Riccardo Tonelli
(NPG 2011-06-39)
Questa esperienza che proponiamo ai giovani e ai loro educatori, di rinnovato interesse e impegno per la politica, come e a quali condizioni può diventare parte integrante ed essenziale della loro crescita umana? E ha a che fare anche con la crescita nella fede, verso la maturazione di un cristiano giovane «adulto», che vive nella responsabilità e nella cura della «cosa pubblica» il suo essere cristiano?
È frequente scivolare nei luoghi comuni, quando parliamo di giovani e politica. Di modi di fare, di atteggiamenti e di reazioni ne possiamo elencare tanti, e di ogni genere.
Non basta però elencare fatti. Dai fatti vogliamo passare ai progetti, perché l’impegno sociopolitico dei giovani ci sta decisamente a cuore e non possiamo, di sicuro, chiamarci fuori. Nello stesso tempo, però, non possiamo elaborare progetti senza radicarci bene sull’analisi della situazione e su una interpretazione sapiente dei fatti.
CONSTATAZIONI
Per questo, apro la mia riflessione suggerendo alcuni dati di fatto, che possono aiutarci ad organizzare quello che ciascuno di noi riconosce e sa dichiarare a proposito del rapporto attuale dei giovani con la politica. Aggiungo subito però qualche mia rapida interpretazione che aiuti a collocare i fatti in un corretto orizzonte.
Qualche dato
Per dire qualcosa sulla situazione, in termini almeno generali, mi servo di una interessante inchiesta sui giovani italiani, curata dallo IARD (GRASSI R., Giovani religione e vita quotidiana. Un’indagine dell’Istituto IARD per il Centro di Orientamento pastorale, Il Mulino, Bologna 2006). Essa dedica un capitolo proprio al nostro tema, in una prospettiva culturale (orientamenti e stili di esistenza).
Questi sono gli elementi emergenti:
– indebolimento di attenzione e di interesse tra i giovani di oggi nei confronti di tutto ciò che concerne la vita pubblica, a cui fa riscontro un ripiegamento nella sfera del privato, anche i valori apparentemente legati alla società (solidarietà, uguaglianza, democrazia…) riscuotono rilevanza solo se sono legati alla sfera individuale, come tutela del sé;
– frequente e facile adattamento all’ambiente in base alle circostanze. I giovani vivono un modello debole e soggettivizzato di coerenza;
– tendenza a reagire alla incertezza e al disorientamento diffuso mediante un riparo nelle relazioni affettive e nel recupero di spazi di esistenza che le assicurino;
– una fiducia differenziata verso persone e istituzioni. La ricerca che ho citato riporta, per esempio, una rassegna di quali sono i soggetti istituzionali che riscuotono la fiducia dei giovani. Governo, partiti e uomini politici occupano l’ultimo posto. Ai primi posti sono collocati gli scienziati, l’ONU, la polizia e gli insegnanti. È interessante constatare che il livello di esperienza e pratica religiosa non modifica per nulla la classifica. I sacerdoti, per esempio, occupano una posizione intermedia nella classifica, con uno spostamento del 10% tra giovani praticanti e non praticanti;
– attenzione variabile verso problemi (urgenti e di innegabile rilievo politico: pace, diritti delle persone, problemi sociali…) in base alla risonanza che ad essi dà la comunicazione mediatica.
C’è un perché?
Le constatazioni richiedono un lavoro interpretativo, che ne sappia cogliere soprattutto la radice e verifichi fino a che punto sia corretto generalizzare sulla misura dei «giovani» quello che viene documentato su una percentuale di essi.
L’operazione è urgente… perché i dati statistici descrivono un universo giovanile, senza lasciare campo alle esperienze personali e senza mettere in evidenza quelle eccezioni (i dati che si scostano dalla media) che invece potrebbero proprio rappresentare i segni di speranza e di responsabilità.
Io suggerisco alcune categorie interpretative.
È importante riconoscere che l’essere giovane è fortemente condizionato dal fatto di essere giovane in questo tempo e in questo contesto: esiste una dimensione comune che attraversa le diversità.
A causa dell’influsso del contesto culturale attuale, è facile constatare che i giovani di questo tempo sono in genere orfani sul senso e sulla speranza, visto che anche le cose più sciocche sono proposte come soluzioni sul senso della vita. Sono orfani… per eccesso di padri.
Di qui quel doppio atteggiamento che sta a radice dei fatti documentati:
– da una parte la tendenza a ripiegarsi sul privato come luogo di produzione di un senso-per-me, di una speranza-di respiro-corto;
– dall’altra il tentativo di superare l’orfanità, scatenando una ricerca, spesso affannosa e poco critica, di ragioni, di esperienze di proposte: il senso viene dall’aggregazione; vanno bene le esperienze, purché siano «forti» e non diano troppo da pensare…
La constatazione e il tentativo di interpretazione apre verso quello che ci sta più a cuore: le proposte operative.
Prospettive
Non vogliamo rassegnarci. Cerchiamo al contrario linee di possibili interventi. Lo facciamo con un sano realismo educativo che ci porti a superare i tempi del fervore politico (la politica è tutto – tutto è politico)… da cui sono scaturiti troppi disastri culturali, ritrovando i contributi positivi di cui quelle esperienze erano ricche.
Riconosco nella politica una specie di «marcatore» di situazioni più vaste e inquietanti. Buone prospettive di soluzione su questa frontiera abilitano ad affrontare e risolvere le molte altre situazioni che quotidianamente interpellano l’esistenza, proprio in ordine al senso e alla speranza. Per questo considero che il nodo della questione riguarda la «qualità della vita», un modo di essere e di relazionarci che ci aiuti a passare dall’autoreferenzialità alla responsabilità, ricostruendo una relazione intergenerazionale (culturale: sui valori – strutturale: sulle risorse).
Il richiamo verso la qualità della vita comporta attenzione:
– al «senso» della vita (cosa ci sto a fare, da dove vengo e dove vado, che farmene dei compagni di viaggio…);
– e alla «speranza» (le possibili risposte sono un salto nel buio o hanno prospettive serie di realizzazioni… e a quali condizioni…).
Considero urgente l’operazione: la crisi di senso produce disperazione e/o disimpegno. Lo possiamo constatare tutti i giorni, se ci guardiamo d’attorno con amore, disponibile e critico.
PRIORITÀ OPERATIVE
Siamo sollecitati a selezionare e organizzare le molte risorse di cui nelle nostre comunità (soprattutto ecclesiali) siamo ancora notevolmente ricchi, per creare le condizioni favorevoli al raggiungimento di quella qualità di vita nuova, urgente e originale che a me sembra il sogno sulla cui realizzazione concentrare le risorse. La sensibilità e l’impegno politico sono mezzo e verifica.
Faccio un elenco di possibili priorità operative, con l’unica pretesa di scatenare una ricerca che dovrebbe continuare a livello locale.
L’ordine dei suggerimenti è solo funzionale.
Fiducia verso i giovani
A me non piace dire che i giovani sono i profeti del futuro… anche perché spesso chi lo proclama pone – almeno fattivamente – la condizione che non parlino troppo.
Mi ha colpito invece il compito che Giovanni Paolo II ha affidato ad essi, a conclusione della GMG di Roma: li ha chiamati «sentinelle del nuovo millennio». Mi sembra un modo molto serio e impegnativo di fare riferimento ai giovani.
In quanto sentinelle hanno la responsabilità di vegliare, prevedere, immaginare… in modo da suggerire a noi adulti – un poco rassegnati e troppo sicuri e pragmatici – qualche linea di novità.
Non è poco… ma non basta. Il nuovo si realizza solo assieme e non compete a nessuno il diritto all’esclusiva: nel sogno ho parlato di ricostruzione di una relazione intergenerazionale per la qualità della vita.
A noi adulti compete la responsabilità dell’ascolto disponibile, del coinvolgimento operativo, della corresponsabilità fattiva (e non solo richiesta di disponibilità esecutiva…).
Luoghi dove sperimentare
Sappiamo tutti che le proposte passano attraverso il fare esperienza. Non provengono dalle parole ma dai fatti.
Per produrre qualità di vita, nuova in ordine al senso e alla speranza, è indispensabile costruire luoghi dove si possa fattivamente respirare qualcosa di questa qualità nuova di vita, per aiutarci a scoprire che è possibile sognare alternative.
Tre esigenze vanno sottolineate:
– la ricostruzione di questi luoghi: di fatto ne esistono già molti. Spesso però restano luoghi a scarsa identificazione, poveri quindi di capacità propositiva;
– la loro funzione nella rete collettiva: quando funzionano bene… sono minacciati dalla tentazione di essere autoreferenziali e magari mettono in atto una serie di attenzioni orientate solo ad una funzione protettiva. La consapevolezza della risonanza politica sollecita, al contrario, verso l’apertura. Devono funzionare come centrale protettiva, in una rete aperta pienamente sul territorio;
– la qualità di vita che in essi possiamo respirare. A questo proposito l’elenco si potrebbe fare lungo. Faccio solo qualche esempio, raccogliendo e rilanciando molte felici esperienze in atto. Immagino luoghi dove il clima che si respira aiuti:
– a verificare il loro progetto di vita,
– ad educarsi al senso critico attraverso il confronto, lo scambio, la discussione,
– a liberarsi dai condizionamenti che influenzano le proprie azioni,
– a fare esperienza di un modo nuovo di gestire potere e responsabilità,
– a sperimentare la gioia del prendersi cura degli altri, dai più vicini verso i più lontani,
– a sperimentare la possibilità felice di costruire alternative possibili: nel piccolo verso il grande.
Diffusione di informazioni
Una dimensione irrinunciabile di un buon progetto di formazione (anche politica) esige la costruzione di una matura capacità storica e critica.
Alla radice sta l’acquisizione di un bagaglio di conoscenze e informazioni.
Per fortuna stiamo diventando attenti e sensibili a questa esigenza. Basta pensare all’invito ripetuto della riscoperta della «memoria». Al ricordo va aggiunto però tutto quello che richiede la comprensione dell’evento da ricordare.
La scuola e le diverse istituzioni formative hanno una grande responsabilità in merito.
Non possiamo certo accontentarci, per esempio, di una riscoperta della scuola e della famiglia solo come luogo di recupero e consolidamento dei rapporti primari. Quello che conta è, secondo me, la capacità di produrre cultura all’interno di rapporti primari gradevoli.
La conoscenza della «dottrina sociale della Chiesa» propone un contributo informativo prezioso.
Incontro con «eventi»
La convinzione ripetuta che la proposta educativa passa attraverso l’esperienza, sapientemente programmata e riflettuta, si traduce, in questo ambito, nell’invito a progettare incontri con eventi, significativi e stimolanti.
Spesso ci vengono addosso, dal ritmo frenetico dell’esistenza. Diventa saggio dedicare tempo sufficiente per comprenderli, verificarli, rilanciarli.
Altre volte ci accorgiamo di carenze di sensibilità. In questo caso, non serve moltiplicare le raccomandazioni. È più saggio prevedere e organizzare un contatto diretto con persone, luoghi, avvenimento, capaci di rompere il cerchio dell’indifferenza e spalancare verso l’inedito e l’inatteso.
Quello che conosciamo sul modo sapiente di fare esperienza, ritorna in questo contesto come dimensione formativa irrinunciabile.
L’educazione al possibile
L’impegno politico comporta tanti e urgenti interventi. La carenza di qualcuno di essi può davvero svuotare l’esito di trasformazione che cerchiamo di assicurare.
Nella complessità, per non affogarci dentro, abbiamo bisogno però di un principio organizzatore. Esso non esclude gli altri, ma li ordina e li verifica. Ne propongo uno: l’educazione al realismo del possibile concreto e quotidiano.
L’impegno politico deve essere svolto in modo che risulti fedele e coerente con il sistema dei valori in cui la persona impegnata crede e su cui progetta. Per questo esso si misura coraggiosamente con il sogno di futuro – sempre un poco utopico – che scalda il cuore di ogni persona e di ogni gruppo sociale.
Potere e utopia profetica si confrontano e si ridimensionano reciprocamente. Senza questo confronto operativo l’impegno politico diventa volontà di potenza.
Il confronto riporta il terreno dell’azione politica e della sua educazione sulla piattaforma del possibile: un realismo che sa contemperare le esigenze più radicali, i sogni più coraggiosi, con le risorse e le possibilità (tempi e mezzi) di cui possiamo disporre.
Considero l’esigenza molto qualificante. La politica non è né il sognare ad occhi aperti, né la sola azione tesa a gestire il potere. Essa invece rappresenta quel sogno sulla realtà che è concretamente realizzabile nello spazio e nel tempo in cui siamo chiamati ad operare.
Al servizio del «bene comune»
Il ripiegamento sul privato rappresenta una delle ragioni di quello che sta capitando oggi nell’atteggiamento dei giovani verso la politica.
Gli interventi educativi appena suggeriti hanno la funzione di sollecitare ad una matura inversione di tendenza: non serve intervenire sugli effetti se non si incide sulle cause.
Su questa constatazione si colloca l’invito a decentrarci tutti, più responsabilmente, verso il «bene comune».
Tale riferimento funziona come verifica e orientamento degli interessi personali e collettivi. Gaudium et spes lo definisce «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono, sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente» (26).
E occorre sollecitare verso il concreto, ricordando i tre elementi essenziali del processo educativo:
– il rispetto della persona, in forza del quale i pubblici poteri sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali e inalienabili della persona umana;
– il benessere sociale e lo sviluppo del gruppo;
– la pace, cioè la stabilità e la sicurezza di un ordine giusto.
Una spiritualità rinnovata
Fa pensare la constatazione che ho ricordato nella rassegna dei fatti: i giovani cristianamente impegnati, nel campo della politica, hanno in genere gli stessi atteggiamenti (livello di impegno, capacità trasformativa, fiducia nelle istituzioni) dei giovani che vivono lontani da ogni esperienza cristiana. Non mancano fortunatamente segnali di diversità in ordine ai valori condivisi e perseguiti.
Le spiegazioni possono essere molte.
Una mi preoccupa e voglio rilanciare la preoccupazione come compito educativo.
Noi veniamo da una tradizione cristiana che ha relegato spesso la fede al livello del privato o, al massimo, come riferimento di determinati comportamenti etici. La sfera del culturale e del sociale faceva riferimento ad altri indicatori. Non mancano le eccezioni: esse ci consolano e ci spronano, ma restano eccezioni.
Oggi, per fortuna, le cose stanno cambiando e profondamente.
Alcuni compiti ci vengono consegnati da questa mentalità rinnovata:
– l’esperienza, riflessa e condivisa, che viviamo da discepoli di Gesù, radicati nel suo Spirito, quando ci impegniamo quotidianamente a costruire la nostra storia secondo l’orizzonte del Regno di Dio, nella certezza, come ci ricorda Gaudium et spes, che quello che abbiamo costruito oggi lo ritroveremo in pienezza e in autenticità nella casa del Padre;
– abbiamo bisogno di imparare a pregare da persone impegnate nella storia: uno stile di preghiera più vibrante della quotidianità, più vicino alla irrinunciabile responsabilità (che non affida a Dio la soluzione dei problemi che ci competono), più contemplativo del mistero che riempie la nostra avventura quotidiana;
– abbiamo diritto di sperimentare la celebrazione dell’Eucaristia come la festa del futuro nel tempo nella necessità e della lotta. Essa ci permette di scoprire i segni di speranza anche nella trama triste del presente e ci abilita a trasformare il presente proprio nella direzione di quel futuro che, celebrando, anticipiamo e proclamiamo;
– sperimentiamo e testimoniamo uno stile preciso di esistenza credente, che sa mostrare, con i fatti, che il trionfo della vita sulla morte, impossibile nelle logiche dominanti, diventa progressivamente possibile nella pasqua del Crocifisso risorto. In essa la violenza cede il passo al perdono, l’amore che si fa servizio sostituisce la forza, la morte – vissuta come gesto d’amore – assicura la vittoria della vita.
COMUNICARE «CONDIVIDENDO POTERE»
Ho costruito il mio sogno attorno al nodo dell’educazione alla politica lungo la direttrice di una rinnovata relazione comunicativa.
La politica comporta sempre gestione del potere. Diventa segno di qualità nuova di vita quando il potere viene fattivamente condiviso in un clima di responsabilità che diventa solidarietà.
Non posso rinunciare all’esercizio del potere. Lo devo esercitare in modo solidale verso la ricostruzione del senso e della speranza, creando le condizioni, culturali e strutturali, perché tutto questo risulti possibile veramente a tutti.
Penso soprattutto alla situazione del nostro paese, con uno sguardo che, almeno tendenzialmente, tenta di andare oltre i suoi confini. Per la prospettiva generale che ho selezionato, privilegio l’attenzione verso gli orientamenti e i processi culturali.
In questa operazione i processi comunicativi hanno un peso determinante: ogni comunicazione comporta esercizio di potere; la sua qualità esprime la possibilità o meno di fornire alternative serie e promozionali in ordine al potere. La comunicazione è quindi sempre un fatto fortemente politico. Questa consapevolezza mi sollecita a lanciare una provocazione conclusiva. Essa riguarda fondamentalmente gli adulti.
Non può sembrare strano in una riflessione che ha come soggetto i giovani?
Al centro ho collocato la relazione: non posso quindi pensare ad un partner, senza immediatamente aprirmi verso l’altro. Non c’è relazione se non nel gioco di un reciproco avvicinamento e interscambio.
I due partner però non sono alla pari, di fatto. Gli adulti hanno la responsabilità istituzionale (e quindi il potere politico) di lanciare, sostenere, autenticare la relazione. Producono novità (strutturali e culturali) se sanno immaginare e realizzare un modello nuovo di relazione comunicativa.
In che direzione?
Rispondo rilanciando due scelte, impegnative nella sostanza e che chiamano in causa, in modo speciale, gli adulti.
La prima riguarda la scelta della strumentazione da privilegiare: l’educazione. La seconda riguarda il modello di educazione su cui gli adulti sono chiamati a giocare la loro radicale responsabilità
Ripensare la funzione educativa
Educazione è una parola magica. Su essa l’assenso è assicurato finché si resta sul generico. I primi passi verso il concreto scatenano distinzioni e tentativi di differenziazioni.
Questo è il mio punto di vista: educare è istituire una relazione tra soggetti diversi (felici di essere differenti), attraverso cui essi si scambiano frammenti riflessi e motivati di vissuto, per restituirsi reciprocamente quella gioia di vivere, quella libertà di sperare, quella capacità e responsabilità di essere protagonisti della propria e altrui storia, di cui purtroppo siamo continuamente deprivati.
Al centro dello scambio di esperienze c’è la qualità della vita: dignità, speranza, felicità, libertà… come dimensioni costitutive di questa qualità. In una stagione di pluralismo come è quella che stiamo vivendo, non è facile dare spessore concreto a queste espressioni. Per farlo, abbiamo bisogno di un confronto e di una collaborazione allargata. Per questo, chi crede all’educazione e cerca ragioni sicure per fondare senso e speranza, sollecita il contributo operativo di tutti, mettendo a frutto orizzonti culturali e religiosi, competenza, esperienza.
La «forza politica» dell’educazione
Tutto questo… serve a qualcosa? Nei confronti dei problemi seri con cui ci misuriamo, l’educazione può farci qualcosa?
È facile elencare quali siano oggi questi problemi. Vanno dal terrorismo al disimpegno, dall’immigrazione ai problemi dei profughi, dalla crisi di valori alla perdita di responsabilità personale e sociale, dalla fragilità delle istituzioni tradizionali alla voglia di trasgressione, dalla caduta di religiosità ad una sua ripresa un poco troppo magica, dalla crisi economica alla precarietà lavorativa dei giovani.
Anche i rimedi sono sulla bocca di tutti: controlli più raffinati, la pretesa di avere il diritto al «primo colpo», rigidità delle leggi e chiarezza di intenti, riforme e recupero dell’autorevolezza, prospettive economiche e proposte religiose e culturali forti…
Con forza propongo la mia scelta: l’educazione è una forza di trasformazione formidabile, che attraversa, verifica, contesta e risolve tutti gli altri rimedi.
E questo in tutti gli ambiti dell’esistenza quotidiana: quello politico, quello economico, culturale e istituzionale e soprattutto quello religioso.
La validità delle scommesse non si può dimostrare a fil di logica, altrimenti che scommesse sarebbero? Si verificano alla prova dei fatti, anche se non possiamo dire in anticipo quanti fatti servono a dimostrare la validità della scommessa e a quale punto ci si debba arrendere sulla forza dell’evidenza contraria.