Pastorale Giovanile

    Home Indice

    Pastorale Giovanile

    Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email

    Rispetto della persona e esigenze etiche: un problema per la pastorale



    Guido Gatti

    (NPG 1987-02-4)

     


    1. Pastorale giovanile e problemi di educazione morale

    Da qualche anno è rilevabile anche in Italia un certo crescente interesse per una disciplina che, pur avendo come oggetto di studio una delle realtà più decisive della vita umana, non aveva avuto ancora uno sviluppo adeguato, come aveva avuto invece in altri paesi. Intendiamo riferirci all'educazione morale.
    La prima opera con il titolo «Educazione morale» risale all'inizio di questo secolo ed è di E. Durkheim, uno dei pionieri nelle nascenti scienze sociali. Quasi contemporaneamente, il problema dell'educazione morale riceveva una attenzione privilegiata negli studi di S. Freud e dei suoi primi discepoli (C. G. Jung e A. Freud). Da allora il tema dell'educazione morale e quello dello sviluppo morale, ad esso intimamente intrecciato, costituisce un capitolo particolare, di notevole rilievo, nell'ambito della metodologia pedagogica e della psicologia evolutiva.

    FEDE E SCIENZE DELL'EDUCAZIONE: UN DIALOGO IMPOSSIBILE?

    Nella misura in cui la pastorale giovanile, come momento importante dell'educazione della fede nella comunità ecclesiale, è interessata di natura sua all'educazione del tradursi-in-atto della fede nel concreto della vita, ha tra i suoi obiettivi una sua specifica forma di educazione morale (l'educazione morale cristiana del giovane credente), questo nuovo interesse per i problemi dell'educazione morale non può lasciarla indifferente.
    La pastorale giovanile non scopre questo genere di problemi per la prima volta. Ma si deve dire che essa li ha affrontati finora utilizzando prevalentemente i dati che le venivano dalla teologia e dalla filosofia morale, e quindi in un'ottica non direttamente educativa.
    Si trattava di un'ottica da cui la pastorale giovanile non potrà mai prescindere del tutto se vuole essere una forma di educazione morale cristiana portata avanti nell'ambito di una esperienza di fede.
    Ma nella misura in cui l'educazione morale cristiana coinvolge i concreti dinamismi psicologici di ogni crescita umana, l'educazione morale in quanto forma di sapere autonomo nell'ambito delle scienze dell'uomo e in particolare delle scienze dell'educazione rappresenterà per la pastorale giovanile un apporto indispensabile e uno stimolo a un ripensamento profondo del discorso morale in chiave genetica o evolutiva e con un esplicito e intenzionale orientamento educativo.
    Alla base della necessità di un incontro fecondo e di un dialogo senza riserve tra queste due forme di ricerca e tra queste due ottiche diverse (quella delle scienze dell'educazione e quella della riflessione di fede) sta il fatto che l'esperienza educativa e quella etica sono di loro natura intimamente e inscindibilmente connesse. L'una e l'altra hanno come oggetto lo sviluppo dell'uomo in quanto uomo, la sua crescita in umanità; per la quale è ultimamente decisiva la realizzazione dei valori morali.
    Naturalmente esistono forme settoriali di educazione (fisica, culturale, professionale) che perseguono finalità non direttamente morali; ma una certa dimensione etica, magari in modo indiretto e non intenzionale, è estesa a tutto il processo educativo.
    Così la morale, se pure può essere stata a volte presentata quasi esclusivamente come difesa di un ordine morale astratto e impersonale, è sempre, in ultima istanza, plasmazione della personalità. Facendo il bene morale, l'uomo diventa l'educatore di se stesso, si costruisce come persona. D'altra parte, l'impegno morale è sempre innescato nell'età evolutiva da una qualche forma di educazione che lo condizionerà poi a fondo per tutta la vita, e si risolve lungo tutta l'esistenza in un processo di autoeducazione permanente.
    Questa intima compenetrazione tra fatto educativo ed esperienza morale si attua, sia pure con modalità specifiche, anche per quella forma di educazione morale che è l'educazione morale cristiana, parte integrante dell'educazione della fede e quindi oggetto non trascurabile della pastorale giovanile.
    Questo comporta una certa trasposizione di problematiche dall'uno all'altro di questi due campi del sapere pratico: pedagogia morale e pastorale giovanile hanno, per una certa parte, oggetto e interessi comuni e non possono ignorarsi a vicenda.
    Purtroppo, per lungo tempo la teologia morale cui la pastorale giovanile attingeva i suoi obiettivi e le sue strategie educative in campo etico, non aveva sviluppato una consapevolezza esplicita del carattere essenzialmente evolutivo dell'esperienza morale, e non ha perciò prestato la dovuta attenzione al problema dello sviluppo e dell'educazione morale.
    La riflessione teologico-morale, completamente assorbita da una considerazione puramente statica o essenzialistica del fatto morale, ha trascurato a lungo la prospettiva genetica: ha studiato le norme, i comportamenti, la libertà e la coscienza, considerandole come entità astratte e atemporali, esistenti da sempre in tutta la loro interezza. Si è occupata soprattutto dell'adulto, rivolgendo pochissima attenzione a tutti coloro che (non solo per l'età) non si possono considerare psichicamente tali e che rappresentano (proprio in base ai dati delle ricerche sullo sviluppo morale) una parte non piccola dell'umanità.
    Come conseguenza negativa di una simile limitazione di prospettiva un discorso morale, elaborato in astratto e sulla misura di una maturità morale posseduta solo da pochi, veniva indebitamente esteso alla totalità dei soggetti, qualunque fosse il loro grado concreto di maturazione psichica e morale; si finiva così per imporre loro carichi impossibili e frustrazioni dannose.

    IL PRINCIPIO Dl GRADUALITÀ NELL'ESPERIENZA MORALE

    Naturalmente non ci è possibile presentare qui quel ripensamento globale della morale in prospettiva evolutiva ed educativa, di cui pure la pastorale giovanile avrebbe bisogno e per la quale rimandiamo a un nostro recente saggio (G. Gatti, Educazione morale, etica cristiana, Torino, LDC 1985).
    Ci limiteremo a segnalare alcuni problemi, nei quali il discorso pedagogico interferisce più profondamente con quello teologico-morale così che la pastorale giovanile non può evitare una riflessa e tematizzata considerazione dei dati o anche solo delle teorie psicopedagogiche sull'educazione morale.
    Il primo di questi problemi riguarda il carattere evolutivo e dinamico dell'esperienza morale.
    La pastorale giovanile si è fatta spesso portatrice in passato di una concezione rigida e statica dell'ordine etico che essa riceveva dalla teologia morale. L'ordine morale veniva visto come confine assoluto e atemporale tra il bene e il male, che non ammetteva nessuna idea di gradualità o riservava tale idea al campo del «più perfetto» e del superogatorio; un campo di cui essa non si occupava più e che essa lasciava alla «dottrina spirituale» e all'ascetica.
    A costringere alla riscoperta del carattere dinamico e progressivo dell'esperienza morale è stato l'impatto con i problemi aperti, nella vita morale dei fedeli e nella pastorale del confessionale, dalla problematica sessuale, un campo dove solo gradualmente l'uomo giunge a possedersi e a integrare la ricchezza e tumultuosità del suo vissuto dentro gli schemi di un progetto di vita ispirato alle esigenze dell'ordine morale oggettivo. Proprio in occasione della promulgazione della Humanae Vitae, i diversi episcopati nazionali, dovendo dare delle indicazioni di tipo pastorale, avevano indicato in una considerazione dinamica e progressiva dell'impegno morale la soluzione pratica di questi problemi.
    Il sinodo dei vescovi sulla famiglia ha ripreso in modo lapidario questa prospettiva, allargandola però oramai a tutto l'impegno morale, sia nella dimensione personale che in quella sociale: «Bisogna opporsi all'ingiustizia che ha origine nel peccato sia personale che sociale (...) mediante una conversione continua. (...) In essa il mondo acquista solo a poco a poco la pienezza dell'età di Cristo. In questa conversione si danno gradi diversi. Si tratta infatti di un processo dinamico (...) che procede a poco a poco verso l'integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore assoluto e definitivo in tutta la vita personale e sociale degli uomini» (prop. n. 7).
    Una simile estensione del principio di gradualità a tutti i campi dell'etica si ispira a una più realistica considerazione dei condizionamenti che limitano la libertà umana.
    Va detto che lo studio dello sviluppo morale in funzione dell'educazione morale ha dato un grande contributo a questa considerazione: secondo le ricerche di Kohlberg, solo poche persone raggiungono di fatto i livelli «cinque» e «sei» della sua sequenza di stadi di maturazione morale.
    Non si deve peraltro credere che il principio di gradualità sia solo un allargamento o una applicazione benigna della tradizionale distinzione tra «disordine oggettivo» e «colpevolezza soggettiva» nell'ambito della valutazione etica. Esso è piuttosto un ripensamento globale della morale in termini educativi. Il principio di gradualità non vuole soltanto trovare delle ragioni scusanti nella valutazione della condotta morale delle persone concrete.
    Esso vuole anzi restituire serietà all'impegno morale di queste persone, proponendo loro degli obiettivi già possibili, come tappe intermedie di un itinerario di crescita morale, lungo quanto la vita e aperto agli ideali indefiniti della perfezione della carità.
    Va da sé che questa proposizione di tappe intermedie nell'ambito di un itinerario di crescita morale, se vale in generale per ogni persona umana, vale in maniera particolarissima per il giovane, totalmente impegnato in un processo tumultuoso di sviluppo che coinvolge tutte le strutture della sua personalità in formazione.
    La pastorale giovanile è quindi chiamata a fare completamente propria questa strategia di gradualità e a vedere nel fatto morale, in tutta la sua estensione, anzitutto un fatto educativo. Con la recezione di questa prospettiva di gradualità, la pastorale giovanile si mette al servizio della vera crescita morale della persona, accettando di confrontarsi sistematicamente con le scienze dell'educazione e di diventare essa stessa una forma di pedagogia morale.

    DUALISMO E NATURALISMO IN EDUCAZIONE MORALE

    Un secondo importante problema in cui interferiscono l'ottica della riflessione di fede con quella delle scienze dell'educazione è senza dubbio quello dell'origine (autoctona o meno) e della natura profonda delle energie psichiche che sono in gioco nell'esperienza morale, e che sono quindi oggetto dell'educazione morale.

    Il dualismo morale: il rinnegamento del sé

    Per Durkheim e per Freud, l'esperienza morale non nasce spontaneamente dall'interno dell'uomo. Essa è iniettata in lui dall'esterno, attraverso una educazione morale che deve, in un modo o nell'altro, fare violenza alle sue tendenze spontanee. Essa non risponde ai suoi interessi (almeno a quelli soggettivamente percepibili), ma a quelli della società.
    Per questo l'esperienza morale resterà sempre, nel dinamismo psichico della persona, come qualcosa di costringente e di estraneo, mai pienamente assimilato, fonte di una sottomissione e piena di riserve.
    L'uomo, nella sua più originaria e profonda costituzione, resta un essere fondamentalmente immorale.
    La visione della morale che sottostà a queste teorie della personalità è profondamente «dualistica» (Durkheim stesso ha coniato l'espressione «homo duplex»).
    Il dualismo è dato dalla contrapposizione insanabile tra il carattere fondamentalmente egoistico, irrazionale e perciò immorale delle inclinazioni naturali, e la «devozione sociale» che si impone all'uomo come oggetto e senso dell'obbligazione etica.
    La scelta morale presuppone quindi un certo rinnegamento dell'inclinazione naturale e porta con sé una penosa esperienza di divisione interiore e di sottomissione .
    L'educazione morale in questo caso avrebbe appunto lo scopo di costringere, attraverso i più diversi meccanismi di pressione psicologica, a questa sottomissione. Ma l'interiorizzazione dell'istanza etica resterà sempre qualcosa di artificioso e di forzato. L'uomo non potrà mai identificarsi pienamente con l'istanza morale, che rappresenta in lui interessi insanabilmente contrastanti con i suoi.
    Questa posizione dualistica risponde a un dato innegabile di esperienza: la norma morale sembra davvero smentire e reprimere, presentandosi sotto l'aspetto di un dovere ostico e difficile, le tendenze più originarie e spontanee dell'uomo.
    Anche la pastorale giovanile ha dato spesso grande risalto a questo innegabile dato di esperienza così che, almeno a livello di parenesi e di catechesi popolare, l'impegno morale è stato spesso presentato soprattutto come una lotta dello spirito contro la carne, come una difficile resistenza contro le suggestioni del male e la forza della tentazione.
    Spesso la norma morale, presentata come legge di Dio, veniva semplicisticamente assimilata a una qualche forma positiva di legislazione arbitraria: il dualismo etico finiva allora per opporre alle tendenze naturali dell'uomo un'immagine mistificata di Dio, legislatore autocrate e arbitrario, geloso della sua signoria sull'uomo e nemico della libertà. Il dualismo etico è chiaramente unilaterale. Esso assolutizza un aspetto parziale dell'esperienza morale.

    Il naturalismo morale: l'inclinazione al bene

    Non si può infatti negare che mentre l'uomo sperimenta la penosità dell'impegno morale, si rende anche conto, almeno in modo oscuro e intuitivo, che il bene morale è il suo vero bene, ciò che fa la sua nobiltà e dignità di persona e realizza i suoi interessi più autentici.
    L'uomo scopre in sé, insieme con la innegabile propensione al male, una misteriosa tendenza verso il bene, che spesso risulta capace di vincere tutte le eventuali inclinazioni contrastanti.
    Molti degli studiosi di educazione morale che, dopo Freud, hanno ripreso lo studio dello sviluppo morale, non hanno fatto altro che riscoprire l'esistenza di questa tendenza al bene, almeno altrettanto profonda della propensione al male, di questa specie di costitutiva vocazione dell'uomo alla virtù.
    Su questa linea si situano ad esempio E. Fromm, E. Erikson e più in generale tutti gli psicologi della «scuola umanistica». Per questi autori, che pure partono nelle loro ricerche dal soggetto freudiano nei confronti dell'etica, la morale del super-io è al più soltanto un punto di partenza nell'itinerario dello sviluppo morale, che è possibile superare per approdare a una forma di coscienza morale adulta, dotata di autonomia e unità interiore e quindi esente da quegli aspetti negativi di eteronomia e di divisione interiore che Freud aveva denunciato come inseparabilmente connesse con l'esperienza morale, almeno nella nostra società.
    Si tratta quindi di un radicale superamento del dualismo di Durkheim e di Freud, cui potremmo dare il nome di «naturalismo» per la fiducia, spesso unilaterale fino all'ingenuità, che questi autori concedono alle «buone forze della natura».
    In una concezione naturalistica dell'esperienza morale non hanno più senso le contrapposizioni abituali tra obbligazione e inclinazione, tra dovere e piacere, tra egoismo e altruismo.
    Siamo al rovesciamento di un certo linguaggio della parenesi tradizionale; il bene morale è nella linea del desiderio umano, non ha perciò bisogno di imporsi attraverso il rinnegamento delle tendenze tradizionali; per compiere il bene non devo fare violenza alle mie tendenze, ma solo mettere in luce quelle che sono più vere e più profonde, più autenticamente mie.
    Questo implica importanti conseguenze sul piano educativo. Viene svalutato ogni appello sconsiderato al volontarismo e ogni forma di educazione impostata su obiettivi di inibizione, di disciplina, e di repressione degli istinti e delle tendenze naturali, e vengono messi in primo piano obiettivi di spontaneità, naturalezza, autoaccettazione.
    A una pedagogia della repressione (auspicata ancora, sia pure con certe cautele, dallo stesso Freud, che pure ne temeva i contraccolpi a livello di nevrosi) subentra una pedagogia della permissività, della gratificazione e della non-direttività.
    Il naturalismo morale degli studiosi di pedagogia morale ricupera, se pur con qualche unilateralità di troppo, l'impostazione morale della migliore riflessione teologica
    Tale riflessione ha sempre sostenuto che la natura umana (e quindi anche le tendenze naturali in cui essa si esprime) non sono state totalmente corrotte dal peccato.
    Essa non ha temuto di presentare il bene morale come ciò che risponde al naturale bisogno umano di autorealizzazione, di vita e di felicità e quindi al desiderio di Dio, pienezza dell'autorealizzazione umana e compimento di tutte le sue aspirazioni.
    Il dettato della coscienza, secondo questa concezione, non farebbe che tra durre in termini di imperativo etico l'imperativo delle tendenze e dei desideri più profondi dell'uomo.
    Nell'imperativo della coscienza si rivela la struttura costitutiva della stessa libertà umana, creata da Dio per il bene ed eternamente inquieta finché non possiede Dio stesso, bene supremo e pienamente appagante.

    VERSO LA MATURITÀ MORALE

    Ma è proprio qui che la ricerca empirica sullo sviluppo morale ci richiama al senso della misura e del realismo.
    Una simile concezione della coscienza morale ha tutta l'aria di una idealizzazione.
    In realtà il problema di spiegare in modo adeguato il carattere imperativo della coscienza non è così semplice. I fatti non si lasciano ricondurre dentro gli schemi preconcetti di un sapere ideologico. Anche gli psicologi più ottimisti nei confronti della natura umana pensano che una simile immediata equivalenza tra inclinazione e obbligazione, tra desiderio e valore morale si realizzi solo nella coscienza dell'adulto riuscito.
    Solo al termine di un lungo itinerario educativo e autoeducativo, portato felicemente a termine senza fissazioni a livelli di immaturità, l'imperativo della coscienza finirà per coincidere davvero direttamente con le strutture profonde della libertà umana e per esprimerne le aspirazioni costitutive.
    Normalmente la strada da percorrere per arrivare a questo livello di maturità è lunga e difficile e non si percorre che con l'aiuto e la guida di un adeguato ambiente educativo.

    Gli stadi intermedi

    Occorre attraversare una serie di stadi intermedi di maturità morale, paralleli per tanti versi agli stadi dello sviluppo della cognitività e della personalità in genere.
    Il primo di questi stadi è rappresentato da una situazione psichica molto simile a quella della morale del super-io freudiano. La forza dell'imperativo della coscienza, a questo livello iniziale dello sviluppo morale, dipende veramente in gran parte dal peso dei veti e dei comandi dei genitori e degli educatori, che si impongono con la minaccia dei castighi e il ricatto affettivo implicito in molti dei loro interventi educativi. La voce della coscienza rimane nel bambino (e in chi rimane tale a livello di maturazione morale) come qualcosa di estraneo alle sue tendenze; la virtù è in lui soltanto il risultato della sua sottomissione a istanze imposte dall'esterno.
    È il massimo dell'eteronomia e della divisione interiore, ma è una tappa inevitabile per il passaggio agli stadi ulteriori: è, in fondo, la «pedagogia della legge» di cui parla S. Paolo nella lettera ai Galati. La disciplina esteriore, se risulta educativamente inutile o addirittura controproducente da una certa età in poi, ha una funzione insostituibile in questa prima fase dello sviluppo morale.
    AItre tappe intermedie seguiranno a questa prima. Particolarmente decisiva sarà quella dell'adolescenza, in cui il soggetto elaborerà gradualmente una sua identità morale e un suo progetto di vita, passando attraverso una serie di identificazioni provvisorie con modelli esterni di adulti convincenti.
    Gli studiosi dello sviluppo morale ritengono che nessuna di queste tappe possa essere realmente scavalcata. Diversi di loro hanno cercato di tracciare delle «sequenze invariate» di livelli o stadi dello sviluppo morale, magari cercando una conferma alle loro intuizioni nella ricerca sperimentale, anche su scala molto vasta.
    Ognuna di queste sequenze contiene, molto probabilmente, qualcosa di arbitrario, tanto maggiore quanto più particolareggiata ha cercato di essere.
    Ma più o meno tutte queste descrizioni concordano nell'indicare delle polarità di fondo dello sviluppo morale che sono essenzialmente costituite dal passaggio dall'eteronomia all'autonomia, dalla divisione interiore all'integrazione, dalla prerazionalità alla razionalità, dall'egocentrismo all'altruismo.
    Sono indicazioni preziose di cui la morale deve tener conto, anche se, come vedremo, esse sono interpretate dagli psicologi assai più in chiave di modalità che non di contenuti della vita morale.
    Possiamo comunque concordare con molti di questi studiosi nel ritenere che l'esperienza morale sia qualcosa di autoctono nella vita psichica dell'uomo, cioè di fondato su energie e istanze interne alla persona, anche se bisognose di essere fatte emergere attraverso l'educazione.
    Come dice Kohlberg, «il bene si può insegnare, anche se insegnarlo è molto di più un farlo emergere (calling out), che non una qualche forma di indottrinamento» .
    La visione di fede condivide questa fondamentale fiducia nell'uomo, temperata dalla realistica consapevolezza della necessità di una educazione, che faccia appello alle interiori energie di bene dell'educando.
    La credenza in una creazione divina porta con sé la convinzione della fondamentale sanità della natura umana. Certo, la libertà umana è fallibile e segnata dalla solidarietà con una storia di peccato. Ma la legge del peccato non ha cancellato del tutto l'originaria tendenza dell'uomo al bene, e la redenzione operata da Cristo ha restituito a questa tendenza possibilità reali di sviluppo e di compimento.
    S. Tommaso dice che la virtù si trova nell'uomo «per natura», alla maniera di un germe, con una sua interna capacità di sviluppo vitale.
    Tutto questo non deve occultare la realtà dei condizionamenti e delle lentezze della libertà umana. Ci sono per ogni uomo possibilità concrete di apertura fondamentale al bene, ma anche concrete impossibilità di comprensione e di attuazione di determinati valori categoriali in cui questa apertura dovrebbe concretizzarsi; su queste impossibilità non è il caso di farsi delle illusioni. Per quanto riguarda i singoli comportamenti particolari nei diversi settori della vita morale, la capacità di perfezione morale dell'uomo è limitata, spesso in modo tragicamente grave. Ma proprio perché essi sono di fatto insuperabili e nello stesso tempo non intaccano la possibilità reale di una incondizionata apertura fondamentale per il bene, resta più che mai vero che è solo sulle reali capacità di bene dell'educando, per limitate e condizionate che siano, che la pastorale giovanile può e deve puntare.

    Educazione del desiderio e efficacia della grazia

    Questo significa che l'educazione morale cristiana è chiamata ad essere educazione del desiderio. Pur essendo costitutivamente aperto al bene, il desiderio nella sua spontaneità primaria non è né saggio né immediatamente trasparente ai bisogni più profondi della persona.
    Esso ha bisogno di essere educato e purificato, attraverso una pedagogia che, facendo appello alle sue energie più profonde, ne metta in luce la costitutiva tendenza al bene. Solo mettendo a disposizione dell'impresa morale le immense forze del desiderio umano è possibile raggiungere quella facilità e connaturalità al bene che è il segno della vera maturità morale.
    Per questa opera di purificazione e di educazione, l'operatore di pastorale giovanile potrà contare sulla collaborazione della grazia. Si può dire anzi che lo Spirito Santo è il vero protagonista di questa azione educativa. L'educatore umano ha solo il compito di liberarne e assecondarne l'efficacia purificatrice e orientatrice. Per questo egli si adeguerà ai ritmi di questo educatore divino (che coincidono poi con i reali tempi di crescita del giovane) e saprà attendere con fiducia e umiltà il maturare della sua fecondità soprannaturale.
    Va notato comunque che l'azione della grazia non è una istanza estranea all'educando, che reintroduca una qualche forma di dualismo nello sviluppo morale del credente. L'azione dello Spirito non ha bisogno di fare violenza al desiderio umano, ma solo di autenticarlo; non opera alla maniera di una costrizione; è in noi, ma come qualcosa di completamente nostro, che agisce sulle nostre tendenze solo per potenziarne e portarne a compimento quell'interno orientamento al bene di cui sono costituite.
    Contare sulla grazia non significa tuttavia affidarsi a un qualche infallibile miracolismo dalla efficacia direttamente sperimentabile, alla pari delle altre istanze psichiche della vita morale, capace di far violenza alla natura e di vincerne i condizionamenti.
    Ci sono obiettivi impossibili anche alla grazia. Essa opera con efficacia infallibile solo al livello della libertà fondamentale, ma non agisce direttamente sui condizionamenti biologici, educativi e culturali che entrano a determinare in concreto il comportamento e il carattere morale. Tale comportamento, nella misura in cui non dipende soltanto dalla incondizionata apertura di fondo al bene, ma è influenzato anche dai più diversi condizionamenti della libertà, è determinato dalla grazia in maniera solo indiretta e parziale.
    Anche per questo, l'operatore pastorale è chiamato a mettere realisticamente in preventivo lentezze e apparenti fallimenti, e a evitare di fare le sue programmazioni educative, passando sopra la testa degli educandi.

    Una pedagogia della lotta

    Questo appello alle interiori energie di bene dell'educando non esclude peraltro la necessità e il valore positivo della lotta e dell'autorinnegamento nell'ambito della vita morale.
    L'esperienza morale cristiana, innescata e resa possibile dalla grazia, si attua lungo tutta la vita nel segno della croce, cioè nella consapevolezza della necessità di morire alla spontaneità della carne (espressa dall'immediatezza dei desideri più superficiali e primari) per vivere alla logica dello spirito, cioè del desiderio purificato e coltivato dall'educazione morale e dalla grazia.
    L'educazione morale cristiana sta al di là del naturalismo ingenuo di una certa pedagogia della gratificazione e della non-direttività portate avanti dalla psicologia umanistica.
    Questa pedagogia della lotta e dell'autorinnegamento, così radicata nella tradizione educativa cristiana, non ha però nulla del dualismo durkheimiano o freudiano. Non conta tanto sulla costrizione esteriore, sulle pressioni psicologiche o sul plagio, quanto sulla possibilità di far emergere la interna connaturalità dell'uomo al bene.
    L'educazione morale non ha nulla a che vedere con una qualche forma di «socializzazione», cioè con quei procedimenti di indottrinamento e di costrizione, con cui una cultura o una società particolare cercano di ottenere il consenso e l'adattamento dei loro membri agli standard comportamentali, di cui esse hanno bisogno per poter funzionare. L'educazione morale cristiana non si propone obiettivi di adeguamento sociale, ma di fedeltà dell'uomo a se stesso.
    L'educazione della fede non ha bisogno della violenza ideologica (alla ragione non la si dà a intendere) né del plagio dei sentimenti. Essa rispetta quella libertà sovrana che Dio stesso rispetta, perché sa che solo se il bene nasce da essa è veramente bene morale, capace di realizzare l'uomo nella sua umanità.


    2. L'obiettivo dell'educazione morale e i suoi dinamismi

    Un ulteriore problema di educazione morale, bisognoso del confronto tra riflessione di fede e scienze dell'educazione, è quello degli obiettivi di questa educazione.
    Per le scienze dell'educazione, come per la riflessione di fede, tale obiettivo coincide con quello che in termini ancora generici potremmo chiamare la «maturità morale».
    La maturità morale infatti, comunque la si definisca dal punto di vista contenutistico, è insieme la realizzazione delle preoccupazioni educative della pastorale, ma anche il termine di un processo di sviluppo e di crescita, che è pure, a pieno diritto, oggetto di studio della teoria dello sviluppo e dell'educazione morale.
    Ma se si vuole definire meglio il concetto di maturità morale, si scopre subito che scienze dell'educazione e riflessione di fede non hanno prospettive omogenee nella definizione del loro obiettivo; e questo dà luogo a ottiche e linguaggi diversi difficilmente raccordabili.

    LA PROSPETTIVA DEI CONTENUTI E DELLA FORMA

    La riflessione di fede procede con concetto un'ottica prevalentemente contenutistica: essa descrive la maturità morale o il concetto (che potremmo ritenere equivalente) di perfezione morale, in termini di reale adesione al bene morale, attraverso una scelta o opzione di fondo moralmente e teologicamente buona, e una serie di scelte o atteggiamenti particolari coerenti con questa opzione di fondo e fedeli alle esigenze oggettive dell'ordine morale. La maturità morale è in questo caso la perfezione morale; una perfezione che si misura in base alla crescita delle virtù, strutturate in un insieme organico, che trova il suo vertice e la sua sorgente nella carità.
    Il privilegiamento di quest'ottica si capisce: la fede ricerca la verità ultima dell'uomo, in base al suo rapporto con Dio: fuori del si fondamentale della libertà umana all'amore di Dio che si è rivelato in Cristo, non è possibile nessuna sostanziale autenticità umana.
    Per le scienze dell'educazione, la prospettiva è diversa: più di natura psicologica che contenutistica o sostanziale.
    Non ci si occupa tanto del che cosa, quanto del come della virtù. La maturità morale pare essere soprattutto una qualità soggettiva della coscienza, più che un orientamento oggettivo della libertà; in Kohlberg, sembra ridursi addirittura alla capacità di compiere ragionamenti morali di livello intellettualmente elevato, ineccepibili nella forma a prescindere dal contenuto. Come Kohlberg, molti studiosi di problemi di educazione morale pensano che a costituire la maturità morale non è un tipo piuttosto che un altro di comportamento, ma le motivazioni, gli atteggiamenti psicologici, il tipo di coscienza che sta alle spalle di questo comportamento .

    Le polarità dello sviluppo morale

    Se andiamo a vedere quali sono di fatto le qualità della coscienza che costituirebbero la maturità morale in senso psicologico, scopriamo che esse sono generalmente indicate dai diversi autori nell'autonomia, nella razionalità, nell'altruismo e nell'integrazione o unità interiore della personalità.
    Sono dimensioni che coincidono di fatto con le polarità dello sviluppo morale cui abbiamo già accennato.
    Si noti che l'autonomia morale non fa per sé riferimento a valori oggettivi: essa è soltanto la soggettiva assenza di dipendenza forzata (conscia o inconscia non importa) da istanze estranee alla persona, agenti su di essa con forme di violenza psicologica (come ad esempio l'interiorizzazione e l'identificazione inconscia nel caso del super-io), indipendentemente dal fatto che queste istanze la determinino a valori o a disvalori oggettivi. Un'esperienza morale eteronoma (fatta di sottomissione non pienamente libera a istanze morali estrinseche) è sempre considerata un'esperienza immatura o premorale.
    Così la razionalità non consiste nell'effettivo possesso della verità morale oggettiva, ma in una ragionevole flessibilità della coscienza nell'adattare le azioni-mezzo al fine che ci si propone. In questa concezione, le norme hanno un valore puramente indicativo: quello che conta è la flessibilità e funzionalità del comportamento che, svincolandosi, se necessario, da ogni norma, persegue il bene in maniera efficiente, con le modalità imposte dalla situazione.
    Così l 'altruismo non è tanto una determinata forma di prestazione nei confronti del prossimo, quanto l'attitudine a tenere conto in modo imparziale dei suoi bisogni e dei suoi punti di vista secondo il «principio di reciprocità», tipico della cosiddetta «regola d'oro»: fare agli altri quello che si vorrebbe fatto a sé.
    L'integrazione non consiste nella coerenza tra scelte soggettive e valori oggettivi, ma nella coerenza puramente interna tra le diverse istanze della persona, e quindi nell'assenza di divisioni interiori o di conflitti psicologici irrisolti.
    Maturità psicologica dell'esperienza morale, oggetto dell'educazione morale, e maturità sostanziale (o perfezione) morale, oggetto della preoccupazione pastorale, sembrano dunque non coincidere, e ognuna delle due prospettive è portata a fare la sua scelta in maniera esclusiva e unilaterale.
    Riteniamo che si renda perciò necessario un approccio transdisciplinare, che permetta di cogliere meglio la continuità che unisce le due prospettive, mettendo in luce i legami che raccordano il come al che cosa, il contenutistico al formale, la perfezione della virtù alla maturità della coscienza.

    PER UNA AUTENTICA EDUCAZIONE MORALE

    Legami di questo genere esistono. Prendiamo ad esempio l'autonomia morale. Anche come la intendono gli studiosi dello sviluppo morale, non può essere considerata come qualcosa di accessorio o di estraneo alla perfezione morale.
    Virtù vera non è fare materialmente il bene, ma volerlo liberamente. Volere liberamente è volere per amore e per connaturalità; è buono veramente solo chi ama il bene e lo fa per coerenza con se stesso e con il proprio libero progetto di vita.
    La risposta dell'uomo all'amore di Dio non può essere che una risposta di amore e quindi di libertà. Secondo S. Paolo, la sottomissione alienante (perché forzata) a una legge estrinseca (fosse pure quella di Dio) è l'equivalente del rifiuto di affidarsi a Dio nella fede, mentre un impegno morale vissuto nella libertà che nasce da un amore filiale si identifica con la fede che salva.
    Compito della pastorale giovanile è far crescere i giovani nella maturità della fede e quindi nella libertà interiore, aiutandoli a superare l'eteronomia tipica della sua immaturità, sta ancora sotto la pedagogia della legge.
    L'autonomia è una condizione dell'autenticità della virtù.
    Per quello che riguarda la dimensione della «razionalità», le suggestioni degli studiosi di educazione morale si incontrano con la riscoperta, largamente in atto da parte della pedagogia cristiana, del ruolo della virtù della prudenza nell'ambito dell'organismo delle virtù, e col ridimensionamento, sia pure bisognoso di ulteriori precisazioni e calibrature, che la teologia morale sta portando avanti nei confronti dell'assolutezza delle norme morali, anzi del ruolo stesso della norma, nell'ambito della teologia morale; la concezione kohlberghiana della «principled morality», cioè di una morale fondata, più che su norme, su princìpi per la elaborazione delle norme, è oggi largamente condivisa in campo teologico-morale ed è indubbiamente l'unica valida in numerosi settori della vita morale.
    La virtù è la verità dell'uomo; i valori sono tali nella misura in cui attuano questa verità; le norme vigono solo come rappresentazione e difesa dei valori; la loro urgenza si misura solo sulla loro capacità di realizzare questa verità dell'uomo; esse vanno interpretate con quella flessibile ragionevolezza che non ne faccia dei fini.
    Ma è vero anche il contrario: non soltanto i contenuti della perfezione morale non fanno tale perfezione senza le modalità psicologiche della maturità morale; queste stesse modalità dicono a loro vola riferimento ai contenuti e rimandano a un discorso sulla sostanza della virtù.
    La frase di Kohlberg: «chi conosce il bene lo fa», ha un'anima di verità molto importante per l'educazione morale. Se conoscere il bene è conoscerlo in senso forte, un senso che include quelle qualità della coscienza generalmente indicate come costitutive della maturità morale, allora il vero «sapere il bene» culmina davvero nel «fare il bene»; le qualità psicologiche di una coscienza morale matura non sono solo una condizione perché la virtù sia veramente e pienamente tale, ma anche perché essa semplicemente sia; esse preorientano la volontà al bene, glielo rendono concretamente accessibile e desiderabile: autonomia, razionalità, altruismo, integrazione della personalità sono il terreno psicologico da cui germina la sostanza della virtù.
    Nel loro insieme queste qualità della coscienza costituiscono come un fascio di attitudini al bene, che potremmo chiamare «carattere morale».
    Un carattere morale maturo, in quanto condizionamento positivo della libertà, è insieme una modalità dell'esperienza morale e un orientamento a che essa abbia dei contenuti positivi.
    Nell'ambito della vita morale cristiana, l'intenzionalità trascendentale di fede-carità, che ispira e qualifica tutta la vita morale del credente, è insieme una modalità della coscienza e un contenuto dell'esperienza morale. Cristo è la nostra libertà, il fondamento del nostro altruismo, il datore di quello Spirito che è la superiore razionalità della credente, il centro di unità e di integrazione di tutta la coscienza credente. Ma è anche il valore supremo e il contenuto concreto di tutta la vita morale cristiana che è in tutta la sua estensione un «vivere Cristo».

    DINAMISMI EDUCATIVI NELLA FORMAZIONE MORALE

    Non è possibile chiudere queste righe sull'educazione morale senza un accenno al tema, più propriamente pedagogico, dei dinamismi e delle strategie educative concrete, operanti nel campo della formazione morale.
    Trascureremo qui quei dinamismi la cui efficacia educativa è massima durante l'infanzia (come la disciplina educativa) o l'adolescenza (come l'identificazione), per concentrarci su quelli che risultano decisivi in ogni momento dell'età evolutiva (come l'amore accogliente e l'insegnamento morale) o in modo particolare proprio nell'età giovanile, come la responsabilizzazione.

    L'amore accogliente e l'insegnamento morale

    Il primo di questi dinamismi, sia in ordine cronologico che in rapporto alla sua decisività, è indubbiamente l'amore.
    La sollecitudine amorosa dei genitori, la loro accoglienza incondizionata nei confronti del bambino ha una sua efficacia educativa già fin dai primi momenti di vita, ed è all'origine di quella «fiducia di base» che è fondamento e sostegno di tutto il successivo impegno morale.
    Di qui il ruolo insostituibile della famiglia e il primato educativo dei genitori, legati ai figli da una forma di affetto, unico per la sua spontaneità, intensità e capacità di resistenza a tutte le delusioni.
    Ma l'amore è capace di rendere positiva la relazione educativa in qualunque età della vita, quando sia contrassegnato dalla qualità dell'accoglienza.
    L'amore accogliente è quello che resiste alla tentazione di imporre all'educando i suoi progetti educativi, di amare in lui un astratto ideale di umanità o la proiezione delle sue frustrazioni, rifiutando più o meno inconsciamente la concreta ma «diversa» ricchezza di vita dell'educando.
    Alla luce dell'esperienza dell'efficacia educativa di questo amore incondizionato, il credente vede nell'amore preveniente e creativo di Dio il modello di ogni paternità. In questa linea si potrebbe concepire l'azione della grazia, come l'efficacia di un amore che trasforma restituendo fiducia, e fondando quell'ottimismo attivo e quell'amore alla vita c sono il sostegno indispensabile dell'impegno morale.
    L'insegnamento morale è la testimonianza che l'educatore rende con la sua parola e l'umile fiducia nella capacità della ragione umana ai valori morali i cui crede.
    Le scienze dell'educazione, con il loro sistematico sospetto nei confronti del l'efficacia di meccanismi educativi, qua l'indottrinamento e l'autoritarismo, richiamano la morale a una considerazione meno miracolistica del ruolo della conoscenza concettuale nella formazione della coscienza. La conoscenza morale in quanto conoscenza dei valori, comporta un insopprimibile legame con l'esperienza dei valori stessi; è una conoscenza particolare di tipo valutativo-vitale. Un semplice incremento di «sapere puro» non produce necessariamente un vera maturazione di coscienza: «Soltanto quando attraverso nuove ed autentiche conoscenze si scuote la coscienza del singolo individuo o della società, in modo tale che essa colga creativamente il nuovo valore e ne rimanga trasformata, sol tanto allora questa coscienza morale tra sformata giunge alla vera norma e se n sente vincolata» (A. Roper, Morale oggettiva e soggettiva, p. 107-108). Questo comporta naturalmente una ricomprensione in termini non più esclusivamente cognitivo-concettuali della nozione di «cattiva coscienza»: non è sufficiente sapere in astratto che cosa è bene o che cosa è male (magari nei termini di proibito-comandato), per essere davvero vincolati in coscienza nei confronti di questo sapere: vincola veramente solo quel sapere che, penetrando a fondo il vissuto della persona, permette di percepire il bene in maniera esperienziale, come valore per la persona.
    Questo ripropone ancora una volta il problema del carattere necessariamente progressivo e graduale della formazione della coscienza e di tutta l'esperienza morale: il passaggio dal sapere concettuale, più facile da trasmettere, al sapere valutativo, raggiungibile solo attraverso un certo coinvolgimento esperienziale dell'educando, può essere solo il risultato di un processo di maturazione graduale, con ritmi molto diversi nelle singole persone.
    Ma come non si deve confondere con l'autoritarismo ogni forma di disciplina educativa, così non si deve escludere dall'educazione morale, confondendolo con l'indottrinamento e la manipolazione delle coscienze, ogni forma di insegnamento morale.
    L'educatore che rinunciasse a testimoniare umilmente ma coraggiosamente la sua fede nei valori che ispirano la sua vita, perderebbe un'occasione preziosa di influsso positivo sullo sviluppo morale dell'educando.
    Non si può certo pretendere che ogni nuova generazione ripercorra da sola il lunghissimo e incerto cammino percorso dall'umanità nel corso dello sviluppo millenario delle sue conoscenze morali.

    La responsabilizzazione

    Il dinamismo educativo più tipico dell'età giovanile è costituito però dalla responsabilizzazione.
    Responsabilizzare è creare le condizioni per cui, attraverso la sua stessa esperienza, il giovane possa diventare consapevole dell'efficacia positiva o negativa che le sue decisioni e le sue azioni hanno sugli altri e sulla società.
    L'educazione è chiamata in questo modo a rendere trasparente la realtà della solidarietà reale che lega ogni uomo a ogni altro uomo, affidando a ognuno la possibilità di influire in maniera decisiva sul destino di altre persone, che gli sono così in qualche modo affidate.
    Il senso di responsabilità è una qualità etica tipica dell'adulto riuscito. Per questo la responsabilizzazione opera con il massimo dell'efficacia alle soglie dell'età adulta, quando agli educatori singoli subentra l'educatore collettivo «società», che affida al giovane un compito significativo e un ruolo sociale riconosciuto, e lo apre così al campo delle responsabilità sociali e familiari.
    Naturalmente una società che tende a relegare i giovani in «aree di parcheggio» rinuncia a questi suoi compiti educativi e finisce per diventare una società della non-responsabilità.
    In questi casi, agenzie educative meno globali possono, ma solo parzialmente, rimpiazzare l'educatore-società, stimolando, attraverso esperienze di volontariato caritativo, di servizio educativo e di impegno sociale a livello prepolitico, la formazione di quel senso di responsabilità che la società non riesce a suscitare.
    Si tratta di compiti sui quali la pastorale giovanile si misura già da molto tempo e con risultati largamente positivi. In una società deresponsabilizzante, quale è quella in cui noi viviamo, questo impegno ecclesiale, che saremmo tentati di chiamare «di supplenza», non ha più solo una funzione educativa individuale; esso diventa un contributo prezioso e insostituibile per la creazione di una nuova società dal volto umano, in cui ogni uomo si senta fratello di ogni altro uomo e responsabile della felicità e della autorealizzazione di ogni suo fratello in umanità.


    BIBLIOGRAFIA

    A. Arto, Crescita e maturazione morale, LAS, Roma 1984;
    H. Bissonnier, Psicologia e morale nella nuova catechesi, LDC, Torino 1969;
    E. H. Erikson, Infanzia e società, Armando, Roma 1972;
    E. Fromm, Dalla parte dell'uomo, Astrolabio, Roma 1971;
    N. Galli, Educazione mora/e e crescita dell'uomo, La Scuola, Brescia 1979;
    G. Gatti, Educazione morale, etica cristiana, LDC, Torino 1985;
    B. M. Kiely, Psicologia e teologia morale, Marietti, Torino 1982;
    L. Kohlberg, Essays on Moral Development (2 vol.), Harper and Row, S. Francisco 1981;
    J. Piaget, Il giudizio morale nel fanciullo, Giunti e Barbera, Firenze 1972;
    A. Roeper, Morale oggettiva e soggettiva, una conversazione con K. Rahner, Edizioni Paoline, Roma 1972;
    R. Titone (a cura), Il fanciullo, filosofo morale, Armando, Roma 1977;
    C. Holper-Vandenplas, Sviluppo sociale e morale, Armando, Roma 1983.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu