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    Pastorale giovanile nel divenire culturale ed ecclesiale della morale



    Tullo Goffi

    (NPG 1982-01-12)


    La morale cristiana si qualifica immutabile nei suoi essenziali valori umani e cristiani. Tuttavia essa va concretizzando questi suoi perenni valori entro il mutevole contesto socio-culturale-ecclesiale. In questo suo periodico aggiornarsi culturale, essa ha coinvolto la stessa pastorale giovanile. Difatti in via ordinaria l'azione pastorale ha proposto ai giovani la maturità spirituale al modo come veniva indicata dalla morale del tempo.
    Con questo non si vuol misconoscere che la stessa morale si è configurata culturalmente anche in base alle sollecitazioni che le venivano rivolte dalla stessa azione pastorale.
    Per chiarire l'affermazione posta, possiamo fare qualche esempio.

    IL CONCORDE DIVENIRE STORICO DI ETICA E DI PASTORALE

    L'etica cristiana, all'inizio, si è presentata in una sua configurazione del tutto originale. Essa ha indicato non già una norma ricavata dalla natura umana, ma quale sia il comando di Dio contenuto nel kerygma evangelico. L'etica cristiana ha proposto e richiesto che la nostra esistenza terrena dovesse mostrarsi in armonia con l'evento salvifico di Cristo. Credere in Cristo voleva dire cambiare la propria vita e convertirsi; attuare quanto veniva significato dalla liturgia a cui si partecipava.

    Alcuni modelli storici di morale e pastorale

    Il modello agostiniano e medioevale

    Ai tempi di S. Agostino dominava la cultura neo-platonica, la quale poneva in primo piano la realtà trascendente. Il mondo presente era concepito come una situazione di bassezza o di condanna, da cui bisognava evadere. I valori spirituali autentici erano quelli assoluti dell'al di là. La pastorale era tutta impegnata nel presentare una morale che inculcava ai giovani un'esistenza interamente raccolta sul futuro escatologico. Il libro più letto è stato quello riguardante la vita di S. Antonio: il giovane ricco che tutto abbandona per ritirarsi penitente nel deserto.
    Nel medioevo si crea una grande rivoluzione culturale spirituale. Non più si innalza lo sguardo per vivere secondo la legge eterna giacente nella mente di Dio; ma si afferma che tale legge trascendente è reperibile all'interno del creato. Per cogliere simile legge bisogna ragionare sulla natura degli atti umani che si compiono, sul senso metafisico dei comportamenti, sulla realtà ontologica delle azioni compiute. Natura degli atti significa ciò che è comune a un dato genere di azioni, non mutabile per il loro situarsi in circostanze differenti, non variabile per le modalità soggettive di chi opera.
    Si otteneva così la possibilità di cogliere la morale entro la realtà mondana, ma esprimibile in norme assolute che specchiavano la legge divina. Si è parlato diffusamente di legge naturale.
    In armonia a tale concezione etica, la pastorale educava i giovani a vivere i valori religiosi assoluti, ma entro il mondo presente. Si parlava ad essi ancora del monaco, ma non del monaco fuggiasco nel deserto, bensì impegnato nei comuni lavori mondani al modo dei monaci benedettini. Il giovane cristiano doveva essere educato a vivere situato nel mondo, ma con spirito evangelico trascendente la mondanità.

    La morale e pastorale postridentina

    L'epoca ecclesiale che segue al Concilio Tridentino, dà molto risalto, più che alla legge naturale colta dalla retta ragione, al come tradizionalmente si è strutturata la società con i suoi organismi ecclesiali, statali, familiari e lavorativi. Si riteneva che queste istituzioni sociali potessero moralmente essere vissute unicamente secondo la forma da esse ormai acquisita. Dalle esistenti strutture istituzionali della società si deducevano le norme morali. Pastoralmente i giovani venivano educati a uniformarsi a tutto l'ordine istituzionale esistente. La pastorale ha cercato di convincere i giovani a mostrarsi ossequienti verso le tradizioni spirituali; a immettersi entro le strutture pubbliche di fatto esistenti; a conformarsi alla sapienza tradizionale degli anziani. Viene esaltato il giovane che si è totalmente inserito nell'ordine dominante e che scrupolosamente lo rispetta con ossequio religioso.
    Potremmo dire che qui si ha un'adesione più immediata alla realtà mondana, che non nella pratica medioevale della legge naturale, ma è un aderire al mondo sul come esso si è anchilosato. Si sacralizza lo spirito religioso e spirituale del passato; si venera la sapienza elaborata ieri. Da qui l'importanza che veniva data ai proverbi popolari.

    La mancanza di coscienza del divenire storico della morale

    In tutte queste epoche ricordate la morale è andata culturalmente modificandosi in maniera profonda. E tuttavia, sia pure per motivazioni differenti, essa si è sempre presentata in principi etici proclamati come integralmente immutabili ed imperituri. Etica inculcata come un tutto assoluto destinato ad attraversare in modo inalterato tutti i tempi e ogni cultura; che necessariamente doveva essere accolta e praticata in maniera interamente invariata da tutti e sempre. È mancata la coscienza che i valori spirituali nel divenire storico salvifico si fossero manifestati all'interno di profonde innovazioni culturali.
    Anche l'azione pastorale, in modo del tutto coerente con la morale, si è impegnata a far vivere tali principi etici richiedendo che fossero accolti al di fuori di ogni revisione culturale. Essa ha richiesto ai giovani una sola cosa: credere all'insegnamento catechistico obbedendo ai suoi precetti morali. Appellandosi all'autorità magisteriale della chiesa, la pastorale ha saputo indurre i giovani all'accoglienza della norma cristiana, anche quando questa si esprimeva in contrasto con le loro aspirazioni culturali. Essa ha svolto, necessariamente, un ruolo prevalentemente conservativo: ha proclamato la bontà dell'ordine costituito; la necessità di inserirsi rispettosamente in esso.

    CONTESTO ETICO-PASTORALE ODIERNO

    L'etica, formulata sulle istituzioni sociali nella forma esistenziale di ieri, è stata aggredita dalla cultura contemporanea, cultura interpretata dai «maestri del sospetto»: K. Marx, S. Freud, F. Nietzsche. Il sospetto è gettato su una morale che sembra educare alla passività, alla rassegnazione, al vittimismo, mentre tutto intorno a noi richiama a dissodare la terra, a potenziare con la macchina le nostre forze umane, a sondare i cieli per dare ad essi un dinamismo nuovo, a diventare creatori e artisti del nostro soggiorno terrestre.

    Il clima culturale degli anni '60 e la ricerca di una morale «istruita dalla storia»

    Con gli anni '60 la comunità italiana si sente impegnata verso un maggior benessere. Si esalta il progresso produttivo e il clima consumistico; si cerca di avere sempre più beni economici; si introduce il convincimento che tutto può essere risolto con l'accumulo dell'avere, col mostrare di saper fare. Ben presto subentra la crisi di un tale contesto socio-culturale. La persona si sente sacrificata alle cose; i valori personali sostituiti dai processi tecnico- civilizzatori; l'animazione spirituale come sostituita dalle strutture massificanti. In questo clima è apparso naturale dubitare della struttura sociale esistente e della morale che lo sacralizzava. La reazione del '68 ha proposto la rottura completa della struttura sociale ed ecclesiale per poter progettare una nuova vita a dimensione d'uomo. Si è guardato criticamente l'ordine esistente per metterne in luce le sue incongruenze e ingiustizie. Non più etica dipendente dall'assetto pubblico in vigore, ma ricerca verso una morale più autentica, lasciandosi istruire dal nuovo vissuto culturale. Si è ritenuto necessario mettere tutto in discussione per verificarne l'attendibilità. L'uomo adulto è colui che si lascia istruire e non si chiude in un ghetto di presupposti.
    Questa disponibilità a lasciarsi istruire dalla storia umana si è concretizzata principalmente in due correnti. La prima, d'impronta prettamente laica, invita a sorpassare le vecchie categorie di bene e di male adottando le moderne tecniche terapeutiche «con nessun'altra finalità se non quella della produzione di un po' di benessere». Mentre una corrente umanistico-personalistica invita a seguire, come criterio etico, la propria retta benefica esperienza raffrontata con quella degli altri. Si inculca la necessità di procedere non sull'arbitrio individuale, ma su modelli comunitari proficuamente esperimentati.

    La riflessione cristiana come «fermento» nel divenire dell'umanesimo

    L'odierna riflessione cristiana approva il criterio di elaborare l'etica sull'esperienza comunitaria ed ecclesiale.
    Ritiene che sia un procedimento altamente giustificato, sia perché pone a fondamento della norma morale la natura umana integrata nei valori di comunicazione interpersonale, sia perché crede alla presenza animatrice dello Spirito all'interno del vissuto umano comunitario ecclesiale. Siamo innanzi a un'etica oggettiva, che si radica sull'umanismo ricuperato salvifica- mente dal Signore; che esprime le esigenze reali affioranti dalle relazioni interpersonali esistenti nel Cristo integrale; che riflette i valori che lo Spirito svela nell'intimo degli animi evangelici.
    Di qui anche il nuovo compito etico della comunità ecclesiale. Essa è chiamata a proporre la fede, non esclusivamente radicata su un ordine stabilizzato per sempre, bensì anche come fermento evangelico all'interno dell'umanismo in divenire. La comunità cristiana viene impegnata a svolgere contemporaneamente due compiti: partecipare alla creatività di umanismi in correzione o integrazione di quelli antecedenti apparsi difettosi; e, insieme, distanziarsi da questa elaborazione per saperla valutare in forma critica ed elevarla evangelicamente. Il Concilio Vaticano II ha precisato: cogliere i valori spirituali «alla luce del vangelo e dell'esperienza umana» (GS 46).
    È un modo tipicamente pasquale di elaborare la norma etica: saper morire a certe proprie categorie umane costatate come inadeguate per rinascere in uno spirito maggiormente redento. Etica cristiana che si esprime nello spirito della povertà evangelica, poiché consente di lasciarsi istruire dallo Spirito lungo la storia salvifica. «Poiché la nostra conoscenza è imperfetta, imperfetta è la nostra profezia. Ma quando sarà venuto ciò che è perfetto, svanirà ciò che è imperfetto» (I Cor 13,910).

    UNA PASTORALE D'ETICA PER I GIOVANI D'OGGI

    La pastorale giovanile è cosciente di vivere in un contesto culturale ed ecclesiale nuovo. «La scienza classica riteneva di poter dare un'immagine totale del mondo o di poter racchiudere l'intero sviluppo del mondo in poche formule matematiche. La scienza contemporanea ritiene soltanto di dover garantire a se stessa la possibilità di sempre nuove osservazioni, di nuove aperture di orizzonte sull'avvenire. L'atteggiamento della scienza dogmatica e metafisicista è quello di chi crede di possedere un sapere divino del mondo. L'atteggiamento della scienza critica è quello di chi sa che la scienza è un sapere umano, faticosamente costruito dall'uomo per l'uomo» (N. Abbagnano).
    Dato questo contesto culturale la pastorale sa di non poter imporre ai giovani l'etica di ieri come se veramente incarnasse una razionalità integrale e perfetta. Nello stesso tempo la pastorale non può far credere ai giovani che sia possibile vivere indipendenti dalla regola morale o di insterilirsi in violente velleità contestative.

    Coinvolgere i giovani maturi a testimoniare

    In pratica, come educare i giovani a un retto senso morale in armonia col presente contesto socio-culturale? La pastorale è un'arte ecclesiale educativa. Bada al genere di giovani che ha innanzi. Se questi si mostrano mancanti di una propria maturità critica e inclinano a una soggezione costante di giudizio - (Kant diceva: «incapaci di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro») - devono essere istruiti sui valori spirituali accolti e vissuti nella comunità ecclesiale. Anche se è opportuno che tali norme morali siano ad essi presentate nel contesto del disegno divino salvifico generale, così da invitarli a diventare responsabili come membra attive del popolo di Dio; a crescere per saper stare in ascolto ove lo Spirito potrebbe orientare.

    Educare i giovani a farsi profeti e testimoni di un nuovo stile di vita

    L'azione pastorale, qualora si rivolga a giovani con maturo discernimento personale, non più si limita a dettare il costume come è vigente presso la comunità ecclesiale. Ad essi propone anche la missione di essere profetici nel cogliere e testimoniare con la propria vita le nuove esigenze umanistiche integrate sui valori evangelici. I giovani sono sollecitati ad acquisire, accanto alla coscienza che applica alla propria condotta le norme valide tradizionali, anche l'amore ad intuire i nuovi aspetti del disegno divino in attuazione nella presente esistenza ecclesiale. Jahvé aveva affermato: «Io effonderò il mio spirito su ogni vivente e le vostre figlie e i vostri figli profeteranno, i vostri anziani avranno dei sogni e i vostri giovani visioni» (Gl 3,1). Il Signore rimproverava i suoi contemporanei: «Sapete dunque interpretare l'aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?» (Mt 16,3). Simile azione pastorale tende a convincere i giovani a non lasciarsi entusiasmare dalla novità in quanto novità, né ad accanirsi contro una proposta perché consueta. Cerca di sensibilizzarli nella ricerca del miglior fattibile umanismo animato da spirito evangelico. Tutto questo è proficuo solo se i giovani abbiano sempre e ovunque una prospettiva comunitaria ecclesiale. Non devono procedere in modo solitario, ma pazientare per maturare i valori spirituali nella e con la comunità cristiana.

    Conclusione

    Assai delicata ed ardua è l'odierna pastorale giovanile circa l'educazione morale. Per realizzarla adeguatamente il pastore d'anime ha bisogno di una particolare assistenza dello Spirito. Solo così saprà rendere gli occhi dei giovani «capaci di esistere e di vedere negli e attraverso gli occhi della Colomba» (S. Gregorio Nisseno).


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