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    Con i giovani nell’orbita del Vaticano II



    Egidio Viganò

    (NPG 1987-09-28)


    Questo mio intervento presenta al­cune riflessioni indotte dal vissu­to conciliare. Rifletto partendo da esperienza diretta degli eventi del Vaticano II e dall’esercizio del mio mini­stero di responsabilità nell’animazione e conduzione della Congregazione dei Sa­lesiani di Don Bosco.
    Più che altro, le mie riflessioni hanno il valore di una testimonianza accompa­gnata da preoccupazione di oggettività, nella consapevolezza, sorretta dalla pre­ghiera, di offrire orientamenti di vita; spero siano espressione, anche se limitata e umile, di una visione sintetica di pro­spettive di fede.
    Considero il Vaticano II come la più importante profezia della Chiesa nel se­colo XX.
    Oggi non ci si può riferire a questo Concilio senza prendere in conto il Sino­do straordinario dei Vescovi del novembre-dicembre 1985.
    Questa assemblea episcopale si è dedi­cata a una rilettura globale ed autorevole del significato e della proiezione storica del grande evento conciliare.
    Ha segnalato, tra l’altro, alcune om­bre del ventennio postconciliare circa la conoscenza e l’accettazione del Concilio.
    Per questo i padri sinodali hanno rico­nosciuto l’urgente necessità di «una più profonda recezione del Concilio; la quale esige quattro passi successivi: una cono­scenza più ampia e più profonda del Concilio, la sua assimilazione interiore, la sua riaffermazione amorosa e la sua attuazione. Solamente l’assimilazione interiore e l’attuazione pratica possono rendere vivi e vivificanti i documenti conciliari».
    In tutti i casi, il Sinodo ha proclamato che, dopo venti anni, il Concilio è più profezia viva oggi che allora.

    L’ORBITA DEL CONCILIO VATICANO II

    Noi qui parliamo di «orbita» del Vati­cano II; più che alla materialità dei docu­menti letti in forma magari disorganica, con facile pericolo di strumentalizzazio­ne nell’uno o nell’altro senso, puntiamo sul genuino «spirito» del Concilio.
    Anche questa espressione, tuttavia, potrebbe venire manipolata ad opera di qualche pensatore arbitrario. Questo è stato esplicitamente discusso nell’assem­blea sinodale; infatti la Relazione finale afferma che: «non è lecito separare l’in­dole pastorale dal vigore dottrinale dei documenti».
    Il termine «orbita» è stimolante: indi­ca una traiettoria in veloce movimento, non statica né costretta a progredire as­soggettata a dei binari fissati da qualche ingegnere per un itinerario già dettaglia­tamente programmato. Il Concilio ha aperto orizzonti, esige continua creativi­tà lungo i decenni che decorrono, l’acce­lerazione della storia (che è uno dei segni dei tempi) richiede un costante adegua­mento tra Chiesa e Uomo, se si vuole considerare davvero il Popolo di Dio co­me il «sacramento di salvezza» nell’oggi. L’«orbita» ci fa pensare ai grandi principi rinnovatori del Concilio, in quanto devono offrire risposte concrete alle sfide dei tempi. Per esempio, i criteri per un approccio illuminatore:
    - tra processo di «secolarizzazione» e presenza trasformatrice del Mistero nella storia;
    - tra impegno di «liberazione» e le esigenze oggettive della verità salvifica sull’uomo, su tutti gli uomini, sui. poveri nella integralità della loro vita e anche sugli altri;
    - tra «cultura emergente» e urgenza di nuova inculturazione del Vangelo;
    - tra «sacralità» e «profanità» nel superamento di un dualismo ormai obso­leto di fronte all’incarnazione del Verbo.
    Dunque, il Vaticano II ci lancia in un’«orbita» definita, ma in veloce e au­dace progresso, non chiusa bensì sempre aperta e attenta ai problemi nuovi, all’e­voluzione dei segni dei tempi, alle sfide emergenti della condizione umana, spe­cialmente se giovanile.

    IN ORBITA CON I GIOVANI DI OGGI

    Predicando gli Esercizi Spirituali al Papa, precisamente circa l’attualità pro­fetica del Vaticano II, mi sono soffermato sull’aspetto escatologico della Chiesa nella storia come un «dono di giovinez­za» che caratterizza la sua missione nel­l’«ultima fase dei tempi nuovi» (Lumen Gentium, 48).
    Ho insistito sul dinamismo proprio del «tempo intermedio» tra la Pasqua e la Parusia.
    Questa ottica voleva sottolineare la profonda sintonia che c’è tra «risurrezio­ne» e «giovinezza».

    Escatologia e giovinezza

    Essa offre al Popolo di Dio una forza di speranza che lo protende verso il futu­ro operando nella tensione tra i due poli del «già» e «non ancora», per essere sempre pronto a rispondere a quelli che chiedono spiegazioni sulla «sua speran­za» (1 Pt 3, 15) (cf Egidio Viganò, Miste­ro e storia, SEI, 1986, pag. 223-239). Questo suggestivo rapporto tra escatolo­gia e giovinezza viene indicato esplicita­mente nel Messaggio finale del Vaticano II ai giovani; vi si afferma innanzitutto che la Chiesa, «ricca di un lungo passato sempre in essa vivente, e camminando verso la perfezione umana nel tempo e verso i destini ultimi della storia e della vita, è la vera giovinezza del mondo». E poi si sottolinea la forza, la gioia e la ge­nerosità dei giovani per «costruire nel­l’entusiasmo un mondo migliore di quel­lo attuale» (Messaggio, 8 dicembre 1965). Questo bel Messaggio ai giovani è certamente degno di nota. Il nostro pro­posito di raccogliere con i giovani la pro­fezia del Vaticano II non si può ridurre alla lettura di alcuni passaggi in cui i do­cumenti parlino direttamente solo della gioventù; essi sono pochi, anche se signi­ficativi. Invece è veramente indispensa­bile saper percepire, insieme ai giovani, tutto lo spirito del Concilio.
    In tale prospettiva va intesa l’esorta­zione della Relazione finale del Sinodo 85: «Questo sinodo straordinario si ri­volge con speciale amore e grande fidu­cia ai giovani e si attende grandi cose dalla loro generosa dedizione e li esorta af­finché raccolgano e continuino dinami­camente l’eredità del Concilio, assumendo il loro ruolo nella missione della Chiesa» (Relazione finale, II, C, 6).
    Ad ogni modo bisognerà tenere in conto anche i passaggi dei documenti che si riferiscono esplicitamente ai giovani. Possiamo ricordarli prima di suggerire le grandi linee da preferire nella visione globale dell’insieme.

    Il volto ringiovanito della Chiesa

    Il volto ringiovanito della Chiesa biso­gna individuarlo innanzitutto partendo dalla globalità della profezia del Vatica­no II. Il Sinodo straordinario dell’85 ci ha indicato autorevolmente il modo di poterlo fare bene. È indispensabile cono­scere ed assimilare le grandi linee orien­tatrici dei documenti conciliari per assi­curare una più profonda accettazione del Vaticano II. Come dice la Relazione fi­nale dei Vescovi: «L’interpretazione teo­logica della dottrina conciliare deve tener presenti tutti i documenti in se stessi e nel loro rapporto stretto con gli altri, in mo­do che sia possibile comprendere ed esporre il significato integrale delle sen­tenze del Concilio spesso molto comples­se. Si deve dedicare un’attenzione specia­le alle quattro costituzioni maggiori del Concilio, le quali sono la chiave interpre­tativa degli altri decreti e dichiarazioni. Non è lecito separare l’indole pastorale dal vigore dottrinale dei documenti» (Relazione finale, I, 5).
    C’è, dunque, un indispensabile lavoro da fare con i giovani per accompagnarli nel leggere il Vaticano II in forma orga­nica, genuina e profetica, che alimenti la loro intelligenza e il loro cuore con le linee centrali dell’evento conciliare. Senza questo studio di fedele competenza corriamo il rischio di non essere docili alla straordinaria visita dello Spirito Santo per preparare la Chiesa di Cristo al terzo millennio. Nella rilettura organica pro­posta dal recente Sinodo straordinario possiamo percepire i grandi tratti indivi­duanti il volto ringiovanito della Chiesa. La loro presentazione, pur nei limiti di uno sguardo sintetico, ci dà modo di indicare alcune grandi piste del nostro im­pegno di consegnare vitalmente il Conci­lio ai giovani.

    I tratti caratterizzanti del volto della Chiesa

    Seguendo l’orientamento di «dedicare un’attenzione speciale alle quattro costi­tuzioni maggiori del Concilio», possia­mo individuare quattro tratti caratteriz­zanti la fisionomia del volto ringiovanito della Chiesa. Eccoli:
    - «Immagine», nella storia, del Dio vivente: ossia una Chiesa testimone e portatrice a tutti delle ricchezze salvifi­che del Mistero (cf Lumen Gentium);
    - «Mediatrice» dell’Alleanza defini­tiva della Pasqua: ossia una Chiesa ese­cutrice dell’originalissimo sacerdozio della Nuova Alleanza (cf Sacrosanctum Concilium);
    - «Profeta» per i tempi nuovi: ossia una Chiesa proclamatrice della Parola di Dio come messaggio attuale dell’uomo nel contesto del suo divenire (cf Dei Ver­bum);
    - «Concittadina» dei popoli in cam­mino: ossia una Chiesa esperta in umani­tà che fermenta la cultura emergente e guida tutti alla vera liberazione (cf Gau­dium et spes).

    ALCUNE TRAIETTORIE PER L’ENTRATA IN ORBITA

    Questo ringiovanimento conciliare del volto della Chiesa ce la deve far amare come l’unico genuino Corpo di Cristo in questo nostro scorcio di secolo. E sicco­me noi stessi siamo Chiesa, sarà indispensabile sentirci coinvolti, insieme ai giovani, nel far crescere in noi stessi i tratti caratterizzanti del suo ringiovani­mento: una faccia da «santi» nella sto­ria; una faccia da «liturghi» dell’attività umana, una faccia da «profeti» del terzo millennio; una faccia da «concittadini» del rinnovamento e ristrutturazione della società.
    L’esperienza ministeriale di questi an­ni mi ha convinto sempre più che il Vati­cano II chiede agli operatori pastorali le seguenti linee fondamentali d’impegno.

    Un nuova santità

    La società si sta sommergendo - come ha constatato il Sinodo straordinario - in un secolarismo infecondo; esso «consiste in una visione autonomistica dell’uomo e del mondo, la quale prescinde dalla di­mensione del Mistero, anzi la trascura e la nega. Questo immanentismo conduce ad una nuova idolatria e alla schiavitù delle ideologie» (Relazione finale, II, 1).
    La profezia del Vaticano II intende correre ai ripari riportando la Chiesa al suo nucleo centrale di vita e di missione; è un centro trinitario e soteriologico che deve far brillare in essa il volto di Cristo come «Luce dei popoli». Di qui l’insi­stente invito a una concreta conversione del Popolo di Dio alla santità. La novità di tale impegno spirituale sta nel curare la pienezza della vita nello Spirito, che è potenza di novità e di trasformazione di tutto ciò che emerge nel divenire dell’uo­mo: così costruisce una santità che va più in là di standardizzati atteggiamenti mo­ralistici o di semplici ripetizioni materiali di forme religioso-culturali ormai sor­passate.
    Questo fondamentale impegno esige in concreto il rilancio di una rinnovata «spiritualità giovanile».
    Spiritualità è saper scoprire, coltivare e testimoniare le ricchezze del Mistero non solo in se stesse, ma anche come do­no vitale al mondo di oggi e come rispo­sta salvifica alle sue interpellanze.
    Saper far questo con i giovani è asso­lutamente prioritario per accompagnarli nella soluzione dei nodi problematici del­la loro esistenza.
    Il rilancio, per altro già iniziato, di una genuina spiritualità giovanile si muove su due livelli: uno è quello di un insieme di contenuti specifici ed appropriati che as­sicuri il rinnovamento e la crescita di santità; l’altro è quello di una metodolo­gia costante e concreta che accompagna quotidianamente il percorso spirituale dei giovani, che comporta farli incontra­re personalmente con Cristo: ascoltando la sua Parola, costruendo il suo Corpo con l’Eucaristia e sperimentando i van­taggi terapeutici della Riconciliazione. Urge saper ritornare, in forma aggiorna­ta, a una simile pedagogia di santità gio­vanile.

    Una nuova sacramentalità

    Una delle caratteristiche della profezia del Vaticano II è la considerazione della peculiare presenza della Chiesa nel mon­do, così da doversi parlare globalmente di una sua indispensabile «dimensione secolare». Essa è inserita nel secolo per la salvezza dell’uomo. È da questo punto di vista che il Sinodo straordinario afferma «la grande importanza e la grande attua­lità della costituzione pastorale Gaudium et spes (Relazione finale, II, D, 1).
    Molte sono le conseguenze di rinnova­mento di tale considerazione conciliare. Qui concentriamo l’attenzione sul fatto che la Chiesa si presenta come il «sacra­mento universale di salvezza». Da questa angolatura deriva una considerazione «nuova» dalla sacramentalità come esplicitazione realistica della densità del Mistero. In tal senso appare originalissi­ma la liturgia della Chiesa, come costrut­trice di una dimensione storica della pre­senza del Mistero. Un concreto così per­sonalizzato di sacramentalità non potrà mai da origine a un semplice spirituali­smo intimista.
    Secondo il Concilio, «il sacramento vi­vente nella storia è tutta la Chiesa. Essa non è l’’ottavo’ sacramento, ma la meta a cui tendono i sette sacramenti centrati sull’Eucaristia e perfezionati in essa: la Chiesa-sacramento costituisce la realtà finale e viva del dinamismo santificante di ognuno dei sacramenti, il risultato del­l’efficacia salvifica che passa attraverso ognuno di essi. I sette sacramenti sono delle mediazioni con cui il Signore e il suo Spirito edificano il sacramento fon­damentale che è la Chiesa in quanto ‘Corpo di Cristo’ nel mondo» (Egidio Viganò, Missione e storia, SEI, pag. 100; cf ss.). Il Battesimo (incorporazione), la Penitenza (conversione), l’Ordine (gui­da), l’Eucaristia (comunione) e gli altri, dirigono la loro efficacia a trasformare la persona stessa dei credenti e le loro co­munità per essere segni portatori del Mi­stero, e così agire nella storia come un vero Corpo di Cristo; ossia, affinché di­ventino Chiesa vitalmente, con la loro esistenza, con la loro attività, con la loro testimonianza.
    È questo un aspetto da approfondire con i giovani per capire, insieme con lo­ro, sia l’originale trascendenza della na­tura propria della Chiesa, sia la sua indi­spensabile immanenza secolare nelle vi­cissitudini umane, nelle culture, nelle so­cietà.
    Mi sembra opportuno ricordare due impegni concreti in questa linea della «nuova» sacramentalità ecclesiale.
    Il primo si riferisce alla formazione del «senso di appartenenza» e del «coraggio di testimonianza» del suo Mistero in vi­tale comunione e in attiva partecipazione alla sua natura atipica: si tratta della consapevolezza, della gioia e del reali­smo di essere cristiano oggi, membro convinto e valoroso di un Popolo di Dio che è fermento delle nazioni e delle cultu­re: il coraggio di essere cristiani in socie­tà!
    Il secondo si riferisce alla considera­zione della dimensione sacramentale del ruolo dei pastori.
    Il Vaticano II ha approfondito la sa­cramentalità dell’ordine che si proietta nella rinnovata concezione della collegia­lità episcopale. La conoscenza della na­tura specifica del ruolo del Papa e dei Vescovi e l’adesione attenta e sincera al loro magistero, perché segni e portatori della capitalità di Cristo, è oggi una delle più delicate urgenze ecclesiali. È facile trovare, anche tra docenti cattolici, chi mette tra parentesi questo aspetto emar­ginandolo dalla profezia conciliare, tan­to chiara su questo punto.

    Una nuova evangelizzazione

    I profondi e rapidi mutamenti cultura­li in corso hanno portato con sé disorien­tamento dottrinale, relativismo religioso, pluralismo di concezioni etiche, oscuramento delle verità sull’uomo, sulla socie­tà, sulle finalità dell’esistenza. Come non mai oggi c’è bisogno nel secolo delle luci del Vangelo. Il Vaticano II ha intuito questa urgenza e ha messo come fonda­mento di tutti i suoi lavori una rilettura della Parola di Dio che sia anche messag­gio di risposta salvifica a tante domande e inquietudini dell’uomo d’oggi. È sinto­matico che il Sinodo straordinario, a vent’anni di distanza, abbia messo come sintesi di una rilettura profetica e organi­ca di tutto il Concilio il seguente titolo: «La Chiesa nella Parola di Dio celebra i misteri di Cristo per la salvezza del mon­do».
    I giovani hanno sete di ideali e ricerca­no in tanti modi la verità di fondo, negli orizzonti dell’esistenza, nella ricerca di un modello d’uomo, nella concezione della sua dignità, nel significato dell’a­more e nella motivazioni degli atteggia­menti di condotta. C’è vero bisogno di più Parola di Dio, di più chiarezza di Vangelo, di più inculturazione della fe­de, di più dimestichezza con la rivelazio­ne del Cristo.
    La sempre attuale esortazione aposto­lica di Paolo VI, Evangelii nuntiandi, ci ha voluto introdurre appunto nella com­plessa e urgente necessità di una «nuova» evangelizzazione. La Catechesi traden­dae di Giovanni Paolo II ha voluto ap­portare altre indicazioni, ricordando an­che le esigenze di una pedagogia della fe­de: «l’irriducibile originalità dell’identità cristiana ha per corollario e condizione una pedagogia non meno originale della fede: si tratta di comunicare nella sua in­tegrità la rivelazione di Dio; e lui stesso, nel corso della storia sacra e soprattutto del Vangelo, si è servito di una pedago­gia, che deve restare come modello per la pedagogia della fede» (CT 58).
    La «novità» dell’evangelizzazione oggi implica due livelli: uno è il ripensamento dei contenuti da trasmettere alla luce dei grandi orientamenti pastorali del Vatica­no II; l’altro è l’accurata ed aggiornata conoscenza dei segni dei tempi, dei loro processi di sviluppo, dei cambiamenti di mentalità nella gente e nei nuclei più si­gnificativi della cultura emergente; i gio­vani vivono appunto in questo magma culturale che avanza. C’è, perciò, un in­sieme considerevole di esigenze per un rinnovamento sia contenutistico che cul­turale e pedagogico. La considerazione dell’attuale scristianizzazione della socie­tà fa pensare giustamente a una «nuova» evangelizzazione.

    Una nuova socializzazione

    Il Vaticano II ha messo a fuoco due importanti indirizzi di dinamismo pasto­rale, che sono: da una parte, il principio di «comunione e partecipazione» (evi­dentemente non in semplice prospettiva sociologica): «l’ecclesiologia di comu­nione - dice la Relazione finale del Sino­do straordinario - è l’idea centrale e fon­damentale nei documenti del Concilio» (RF, II, C, 1); e, dall’altra, il rilancio della «vocazione e missione dei laici» nella Chiesa e nella società.
    La presenza del Popolo di Dio nel mondo, con la sua concreta dimensione secolare, ha messo in luce un’ampia vi­sione della «laicità» con la conseguente vasta panoramica della giusta autonomia dei valori temporali. Così emerge un mo­do nuovo di sentirsi membri vivi e corresponsabili sia nella comunità ecclesiale (partecipazione, ecumenismo, dialogo con le religioni non cristiane e con i non credenti), come in quella sociale (autenti­cità democratica, senso del bene comu­ne, servizio dello stato alla comunità ci­vile). I giovani hanno intuito, con istinto di futuro, il segno dei tempi del processo di socializzazione, e ne hanno manifesta­to la consapevolezza anche con eventi di­rompenti. È una novità, di per sé assai positiva, che dovrebbe servire a fare cre­scere la comunione e la partecipazione.
    In questo nuovo stile di convivenza e di collaborazione entra anche un altro segno dei tempi: quello della promozione della donna, della sua dignità e vocazio­ne e del suo specifico ruolo nella storia.
    Così, nella Chiesa, i giovani (uomini e donne) devono sentirsi protagonisti, in­sieme agli altri, della testimonianza del suo Mistero e della partecipazione attiva alla sua missione. Raccogliere con loro la profezia del Concilio comporterà un mo­do nuovo di «essere Chiesa», con un caratteristico loro apporto negli impegni sopra ricordati di santità, di sacramenta­lità e di evangelizzazione. Giustamente il Sinodo straordinario ha proclamato che «si attende grandi cose dalla loro genero­sa dedizione». Una loro risposta positiva è «da annoverare tra i migliori frutti del Concilio».
    E, nella società, i giovani (uomini e donne) devono anche sentirsi protagoni­sti, insieme agli altri, dei valori persona­li, familiari, culturali, economici e politi­ci. L’ordine temporale ha bisogno dell’animazione cristiana. Essa «non solo non lo priva della sua autonomia, dei suoi propri fini, leggi, mezzi, della sua impor­tanza per il bene degli uomini, ma anzi lo perfeziona nella sua consistenza e nella propria eccellenza e nello stesso tempo lo adegua alla vocazione totale dell’uomo sulla terra» (Apostolicam actuositatem, 7).
    Qui si apre un campo assai esigente nella formazione dei giovani, in sintonia con tutto il processo di liberazione che esige chiarezza di visione cristiana, capa­cità critica verso impostazioni ideologi­che, amore preferenziale per i poveri e opzione per la pace con una non debole conoscenza dell’insegnamento sociale della Chiesa.
    Nell’Istruzione su «Libertà cristiana e liberazione» leggiamo la seguente affer­mazione impattante: «Una sfida senza precedenti è lanciata oggi ai cristiani che operano per realizzare la ‘civiltà dell’a­more’, la quale compendia tutta l’eredità etico-culturale del Vangelo. Questo compito richiede una nuova riflessione su ciò che costituisce il rapporto del comandamento supremo dell’amore con l’ordine sociale considerato in tutta la sua com­plessità» (LC 81). Troviamo in questa sfida una forte novità pastorale da condividere con i giovani. È da sottolineare, in questo campo, che per un corretto rapporto tra fede e prassi, tra verità sal­vifica e condotta cristiana, con il fine di incidere evangelicamente nella storia umana, c’è bisogno di una mediazione dottrinale pastoralmente qualificata che guidi a tradurre in pratica la carità testi­moniata e comunicata dal Signore. Tale mediazione è «l’insegnamento sociale del Magistero». Esso ha oggi particolare ri­lievo.

    Una nuova educazione

    I quattro aspetti di «novità» or ora in­dicati si devono concentrare in una me­todologia di educazione rinnovata.
    Se alle riflessioni già esposte si som­mano i progressi portati anche da un al­tro segno dei tempi, quello del processo di personalizzazione, aumenta ancora di più l’urgenza di una svolta notevole nel­l’area pedagogica dell’educazione dei giovani.
    Già la dichiarazione conciliare sul­l’«Educazione cristiana» era passata, co­me abbiamo visto, dai limiti della scuola cattolica ai più vasti orizzonti della pa­storale giovanile, vincolandosi indissolu­bilmente tra loro: «educare evangeliz­zando ed evangelizzare educando».
    La dimensione pastorale deve permea­re i nostri impegni educativi, e la nostra azione educativa deve apportare concre­tezza alla nostra intenzionalità pastorale.
    La giusta autonomia dei valori educa­tivi umani non si oppone alle finalità pa­storali, anzi è richiesta da esse per non cadere in una strumentalizzazione prose­litista. Cosi, per fare un esempio, una scuola cattolica che non sappia armoniz­zare dovutamente questi due aspetti complementari, tradirebbe la natura propria o della «scuola» o della «pasto­rale»: della scuola, perché (nell’un caso) la sua confessionalità diverrebbe «anti­culturale»; e della pastorale, perché (nel­l’altro caso) la sua cattolicità diverrebbe «anticonciliare».
    Il Vaticano II, nella globalità della sua profezia, esige educatori credenti e una profonda revisione delle proprie istitu­zioni ed attività educative. Oggi sono in parte cambiati e velocemente cresciuti i contenuti della maturazione umana; ed è cambiato anche, e molto più approfon­dito, chiarito ed esteso, il significato pre­gnante di «cattolicità», non rinchiuso apologeticamente in una fortezza di dife­sa, ma proclamato e offerto a tutti nel dialogo sincero di una convinta identità con ampia visione della dignità della per­sona, della natura della società umana e dei valori delle differenze culturali.
    Nella nuova problematica dell’educa­zione emergono i diritti fondamentali dei genitori, l’intimo rapporto tra pastorale familiare e pastorale giovanile, le esigen­ze pedagogiche della cultura emergente, l’importanza della vocazione specifica degli educatori, la presenza e il ruolo dei laici nelle istituzioni culturali, la funzio­ne sussidiaria dello stato come garante piuttosto che come gerente, «quando lo stato rivendica a sé il monopolio scolasti­co - dice l’istruzione sulla Libertà cristia­na e liberazione - oltrepassa i suoi diritti e offende la giustizia» (n. 94).
    Potremmo dire che il saper raccogliere con i giovani la profezia del Vaticano II si concentra nel rinnovamento della no­stra capacità e competenza educativa. Il famoso dramma attuale della rottura tra Vangelo e cultura (cf Evangelii nuntian­di, 20) si concretizza soprattutto nel non facile impegno di armonizzare intima­mente tra loro evangelizzazione ed edu­cazione.
    Questa mia riflessione è stata orientata a sottolineare appunto la entrata nell’or­bita conciliare, come proposito di pro­gettualità.
    L’orbita, come abbiamo detto, è un vasto tracciato di movimento dinamizza­to da una sintonia mistica con lo Spirito Santo per saper entrare in una nuova era di storia e assumerne le problematiche anche inedite, certamente con senso criti­co, ma senza frenare la velocità del mo­vimento. Per i lanciati nell’orbita il Con­cilio offre luce e capacità di risposta alle continue sfide emergenti della vita. Non ha formule. Esige ricerca, studio e creati­vità.
    La Chiesa è stata lanciata in quest’orbita.
    Il pericolo sta proprio nel situarsi «al­trove», fuori da quest’orbita che, per noi credenti, è stata progettata dall’alto per i prossimi decenni.


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