Egidio Viganò
(NPG 1987-09-28)
Questo mio intervento presenta alcune riflessioni indotte dal vissuto conciliare. Rifletto partendo da esperienza diretta degli eventi del Vaticano II e dall’esercizio del mio ministero di responsabilità nell’animazione e conduzione della Congregazione dei Salesiani di Don Bosco.
Più che altro, le mie riflessioni hanno il valore di una testimonianza accompagnata da preoccupazione di oggettività, nella consapevolezza, sorretta dalla preghiera, di offrire orientamenti di vita; spero siano espressione, anche se limitata e umile, di una visione sintetica di prospettive di fede.
Considero il Vaticano II come la più importante profezia della Chiesa nel secolo XX.
Oggi non ci si può riferire a questo Concilio senza prendere in conto il Sinodo straordinario dei Vescovi del novembre-dicembre 1985.
Questa assemblea episcopale si è dedicata a una rilettura globale ed autorevole del significato e della proiezione storica del grande evento conciliare.
Ha segnalato, tra l’altro, alcune ombre del ventennio postconciliare circa la conoscenza e l’accettazione del Concilio.
Per questo i padri sinodali hanno riconosciuto l’urgente necessità di «una più profonda recezione del Concilio; la quale esige quattro passi successivi: una conoscenza più ampia e più profonda del Concilio, la sua assimilazione interiore, la sua riaffermazione amorosa e la sua attuazione. Solamente l’assimilazione interiore e l’attuazione pratica possono rendere vivi e vivificanti i documenti conciliari».
In tutti i casi, il Sinodo ha proclamato che, dopo venti anni, il Concilio è più profezia viva oggi che allora.
L’ORBITA DEL CONCILIO VATICANO II
Noi qui parliamo di «orbita» del Vaticano II; più che alla materialità dei documenti letti in forma magari disorganica, con facile pericolo di strumentalizzazione nell’uno o nell’altro senso, puntiamo sul genuino «spirito» del Concilio.
Anche questa espressione, tuttavia, potrebbe venire manipolata ad opera di qualche pensatore arbitrario. Questo è stato esplicitamente discusso nell’assemblea sinodale; infatti la Relazione finale afferma che: «non è lecito separare l’indole pastorale dal vigore dottrinale dei documenti».
Il termine «orbita» è stimolante: indica una traiettoria in veloce movimento, non statica né costretta a progredire assoggettata a dei binari fissati da qualche ingegnere per un itinerario già dettagliatamente programmato. Il Concilio ha aperto orizzonti, esige continua creatività lungo i decenni che decorrono, l’accelerazione della storia (che è uno dei segni dei tempi) richiede un costante adeguamento tra Chiesa e Uomo, se si vuole considerare davvero il Popolo di Dio come il «sacramento di salvezza» nell’oggi. L’«orbita» ci fa pensare ai grandi principi rinnovatori del Concilio, in quanto devono offrire risposte concrete alle sfide dei tempi. Per esempio, i criteri per un approccio illuminatore:
- tra processo di «secolarizzazione» e presenza trasformatrice del Mistero nella storia;
- tra impegno di «liberazione» e le esigenze oggettive della verità salvifica sull’uomo, su tutti gli uomini, sui. poveri nella integralità della loro vita e anche sugli altri;
- tra «cultura emergente» e urgenza di nuova inculturazione del Vangelo;
- tra «sacralità» e «profanità» nel superamento di un dualismo ormai obsoleto di fronte all’incarnazione del Verbo.
Dunque, il Vaticano II ci lancia in un’«orbita» definita, ma in veloce e audace progresso, non chiusa bensì sempre aperta e attenta ai problemi nuovi, all’evoluzione dei segni dei tempi, alle sfide emergenti della condizione umana, specialmente se giovanile.
IN ORBITA CON I GIOVANI DI OGGI
Predicando gli Esercizi Spirituali al Papa, precisamente circa l’attualità profetica del Vaticano II, mi sono soffermato sull’aspetto escatologico della Chiesa nella storia come un «dono di giovinezza» che caratterizza la sua missione nell’«ultima fase dei tempi nuovi» (Lumen Gentium, 48).
Ho insistito sul dinamismo proprio del «tempo intermedio» tra la Pasqua e la Parusia.
Questa ottica voleva sottolineare la profonda sintonia che c’è tra «risurrezione» e «giovinezza».
Escatologia e giovinezza
Essa offre al Popolo di Dio una forza di speranza che lo protende verso il futuro operando nella tensione tra i due poli del «già» e «non ancora», per essere sempre pronto a rispondere a quelli che chiedono spiegazioni sulla «sua speranza» (1 Pt 3, 15) (cf Egidio Viganò, Mistero e storia, SEI, 1986, pag. 223-239). Questo suggestivo rapporto tra escatologia e giovinezza viene indicato esplicitamente nel Messaggio finale del Vaticano II ai giovani; vi si afferma innanzitutto che la Chiesa, «ricca di un lungo passato sempre in essa vivente, e camminando verso la perfezione umana nel tempo e verso i destini ultimi della storia e della vita, è la vera giovinezza del mondo». E poi si sottolinea la forza, la gioia e la generosità dei giovani per «costruire nell’entusiasmo un mondo migliore di quello attuale» (Messaggio, 8 dicembre 1965). Questo bel Messaggio ai giovani è certamente degno di nota. Il nostro proposito di raccogliere con i giovani la profezia del Vaticano II non si può ridurre alla lettura di alcuni passaggi in cui i documenti parlino direttamente solo della gioventù; essi sono pochi, anche se significativi. Invece è veramente indispensabile saper percepire, insieme ai giovani, tutto lo spirito del Concilio.
In tale prospettiva va intesa l’esortazione della Relazione finale del Sinodo 85: «Questo sinodo straordinario si rivolge con speciale amore e grande fiducia ai giovani e si attende grandi cose dalla loro generosa dedizione e li esorta affinché raccolgano e continuino dinamicamente l’eredità del Concilio, assumendo il loro ruolo nella missione della Chiesa» (Relazione finale, II, C, 6).
Ad ogni modo bisognerà tenere in conto anche i passaggi dei documenti che si riferiscono esplicitamente ai giovani. Possiamo ricordarli prima di suggerire le grandi linee da preferire nella visione globale dell’insieme.
Il volto ringiovanito della Chiesa
Il volto ringiovanito della Chiesa bisogna individuarlo innanzitutto partendo dalla globalità della profezia del Vaticano II. Il Sinodo straordinario dell’85 ci ha indicato autorevolmente il modo di poterlo fare bene. È indispensabile conoscere ed assimilare le grandi linee orientatrici dei documenti conciliari per assicurare una più profonda accettazione del Vaticano II. Come dice la Relazione finale dei Vescovi: «L’interpretazione teologica della dottrina conciliare deve tener presenti tutti i documenti in se stessi e nel loro rapporto stretto con gli altri, in modo che sia possibile comprendere ed esporre il significato integrale delle sentenze del Concilio spesso molto complesse. Si deve dedicare un’attenzione speciale alle quattro costituzioni maggiori del Concilio, le quali sono la chiave interpretativa degli altri decreti e dichiarazioni. Non è lecito separare l’indole pastorale dal vigore dottrinale dei documenti» (Relazione finale, I, 5).
C’è, dunque, un indispensabile lavoro da fare con i giovani per accompagnarli nel leggere il Vaticano II in forma organica, genuina e profetica, che alimenti la loro intelligenza e il loro cuore con le linee centrali dell’evento conciliare. Senza questo studio di fedele competenza corriamo il rischio di non essere docili alla straordinaria visita dello Spirito Santo per preparare la Chiesa di Cristo al terzo millennio. Nella rilettura organica proposta dal recente Sinodo straordinario possiamo percepire i grandi tratti individuanti il volto ringiovanito della Chiesa. La loro presentazione, pur nei limiti di uno sguardo sintetico, ci dà modo di indicare alcune grandi piste del nostro impegno di consegnare vitalmente il Concilio ai giovani.
I tratti caratterizzanti del volto della Chiesa
Seguendo l’orientamento di «dedicare un’attenzione speciale alle quattro costituzioni maggiori del Concilio», possiamo individuare quattro tratti caratterizzanti la fisionomia del volto ringiovanito della Chiesa. Eccoli:
- «Immagine», nella storia, del Dio vivente: ossia una Chiesa testimone e portatrice a tutti delle ricchezze salvifiche del Mistero (cf Lumen Gentium);
- «Mediatrice» dell’Alleanza definitiva della Pasqua: ossia una Chiesa esecutrice dell’originalissimo sacerdozio della Nuova Alleanza (cf Sacrosanctum Concilium);
- «Profeta» per i tempi nuovi: ossia una Chiesa proclamatrice della Parola di Dio come messaggio attuale dell’uomo nel contesto del suo divenire (cf Dei Verbum);
- «Concittadina» dei popoli in cammino: ossia una Chiesa esperta in umanità che fermenta la cultura emergente e guida tutti alla vera liberazione (cf Gaudium et spes).
ALCUNE TRAIETTORIE PER L’ENTRATA IN ORBITA
Questo ringiovanimento conciliare del volto della Chiesa ce la deve far amare come l’unico genuino Corpo di Cristo in questo nostro scorcio di secolo. E siccome noi stessi siamo Chiesa, sarà indispensabile sentirci coinvolti, insieme ai giovani, nel far crescere in noi stessi i tratti caratterizzanti del suo ringiovanimento: una faccia da «santi» nella storia; una faccia da «liturghi» dell’attività umana, una faccia da «profeti» del terzo millennio; una faccia da «concittadini» del rinnovamento e ristrutturazione della società.
L’esperienza ministeriale di questi anni mi ha convinto sempre più che il Vaticano II chiede agli operatori pastorali le seguenti linee fondamentali d’impegno.
Un nuova santità
La società si sta sommergendo - come ha constatato il Sinodo straordinario - in un secolarismo infecondo; esso «consiste in una visione autonomistica dell’uomo e del mondo, la quale prescinde dalla dimensione del Mistero, anzi la trascura e la nega. Questo immanentismo conduce ad una nuova idolatria e alla schiavitù delle ideologie» (Relazione finale, II, 1).
La profezia del Vaticano II intende correre ai ripari riportando la Chiesa al suo nucleo centrale di vita e di missione; è un centro trinitario e soteriologico che deve far brillare in essa il volto di Cristo come «Luce dei popoli». Di qui l’insistente invito a una concreta conversione del Popolo di Dio alla santità. La novità di tale impegno spirituale sta nel curare la pienezza della vita nello Spirito, che è potenza di novità e di trasformazione di tutto ciò che emerge nel divenire dell’uomo: così costruisce una santità che va più in là di standardizzati atteggiamenti moralistici o di semplici ripetizioni materiali di forme religioso-culturali ormai sorpassate.
Questo fondamentale impegno esige in concreto il rilancio di una rinnovata «spiritualità giovanile».
Spiritualità è saper scoprire, coltivare e testimoniare le ricchezze del Mistero non solo in se stesse, ma anche come dono vitale al mondo di oggi e come risposta salvifica alle sue interpellanze.
Saper far questo con i giovani è assolutamente prioritario per accompagnarli nella soluzione dei nodi problematici della loro esistenza.
Il rilancio, per altro già iniziato, di una genuina spiritualità giovanile si muove su due livelli: uno è quello di un insieme di contenuti specifici ed appropriati che assicuri il rinnovamento e la crescita di santità; l’altro è quello di una metodologia costante e concreta che accompagna quotidianamente il percorso spirituale dei giovani, che comporta farli incontrare personalmente con Cristo: ascoltando la sua Parola, costruendo il suo Corpo con l’Eucaristia e sperimentando i vantaggi terapeutici della Riconciliazione. Urge saper ritornare, in forma aggiornata, a una simile pedagogia di santità giovanile.
Una nuova sacramentalità
Una delle caratteristiche della profezia del Vaticano II è la considerazione della peculiare presenza della Chiesa nel mondo, così da doversi parlare globalmente di una sua indispensabile «dimensione secolare». Essa è inserita nel secolo per la salvezza dell’uomo. È da questo punto di vista che il Sinodo straordinario afferma «la grande importanza e la grande attualità della costituzione pastorale Gaudium et spes (Relazione finale, II, D, 1).
Molte sono le conseguenze di rinnovamento di tale considerazione conciliare. Qui concentriamo l’attenzione sul fatto che la Chiesa si presenta come il «sacramento universale di salvezza». Da questa angolatura deriva una considerazione «nuova» dalla sacramentalità come esplicitazione realistica della densità del Mistero. In tal senso appare originalissima la liturgia della Chiesa, come costruttrice di una dimensione storica della presenza del Mistero. Un concreto così personalizzato di sacramentalità non potrà mai da origine a un semplice spiritualismo intimista.
Secondo il Concilio, «il sacramento vivente nella storia è tutta la Chiesa. Essa non è l’’ottavo’ sacramento, ma la meta a cui tendono i sette sacramenti centrati sull’Eucaristia e perfezionati in essa: la Chiesa-sacramento costituisce la realtà finale e viva del dinamismo santificante di ognuno dei sacramenti, il risultato dell’efficacia salvifica che passa attraverso ognuno di essi. I sette sacramenti sono delle mediazioni con cui il Signore e il suo Spirito edificano il sacramento fondamentale che è la Chiesa in quanto ‘Corpo di Cristo’ nel mondo» (Egidio Viganò, Missione e storia, SEI, pag. 100; cf ss.). Il Battesimo (incorporazione), la Penitenza (conversione), l’Ordine (guida), l’Eucaristia (comunione) e gli altri, dirigono la loro efficacia a trasformare la persona stessa dei credenti e le loro comunità per essere segni portatori del Mistero, e così agire nella storia come un vero Corpo di Cristo; ossia, affinché diventino Chiesa vitalmente, con la loro esistenza, con la loro attività, con la loro testimonianza.
È questo un aspetto da approfondire con i giovani per capire, insieme con loro, sia l’originale trascendenza della natura propria della Chiesa, sia la sua indispensabile immanenza secolare nelle vicissitudini umane, nelle culture, nelle società.
Mi sembra opportuno ricordare due impegni concreti in questa linea della «nuova» sacramentalità ecclesiale.
Il primo si riferisce alla formazione del «senso di appartenenza» e del «coraggio di testimonianza» del suo Mistero in vitale comunione e in attiva partecipazione alla sua natura atipica: si tratta della consapevolezza, della gioia e del realismo di essere cristiano oggi, membro convinto e valoroso di un Popolo di Dio che è fermento delle nazioni e delle culture: il coraggio di essere cristiani in società!
Il secondo si riferisce alla considerazione della dimensione sacramentale del ruolo dei pastori.
Il Vaticano II ha approfondito la sacramentalità dell’ordine che si proietta nella rinnovata concezione della collegialità episcopale. La conoscenza della natura specifica del ruolo del Papa e dei Vescovi e l’adesione attenta e sincera al loro magistero, perché segni e portatori della capitalità di Cristo, è oggi una delle più delicate urgenze ecclesiali. È facile trovare, anche tra docenti cattolici, chi mette tra parentesi questo aspetto emarginandolo dalla profezia conciliare, tanto chiara su questo punto.
Una nuova evangelizzazione
I profondi e rapidi mutamenti culturali in corso hanno portato con sé disorientamento dottrinale, relativismo religioso, pluralismo di concezioni etiche, oscuramento delle verità sull’uomo, sulla società, sulle finalità dell’esistenza. Come non mai oggi c’è bisogno nel secolo delle luci del Vangelo. Il Vaticano II ha intuito questa urgenza e ha messo come fondamento di tutti i suoi lavori una rilettura della Parola di Dio che sia anche messaggio di risposta salvifica a tante domande e inquietudini dell’uomo d’oggi. È sintomatico che il Sinodo straordinario, a vent’anni di distanza, abbia messo come sintesi di una rilettura profetica e organica di tutto il Concilio il seguente titolo: «La Chiesa nella Parola di Dio celebra i misteri di Cristo per la salvezza del mondo».
I giovani hanno sete di ideali e ricercano in tanti modi la verità di fondo, negli orizzonti dell’esistenza, nella ricerca di un modello d’uomo, nella concezione della sua dignità, nel significato dell’amore e nella motivazioni degli atteggiamenti di condotta. C’è vero bisogno di più Parola di Dio, di più chiarezza di Vangelo, di più inculturazione della fede, di più dimestichezza con la rivelazione del Cristo.
La sempre attuale esortazione apostolica di Paolo VI, Evangelii nuntiandi, ci ha voluto introdurre appunto nella complessa e urgente necessità di una «nuova» evangelizzazione. La Catechesi tradendae di Giovanni Paolo II ha voluto apportare altre indicazioni, ricordando anche le esigenze di una pedagogia della fede: «l’irriducibile originalità dell’identità cristiana ha per corollario e condizione una pedagogia non meno originale della fede: si tratta di comunicare nella sua integrità la rivelazione di Dio; e lui stesso, nel corso della storia sacra e soprattutto del Vangelo, si è servito di una pedagogia, che deve restare come modello per la pedagogia della fede» (CT 58).
La «novità» dell’evangelizzazione oggi implica due livelli: uno è il ripensamento dei contenuti da trasmettere alla luce dei grandi orientamenti pastorali del Vaticano II; l’altro è l’accurata ed aggiornata conoscenza dei segni dei tempi, dei loro processi di sviluppo, dei cambiamenti di mentalità nella gente e nei nuclei più significativi della cultura emergente; i giovani vivono appunto in questo magma culturale che avanza. C’è, perciò, un insieme considerevole di esigenze per un rinnovamento sia contenutistico che culturale e pedagogico. La considerazione dell’attuale scristianizzazione della società fa pensare giustamente a una «nuova» evangelizzazione.
Una nuova socializzazione
Il Vaticano II ha messo a fuoco due importanti indirizzi di dinamismo pastorale, che sono: da una parte, il principio di «comunione e partecipazione» (evidentemente non in semplice prospettiva sociologica): «l’ecclesiologia di comunione - dice la Relazione finale del Sinodo straordinario - è l’idea centrale e fondamentale nei documenti del Concilio» (RF, II, C, 1); e, dall’altra, il rilancio della «vocazione e missione dei laici» nella Chiesa e nella società.
La presenza del Popolo di Dio nel mondo, con la sua concreta dimensione secolare, ha messo in luce un’ampia visione della «laicità» con la conseguente vasta panoramica della giusta autonomia dei valori temporali. Così emerge un modo nuovo di sentirsi membri vivi e corresponsabili sia nella comunità ecclesiale (partecipazione, ecumenismo, dialogo con le religioni non cristiane e con i non credenti), come in quella sociale (autenticità democratica, senso del bene comune, servizio dello stato alla comunità civile). I giovani hanno intuito, con istinto di futuro, il segno dei tempi del processo di socializzazione, e ne hanno manifestato la consapevolezza anche con eventi dirompenti. È una novità, di per sé assai positiva, che dovrebbe servire a fare crescere la comunione e la partecipazione.
In questo nuovo stile di convivenza e di collaborazione entra anche un altro segno dei tempi: quello della promozione della donna, della sua dignità e vocazione e del suo specifico ruolo nella storia.
Così, nella Chiesa, i giovani (uomini e donne) devono sentirsi protagonisti, insieme agli altri, della testimonianza del suo Mistero e della partecipazione attiva alla sua missione. Raccogliere con loro la profezia del Concilio comporterà un modo nuovo di «essere Chiesa», con un caratteristico loro apporto negli impegni sopra ricordati di santità, di sacramentalità e di evangelizzazione. Giustamente il Sinodo straordinario ha proclamato che «si attende grandi cose dalla loro generosa dedizione». Una loro risposta positiva è «da annoverare tra i migliori frutti del Concilio».
E, nella società, i giovani (uomini e donne) devono anche sentirsi protagonisti, insieme agli altri, dei valori personali, familiari, culturali, economici e politici. L’ordine temporale ha bisogno dell’animazione cristiana. Essa «non solo non lo priva della sua autonomia, dei suoi propri fini, leggi, mezzi, della sua importanza per il bene degli uomini, ma anzi lo perfeziona nella sua consistenza e nella propria eccellenza e nello stesso tempo lo adegua alla vocazione totale dell’uomo sulla terra» (Apostolicam actuositatem, 7).
Qui si apre un campo assai esigente nella formazione dei giovani, in sintonia con tutto il processo di liberazione che esige chiarezza di visione cristiana, capacità critica verso impostazioni ideologiche, amore preferenziale per i poveri e opzione per la pace con una non debole conoscenza dell’insegnamento sociale della Chiesa.
Nell’Istruzione su «Libertà cristiana e liberazione» leggiamo la seguente affermazione impattante: «Una sfida senza precedenti è lanciata oggi ai cristiani che operano per realizzare la ‘civiltà dell’amore’, la quale compendia tutta l’eredità etico-culturale del Vangelo. Questo compito richiede una nuova riflessione su ciò che costituisce il rapporto del comandamento supremo dell’amore con l’ordine sociale considerato in tutta la sua complessità» (LC 81). Troviamo in questa sfida una forte novità pastorale da condividere con i giovani. È da sottolineare, in questo campo, che per un corretto rapporto tra fede e prassi, tra verità salvifica e condotta cristiana, con il fine di incidere evangelicamente nella storia umana, c’è bisogno di una mediazione dottrinale pastoralmente qualificata che guidi a tradurre in pratica la carità testimoniata e comunicata dal Signore. Tale mediazione è «l’insegnamento sociale del Magistero». Esso ha oggi particolare rilievo.
Una nuova educazione
I quattro aspetti di «novità» or ora indicati si devono concentrare in una metodologia di educazione rinnovata.
Se alle riflessioni già esposte si sommano i progressi portati anche da un altro segno dei tempi, quello del processo di personalizzazione, aumenta ancora di più l’urgenza di una svolta notevole nell’area pedagogica dell’educazione dei giovani.
Già la dichiarazione conciliare sull’«Educazione cristiana» era passata, come abbiamo visto, dai limiti della scuola cattolica ai più vasti orizzonti della pastorale giovanile, vincolandosi indissolubilmente tra loro: «educare evangelizzando ed evangelizzare educando».
La dimensione pastorale deve permeare i nostri impegni educativi, e la nostra azione educativa deve apportare concretezza alla nostra intenzionalità pastorale.
La giusta autonomia dei valori educativi umani non si oppone alle finalità pastorali, anzi è richiesta da esse per non cadere in una strumentalizzazione proselitista. Cosi, per fare un esempio, una scuola cattolica che non sappia armonizzare dovutamente questi due aspetti complementari, tradirebbe la natura propria o della «scuola» o della «pastorale»: della scuola, perché (nell’un caso) la sua confessionalità diverrebbe «anticulturale»; e della pastorale, perché (nell’altro caso) la sua cattolicità diverrebbe «anticonciliare».
Il Vaticano II, nella globalità della sua profezia, esige educatori credenti e una profonda revisione delle proprie istituzioni ed attività educative. Oggi sono in parte cambiati e velocemente cresciuti i contenuti della maturazione umana; ed è cambiato anche, e molto più approfondito, chiarito ed esteso, il significato pregnante di «cattolicità», non rinchiuso apologeticamente in una fortezza di difesa, ma proclamato e offerto a tutti nel dialogo sincero di una convinta identità con ampia visione della dignità della persona, della natura della società umana e dei valori delle differenze culturali.
Nella nuova problematica dell’educazione emergono i diritti fondamentali dei genitori, l’intimo rapporto tra pastorale familiare e pastorale giovanile, le esigenze pedagogiche della cultura emergente, l’importanza della vocazione specifica degli educatori, la presenza e il ruolo dei laici nelle istituzioni culturali, la funzione sussidiaria dello stato come garante piuttosto che come gerente, «quando lo stato rivendica a sé il monopolio scolastico - dice l’istruzione sulla Libertà cristiana e liberazione - oltrepassa i suoi diritti e offende la giustizia» (n. 94).
Potremmo dire che il saper raccogliere con i giovani la profezia del Vaticano II si concentra nel rinnovamento della nostra capacità e competenza educativa. Il famoso dramma attuale della rottura tra Vangelo e cultura (cf Evangelii nuntiandi, 20) si concretizza soprattutto nel non facile impegno di armonizzare intimamente tra loro evangelizzazione ed educazione.
Questa mia riflessione è stata orientata a sottolineare appunto la entrata nell’orbita conciliare, come proposito di progettualità.
L’orbita, come abbiamo detto, è un vasto tracciato di movimento dinamizzato da una sintonia mistica con lo Spirito Santo per saper entrare in una nuova era di storia e assumerne le problematiche anche inedite, certamente con senso critico, ma senza frenare la velocità del movimento. Per i lanciati nell’orbita il Concilio offre luce e capacità di risposta alle continue sfide emergenti della vita. Non ha formule. Esige ricerca, studio e creatività.
La Chiesa è stata lanciata in quest’orbita.
Il pericolo sta proprio nel situarsi «altrove», fuori da quest’orbita che, per noi credenti, è stata progettata dall’alto per i prossimi decenni.