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    Il camposcuola: giochi con prediche o esperienza di vita?


    Tonino Lasconi

    (NPG 1987-06-73)

     


    L'estate è il tempo in cui molte comunità esprimono il loro impegno educativo nel realizzare coi preadolescenti esperienze indimenticabili: i campiscuola ne sono un esempio.
    Nel numero precedente abbiamo offerto un sussidio per un campo estivo; con questo contributo si vuole sollecitare il gruppo degli animatori ad un confronto sulle logiche che animano la preparazione di questi momenti formativi. Lo facciamo attraverso il racconto dell'esperienza di un gruppo di animatori Azione Cattolica di Fabriano.
    Richiamiamo le «scelte di campo» che caratterizzano la proposta:
    * la connessione con il cammino annuale dei diversi gruppi di preadolescenti. Spesso i campiscuola fanno fatica a ricollegarsi con il progetto di animazione globale, agganciandosi al prima e al dopo dell'esperienza proposta;
    * contenuto del camposcuola è l'esperienza di vita particolarmente intensa che si intende produrre coi preadolescenti. Di qui l'urgenza di scoprire «quali» esperienze proporre per far crescere i partecipanti;
    * il rifiuto di una «divisione» del tempo tra formativo e ricreativo. Ciò comporta il riscatto di un «tempo diverso» in cui si sviluppa tutto il processo formativo;
    * il gruppo degli animatori che progettano insieme il campo e vivono in tutto l'esperienza coi ragazzi.
    Un problema resta da approfondire: la definizione degli obiettivi educativi. Ci pare debbano essere riscritti per i preadolescenti nel qui ed ora della situazione.
    Ciò per non fermarsi ad una definizione generica, valida per tutte le età, ma che può perdere in significatività e praticabilità.

    TRE MODALITÀ DI INTENDERE IL CAMPO

    Un camposcuola è senza dubbio una stupenda occasione di crescita per i ragazzi delle medie. Ma cosa è un campo-scuola?
    Al di là dei buoni propositi degli adulti e delle roboanti declamazioni sui bollettini parrocchiali, per i ragazzi il campo-scuola può configurarsi, almeno, in un triplice modo.
    Passeggiate, giochi, vita all'aria aperta, pranzi piú o meno avventurosi, confusione nelle camerate fino a notte inoltrata, scherzi e qualche bella preghiera per acquietare le coscienze degli organizzatori.
    Questo «camposcuola primo modo» non è per niente una cosa malvagia: una bella vacanza non fa mai male! I ragazzi ricorderanno a lungo quei giorni di baldoria: «Ricordi che macello? Peccato quelle preghiere lagnose!».
    C'è da chiedersi però: vale la pena sprecare energie, tempo e denaro per portare in vacanza gente che potrebbe andarci a proprie spese e con i propri genitori?
    Un camposcuola può essere anche un pretesto per far sorbettare ai ragazzi, dietro pedaggio di giochi, aria aperta e scherzi, delle magnifiche prediche che altrimenti non starebbero a sentire.
    È il caso classico dello zuccherino che serve per mandar giú la medicina amara o del vecchio campetto da pallone per costringere i ragazzi alla messa. Risultato: nei ragazzi rimane soltanto il ricordo dello zucchero. Delle prediche nessuna traccia.
    Questo tipo di camposcuola è antipatico perché non è rispettoso dei ragazzi. Fortunatamente i ragazzi si difendono sprigionando anticorpi! Mentre, nelle intenzioni degli organizzatori, i giochi e le altre attività «leggere» dovrebbero servire per ascoltare con piú attenzione le prediche, i ragazzi utilizzano queste per riposarsi dal gioco e ritrovare energie nuove.
    Il camposcuola «esperienza di vita» è, per l'appunto, una esperienza di vita. Cioè, un insieme di giorni «di vita vera» durante i quali i ragazzi vivono fatti normali: giocano, stanno insieme, scherzano, lavorano, pregano, ma con un qualcosa che rende queste attenzioni nuove, emblematiche, maestre. Con una espressione alla pàge, si direbbe che esse diventano «icona» della quotidianità. In altre parole, esse sono esperienze, cioè un vissuto che lascia tracce profonde e significative nella vita dei ragazzi.
    Il camposcuola «esperienza di vita» è quello che non confeziona per i ragazzi una meravigliosa, artefatta, esperienza, ma rende meravigliosa la vita quotidiana degli stessi.
    Questo tipo di camposcuola è quello per cui vale la pena di sprecare tempo, denaro ed energie.
    Proponiamo il racconto della preparazione e della attuazione di un campo-scuola, intenzionato ad essere del terzo tipo.

    Camposcuola: con chi e perché

    È fondamentale, nell'iniziare la preparazione, avere bene in mente i destinatari del camposcuola. I ragazzi delle medie non sono tutti uguali, sia per età (fra un maschietto di prima e una ragazza di terza c'è un abisso!), sia per situazione religiosa (c'è chi frequenta un gruppo tutto l'anno e chi no), sia per provenienza (la stessa parrocchia, lo stesso quartiere, lo stesso ambiente di città, oppure no).
    Nel nostro caso, il campo è destinato a ragazzi e ragazze di prima e seconda media già fatte, tutti provenienti da parrocchie di città, con una esperienza di gruppo abbastanza intensa e continua; con, salvo poche eccezioni, precedenti esperienze di camposcuola.
    Destinatari, quindi, piuttosto omogenei e, per di piú, accompagnati al camposcuola dagli animatori che hanno seguito i ragazzi durante l'anno.
    Altro scalino da non scavalcare è la precisazione puntigliosa dello scopo di «questo» camposcuola. L'abitudine è una ruggine pericolosa e il rischio di rimanere attaccati agli schemi invece di porsi a servizio delle effettive esigenze dei ragazzi è sempre molto forte.
    Lo scopo del nostro campo è quello di far approfondire ai ragazzi i significati educativi della esperienza di gruppo alla quale essi aderiscono.
    Questo voler portare i ragazzi in profondità comporta due obiettivi:
    * i ragazzi devono coscientizzare le mete educative della esperienza associativa a cui aderiscono;
    * devono capire che l'esperienza associativa propone loro un cristianesimo «a misura di ragazzo».
    La nostra esperienza associativa si prefigge quattro mete educative:- educazione alla oblatività, al dono di sé;
    - educazione al senso di responsabilità;
    - educazione all'incontro personale con Cristo;
    - educazione alla vita di Chiesa.
    Fino a che punto i ragazzi, che entrano nei gruppi attratti dalla vivacità delle iniziative, sono coscienti di camminare verso queste mete? «Questo» camposcuola dovrà approfondire nei partecipanti tale coscienza. Non si può educare realmente se l'educando non conosce la meta verso la quale lo si conduce. La «mosca cieca» va bene come gioco!
    La nostra è una esperienza associativa «cristiana». Cosa capiscono i ragazzi di questa qualifica? La sentono tale nei momenti di catechesi, nei momenti di culto e di preghiera, oppure anche nelle interazioni di gruppo, nel gioco e nelle esperienze di servizio agli altri ragazzi, alla gente del quartiere e della città?
    In altre parole: l'esperienza di gruppo riesce a stimolare nei ragazzi l'integrazione tra fede e vita?
    Il camposcula dovrà spingere in questa direzione.

    UN LUNGO CAMMINO: LA PREPARAZIONE

    Precisati i destinatari e lo scopo, è tempo di aggredire l'osso piú duro: la preparazione. I giorni del camposcuola saranno penetranti in misura direttamente proporzionale alla accuratezza della preparazione. Per questo, bisogna partire alcuni mesi prima. Una preparazione affrettata metterà gli animatori nella necessità di inventare le giornate del campo durante la notte, dopo che i ragazzi saranno andati a dormire, con conseguenze dannosissime di stanchezza, di approssimazione, di confusione.
    La preparazione poi deve procedere per gradi:
    - l'approfondimento contenutistico dello scopo del campo;
    - la mediazione pedagogica;
    - l'organizzazione delle giornate.
    Inizia una lunga fatica degli animatori che, oltre alla normale vita di gruppo con i ragazzi che intanto va avanti, devonoritagliarsi il tempo tra le pieghe del lavoro o della scuola. Nel nostro caso, gli animatori costituiscono un gruppo diocesano di una ventina di elementi di diversa età: anziani, giovani, novizi.
    Gli anziani hanno una lunga esperienza di lavoro con i preadolescenti. Molti ormai sono sposati ed hanno bambini piccoli... abituati al camposcuola «fin dal seno materno». I giovani hanno dai diciotto ai vent'anni e sono quelli che concretamente portano avanti il lavoro annuale nei gruppi. I novizi sono adolescenti affiancati ai piú grandi per imparare il mestiere non solo sui libri ma nella «bottega». Per molti novizi, dopo tanti campiscuola «da ragazzi», questo sarà finalmente il primo «da animatori».
    Alla preparazione del camposcuola, nei limiti del possibile, intervengono tutti gli animatori, anche quelli che non potranno parteciparvi.
    Alcuni degli anziani infatti potranno venir su soltanto alla sera, dopo il lavoro. Altri prenderanno giorni di ferie per dare una mano in giornate particolari.
    I componenti del gruppo animatori sono «specializzati» nelle variegate attitudini che il lavoro con i preadolescenti richiede: il gioco, l'animazione teatrale, la musica, la grafica, la fotografia, il balletto, le tecniche di gruppo, la catechesi.

    La ricerca del contenuto

    Ci poniamo la domanda: cosa significa dono di sé, responsabilità, incontro personale con Cristo, vivere la Chiesa? Ce lo siamo chiesto tante volte ma non basta mai, anche perché i ragazzi cambiano e guai a rimanere uncinati ai dogmi. Cerchiamo di rispondere con l'aiuto di «esperti» e, se questi non sono reperibili oppure costano troppo, di letture.
    È un lavoro paziente e lagnoso. I piú giovani soprattutto hanno fretta di arrivare alle cose pratiche anche perché essi, beata giovinezza!, sono convintissimi di sapere tutto.

    La mediazione pedagogica

    Terminato il primo round ci aspetta il secondo passaggio: cosa significano queste «belle parole» per i ragazzi e ragazze di prima e seconda media?
    Siamo di nuovo a caccia di «esperti» o di articoli letti singolarmente e commentati insieme.
    Senza questo passaggio, rischieremmo di gettare sui ragazzi delle nozioni «adulte».
    Arriviamo a decidere, per i nostri ragazzi, per quest'anno, di sottolineare le mete educative nel modo seguente.
    - Il dono di sé. Il dono di sé sarà tradotto in amicizia e servizio. L'amicizia, passione e croce dei preadolescenti, rischia di impantanarsi nello schema soffocante dell'amica del cuore e dell'amico per la pelle.
    Dono di sé significherà per i ragazzi il gusto di una amicizia piú vasta, piú ricca; non solo trovata ma anche offerta. Il preadolescente poi comincia a sentirsi «grande». E questa è una scoperta importantissima. Però, soprattutto in famiglia, egli fatica a uscire dal bozzolo del «bambino piccolo» che strilla e vuole tutto e subito.
    Dono di sé significherà cominciare a sperimentare che «c'è piú gioia nel dare Che nel ricevere».
    - La responsabilità. «Non sono piú un bambino piccolo!» urla il preadolescente. Pretende di uscire di casa quando piace a lui e di rientrare a notte fonda; desidera scegliersi il look a dispetto dei gusti della mamma e arde dal desiderio di provare il bivido della sigaretta proibita. È il gusto acerbo e prepotente della libertà. Gusto salutare! Ma occorre suggerire che la libertà è non soltanto avere i piedi sciolti ma sapere scegliere la strada giusta.
    Cercheremo allora di far germogliare nei ragazzi l'abbinamento responsabilità-libertà.
    Responsabiltà! È ancora una parola troppo grande e astratta. Proviamo a darle ossa e carne di ragazzo, traducendola in un impegno di vita che egli può già sperimentare: la pace. In ogni ambiente, a scuola e con gli amici soprattutto, puoi essere una peste che crea confusione, scompiglio, scontro, oppure uno strumento di pace.
    Questa traduzione di responsabilità in pace ci pare urgente anche per il fatto che i ragazzi sentono parlare molto di questo valore e non vogliamo che essi lo identifichino con qualcosa che riguarda soltanto i capi delle grandi potenze.
    - Incontro con Cristo. Ora cominciamo le dolenti note perché, appena si approda sulla spiaggia strettamente religiosa, la retorica e l'astrazione tessono inesorabilmente i loro agguati.
    Che significa per un ragazzo di prima e seconda media incontrare Cristo?
    Dopo infinite discussioni, decidiamo di «volare basso» per rimanere il piú possibile vicino al vissuto dei ragazzi.
    Essi vanno a messa; alcuni di essi hanno già fatto la cresima, altri ci si stanno preparando. Perché non proviamo a far sentire i sacramenti non come una pratica da compiere ma come un incontro con Gesú, dal momento che questo incontro, oggettivamente, lo vivono?
    Siamo d'accordo di tentare benché coscienti che, per accendere appena qualche scintilla in questa direzione, non basterà senz'altro una giornata di campo. Ma le difficoltà non autorizzano a scavalcare gli ostacoli.
    Sta sorgendo un altro interrogativo nei nostri preadolescenti: «Cosa serve dire la preghiera del mattino e della sera? Cosa serve, in genere, pregare?».
    Facciamo nostra questa domanda e decidiamo di tradurre «incontro con Cristo» anche con «preghiera».
    - Vivere la Chiesa. Su questo punto l'accordo è piú facile. I nostri ragazzi hanno urgente bisogno di scoprire la parrocchia come una comunità viva dove anche essi sono chiamati a dare.
    A questa esigenza se ne collega subito un'altra: la vita sentita come vocazione, come un dono da riconsegnare «trafficato».
    Vivere la Chiesa sarà concretizzato quindi in: diventare soggetti attivi in parrocchia, e imparare a pensare come parte di un grande progetto.

    Dalle idee al calendario

    I contenuti del campo, sia a livello generale che pedagogico, ci sono ormai abbastanza chiari. Ma siamo ancora molto lontani dall'obiettivo. Su questi argomenti infatti non vogliamo organizzare delle conferenze, come faremmo per gli adulti, ma delle giornate da vivere; una «ragnatela» di attività interessanti, vere e coinvolgenti, per «catturare» la bontà dei valori proposti, per sentirne il gusto e lo spessore della vita vissuta in tutta la sua ricchezza. Cominciamo con il dare un certo ordine logico alle giornate.
    - Amicizia. I ragazzi, arrivando al campo con gli amici di sempre, sono tentati di rimanere nella stessa cerchia. Dobbiamo stimolarli subito ad allargare l'amicizia a tutti i partecipanti, per sperimentare la gioia di conquistare e lasciarsi conquistare da nuovi incontri.
    - Il servizio. Il camposcuola raccoglie, in un grande casolare, 65 ragazzi e ragazze con 20 animatori. Non ci sono né mamme che rifanno i letti e che puliscono, né cameriere che preparano la tavola, che servono e riordinano il refettorio; né i netturbini del comune che puliscono l'ambiente. Al di fuori delle due cuoche,tutto il lavoro grava sulle spalle dei partecipanti. Se ci si comporta da bambini che strillano e strepitano perché vogliono essere serviti, c'è da diventare scemi dopo poche ore. È opportuno, per dare concretezza all'amicizia, gustare subito la gioia e la necessità del servizio reciproco.
    - Libertà. Come mettere insieme le esigenze di 85 persone e fare in modo che tutte siano felici? Bisogna fare ricorso alla libertà che, si capisce al volo, non è: «io faccio quello che mi pare», ma: «io faccio quello che serve a me e agli altri».
    - La pace. Le ragazze sono sistemate al primo piano dello stabile in camerette da tre. I maschi invece dormono, al secondo piano, in due cameroncini. Sai che allegria se, sopra, i maschi fanno rumore fino a tardi con i letti e le scarpe da montagna?
    Il refettorio andrebbe bene per 60 persone, invece ce ne devono entrare 85 piú i «giornalieri»... Qualche giorno saremo anche 120! Ci sarà da cacciarsi le forchette negli occhi se qualcuno non accettasse di mangiare con i gomiti attaccati alle costole! I motivi per fare guerra non mancheranno di sicuro! Come trovare le strade della pace, non in America o in Russia, ma qui?
    - La preghiera. È possibile costruire un giorno per imparare a «pregare sempre senza stancarsi mai»? Ci si dovrà provare.
    - I sacramenti. Per i ragazzi, i sacramenti tendono a diventare riti staccati dalla vita. Sarebbe bello maturare insieme la convinzione che essi sono invece celebrazioni della vita.
    - La comunità cristiana. Come possiamo rafforzare il senso di appartenenza alla comunità cristiana, alla parrocchia, proprio quando stiamo lontano dalla stessa? Geniale! Se la montagna non va a Maometto... Faremo venir su il vescovo e i parroci.
    - La vita come vocazione. La prima idea è quella di invitare qualche frate e qualche suora, poi ci ricordiamo di avere a portata di mano qualcosa di piú incisivo: gli animatori.
    Cosa andiamo cercando? Saranno loro a far brillare la bellezza del vivere da chiamati.
    Ed i genitori? Perché non sottolineare questa vocazione nel momento in cui i ragazzi cominciano a schedare i genitori come una rottura?
    Utilizzeremo a questo scopo la «giornata» con i genitori e, per essere sicuri di fare il pieno, stabiliamo di finire il campo la sera a mezzanotte invece che il giorno seguente, cosí tutti dovranno venir su a recuperare i figli.

    OSSA E CARNE ALLE GIORNATE

    Inizia ora la parte piú creativa della preparazione: l'organizzazione concreta delle attività di ogni giornata.
    Gli animatori si dividono in gruppetti comprendenti anziani, giovani e novizi e, a seconda delle proprie capacità e attitudini, si impegnano a «pensare» una giornata. Quando ci si rivede insieme, le «pensate» vengono passate al vaglio della critica per verificare se le attività proposte sono capaci di veicolare i valori stabiliti. Il lavoro non è facile: alcune attività sono belle ma risultano «scariche»; altre sarebbero contenutisticamente ricche ma sono lagnose. E se piove? Bisogna prevedere attività alternative.
    Un gruppo di educatori ha l'incarico dei giochi. Nel nostro campo il gioco ha un ruolo importantissimo. Si può dire che un ragazzo ottiene con piú facilità il permesso di marinare la preghiera che il gioco! Essi devono essere di gruppo, alla portata di tutti e capaci di veicolare il valore della giornata. Sono esclusi dal camposcuola i giochi conformistici: il calcio, il basket, la pallavolo.
    Un altro gruppetto di animatori organizza quattro gruppi di interesse da portare avanti nelle ore dopo il pranzo: il balletto, il canto, la scenografia, la recitazione. Ogni ragazzo, durante il campo, sceglierà un interesse e lo approfondirà. Il risultato di questo lavoro sarà un megaspettacolo offerto ai genitori nell'ultima sera.
    Per quanto ci si sia avviati in tempo, non si è mai del tutto pronti quando l'inizio del campo si avvicina.
    Una domanda? Ma un campo cosí preparato non è troppo schematico, troppo bloccato, poco aperto alle invenzioni della fantasia? Abbiamo sperimentato che niente esalta la fantasia piú della preparazione. Quando questa è stata lunga e meditata, all'occorrenza, tutte le attività previste possono essere sostituite con altre senza snaturare lo scopo della giornata.

    La giornata-tipo

    La giornata «tipo» del campo ha questa struttura.
    - Sveglia, colazione, pulizia della casa e dell'ambiente.
    - Un tempo chiamato «preghiera». Per 45 minuti, i gruppi si riuniscono e, con tecniche sempre diverse, si sensibilizzano al tema del giorno.
    - Lavoro di gruppo. Il gruppetto di animatori presenta la caratteristica della giornata e distribuisce il materiale per i lavoro di gruppo.
    - Gioco comunitario di un'ora e mezza circa, il piú possibile legato al tema del giorno.
    - Prima «sintesi». Non si intende che i ragazzi fanno dei resoconti verbali di quello che hanno detto; devono servirsi di tecniche espressive: cartelloni, sit-in, scenette, canti, balletti...
    - Tempo di pranzo. Il gruppo incaricato prepara il refettorio, serve a tavola, riordina, Gli altri gruppi sono liberi.
    - Gruppi di interesse. I ragazzi hanno un'ora di tempo per curare «l'interesse» che hanno scelto.
    - Ripresa dei lavori di gruppo e conclusione assembleare.
    - Gioco comunitario.
    - Preghiera sul tema della giornata. Sul canovaccio preparato dagli animatori, il gruppo incaricato costruisce una preghiera il piú possibile aperta alla partecipazione di tutti i ragazzi. Per tre sere, verrà celebrata la S. Messa, preparata ovviamente dal gruppo «liturgia» del giorno.
    - Tempo della cena.
    - Il termometro. Questa attività di gruppo, fatta prima o dopo cena, a seconda del tempo a disposizione, stimola i ragazzi a verificare in che misura il tema del giorno è entrato nella vita concreta di ciascuno, dei gruppi, dell'intero campo.
    «Oggi abbiamo lavorato sull'amicizia, ma siamo stati amici?». Ragazzi e animatori, con tecniche ogni anno diverse, si danno un punteggio personale e di gruppo che poi sarà esposto su un tabellone.
    In questa attività è ammessa la critica e la contestazione aperta. Se un animatore valuta la sua giornata «70 su cento» oppure di colore giallo (sulla scala dal nero al rosso), i ragazzi gli diranno (e glielo dicono!): «Bene! Se io suono la chitarra invece di raccogliere le cartacce, mi do giornata nera. Invece tu, perché sei animatore, suoni la chitarra e ti dai giornata gialla!».
    - Dopocena. Almeno due sere vengono in parte occupate per una assemblea generale. Le altre sere passano con giochi notturni, con serate-spettacolo, con giochi quiz, sempre comunitari e «obbligatori».

    La formazione dei gruppi

    Nella prima sera del campo, appena terminati gli arrivi e la sistemazione, i ragazzi vengono divisi in sei gruppi: tre di maschi e tre di femmine.
    I gruppi vengono estratti a sorte (con qualche piccolo broglio per non far capitare insieme alcuni elementi troppo focosi). I gruppi di interesse sono scelti liberamente dai ragazzi e dalle ragazze, e sono misti. Per alcune attività si lavora in gruppi parrocchiali che tornano quindi ad essere misti.
    Anche nei giochi, spesso i gruppi vengono uniti in modo che maschi e femmine si trovino insieme. Da alcuni anni, non esiste distinzione tra giochi maschili e femminili.
    I lavori giornalieri vengono divisi in sei gruppi che ruotano ogni giorno: pulizia delle camerate, pulizia delle camerette e delle sale di riunione, pulizia dello spazio esterno, pulizia dei bagni, servizio refettorio, liturgia, giochi.

    L'AVVENTURA COMINCIA

    Lasciamo adesso il racconto della preparazione per raccontare l'andamento effettivo del camposcuola, attraverso la veloce descrizione di alcune delle attività.
    Il camposcuola inizia di pomeriggio. Si arriva, ci si sistema, si gioca, si rimane liberi finché tutti i genitori non sono andati via. Prima di andare a cena, ci si riunisce sul prato e ci si guarda in faccia. Quelli di seconda media si conoscono quasi tutti abbastanza bene. Quelli di prima si sono incontrati in diverse attività durante l'anno ma la conoscenza è piuttosto superficiale. Si fa qualche canto e poi si va a cena. Dopo, vengono fatti i gruppi con l'estrazione a sorte. Non mancano malumori e proteste soprattutto tra le ragazze che, arrivate tenendosi per mano con le amiche del cuore, credevano di poter continuare a rimanere cosí. Sgorga qualche lacrima, ma scatta il «servizio convinzione animatori» e tutto si calma. Prima di passare ad un gioco comunitario costruito apposta per far dimenticare nostalgie e piccole delusioni,l'animatore responsabile del campo illustra particolareggiatamente lo scopo e i contenuti dell'esperienza.
    Quindi si gioca e si va a nanna con una ammonizione che può sembrare draconiana e che invece ripetiamo ogni anno con piú convinzione e determinazione: «Chi non dorme e non permette agli altri di farlo entro l'ora stabilita e concordata insieme, sarà rispedito a casa la mattina dopo».
    Abbiamo pazientemente e faticosamente preparato il campo ma siamo convinti che, adesso, quello che piú conta è una vita comunitaria ricca, fresca, allegra, costruttiva. Questa è l'unica condizione perché i «contenuti» diventino «carne». Queste convinzioni si traducono in una disciplina di campo abbastanza ferrea che però i ragazzi accettano volentieri, anche perché è nostro preciso impegno motivare a lungo, con pazienza, franchezza e verità, ogni norma che si rivela necessaria per regolare la vita comune.
    In questa coscientizzazione è estremamente utile l'attività del «termometro». Qui i ragazzi calano le idee sul prato, nei bagni, a refettorio: «Stiamo a parlare di amicizia ma, nel pulire i bagni, mi sono ritrovato da solo!». «Tu dici che vuoi esse-re libero ma durante il gioco, siccome nessuno ti controllava, hai imbrogliato e rovinato tutto!». «Bella parola il servizio, ma oggi, a refettorio, voi tre siete rimasti sempre seduti e noi a sgobbare come schiavi per fare anche la parte vostra!».

    UNA GIORNATA PER ESSERE PIÚ AMICI

    Sorge l'alba sulla prima giornata. I ragazzi hanno aperto gli occhi prima della sveglia che un animatore con un gruppetto di ragazzi doveva dare (ogni giorno un gruppettino preparerà una sveglia originale), perché le serrande un po' sconnesse lasciano passare troppa luce. Dopo la colazione e i servizi di pulizia, arriva il tempo della preghiera.
    I gruppi hanno a disposizione preghiere, commenti, pareri, brevi storie di amicizia e di generosità. Il tutto viene letto in gruppo e poi commentato e pregato con libertà. Subito dopo, il lavoro di gruppo: un racconto senza finale che parla di due musicisti in giro per il mondo. Sono molto affiatati e amici, ma uno sente il bisogno di allargare l'esperienza.
    L'altro si oppone perché preferisce continuare sui binari ormai sicuri e consolidati. Come andrà a finire? I ragazzi formulano le loro ipotesi personali ed esprimono anche, a maggioranza, il parere del gruppo.
    Segue il gioco: una caccia al tesoro. Le mappe che conducono al tesoro sono prove per il processo che si svolgerà nel pomeriggio a carico dei due amici. Chi trova piú biglietti avrà maggiori possibilità di vincere la causa. La caccia al tesoro, che sguinzaglia e sparpaglia i gruppi nei posti piú strani dell'ampio spazio che circonda il casolare e nella campagna circostante, stimola l'affiatamento e la conoscenza dei ragazzi e del loro carattere. C'è quella che si ferma continuamente perché non ce la fa piú. C'è quell'altro che si trascina dietro il gruppo senza prima aver letto bene il biglietto. C'è la Tizia che inciampa ad ogni sasso e il Tizio che fa sfoggio della sua forza arrampicandosi su tutti gli alberi. Dopo il gioco, i gruppi si incontrano di nuovo per con-frontare le prove raccolte con i loro pareri e per preparare un adesivo che, appeso sulla maglietta, dica a tutti gli altri la propria idea sull'amicizia.
    A questo scopo, gli animatori hanno preparato un tabellone con figure di animali abbinate a vari tipi di amicizia: il riccio, il gabbiano, la lumaca...
    Dopo pranzo, prendono il via i gruppi di interesse, condotti in modo divertente e distensivo. Non c'è pericolo del contrario! I ragazzi e le ragazze hanno dentro suggestioni televisive piú che interessi. C'è chi vuol ballare senza saper mettere un piede avanti l'altro, e chi vuole cantare ed è stonato come una campana fessa; il divertimento è assicurato.
    Segue la proiezione di un diapomontaggio preparato dagli animatori sempre sull'amicizia e, dopo un gioco comunitario allegro e movimentato, si va al «processo».
    La scenografia del tribunale e i costumi appassionano subito la vicenda. Il giudice titolare è chiaramente di parte e fa di tutto per mettere in difficoltà avvocati e testimoni. Egli sostiene una amicizia «con i piedi per terra, concreta e utilitaristica» e torchia i testimoni a favore di una amicizia aperta e generosa, suffragando le sue argomentazioni con fatti di «amicizia chiusa» osservati durante il giorno.
    Il pubblico ha preso posto in due settori a seconda della simpatia per l'uno o l'altro dei due musicisti.
    Durante il dibattimento però si può cambiare zona se i ragionamenti degli avvocati e le prove dei testimoni convincono del contrario. Le brighe del giudice provocano molti spostamenti anche perché alcuni animatori, giocando astutamente il ruolo di «pentiti», mettono in grave imbarazzo i ragazzi. Alla fine però il giudice malvagio è costretto a sentenziare a favore della amicizia aperta. La cosa simpatica è che i ragazzi sostengono calorosamente questo tipo di amicizia nonostante le contraddizioni pratiche che il giudice ha messo in evidenza. Dopo un gioco, la preghiera: intervista a Gesú sull'amicizia. I ragazzi, adesso hanno tanto materiale a disposizione, esprimono il loro parere illustrando l'adesivo che portano. Coloro che ammettono di avere maturato un'idea piú aper
    ta dell'amicizia, si staccano l'adesivo e lo sacrificano deponendolo al centro del cerchio dei ragazzi. Alla fine, il sacerdote invita tutti i partecipanti a esaminare come l'amicizia è stata concretamente vissuta nella prima giornata del campo. «Non sarà per caso che l'amicizia condannata nel tribunale è stata quella che ha trionfato nella realtà? Il processo si è chiuso al grido: evviva l'amicizia. Con i fatti del primo giorno di campo le abbiamo detto evviva oppure abbasso?». Durante il termometro bisognerà accertarlo.

    LE GIORNATE DEL SERVIZIO, LIBERTÀ E PACE

    Delle altre giornate, riferiamo soltanto le attività piú significative.
    Nella seconda giornata, dedicata al servizio, dopo la preghiera con le foto, si scatena una giornata movimentatissima. Una serie di giochi e di attività deve far emergere la diversità di doti, capacità, attitudini che esiste in una comunità di ottantacinque persone.
    Chi sa ballare, chi sa cantare, chi sa raccontare barzellette, chi sa disegnare, chi sa fare il robot... Ne esce un panorama divertentissimo. Che ne facciamo di tutta questa ricchezza? Se ce la teniamo per noi, ammuffisce. Se la mettiamo a servizio di tutti, crea gioia e allegria.
    Nella messa della sera, viene celebrata la «lavanda dei piedi»: i ragazzi, con un gesto simbolico, mettono a disposizione degli altri le loro diversità per costruire un camposcuola da favola.
    Nella giornata della libertà è di scena una educatrice «anziana», grafica e fotografa. S'è presa un giorno di ferie e, arrivando di buon'ora al campo, ha allestito in vari angoli dell'ambiente quattro meravigliosi e coloratissimi stands sull'egocentrismo, sulla voglia di dominare, sugli stereotipi della libertà offerti dai mass-media e sulle manipolazioni della libertà. Dopo la preghiera a gruppi, i ragazzi girano per tutta la mattinata, eccettuato il momento del gioco comunitario, e fanno i lavori che, in ogni stands, gli animatori propongono: brevi tests, giochi a due, immagini da colorare, frasi da completare, fumetti da terminare, interviste.
    Il gioco per la libertà è spassoso. È un gioco inventato da un animatore anziano: una strana guerra tra americani e russi con crocerossine, capitani, soldati e altre diavolerie. Immaginarsi 85 ragazzi e giovani (i giochi sono obbligatori, ma non ce ne sarebbe bisogno, anche per gli animatori) che si corrono appresso sul prato! Il gioco riesce soltanto se ognuno accetta di essere assolutamente responsabile: di uscire quando è preso dal pallone o è toccato da un avversario e di rientrare in gioco quando è liberato. Se c'è chi bara il gioco diventa una bolgia. Risultato: mezza bolgia!
    La giornata sulla pace ruota attorno ad un lavoro di gruppo incentrato su alcune frasi di Ghandi «sbagliate». Nei gruppi succede un mezzo finimondo perché ai piú facinorosi non sembra vero di poter giustificare i propri comportamenti con le parole del grande pacifista. Alcuni ragazzi e soprattutto alcune ragazze di seconda riescono a subodorare l'inganno e girano alla ricerca disperata di testi esatti, tormentando soprattutto il prete che, vigliaccamente, complica ancor piú le cose con una sfilza di citazioni evangeliche a favore della violenza.
    Nel pomeriggio, le conclusioni dei gruppi vengono confrontate con Gandhi e altri personaggi non-violenti presenti in carne ed ossa nelle interpretazioni di animatori e animatrici. È molto bello il segno della preghiera della sera. Gli animatori hanno preparato, con tavole e polistirolo, lo scheletro di un grande arcobaleno. Sotto il tabellone, in un secchio, tanti tasselli colorati con tutti i colori dell'iride. Dopo alcuni minuti di riflessione, tutti i partecipanti del campo, compresi gli animatori, sono invitati a prendere il tassello di un colore che me
    glio esprime l'impegno di pace messo in opera nei primi giorni di campo. Con calma, ognuno si alza, sceglie il colore che fotografa meglio il suo impegno e lo colloca sul tabellone. Viene fuori un arcobaleno abbastanza colorato, meno di quello che dovrebbe essere, perché, in realtà, il campo sta andando benissimo.

    LE GIORNATE DELL'INCONTRO CON CRISTO NELLA COMUNITÀ

    La giornata sulla preghiera risulta un po' fiacca. Gli animatori hanno organizzato una esperienza di «deserto» a misura di ragazzi, che invece non è troppo a misura di ragazzi. Questi, piuttosto stanchi della partenza a razzo dei primi tre giorni, approfittano del deserto per riposarsi sparpagliati sul grande prato.
    Nel pomeriggio, il prete tiene una riunione per tentare di recuperare. Per un'oretta, servendosi della lavagna luminosa, cerca di far capire ai ragazzi che la preghiera non è «dire le preghiere» ma maturare un atteggiamento. «Ce l'avete presente una cartina stradale? A cosa serve? Per trovare la strada giusta quando c'è un bivio! Cosí è la preghiera. A cosa serve l'olio del motore? Per non farlo grippare! Cosí è la preghiera. Basta un goccio d'olio al mattino, prima di partire e alla sera, quando la macchina è tornata in garage? No, altrimenti brucia tutto; l'olio deve correre sempre dentro agli ingranaggi. Cosí è della preghiera!».
    La performance del prete e la preghiera della sera, costruita sulle espressioni della preghiera: lode, richiesta di perdono, impetrazione, ringraziamento, rimettono un po' in sesto la giornata partita male.
    Grande recupero nella giornata successiva dedicata ai sacramenti. Si parte al mattino per raggiungere un piccolo, stupendo eremo francescano in cima ad un monte. Nelle adiacenze dell'eremo, c'è una freschissima fontanella di sorgente, desiderio e premio di tutti coloro che vanno su a piedi affrontando la salita e il caldo. Durante la strada i gruppi si fermano per parlare del fatto di essere stati battezzati e del cosa significa questo perloro, adesso che fanno le medie.
    Arrivati alla fontana, prima di bere, come momento di preghiera comunitaria, viene proposto il rinnovamento delle promesse battesimali. Quell'acqua limpida e ristoratrice, dopo la camminata e il caldo, è un simbolo penetrante: si sperimenta cosa significa che l'acqua dà la vita. Ovviamente si approfitta del monte per un bel gioco che, tra l'altro, apre ampie voragini nello stomaco in attesa del pranzo, che le cuoche portano con la macchina.
    Nel pomeriggio, una breve paraliturgia si prefigge di fissare il sacramento della cresima al segno di un grande fuoco acceso nel cortile dell'eremo. Si vuole suscitare nei ragazzi il sano orgoglio di essere cresimati e di dimostrarlo con una vita «infuocata»: allegra, piena, simpatica, sincera. Alla sera, prima di ripartire, viene celebrata l'eucaristia nella chiesa dell'eremo. La messa è molto intensa e si ha veramente l'impressione che in essa si raccolga tutta la stupenda giornata trascorsa.

    La giornata della comunità

    La giornata della comunità trascorre in interviste, incontri, dialoghi con il vescovo e con i parroci. I ragazzi si sentono gratificati, valorizzati e (... almeno per un giorno!) presi un po' sul serio.
    Lo stimolo piú «comunitario» della giornata è comunque il fatto che ragazzi e ragazze trascorrono l'intera giornata in gruppi parrocchiali. Si sperimenta concretamente che, l'essersi aperti agli altri con i gruppi sorteggiati non soltanto non ha messo in pericolo le vecchie amicizie ma le ha rafforzate. Tutti hanno tante cose da raccontare sui nuovi amici.
    Un gioco «parrocchie contro parrocchie» scatena un agonismo un po' troppo acceso ma tanto, prima di cena, è prevista una liturgia penitenziale e qualche piccolo peccato di campanilismo sarà subito perdonato dai parroci confessori!
    In una delle giornate c'è stata, tra le altre, la preghiera sugli oggetti adoperati nelle giornate del campo (la chitarra, il pallone, la scopa, il fischietto, i cartelloni...); nell'ultima mattina c'è la preghiera sull'animatore. Cosa vorrebbero pregare i ragazzi sui loro animatori? Ringraziare Dio? Lodarlo? Chiedere perdono per loro? Chiedere per loro una maggiore agilità per vincere i giochi? Lo facciano. Gli animatori stanno in silenzio e ascoltano. Alla fine pregano anche essi su quello che i ragazzi hanno detto.
    Durante la preghiera del mattino si capisce che la giornata di oggi è inutile: i ragazzi hanno capito già tutto perché hanno visto gli animatori in azione. Hanno saputo che essi, oltre a non essere pagati, pagano la quota come i ragazzi. Hanno visto come si aiutano tra di loro e quante capacità hanno sviluppato per servire i ragazzi. Si sono accorti che basta una telefonata perché l'educatore rimasto in città si precipiti. Hanno visto animatori venir su dopo cena per offrire un gioco e rimanere lí fino a tardi con i bambini piccoli addormentati sulle braccia della madre animatrice e delle altre animatrici. Non c'è miglior lezione della testimonianza ed i ragazzi desiderano crescere in fretta per diventare animatori.
    Comunque, gli animatori offrono ai ragazzi un sit-in, ovviamente giocato sui toni dell'umorismo e dell'autoironia, quelli preferiti dal gruppo, per spiegare ai ragazzi i misteriosi motivi che li hanno chiamati a «perdere tempo con loro» invece di andarsene al mare o in montagna.
    Il sit-in è divertente e i ragazzi ridono di gusto apprezzando ulteriormente le capacità dei giovani e assumendoli come modelli.
    I ragazzi capiscono benissimo quello che a volte adulti dottissimi non capiscono: una esperienza di ragazzi funziona non se è imposta per fare i sacramenti o per altri interessi piú o meno sacri, ma se è proposta alla loro libera scelta da una comunità che la presenta viva e vissuta. La comunità che rende la proposta attraente è il gruppo degli animatori.

    La notte della partenza

    Il pomeriggio è interamente dedicato alla preparazione dell'incontro con i genitori. Verso sera, arrivano, con nonni, fratellini, cugini, zie e conoscenti: siamo circa quattrocento persone.
    Il primo atto della festa è una preghiera sul prato. In essa i ragazzi esprimono soprattutto la lode per quello che si sta vivendo. Poi i genitori vengono ringraziati per aver consentito l'esperienza e vengono edotti su quello che è stato fatto. Si finisce con un enorme cerchio che occupa l'intero prato.
    Scompaiono i ruoli sociali. Non ci sono genitori, nonni, figli ma «tutti figli» riuniti a cantare lo stesso Padre.
    Segue la cena all'aperto. I genitori hanno portato rifornimenti per sé, per i figli e per i conoscenti. Tutti gli angoli sono occupati. I ragazzi ingozzano in fretta per partecipare ad una stornellata ambulante. «L'elemosina» servirà per comperare un gelato per tutti.
    Dopo cena, lo spettacolo. Quello che colpisce di piú è il balletto. Anche i piú scettici devono ammettere che i ragazzi, se opportunamente interessati e stimolati, hanno risorse insospettate.
    Poco prima di mezzanotte, il falò. La natura ci è propizia: una grande luna si affaccia sopra il colle per portare quel pizzico di pathos che fisserà l'esperienza nella memoria. Tra baci e abbracci cominciano le partenze.
    Gli animatori rimangono perché, al mattino, c'è da risistemare e pulire il caseggiato e fare la verifica dell'esperienza... E c'è da ordinare le idee per il prossimo campo che, fra dieci giorni, raccoglierà piú di cento ragazzi, dalla quinta elementare fatta alla seconda media, che non hanno fatto né esperienza di gruppo durante l'anno, né esperienza di campo-scuola.
    Tutt'altra musica da suonare!


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