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    Un itinerario educativo alla coscienza morale



    Mario Comoglio

    (NPG 1984-6-19)


    Uno dei problemi oggi più sentito da un operatore pastorale è la richiesta di una riflessione su un modello educativo che possa esprimere un riferimento nello svolgersi della sua attività. Tale modello ha assunto il nome ormai comune e diffuso di itinerario. Con tale parola si indica la necessità di descrivere una traccia di obiettivi collocati nel tempo, la cui caratteristica è quella di essere una condizione preparatoria alle mete finali di un progetto.
    La predisposizione di obiettivi successivi, non indica ancora tutto quello che deve essere un'attività educativa concreta, tuttavia è un momento molto importante perché serve a finalizzare contenuti metodi, strategie, verifiche per interventi particolari o per brevi periodi.
    Una indicazione successiva di obiettivi non implica una determinazione fissa del tempo necessario al loro conseguimento, essendo ciò molto condizionato dalla situazione concreta. L'itinerario deve quindi essere considerato una traccia dinamica e flessibile quanto al tempo che ciascuna tappa dovrà occupare.
    L'ordine successivo di obiettivi indica invece dei passaggi di qualità uno sviluppo ai crescita che un educatore ipotizza come tappe successive per il raggiungimento delle mete educative.
    Un itinerario non è quindi un progetto educativo che indica le mete educative finali, né una riflessione su principi generali di metodo, né l'indicazione di contenuti, né una descrizione della condizione giovanile a cui è rivolta l'attività educativa. Metodo, mete, contenuti, situazioni sono elementi a cui fa riferimento un itinerario, ma da soli non lo descrivono ancora. Essi sono uno sfondo su cui deve essere collocato l'itinerario.
    Nella proposta che seguirà, non entreremo in determinazioni particolari di tutti gli elementi che devono essere programmati in un'attività educativa.
    Considereremo invece un itinerario a partire dalle capacità elaborative che un giovane dimostra di avere e dall'attività educativa che ne consegue per aiutarlo e stimolarlo verso queste capacità che permettono ad una coscienza adulta di esprimersi.

    TRE METE FINALI PER UNA EDUCAZIONE DELLA COSCIENZA MORALE

    La riflessione di A. Rizzi e quella di G. Piana ci indicano che il luogo di una educazione della coscienza non si orienta verso gli atti con cui essa pur si esprime.
    Coscienza è l'imperativo profondo e ultimo presente costantemente in qualsiasi azione l'uomo compia; coscienza è libertà dell'uomo a decidersi responsabilmente di fronte alla domanda di fare il bene che viene dal suo intimo; coscienza non è soggettivismo, ma è confronto, è dialogo dialettico con qualcosa che tende continuamente a superarla e a determinarne un continuo sviluppo e crescita.
    Considerando la coscienza come il modo di essere dell'uomo di fronte al bene, abbiamo pensato di poter identificare in tre obiettivi fondamentali l'attività educativa di una coscienza morale:
    - educare il giovane ad essere nel bene prima che a fare del bene;
    - educare il giovane alla responsabilità delle proprie scelte;
    - educare il giovane a vivere dinamicamente e creativamente le proprie opzioni morali.

    Essere nel bene prima che fare del bene

    Questo obiettivo è qualcosa di molto generale e per coglierlo correttamente ci si deve riferire a quanto in campo morale viene indicato come coscienza morale fondamentale.
    Con esso non intendiamo tanto educare ad assumere o a non assumere una norma, a valutare se una certa azione sia o non sia lecita, quanto educare a collocarsi da una prospettiva che percepisce i fatti, le situazioni dal punto di vista del bene e li valuta nell'ascolto di quell'anelito profondo che desidera che il bene sopravanzi al male.
    Per esprimerci con una frase ad effetto, ma che indica quello che intendiamo, potremmo dire che si tratta di educare ad essere nel bene prima che a fare il bene.
    Come la coscienza fondamentale indica non un momento particolare o contingente, ma uno stato abituale, una prospettiva di fondo, un modo di essere presente in tutte le scelte categoriali, così educare il giovane a cercare e scegliere in ogni situazione il bene significa abilitarlo a percepire la «voce» che lo invita a scegliere il bene, a valutare le scelte della propria vita a partire dal suo essere per il bene.
    Noi crediamo che l'uomo sia fondamentalmente orientato al bene e alla sua ricerca e compimento, ma siamo anche altrettanto realisti nel ritenere che non sempre questo anelito giunge alla coscienza in ogni momento o che sia operante e attivo in ogni scelta o che sia facile e immediato sentirne in profondità l'imperativo a fare il bene. Per questo motivo il primo obiettivo in molti casi può essere trascritto come liberazione di quel desiderio insopprimibile per il bene che è tenuto prigioniero.

    Vivere nella responsabilità delle proprie scelte

    È la capacità di decidersi di fronte ad un progetto organico.
    Parlando di responsabilità non entriamo in merito alla capacità di assumersi i rischi di una scelta né nella valutazione di un'azione; ci collochiamo al livello che può definirsi come responsabilità morale fondamentale.
    È evidente che è assai difficile per un educatore verificare questa realtà poiché tale atteggiamento fondamentale non è identificabile con un atto. Del resto spesso non può neppure fare riferimento all'autocoscienza che ne ha il giovane.
    Una persona è dotata di questa capacità quando decide il senso e l'orientamento della propria vita e del proprio futuro e sceglie poi in libertà, momento dopo momento, quello che può realizzarlo. Ciò implica una capacità progettuale di se stesso, una libertà fondamentale di autodecisione, il coraggio del rischio, l'intenzione di decidere globalmente la propria vita.
    La realizzazione tuttavia di una responsabilità fondamentale non è un dato ma un farsi e un crescere: attuarla e realizzarla significherà un progressivo appropriarsi di se stessi, di tutte le potenzialità che altrimenti disperse, indipendenti e divergenti non daranno alla persona la possibilità di orientare univocamente la propria vita ed esistenza.
    Educare perciò alla responsabilità morale significherà aiutare il giovane ad appropriarsi e integrare in un progetto originale istinti, tendenze, abitudini, razionalità, emozioni perché concorrano alla realizzazione di quel progetto di vita che egli intende decidere per se stesso.

    Vivere dinamicamente e creativamente le proprie opzioni morali

    Per vivere moralmente non basta sapersi adeguare a delle norme di comportamento, ma è necessario «interpretare» in autenticità e responsabilità l'anelito insito in ogni uomo di fare il bene.
    Codificare e determinare in modo preciso e definitivo tutte le situazioni morali che si possono dare per ogni età e per ogni tempo e per esse indicare le norme a cui un soggetto dovrebbe conformarsi, risulta impossibile.
    Certo si possono dare o trovare norme indicative per situazioni comuni, ma in moltissime situazioni una persona deve decidere trovando in se stessa e in riferimento a dei valori fondamentali quello che deve fare.
    Un atteggiamento morale sembra così doversi esprimere come capacità di saper affrontare «auto-nomamente» la vita, sapendo formulare di continuo in situazioni inedite il proprio dover essere.
    Se per molti casi l'esperienza storica può aver trovato modelli normativi sufficientemente chiari, per altri esiste la necessità di "inventare" quadri di riferimento più comprensivi e adatti riformulando in modo nuovo l'impegno a vivere le sfide che la vita pone.
    Ora tutto ciò non è facile né si può pensare che sia un semplice dato, o un obiettivo che conclude uno sviluppo naturale, quanto invece una tappa che richiede una preparazione, uno stimolo educativo, un saper impostare in modo corretto i problemi morali.

    TRACCIA Dl UN ITINERARIO PER LA EDUCAZIONE DELLA COSCIENZA MORALE

    Nel tracciare l'itinerario ci preoccuperemo di proporre degli obiettivi intermedi e successivi che, secondo noi, portano alle mete finali poco sopra indicate.
    Tali obiettivi non fanno riferimento tanto a delle modalità dell'essere morale, quanto a delle capacità operazionali che secondo noi possono permettere alla coscienza di raggiungere tali modalità.
    Queste capacità fanno fondamentalmente riferimento alla imitazione, riconoscimento, sicurezza e creatività. La prima l'abbiamo indicata nella relazione adulto/giovane, la seconda nel riconoscimento esperienziale dei valori, la terza nella necessità di un loro consolidamento, la quarta nelle modalità che abilitano il giovane a essere creativo nella sua espressione morale.
    Data l'attuale prassi educativa rivolta ai giovani, abbiamo inserito tra la prima e la seconda un'altra modalità, quella del recupero della moralità.
    Distingueremo così l'itinerario in cinque grandi fasi e chiameremo momenti l'ulteriore suddivisione delle varie fasi.

    PRIMA FASE: DALL'ACCETTAZIONE ALLA COLLABORAZIONE

    Questo primo obiettivo non è strettamente etico, ma ci sembra necessario ricordarlo perché è dato troppo facilmente per scontato.
    Lo collochiamo tuttavia in questo ambito perché spesso la prima educazione morale avviene attraverso il modo di essere e il comportamento che dimostra l'adulto e perché ogni rapporto educativo, e quindi anche quello morale, implica un rapporto positivo di stima e di collaborazione tra educatore e giovane.
    Perché questo si verifichi secondo noi devono verificarsi tre condizioni che ora presentiamo.

    Una accettazione incondizionata dei giovani

    Un educatore che si accostasse ai giovani valutando immediatamente ciò che essi fanno e pensano, svalutando ciò che essi amano, sentendosi a disagio per le scelte diverse dalle proprie che essi fanno, corre facilmente il rischio di alienarsi i giovani interrompendo il rapporto educativo.
    Per accettare non occorre condividere, né riconoscere la bontà di tutto ciò che un giovane esprime. L'accettazione che deve esprimere un educatore non deve neppure essere un atteggiamento superficiale o strumentale. Accettazione esprime una disposizione di fondo, positiva nei confronti del giovane, fatta di benevolenza, saggezza, sintonia, empatia, amorevolezza, pazienza, rispetto della libertà, riconoscimento delle sue possibilità di migliorare e della sua originalità.
    Questa accettazione è il riconoscimento del suo essere più profondo, della sua responsabilità, di quello spazio misterioso dove si assumono i valori, si fanno valutazioni, si vivono credenze e speranze, vengono coinvolte le emozioni, si prendono decisioni, si decide la propria libertà.
    Molto spesso, in un primo momento, la coscienza si sveglia e si esprime come imitazione di un modello accettato e riconosciuto. Conta molto, a questo livello, la maturità morale dell'educatore. Una moralità improntata alla oggettività e alla normatività può facilmente dar origine al disprezzo della propria soggettività, di ciò che la coscienza tenta di produrre. Di qui la ricerca da parte del giovane di un essere morale che si adegua a ciò che pensa, valuta e decide l'educatore. Con inevitabili sensi di colpa se non riesce ad essere come il suo modello.
    L'accettazione incondizionata esprime invece il riconoscimento del proprio cercare di essere, magari a tentoni, lasciando alla coscienza la possibilità di esprimersi.

    Un'attenzione al soggetto più che al comportamento

    Se è vero che gli atti non devono essere disgiunti dalla persona e il soggetto non deve essere disgiunto dal suo attuarsi, in termini educativi si possono avere due accentuazioni diverse.
    L'educatore può essere più preoccupato dell'agire morale del giovane che del suo vivere morale.
    Se il giovane fa scelte che indicano un cedimento a valori consumistici e istintuali o condivide acriticamente proposte di vita fragili e parziali, un'accentuazione portata sull'agire morale si esprimerà con una manifestazione del proprio dissenso, con l'indicazione di una norma di comportamento oggettivo, assoluto e indiscutibile.
    Al contrario, una attenzione più diretta al soggetto si esprimerà con la comprensione e la ricerca del valore che intendeva perseguire; con lo spostamento dai fatti ai motivi e alle cause che lo hanno condotto a quella scelta; con il riconoscimento di quanto è anche solo parziale, accettabile. Nel primo caso l'adulto apparirà il paladino della «legge», il difensore della «verità», ma di una legge e di una verità che il giovane non sente, non vede e che gli si impone senza riguardo alla sua soggettività e al suo dinamismo di crescita.
    Nell'altro caso invece si accetta lo sviluppo e la crescita del giovane, si vincono momentanee contraddizioni, si integrano progressivamente i diversi aspetti di oggettività verso una sintesi sempre maggiore e autenticamente vissuta.

    Una testimonianza di coerenza morale

    Un terzo elemento che promuove un rapporto di collaborazione educativa è una testimonianza di coerenza morale vissuta profondamente.
    È un fatto di indubbio valore nel rapporto educativo. Qualsiasi proposta morale ha una prima mediazione in chi la offre vivendola personalmente.
    Il giovane non sa tollerare incoerenze e limiti che disturbano la sua crescita morale.
    Tuttavia non qualsiasi testimonianza può ritenersi giustamente educativa.
    C'è una testimonianza rigida e inflessibile, propria di quanti pretendono di essere riusciti a fare del loro comportamento una «legge trasparente e vivente», così «precisi» da essere diventati loro stessi codice normativo. Al loro contatto i giovani vivono la sensazione di un ricettario freddo e esteriore, per cui le dimensioni fondanti la coscienza e la responsabilità sembrano così lontane da non essere più percepibili.
    C'è poi una testimonianza imperniata su valori che i giovani non recepiscono o ritengono marginali rispetto ad altri essenziali. Nella ricerca della propria perfezione morale che non ci si impegna per la giustizia, per allontanare il pericolo di una guerra. Ci si preoccupa delle «parolacce» e non si fa attenzione al disprezzo con cui si tratta il prossimo.
    Un'autentica testimonianza è, invece, quella che sa vivere innanzitutto la moralità nel profondo della propria coscienza. L'adesione ai valori è la sostanza stessa del suo essere e i comportamenti rimandano immediatamente ad essi. La legge è per questi testimoni non una prigione, ma il modo con cui essi vivono la propria autenticità. La loro meta non è un perfetto comportamento, ma essere sempre più liberi e responsabili nella realizzazione di sé. L'esperienza che essi hanno del «cuore umano» li fa essere saggi e tolleranti con gli altri.

    SECONDA FASE: DALL'ACCETTAZIONE AL RICUPERO

    Incontrare un giovane dal punto di vista morale maturo, è spesso più un'eccezione che una normalità. Il giovane è spesso vittima, oltreché della sua condizione psicofisica, anche dei condizionamenti dell'educazione familiare, dell'esempio degli adulti, della situazione socioculturale e religiosa.
    Un'educazione «negativa» porta facilmente ad adeguarsi materialmente ad una norma morale per ricercare una approvazione di Dio o dell'ambiente, non sviluppa un agire libero e responsabile di fronte alla pressione di gruppo, suscita sensi di colpa eccessivi o insensibilità morale per le proprie scelte e azioni.
    Il superamento degli effetti di una educazione morale «negativa» non è compito facile sia per l'educatore che per il giovane. In alcuni giovani più sensibili certe situazioni possono aver inciso così profondamente da riuscire a stento o forse mai a ricuperare una serenità psicologica e morale.
    Anche se la casistica è molto varia ed ognuna richiede un intervento specifico, possiamo indicare il superamento di questa fase nei seguenti momenti:
    - riconoscimento delle cause del proprio vissuto;
    - individuazione del «luogo» su cui focalizzare l'attenzione di ciò che costituisce la propria realtà morale;
    - accettazione profonda di se stessi;
    - ricerca delle possibilità di uscire dalla propria condizione da parte del soggetto interessato.
    Non entriamo in merito a problemi specifici. Ricordiamo soltanto che queste situazioni possono condizionare un cammino educativo fino a farlo diventare, per qualche caso, un itinerario di recupero morale. Inoltre quando queste situazioni sono il risultato di anni di cattiva educazione, i tempi di ricupero possono essere molto lunghi e solo esperienze forti e alternative possono liberare da quei legami che impediscono uno sviluppo morale.

    TERZA FASE: DALLA TESTIMONIANZA ALLA COMUNICAZIONE E RICONOSCIMENTO

    Nonostante il suo peso e valore, la testimonianza non è un fattore assolutamente efficace.
    La testimonianza ineccepibile di educatori non interpella e stimola tutti i giovani. A volte un rigoroso comportamento morale sembra allontanare anziché avvicinare i giovani. Il vissuto individualistico dei giovani d'oggi lascia a ciascuno la responsabilità delle proprie scelte. Il giovane, in genere, non combatte né condanna le scelte di vita morale di un adulto o di un cristiano, ma neppure se ne lascia provocare. Una scelta morale infatti non è colta come proposta di valori se non a partire da una plausibilità soggettiva.
    Tuttavia il valore morale testimoniato non lascia totalmente indifferenti.
    Se la «povertà» dell'educatore non stimola il giovane al distacco dalla ricchezza, non lo lascia neppure indifferente nel suo attaccamento alle ricchezze e a tutti i comfort.
    Ciò sottolinea l'ambiguità di una educazione affidata alla sola testimonianza. La testimonianza è necessaria ma è anche insufficiente. Bisogna andare oltre.
    Un educatore non è solo chiamato a vivere un proprio impegno morale, ma anche a saperlo «esprimere», a «rivelarlo», a «comunicarlo» a farlo «riconoscere». In questa fase l'educatore è soprattutto impegnato a far sì che il giovane scopra, intuisca, riconosca i valori su cui egli deve orientare la sua coscienza. La sua abilità sta nel rendere comprensibili le cose che egli propone.

    Come far riconoscere i valori?

    Cosa deve fare un educatore per far riconoscere i valori o renderli comprensibili?
    Ricerche recenti hanno dimostrato come «la parola», quale mezzo di comunicazione, possa rivelare delle difficoltà non tanto perché «linguaggio» e quindi per il fatto di essere mediazione, quanto invece perché sembra esigere la presenza in chi ascolta di strutture di comprensione. Un messaggio non è compreso in ragione della sua concretezza o della sua astrattezza rispetto ad un significato, ma in ragione della possibilità che una codificazione ha di «richiamare» elementi depositati nella memoria del ricevente. La comunicazione di un messaggio può risultare efficace se nell'ascoltatore esistono le esperienze che vengono evocate. L'incomprensibilità e l'impossibilità di una comunicazione sembrano verificarsi quando essa non è in grado di produrre una evocazione significativa, cioè un riconoscimento. Questo fatto indica una strada. Un educatore che vuole comunicare un valore deve prima verificare la presenza nel giovane di referenti che rendono possibile la comprensione di ciò che egli intende richiamare alla sua coscienza.
    Poiché un valore è una realtà complessa e ricca di molte sfaccettature e articolazioni, per produrre un suo riconoscimento si richiedono una grande quantità di referenti esperienziali, emotivi, concettualmente elaborati, una contestualità coerente... Per fare un esempio, si può dire che il valore «pace» può essere facilmente riconosciuto solo se lo si connette al potenziale atomico di cui sono forniti oggi gli arsenali, alla possibilità di «errore», alle possibilità annientatrici dell'uomo, della sua storia, della sua cultura, del suo futuro... Se questi fatti non sono presenti alla coscienza riteniamo che difficilmente un giovane possa riconoscere l'importanza che oggi ha un impegno per la difesa e la costruzione della pace.
    È nella preparazione di tutte queste precondizioni, secondo noi, che l'educatore si gioca la possibilità comunicativa dei valori morali che intende proporre. Così, individuati i valori, egli deve stabilire un itinerario di piccole tappe verso i risultati che egli intende ottenere, stando attento a che i vari interventi non siano contraddittori e inconciliabili nella loro composizione finale.

    In sintesi

    Se volessimo esprimere l'itinerario di questa fase, potremmo indicarlo in due momenti.
    - Individuazione delle aree valoriali a cui l'educatore vuole richiamare l'attenzione (ad esempio, responsabilità nel lavoro, impegno per la pace, rispetto della vita, riferimento al trascendente, amore...).
    - Determinazione delle esperienze o delle informazioni che devono essere date o ricevute perché la coscienza sia in grado di decidersi.
    Quanto a questo momento è importante che si tengano presenti le istanze che si esprimono come domanda della coscienza dei giovani: una informazione che lascia alla soggettività la responsabilità di decidersi, la possibilità di riorganizzare in modo personale e originale il valore...

    QUARTA FASE: DAL RICONOSCIMENTO AD UNA ASSIMILAZIONE DEL VALORE

    Dal riconoscimento di che cosa implichi un valore alla convinzione che in esso si realizza la propria identità il passaggio non è immediato e spontaneo, perché c'è un salto come tra il riconoscere e il valutare, tra l'essere informati e l'essere certi della verità della informazione.
    Il superamento di questo salto richiede un adeguato intervento educativo. Non possiamo elencare qui tutte le modalità del cammino. Proponiamo solo accenni.
    Un'attività di consolidamento si produce fondamentalmente con un'azione educativa rivolta a «connettere» il valore riconosciuto con esperienze e informazioni che godono di una fiducia soggettiva ed oggettiva.
    Per rendercene conto basta che noi riflettiamo al modo con cui esprimiamo la certezza che la vita è un valore fondamentale, tale da esigere qualsiasi sacrificio per salvarla, difenderla e promuoverla. Questa sicurezza deriva dalla coscienza della originalità dell'uomo rispetto a tutti gli altri esseri, dalla gioia con cui si vivono certi momenti, dalla bellezza dell'amare e dell'essere amati, dal riconoscimento delle cose che riusciamo a realizzare, dal mistero che ogni uomo dimostra di avere nel proprio cuore, dal potere dell'intelligenza... Quando tutte queste e altre cose ci risultano certe e sicure noi ci troviamo "sicuri" della grandezza del valore che abbiamo riconosciuto e sentiamo come offesa personale quando la vita è conculcata o disprezzata. Al contrario, quanto più le cose su accennate ci diventano insicure tanto più viene spontaneo il desiderio della morte.
    Più genericamente potremmo dire che un vincolo morale relativo a un valore nasce, aumenta o diminuisce a seconda della certezza che si ha in riferimento ad esperienze, informazioni a cui il valore in questione è strettamente vincolato.

    Due modalità di consolidamento

    Naturalmente gli interventi di consolidamento di un valore possono essere molti. In generale possono rifarsi a due modalità: estrinseche o intrinseche.
    Nella prima modalità si raggiunge una plausibilità per connessioni e circostanze esterne e contestuali al valore. Ad esempio: la persona che ci «rivela» un valore è degna di fiducia, è un testimone coerente, possiede una scienza riconosciuta; il suo modo di impostare il problema e la sua soluzione è pressoché unanime nell'ambiente nel quale si vive; esiste una pressione di gruppo nel senso di una accettazione o rifiuto di qualcosa; oppure fa paura tanto il negarla quanto l'assumerla. La seconda modalità «intrinseca» ricorre a riferimenti semantici, logici, razionali. Il senso, l'istanza e la necessità di un valore derivano dalla natura stessa delle cose, indipendentemente dal contesto, dall'educazione ricevuta.
    Le due modalità descritte nella realtà, non avvengono in modo univoco, ma rappresentano due polarizzazioni di un unico processo attraverso cui noi consolidiamo qualche valore che abbiamo riconosciuto. Il prevalere dell'una o dell'altra dipende dalle circostanze e dalle persone. Si pensi all'agire morale del bambino, in cui una cosa è ritenuta cattiva perché l'ha detto la mamma, e a quello dell'adulto che compie un'azione sulla base del suo significato intrinseco anche in assenza di una struttura punitiva.

    Quando i valori non trovano riconoscimento

    È indubbio che l'attività educativa debba consolidare un valore per motivi intrinseci e non contestuali. Tuttavia può capitare che un educatore si trovi a proporre valori che non trovano un riconoscimento di plausibilità da parte dei giovani. Che fare? Di chi la colpa? Chi è nell'errore?
    Il caso può avere molte variabili. Prendiamo in considerazione la situazione nella quale i due interlocutori si comprendono, ma hanno opinioni con plausibilità contrastanti.
    Una prima causa del contrasto potrebbe essere una «verifica» oggi ritenuta non più accettabile. Potrebbe essere il caso di chi pensa che una guerra oggi non sia sempre condannabile poiché una eventuale deflagrazione non sarebbe «mondiale».
    Supponiamo però che un adulto adduca per le sue affermazioni prove oggettivamente serie. Potrà pretendere un assenso da parte del giovane? Sembra di no. Il riconoscimento delle prove che vincolino l'assenso può essere ottenuto solo nel caso in cui le motivazioni dell'educatore assumano la stessa rilevanza e importanza per il giovane. In caso diverso si avrà un allontanamento dalla posizione assunta dall'adulto.
    I diversi effetti potranno essere descritti come impossibilità a capirsi, provocazione a ripensare alle proprie posizioni, richiesta di maggiore delucidazione o chiarimento, o possibile abbandono di una relazione adulto/giovane.
    Non è il caso che ci dilunghiamo nell'esame di questa situazione, tuttavia essa ci indica l'attenzione che un educatore deve porre nel produrre sistemi esperienziali e logici di plausibilità capaci di sostenere scelte morali.
    Tutto ciò può sembrare complicato, ma non fa che seguire il modo ordinario con cui elaboriamo le nostre convinzioni. Alcuni esempi. Chi ha condiviso qualche volta la fame dei poveri, con molta probabilità sentirà l'impegno per i poveri come un obbligo morale. Chi ha sviluppato una relazione interpersonale profonda diretta alla totalità della persona, verificherà immediatamente l'immoralità di una sessualità ridotta alla genitalità. Chi ha provato momenti di profonda esperienza di Dio, facilmente accetterà la necessità morale di riconoscere la sua Signoria.

    In sintesi

    Riassumendo, potremmo trovare qui due momenti di una educazione della coscienza che sia fondata in modo oggettivo:
    - individuazione dei valori e degli imperativi morali da vivere e ricerca delle connessione che li possono rendere plausibili;
    - ricerca di ragioni, esperienze che le rendono credibili. Nella pratica realizzativa i due momenti non seguono questa successione temporale, ma nella fase progettuale è essenziale che il primo momento preceda il secondo.

    QUINTA FASE: DALL'ASSIMILAZIONE E CONSOLIDAMENTO ALLA CREATIVITÀ MORALE

    Partiamo da un esempio.
    Pur riconoscendo la validità di una regola geometrica, nel momento di applicarla non tutto risulta facile. Come dire un famoso proverbio: «tra dire e il fare c'è...». Il fatto che pur conoscendo una regola non sempre si sia in grado di risolvere dei problemi, ci fa intravedere che le norme e i principi morali non bastano per risolvere dei problemi concreti. Resta un obiettivo importante per ogni educatore, pur nella sua indubbia complessità e difficoltà, il raggiungere una capacità di trovare una nuova espressività e creatività morale.
    I processi di creatività e di soluzione dei problemi sono ancora un mistero per la ricerca scientifica. D'altra parte, il rifiuto di una moralità fissista e normativa e il desiderio di ottenere più autenticità nelle scelte morali ha indotto molti adulti a non proporre più nulla, ma a lasciare ai giovani ogni decisione e valutazione morale dei comportamenti.
    Si deve riconoscere che questo atteggiamento educativo è insufficiente da solo a provocare o a suscitare nel giovane una seria capacità di valutazione e decisione morale.

    Che significa produrre decisioni morali?

    Ci chiediamo allora: quali caratteristiche deve avere un'educazione attenta a «produrre» decisioni morali?
    Riprendendo la sintesi di G. Piana pubblicata in Note di pastorale giovanile (Q11) 1984/1, p. 43, si può dire che il soggetto è in grado di formulare creativamente una decisione morale quando esso è in grado di operare una sintesi tra diversi livelli:
    - il livello dei valori che hanno carattere di oggettività assoluta;
    - il livello delle norme che hanno, invece, carattere di oggettività storico-sociale, in quanto codificano i valori in relazione ad un preciso contesto socio-culturale;
    - il livello della persona e della coscienza che rappresenta il punto di riferimento decisivo per la valutazione del comportamento.
    In altre parole, dice Piana, se si vuole rispondere alla domanda: che cosa devo fare per vivere un valore determinato oggi, ciò presuppone: da un lato, la coscienza del valore e della concreta traduzione normativa sul piano storico, e dall'altro l'attenzione ai carismi propri della persona, alla vocazione che le appartiene. Immutabilità e storicità, soggettività ed oggettività, personale e politico vengono così mediati dando luogo alla genesi di un progetto articolato ed unitario che giustifica pienamente il dinamismo della vita morale.
    L'etica appare così il luogo dell'incontro tra libertà e valore, tra desiderio soggettivo e mondo oggettivo dell'obbligazione e del dovere; anzi come ambito all'interno del quale queste grandezze ritrovano la loro efficace saldatura e la loro feconda composizione.

    Educare a ricercare i riferimenti

    Da quanto detto, emerge che si educa la coscienza dei giovani a raggiungere una capacità «giustamente» creativa, se essi vengono educati a stabilire e a ricercare in ogni situazione i riferimenti necessari ai diversi livelli sopra indicati.
    Ad un giovane che pratica e vive delle "norme", un educatore dovrà sempre indicare il riferimento valoriale sottostante un comportamento, provocandolo a non limitarsi all'adempimento di una norma. Se un giovane esprimerà un comportamento la cui normatività storico-culturale non sembra «oggi» condivisibile, egli promuoverà una riflessione facendo riferimento ad esperienze dell'attuale coscienza storico-culturale che non rendono più accettabile quel comportamento. Se il giovane agisce facendo riferimento solo alla sua «soggettività individuale», il suo comportamento sarà «autonomo», ma mancherà di riferimenti oggettivi altrettanto importanti che egli dovrà ricercare. Per un intervento educativo appropriato, l'educatore dovrà sapere quindi in quale situazione si trova e decidere in quale direzione dovrà orientare la coscienza del giovane: se a ricercare il fondamento valoriale di un comportamento, o se partendo dal valore si dovrà scoprire quale comportamento può esprimerlo meglio, o se da un comportamento troppo chiuso nella propria soggettività il giovane dovrà confrontarsi con una normatività storico-culturale. In conclusione, senza interventi educativi non si può pensare che un giovane raggiunga questo obiettivo che esige un confronto approfondito tra momento valoriale, normativo e istanza soggettiva. Al contrario di quello che si potrebbe pensare, creatività e ricerca morale non hanno a che fare con spontaneità e soggettivismo individualistico, quanto invece con sensibilità storica, percezione e riconoscimento dei valori, una introspezione profonda e una coscienza orientata alla ricerca del bene.

    In sintesi

    Riassumendo, si può dire che non si può raggiungere questa fase se prima non si è capaci di:
    - saper passare dal possesso di valori alla loro espressione normativa e ad una loro assunzione personale;
    - saper passare dalla normatività di un comportamento al suo riferimento valoriale e quindi ad un proprio modo soggettivo di assumerlo;
    - staccarsi dalla soggettività del proprio modo di valutare le proprie scelte per un recupero di valori oggettivi e un confronto aperto con una normatività storico-culturale.


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