Lettura psicologica
Franca Amione
(NPG 1980-10-24)
Quando mi sono posta di fronte al problema di vedere come la radicalità possa essere considerata un atteggiamento - ma è poi solo un atteggiamento ? - nei giovani, mi è subito venuto alla mente un duplice modo di intendere questo termine, che oggi mi pare di ritrovare presente nel comportamento adolescenziale.
Radicalità come assunzione di posizioni estremizzate
Da un lato radicalità come assunzione di posizioni estremizzate in ogni settore, e anche nel campo dei valori più approfonditi: e questo è un modo completo, estremo e definitivo di realizzare la propria separazione dalla coppia parentale. Da un punto di vista psicologico, molte sono le motivazioni che rendono ragione di questo atteggiamento. Vi è nell'adolescente, infatti, un progressivo, anche se non lineare processo di liberazione dei legami con le figure parentali (genitori o educatori in genere) in funzione del processo di separazione-individuazione.
Vi è ancora nell'adolescente la trionfante constatazione del raggiungimento del proprio potere (ed è in particolare per l'affermazione di questo che egli assume posizioni di lotta radicale) e della pienezza delle proprie funzioni, padronanza finalmente possibile o comunque vicina anche se non del tutto attuata. In questo senso l'adolescente si trova spesso in una condizione di gap tra due linee maturative (quella fisica e quella affettiva) e ciò rende ragione di un tratto che mi pare del tutto caratteristico dell'adolescente, e cioè il terzo aspetto costituito dall'urgenza e la fretta a ottenere e a realizzare. Quanto più però l'adolescente è immaturo sia a ottenere che a realizzare, tanto più è radicale nel senso inteso in precedenza: fretta ed urgenza che rendono difficile la dilazione e spiegano il caratteristico velleitarismo adolescenziale.
Ancora nell'adolescente si verifica una diminuzione della distanza tra Io e Ideale dell'Io, intendendo con il primo ciò che l'adolescente è, con il secondo ciò che desidera essere. Tale distanza è certo ridotta nel senso che il fantastico ma lontano e nebuloso futuro del bambino, diventa il domani prossimo o possibile per l'adolescente. Egli può constatare la possibilità di sganciare il proprio attuale Ideale dell'Io da quello di prima, che era largamente influenzato dalle aspettative dei genitori: donde la necessità di saper costruire un proprio ideale personale. In questo senso anche il caratteristico bisogno di sfida dell'adolescente va accettato come fisiologico, non certo per entrare in tale sfida, ma se mai perché essa sia declinata in termini costruttivi.
Vi è anche nell'adolescente la fame di nuovi oggetti ed esperienze che colmino il vuoto delle fantasie di onnipotenza infantile e lo aiutino ad affrontare la consapevolezza di essere solo.
L'adolescente deve infine far fronte al profondo anche se spesso inconfessato senso di delusione determinato dalla constatazione delle non previste zone grigie dell'esistenza e della noia; soprattutto egli deve far fronte al problema dell'ineluttabilità della morte, che mi pare uno dei nodi centrali dell'adolescenza.
Dette queste cose non ci stupisce certo di trovare nei comportamenti adolescenziali molti ed anche cospicui tratti di estremizzazione nelle posizioni emotive radicali.
Intendere radicalità in questo senso significa accentuare i caratteri di separazione tra posizioni e valori, riedificando l'atteggiamento a discapito dei contenuti. Se ne fa una questione di posizioni e non di valori in cui credere. Radicalità-estremizzazione comprende in sé lo scarto generazionale, ma considerandolo solo per il suo aspetto oppositivo e non anche per quegli aspetti di apprendimento reciproco che lo scambio di esperienze permette.
Radicalità come ritorno alle radici
Esiste poi un secondo modo di intendere la radicalità, nel suo senso etimologico di ritorno alle origini, ritorno alle «radici». Questa modalità lungi dall'essere tipica dell'adolescenza si ritrova in ogni persona desiderosa di situare storicamente la propria realtà oggettiva e affettiva. Inteso in questo senso non si pone più quindi semplicemente come un atteggiamento, né tanto meno accentua il gap generazionale in posizioni contrapposte, ma si situa lungo una linea di continuum storico in cui l'apprendere dall'esperienza è il momento reale.
Assumere questa posizione richiede due cose: da un lato la consapevolezza che le origini hanno un valore in sé, dall'altro la capacità di essere - specie da parte degli adulti - portatori delle radici.
Spesso l'adolescente che contesta la posizione adulta lo fa non solo per le motivazioni psicologiche che abbiamo visto parlando del primo modo di intendere la radicalità, ma anche perché non riscontra, o può farlo solo raramente, un reale valore nell'adulto guida.
Il rapporto adulti-giovani e la consapevolezza delle origini
Il bisogno di sicurezza che l'adolescente tende a saturare nella ricerca di comunicazione può avere due esiti, adeguato l'uno, inadeguato l'altro.
Qualora l'adulto si ponga in una dimensione che permette all'adolescente di recuperare il significato storico della sua e dell'altrui esperienza, si struttura un rapporto del tipo figlio-padre, in cui la trasmissione dei valori e dei contenuti esperienziali è resa possibile, anche se contestata e messa in crisi. Qualora invece la comunicazione si riduca ad una semplice relazione, si ha un legame fratello/fratello in cui si perde, nonostante l'apparente positività di un rapporto paritetico, la storicità delle radici.
Narra Ovidio nel libro delle Metamorfosi che Dedalo, non più sopportando di essere prigioniero di Minosse a Creta, si trovò a pensare che se gli era impedito il ritorno sia per terra che per mare gli restava per liberarsi il cielo. Con piume e cera fabbricò ali per sé e per il figlio Icaro e gli raccomandò di volare tenendosi nel mezzo, non così in alto che il calore del sole facesse sciogliere la cera, né così in basso che l'acqua del mare lo appesantisse. Andarono così volando padre e figlio, finché l'adolescente Icaro - dice Ovidio - «per giovanile istinto cominciò a godere oltre misura dell'audace volo» e si spinse così in alto che il calore del sole finì per sciogliere le sue ali ed egli precipitò in mare.
Questo mito mi pare abbia un significato pregnante per la comprensione della vicenda adolescenziale e la spiegazione della presa di posizione radicale, e mi pare possa essere letto secondo due suoi interdipendenti significati che indicano i compiti che l'adolescente deve affrontare e le difficoltà che essi comportano.
L'adolescente deve separarsi dagli oggetti dell'infanzia (desiderio di volare vicino all'acqua protettrice) mediante l'aiuto e le attrezzature fornitegli dal «padre», dall'altro deve ridurre il proprio desiderio di onnipotenza (volare sul sole) per non ridurre le sue relazioni ad un semplice velleitaristico progetto affascinante, ma pericoloso.
Ma affinché il suo volo sia veramente una via alla libertà di diventare adulto bisogna che il «padre» sia in grado di fornirgli non solo le attrezzature (le ali), ma anche di trasmettergli la sua esperienza.
In che misura gli adulti sono in grado di essere «radicali» per non rischiare che gli adolescenti siano solo «radicalizzanti»?