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    La sessualità come compito di «tutto» l'uomo



    Eugenio Fizzotti

    (NPG 1979-03-32)


    In una vita pienamente riuscita e ricca di significato le varie componenti dell'amore (affettiva, corporea, esistenziale) devono formare un'unità armonica la quale, non essendo frutto di un processo automatico, dev'essere espressamente curata ed educata. In particolare, l'intensità dell'esperienza sessuale corporea può rendere problematica l'integrazione della componente fisica con quella affettiva e spirituale. Emerge in tal modo il problema dei rapporti fra sessualità come istinto e sessualità come condotta personale.
    Stando a quanto scrive il Ronco, «l'istinto in psicologia ha tre componenti: 1° la sensibilità innata per determinati stimoli-chiave, che avviano la condotta istintiva; 2° il bisogno innato di produrre determinate azioni, dette azioni istintive; 3° la capacità innata di fare queste azioni in modo efficiente, senza apprendimento sufficiente. Anche la sessualità umana presenta molto di questo aspetto automatico, istintivo: esistono degli stimoli visivi, tattili, di fantasia che avviano in maniera automatica l'istinto. Ciò non vuol dire che lo portino fino alle estreme conseguenze: è sufficiente che automaticamente lo avviino.

    LA SESSUALITÀ COME ISTINTO

    L'uomo percepisce il bisogno di realizzarc azioni che coinvolgano in maniera specifica la sua sessualità ed è capace automatica mente di produrle in modo efficiente. D. conseguenza, l'istinto viene a manifestare una sua vita autonoma. Tuttavia, questo istinto può essere in qualche modo integrato nell'uomo, non essendo cosi automatico varie infatti sono le fasi, vari i momenti a disposizione della persona, quali la ricerca c la fuga degli stimoli, la continuazione della stimolazione, l'inquadramento di significato della singola azione nel quadro globale della propria esistenza. Tuttavia, mancando una capacità, una intenzione generale molto ber radicata di dedizione, di bontà, di affetto. può darsi che l'unica cosa ad esistere ed a funzionare per conto proprio sia appunto l'istinto.
    Nasce in tal modo il bisogno di «governare» l'istinto, così da porlo a servizio della persona nell'incontro profondamente significativo dell'amore. Troppo spesso infatti nell'atto di amore si ha l'impressione di essere sopraffatti da qualcosa di impersonale, dall'alienazione, dalla violenza e dalla mancanza di rispetto.
    Dell'istinto, ben lo si comprende, si ha solo un dominio in certo qual modo «politico»; non ci si può fermare quando si vuole, se il meccanismo è già in fase molto avanzata. proprio perché l'istinto ha un suo funzionamento automatico. Usando invece la «politica» di governare gli stimoli e di collocare la reazione istintiva nell'insieme della propria intenzione, dei propri sentimenti, dei motivi anche più generali di esistenza, allora si usa un governo politico dell'istinto. È utile rifarsi alla distinzione che Freud ha operato tra «fine istintivo» e «oggetto istintivo». Quando nella pubertà avviene lo sviluppo e la maturazione della sessualità, si determina - come «fine istintivo» - la scarica delle tensioni sessuali accumulate; ma questa scarica non ha bisogno di essere provocata sotto forma di atto sessuale. Per questo basta la masturbazione. Soltanto ad un gradino superiore di sviluppo sessuale subentra un «oggetto istintivo»: si mira cioè ad un partner che si presti all'atto sessuale, un partner qualsiasi. Basta una prostituta. Ma è chiaro che a questo livello la sessualità non è ancora assunta al piano propriamente umano. La «umanizzazione» del sesso comporta che il partner non sia un «oggetto», ma diventi un «soggetto» che, in quanto persona libera e responsabile, non può più, quindi, essere «usato» o addirittura abusato come mezzo per raggiungere uno scopo (lo scopo del piacere). Ciò non significa che, quando viene umanizzato, il sesso perde il piacere: anzi, il piacere viene raggiunto quando l'uomo non si preoccupa di afferrarlo. E un po' come il boomerang, il quale ritorna verso il cacciatore che l'ha lanciato quando ha sbagliato obiettivo, non colpendo la preda: l'uomo si rinchiude nella visione unilaterale e riduzionista della sessualità quando naufraga nel dono di sé, quando vede l'altro non più come persona ma come un mezzo per raggiungere il piacere.

    LA SESSUALITÀ COME CONDOTTA PERSONALE: L'AMORE

    E da tempo ormai che la psicologia può seguire le orme del rigore e della sincerità delle ricerche freudiane (l'indiscutibile grandezza di Freud - a parte quella di essere stato il vero fondatore della psicoterapia - consiste proprio nell'aver posto l'amore al centro dell'esistenza umana normale e patologica, e di aver attirato l'attenzione su di esso della scienza positivistica alienata), molto meglio di quanto potesse farlo il famoso padre della psicoanalisi, imprigionato nell'ideologia naturalistica. La psicologia attuale può impegnarsi nell'ambito del percepito, dell'osservato, del fenomeno vivo, e rinunciare all'ebbrezza del postulato, del presupposto inconscio, del modello costruito e artificioso.
    L'amore vero, quello che integra la dimensione sessuale, accoglie e comprende l'altra persona non solo nella sua totale umanità, ma soprattutto nella sua unicità e singolarità, come persona originale e irripetibile. E quindi l'amore appare come un modo di rapportarsi dell'uomo agli altri, al mondo, alle cose, a Dio.
    Da Max Scheler, passando per Jaspers, Minkowsky, Gabriel Marcel, Adler stesso, Allers, Binswanger, fino a Weizsi cker, Gebsattel, Frankl e Boss, per non nominare che alcuni tra i ricercatori più noti del nostro secolo, l'amore fu studiato cosi come appare e si esplica esistenzialmente, e la sessualità come una peculiare realizzazione dello stesso sul piano corporale. Con ciò si inizia la vera «modernità» della ricerca antropologica, sia normale che patologica. L'amore non risulta essere un «istinto sublimato» e neanche un «sentimento», né un «moto dell'animo», né una «particolare sensazione», ma semplicemente un «modo di essere nel mondo» (Boss) che fonda l'unità Io-Tu, la «nostralità» (Wirheit), per dirla con Binswanger, che porta con sé il superamento di ogni ristrettezza, di ogni paura, la mancanza di significato, l'isolamento e l'alienazione. L'unità che l'amore fonda non è soltanto unità dell'Io con il Tu, ma anche unità con il mondo (sintonia con esso) e unità interiore in se stesso, vissuta specialmente come unità di anima e corpo.

    IL CORPO È IL LINGUAGGIO DELL'INTENZIONALITÀ

    Ma il corpo non è affatto lo strumento dell'anima, la cetra che il musicista fa suonare, l'involucro dell'esistenza, la quale in verità apparterrebbe propriamente all'anima, come credevano gli antichi greci. Lo stesso Platone pare non abbia mai affermato: «L'anima, ecco l'uomo», che si serve del corpo come un barcaiolo della sua barca, secondo quanto Cartesio avrebbe ritenuto, e più tardi ancora tutto il coro dell'Illuminismo tedesco, ebbro di «immortalità dell'anima», con Mendelssohn, Kant, Fichte, Schopenhauer..., avrebbe ripreso.
    Nulla vi è nell'uomo di «puramente spirituale», nulla che sia solo pensiero puro, senza che esso sia contemporaneamente sensibilità e funzione organica. Ma anche nulla vi è nell'uomo che sia puramente «materiale», puramente «biologico». Quindi la vita organica in tutte le sue dimensioni fino agli ultimi e più intimi processi intracellulari è codeterminata, coniata, «formata» dal centro spirituale della persona, e proprio dalle libere prese di posizioni umane di fronte al mondo, di fronte agli altri. Ed è proprio ciò che la fenomenologia e l'analisi esistenziale, dopo gli smarrimenti naturalistici della prima psicoterapia, mettono oggi in rilievo. Ciò che è nell'anima non «si manifesta» o «si esprime» mediante il corpo, ma «si corporalizza», «si realizza esistenzialmente nella corporalità». Il corpo non «trasmette» nulla, ma «realizza». Non è un mezzo di comunicazione ma incarna, attualizza sul piano corporale la comunicazione, il rapporto a sé e agli altri. «Il corpo è il linguaggio dell'intenzionalità. Non solo esso esprime l'intenzionalità; la comunica» (R. May). La persona «realizza» la sua tenerezza con lo sguardo, la parola, il tatto e il contatto. È proprio la dimensione fisica dell'amore, in rapporto con quella del sentimento e dello spirito, a rivelare l'originalità e lo stile proprio di ogni persona nella comunicazione. La sessualità non è dunque «espressione dell'amore», ma è amore che si attualizza, si realizza nell'ambito corporale. La carezza è amore, cioè contatto non tra due corpi separati dall'anima, ma tra due persone che si amano, unificate ognuna dall'amore, che si realizza a sua volta in quel contatto personale. La carezza sulla mano della persona amata non serve a dare nozioni di anatomia, perché - come osserva Van den Berg - «la mano della persona amata non ha ossa, muscoli, vasi e nervi»: essa è semplicemente «mano», cioè vita umana indivisibile, infrantumabile, captata in un'esperienza di carattere nettamente preriflessivo.
    Non è adeguato dire dunque che la qualità dell'amore umano si «esprime» nel comportamento sessuale, ma bisogna dire, e non soltanto dire, che la qualità, il modo dell'amore - la sua ampiezza o la sua meschinità, la generosità oblativa o l'egoismo possessivo - si «fa» comportamento sessuale, si «realizza» sul piano sessuale. I disturbi sessuali - le cosiddette nevrosi sessuali, le perversioni, ecc. - sono il restringimento delle possibilità amorose dell'essere nel mondo - come isolamento, capricciosità, paura, vezzeggiamento egotico, irresponsabilità - realizzate, esistenzialmente vissute, non solo nell'ambito spirituale, ma anche in quello affettivo e sessuale: solo la modifica di questo modo di essere nel mondo, tramite la liquidazione di tutti gli elementi restringenti l'apertura verso l'altro, darà luogo all'equilibrio sessuale adeguato.
    Era ora di uscire dal rimestio stagnante dei «complessi» e tentare di captare la vita di amore dell'uomo con più spregiudicata immediatezza, anche a costo di perdere l'aureola di «iniziazione misterica» che i rigidi schemi interpretativi freudiani si erano assicurati, e che ancora affascina molti «curiosi» delle cose sessuali.
    L'amore non mira alle qualità fisiche o psicologiche del partner, bensì alla sua unica e irripetibile esistenza di fatto, al suo «essere-così». L'amore non si attacca a questa o a quella qualità che il partner «ha», bensì a ciò che egli è nella sua assoluta originalità. «Per chi ama non ha essenziale importanza il tipo fisico per il suo potere eccitante o certe caratteristiche psicologiche capaci di scuoterlo emotivamente: importanza ha solo quella determinata persona in sé, quale «Tu» non paragonabile né sostituibile con altri. Di conseguenza, l'autentico amore, in quanto vi si rivela un «Tu» così come è, nell'impossibilità di essere diverso, è risparmiato da quella caducità da cui sono colpiti la sessualità fisica o l'erotismo psichico, in quanto pure condizioni. L'amore è più d'una situazione del sentimento. Esso è un atto intenzionale che raggiunge l'ipseità di un Tu, l'essenza di un essere umano» (Frankl). Questo Tu non è scambiabile, non è surrogabile o sostituibile, e perciò il rapporto ad esso risulta specifico, incomparabile, e quindi indissolubile, «più forte della morte».

    L'AMORE COME COMPITO

    Siccome l'Io e il Tu s'incarnano in personalità sempre nuove, sempre originali, l'amore incomincia ogni giorno, dev'essere inventato ogni giorno, e la fedeltà quindi non è una fissità, una rigidità, o un richiamarsi ad uno stato iniziale d'innamoramento entusiasta ed emotivo, più o meno realistico, bensì un rinnovamento continuo, una crescita senza soste, un adeguamento instancabile, carne di una vita in comune. O l'amore s'inventa ogni giorno o incenerisce in riti senza alcun significato. «L'amore è un'avventurosa conquista. Esso si mantiene e si sviluppa come lo stesso universo: ossia attraverso una perpetua e costante scoperta» (T. de Chardin). Un'autentica relazione d'amore non si ferma all'attimo presente, ma attinge il futuro e le potenzialità nascoste nel Tu, quale essere irripetibile nel suo «esserci» ed unico nel suo «modo di essere».
    «Amare è servire. Quando mi pongo di fronte ad una persona, posso considerarla da due punti di vista. Posso tener conto della sua realtà, di ciò che è. Ma posso anche far. attenzione a ciò che può diventare. In ogni persona, per quanto mediocre possa essere, esiste un io profondo che chiede urgentemente di essere realizzato. Amare una persona significa mettersi al servizio di questo «Io» per aiutarlo a realizzarsi. Amare vuol dire chiamare l'altro all'esistenza, farlo vivere, farlo essere di più. Ma chi sa quali sono i limiti dell'altro? Per amare bisogna dare allora credito all'altro. Guardarlo con speranza. Il linguaggio dell'amore non è la dimostrazione ma la fede. Chi non ha il senso del mistero, dell'avventura, del rischio, non può amare» (Fromm).
    In tale prospettiva l'amore risulta essere un compito aperto, sempre orientato alla comunione interpersonale in un Io e di un Tu, proteso verso la realizzazione di un progetto nuovo ed originale, scelto nella libertà ed attuato nella responsabilità. Un compito che parte dalla consapevolezza dei propri desideri e delle proprie esperienze, sentendo il proprio corpo, passa attraverso l'autocoscienza, accogliendo positivamente le potenzialità, le lacune e le impossibilità che si trovano nel profondo del proprio essere, e giunge alla piena responsabilità di se stesso, del proprio mondo, del proprio destino di essere-con-gli-altri-e-per-gli-altri. A livello di decisione matura, l'amore è autentico ed umano solo quando consente all'uomo di crescere sempre più e sempre meglio nel dono di sé: è la caratteristica psicologica della donazione, vissuta in profondità, a permettere di inondare di significato la sua originale ed irripetibile esistenza.


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