Giampiero Bof
(NPG 1981-08-03)
La tradizione educativa cristiana, e anche quella umanistica, ha sempre e in abbondanza utilizzato l'esperienza ed il dialogo sulla morte come luogo di educazione umana e cristiana. Il confronto con la morte era spesso indicato come necessario per il raggiungimento della autenticità umana. Anche oggi del resto non è del tutto desueto il richiamo al «memento mori».
Tuttavia è facile riconoscere che oggi il tema della morte in campo educativo e pastorale è abbastanza in ombra. Ci si rende conto che il linguaggio tradizionale non riesce a dire la morte in termini significativi per i giovani (e non solo per loro). E ci si rende anche conto che la mancanza di esperienza e di confronto sulla morte nuoce alla maturazione globale del giovane.
Con il presente dossier intendiamo introdurre in termini più espliciti la presenza della morte nel discorso educativo e pastorale. In quali termini? Per ora più che cercare risposte o fornire nuove formule per parlare della morte ci sembra importante accogliere le sollecitazioni più o meno inconsce e gli interrogativi che la cultura attuale solleva in proposito.
Prima di arrivare a parlare della morte in un contesto educativo è necessario, in altre parole, percorrere un lungo e complesso cammino. Il presente lavoro lo inizia e lo porta avanti senza arrivare, volutamente, alla conclusione. Si accontenta di lanciare il tema nella speranza che gli educatori sollecitati da queste riflessioni offrano ulteriori spunti per riprendere il discorso in chiave esplicitamente educativa.
FATTI
A quali fatti fa riferimento il dossier quando parla di morte?
I fatti vengono colti a due livelli: altro è infatti l'esperienza immediata della morte dell'altro e del proprio vivere e camminare verso la morte; e altro è la riflessione teorica che arguisce la finitezza dell'uomo a partire dalla sua morte, ed elabora la finitezza del vivere come presenza della morte in tutta la vita.
In questo dossier si vuole parlare della morte nei due sensi: sia come esperienza e linguaggio sulla morte in quanto accadimento singolo e specifico, sia come esperienza e linguaggio sul senso della morte in quanto processo continuo coesteso a tutta la vita.
Ancora una precisazione sul metodo di lavoro. Si può parlare di giovani e morte cogliendo le dinamiche psichiche che l'incontro (o il non-incontro) con la morte determina. È una strada che, anche se praticabile, non sembra fruttuosa a sufficienza. Le dinamiche psichiche vanno storicizzate. In due direzioni. In primo luogo assumendo i giovani nella loro concretezza qui-ora e non come puri soggetti psicologici. In secondo luogo le dinamiche vanno attualizzate nel rapporto giovani-morte-cultura attuale.
È in questa direzione che si propone di procedere il dossier: la tematica giovani- morte viene letta dentro il quadro più vasto dei comportamenti e degli atteggiamenti verso la morte nella società odierna.
PROSPETTIVE
Come si è visto il rapporto giovani-morte viene affrontato nell'ottica più vasta del rapporto giovani-morte-cultura, cui viene ora ad aggiungersi un quarto fattore: la religione in generale e la fede cristiana in particolare.
In questo quadro vengono offerte tre piste di approfondimento.
La prima «prospettiva», proseguendo l'analisi già iniziata nelle pagine precedenti, è dedicata alla strategia con cui l'uomo d'oggi fugge dalla morte o almeno cerca di esorcizzarne la paura. Queste strategie manifestano tutto il loro limite: non solo non riescono a salvare dalla profonda paura della morte, ma permettono purtroppo anche il crearsi di spazi di violenza personale e collettiva sull'altro fino alla sua distruzione.
La seconda «prospettiva» apre il discorso religioso sulla morte indicando una strada per una sua collocazione e comprensione: parlare del discorso religioso e cristiano sulla morte dentro la cultura nelle sue varie fasi di evoluzione. In particolare si sofferma sul rapporto tra discorso cristiano sulla morte e visioni della vita in epoca moderna (dal marxismo, alla ideologia borghese e al nichilismo nietzschiano). Dal confronto emerge la inadeguatezza del modo tradizionale cristiano di parlare della morte e la urgenza di assumere la cultura contemporanea come luogo in cui riformulare categorie, atteggiamenti e comportamenti.
La terza «prospettiva» fa sua l'esigenza di una «rivoluzione copernicana» nel linguaggio cristiano e si pone la domanda centrale: come parlare della morte in modo «cristiano»? La risposta, per forza di cose, non è esaustiva. La preoccupazione dell'autore è ancora una volta di rintracciare un punto fermo da cui partire per una «nuova incarnazione» della vita, morte e risurrezione del Cristo nel mondo d'oggi.
PER L'AZIONE
Questo dossier è e vuole rimanere aperto sia per quanto riguarda l'approfondimento della interpretazione cristiana della morte, sia per la riflessione educativo-pastorale. Ci ritorneremo in altra occasione, alla luce delle categorie linguistiche, culturali e religiose che il dossier ci ha presentato. Per ora ci muoviamo in altra direzione. Offriamo dei materiali per un primo approccio dei giovani alla morte nella nostra cultura.
Ritorna la domanda: come viene vissuta e detta la morte oggi?
Abbiamo scelto tre campi di indagine e riflessione con i giovani: il cinema, i cantautori, la letteratura. I tre contributi sono studiati in modo da offrire piste di lavoro per dei possibili «forum» sulla morte.
L'obiettivo non è evidentemente solo quello di informare i giovani su quello che si dice della morte. Nel dialogo morte-cultura essi possono trovare linguaggi e interpretazioni che sono anche loro. In un certo senso ne dipendono. In un altro senso li ricreano.
Attraverso il cinema, la canzone, la letteratura gli interrogativi possono essere personalizzati ed interiorizzati. In modo che la morte, come fatto e come problema, non sia emarginata e rimossa, ma si ponga come domanda aperta, bruciante sulla vita dell'uomo e sulla propria identità.