venirci in soccorso.
    Esse hanno individuato nella vita, e nella vita quotidiana del giovane, quel progetto tutto carico di oggettività (che esprime tutto il contenuto richiesto dalla integrazione fede-vita a livello teologico) e che è contemporaneamente tutto collocato dalla parte dei soggetti in via di umanizzazione e di autonomizzazione, e può perciò crescere progressivamente in consapevolezza e decisionalità.
    La ricerca che ci precede raccoglie infatti il consenso di tanti operatori di pastorale che si ritrovano a far sbocciare nei giovani il «sì alla loro vita» come decisione progressiva e responsabile per essa. E per tutti costoro, il «sì» del giovane alla propria vita è già un «sì» a Gesù Cristo, anche se non ancora assunto in consapevolezza soggettiva.
    La vita infatti di ogni persona, assunta sul serio e in radicalità, dentro l'amore alla vita, inchioda l'uomo alla verità più profonda della sua esperienza.
    Per il preadolescente allora il «sì» al contesto vitale e alla nuova appartenenza diviene un «si» progressivo, pronunciato insieme a tanti, alla sua vita quotidiana, e esso, in questa prospettiva germinale, è già «sì» a Gesù Cristo.
    Questa piccola decisione, che maturerà solo progressivamente in consapevolezza e responsabilità, è già integrazione fede-vita, ma solo all'interno di una logica nuova, quella del seme.
    «La vita (del preadolescente) è come un seme: si porta dentro tutta la pianta in quel minuscolo frammento di vita in cui si esprime. Per la forza intrinseca di cui è dotata e in presenza di condizioni favorevoli, essa progressivamente esplode in qualcosa di continuamente nuovo.
    Le foglie, il tronco, i rami non si aggiungono dall'esterno. Non sono materiali da assemblare.
    Sono già presenti, in germe, in codice segreto: il seme è già la grande pianta, anche se lo diventa giorno per giorno[5].
    Il sì all'avventura della vita in cui il preadolescente è coinvolto, il sì che cresce in consapevolezza e decisionalità, in solidarietà profonda e con i primi tratti della soggettività, è già «sì» al Signore di questa vita, anche se esso può divenire solo successivamente un sì tematizzato, esplicito, consapevole in pienezza.
    Così il «si a Gesù Cristo, Signore della vita», diviene, per i preadolescenti di oggi, anzitutto un «si insieme alla vita».
    Il sì corale alla vita, celebrato dentro questo nuovo contesto dal preadolescente, è già un «sì insieme» a Gesù Cristo, Signore della loro vita.

    SÌ ALLA VITA DA PREADOLESCENTI: APPASSIONARSI NEL DIVENIRE «ALTRI»

    Occorre ora definire, con fedeltà e aderenza alla situazione del preadolescente, che cosa è «vita» per lui e in che cosa consiste il suo «sì insieme» a questa vita.
    Successivamente sarà necessario anche individuare quali tappe possano garantire la progressività del suo «sì», celebrato in una compagnia grande. L'accettazione della vita del preadolescente non può identificarsi con il sì alla vita dell'adolescente e del giovane, e tanto meno con il sì dell'uomo adulto. È, deve essere, un sì da preadolescente.
    Proponiamo che questo sì alla vita venga interpretato per i preadolescenti come un grande e corale «si al cambio»: il sì alla crescita, pronunciata in compagnia di altri, nel sostegno e nella solidarietà del nuovo contesto identificativo.
    Un sì globale alla vita nelle sue forme preadolescenziali, esprime per noi ciò che è integrazione fede-vita.

    Sì alla vita come si al «cambio»

    Abbiamo proprio identificato nel «cambio» la modalità tutta preadolescenziale di vivere l'avvio del processo di elaborazione dell'identità. Assumere il «cambio» è decidere di prendere parte all'avventura di liberare la vita nella novità e originalità delle sue forme tutte da inventare insieme, non da ricopiare; esprime la decisione, che germoglia dentro un grembo vitale, di «cambiare pelle» con coraggio, vincendo le paure e la nostalgia dei percorsi di sempre; è la decisione di non accontentarsi più di vivere da bambino, delegando ad altri l'interpretazione e la progettazione delle risposte ai bisogni, vecchi e nuovi; è riconoscere e accettare, anche se con fatica, l'esigenza di mettersi in cammino su un sentiero in salita, per cercare sé stessi, nella «diversità» dal proprio passato; è accettare di liberare la forza vitale che ognuno sente dentro per assumere atteggiamenti e dar vita a comportamenti nuovi, originali e differenti dal copione solito.
    Tutto ciò però a due condizioni irrinunciabili:
    - la prima, è quella di non tentare l'avventura, per altro illusoria, da solo, ma scegliendo una ben determinata compagnia, nata dentro un patto scelto e condiviso;
    - la seconda di non buttarsi acriticamente tutto il passato dietro le spalle, ma di accettare un duro confronto-scontro con coloro che sono portatori di un tesoro irrinunciabile: il tesoro della loro esperienza e di quella che da altri hanno ricevuto in dono; in altri termini, un «passato più grande»: la memoria culturale.
    Un sì dunque al cambio, ma un sì ad affondare le radici nella storia della vita che cresce, una storia della vita fatta da tanti soggetti singoli e collettivi insieme.


    NOTE

    [1] Tonelli R., Pastorale giovanlle e animazione, LDC, Torino, 1987, p. 87.
    [2] Tonelli R., Pastorale giovanile, LAS, Roma, 1987, p. 143 e ss.
    [3] Cf il Dossier Oltre la crisi di senso, nuovi itinerari per i giovani? in NPG 5/1986 pp. 330.
    [4] Cf Delpiano M., Preadolescenti e domanda religiosa, in NPG 7/87 pp. 66-77.
    [5] Tonelli R., Pastorale giovanile e animazione, LDC, Torino, 1986 p. 92.


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