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    Giovani e politica. Bilancio di un viaggio


    Sergio Abbruciati

    (NPG 2011-04-15)

     

    In questo articolo si ripercorre il cammino fatto dalle prime ipotesi sul tema nelle redazioni di NPG attorno a: «È opportuno tornare oggi a proporre ai giovani la politica? E come?» alla sua «resa» in tre dossier con il progetto offerto in quest’ultimo. La peculiarità sta nella costruzione del progetto attraverso un preciso coinvolgimento di alunni nella scuola (domande, intuizioni, paure, luoghi comuni, speranze…) e il contatto con esperti (docenti universitari e politici di professione). Il racconto permette di cogliere anche un metodo che potrebbe utilmente essere applicato in altri contesti.

    Dopo quattro, cinque anni di indagini, analisi e riflessioni sul rapporto e sui legami tra i giovani la politica, è arrivato il momento di fare un bilancio e di tirare delle conclusioni di questo percorso che ha attraversato diversi mondi che ne compongono un vero e proprio arcipelago. Un viaggio non sempre agevole a dimostrazione che molto c’è da dire o da ripensare – o proprio rifondare – sul rapporto tra la politica e le giovani generazioni. Le quali non sono sempre le responsabili dello scollamento o del disinteresse che puntualmente viene riscontrato nei vari studi dedicati. Un viaggio che, pur nell’andirivieni delle tappe e nella discontinuità dei diversi lassi di tempo in cui si è articolato, ha avuto momenti belli e significativi che alimentano speranze sul futuro o almeno sulle possibilità di investire risorse educative sul lungo periodo. Molti sono i giovani che si sono a vario titolo avvicendati sulle strade di questo percorso, dai primi che hanno animato le discussioni del lunedì nella sede di NPG, ai gruppi classe che hanno partecipato alla prima parte somministrando e raccogliendo questionari, alla classe IV C del liceo scientifico Enriques di Ostia che nel 2009 si è preparata per una tavola rotonda svolta poi a Perugia a novembre con il prof Gatti, docente di Filosofia politica.
    Al momento in cui termino di scrivere quest’articolo si stanno svolgendo manifestazioni degli studenti contro la riforma universitaria voluta dal Ministro Mariastella Gelmini. Trattandosi di stretta attualità questi fenomeni non sono potuti entrare nel viaggio, però mi sento di dover spendere alcune parole sui possibili significati degli eventi di questi giorni. Rimanendo fuori del giudizio sulla politica scolastica in generale del governo Berlusconi, è assolutamente innegabile che non si può continuare a pensare l’universo giovanile come piatto, poco creativo e omologato, che non li si può tenere fuori dai giochi di fronte all’assottigliamento delle loro speranze in un futuro possibile, che nonostante errori, violenze e ripetizioni rituali (si pensi alle occupazioni delle scuole) esiste un potente bisogno di protagonismo con cui misurarsi e che, come ha dimostrato il Capo dello Stato il 22 dicembre, ascoltare le nuove generazioni è oggi un gesto rivoluzionario e sorprendente.

    IL PUNTO

    La nostra ricerca è iniziata circa quattro anni fa attraverso un’indagine su un campione di 140 giovani e studenti di due scuole superiori della provincia di Roma. Una statale (Liceo Guglielmotti di Civitavecchia) e una cattolica (Liceo Maria Ausiliatrice di Roma). Abbiamo somministrato un questionario qualitativo per capire dal basso come e cosa i giovani ne pensassero di politica, politici e valori e come tutto ciò venisse da loro rappresentato. I risultati di quest’indagine sono stati pubblicati sul numero 2 del febbraio 2008 accanto ad una tavola rotonda virtuale tra una serie di giovani politici che hanno raccontato le loro esperienze, il loro personale avvicinamento al mondo della politica e il loro rapporto con la fede, con l’etica, i giovani e i movimenti. Trovava spazio anche un breve dialogo «possibile» tra alcuni giovani in relazione al tema. Tutto il dossier tentava di tracciare un primo quadro conoscitivo del tema, forniva spunti, domande, nodi. Insomma gettava la basi per un progetto di ampio respiro.
    Un anno dopo con il secondo dossier (NPG n 2 febbraio 2009) veniva il momento per gli approfondimenti educativi, svolti tramite un’altra tavola rotonda «virtuale» con esperti educatori sulle ragioni, i nodi e i sentieri educativi e con due preziosi articoli di Carlo Nanni e Riccardo Tonelli sulla politica in tempi di modernità liquida e l’analisi dell’attenzione politica come simbolica della qualità della vita. Con questi tre articoli NPG affidava alla decantazione educativa il tema giovani e politica, in vista di una seria presa in carico di una possibile educazione alla politica, che impedisca il prodursi di generazioni fantasma, che si svuotano fino all’ultima goccia di partecipazione, solidarietà, cooperazione e si fanno sempre più individualiste, edoniste e in cerca solo delle scorciatoie, anche le più immorali, per la felicità. Che poi non si rivela mai per quello che appare. Che vuole invece scommettere sulle grandi opportunità di crescita, di strutturazione dell’identità personale e di gruppo, di formazione all’affettività e persino di apertura verso la trascendenza.
    Con questo nostro ultimo dossier intendiamo apportare alcune riflessioni con l’obiettivo di fornire strumenti di intervento educativo o quantomeno individuare obiettivi effettivi ed efficaci per una possibile educazione politica.
    Va detto che il dossier è stato preceduto e preparato dalla tavola rotonda svolta a Perugia con il Prof. Gatti e la Prof.ssa Mastrini sul tema della libertà come una possibile chiave di lettura dei giovani e la politica. Da quell’esperienza sono affiorati in modo frastagliato diversi punti che sono stati ripresi e rielaborati nell’articolo di Francesco Miano, docente presso la II università di Tor Vergata nonché attuale presidente nazionale dell’Azione Cattolica.
    Ne emerge un insieme concettuale di elementi insostituibili nell’ottica di un’educazione politica che voglia seriamente confrontarsi con la dottrina sociale della Chiesa e con la centralità della persona umana. Un percorso attraverso temi e problemi capace di fornire non solo interessanti valutazioni ma una significativa declinazione delle grandi parole chiave (come libertà o solidarietà) con rilevanti questioni etiche, sociali e filosofiche svolta cercando non di separare ma intrecciandone i contenuti. Volendo, è possibile leggere il contributo anche solamente come una sorta di vocabolario, di mappa per orientarsi nell’azione educativa che vogliamo sviluppare.

    In questo senso il prossimo articolo di Silvestri ne rappresenta un presupposto storico e culturale, nella misura in cui ci aiuta a capire ciò che le grandi figure del cattolicesimo liberale e democratico hanno già detto e che merita di essere considerato in questi tempi di difficoltà e disorientamento. Figure come quelle di Rosmini, Murri, Sturzo e De Gasperi rappresentano un patrimonio di valori, idee, soluzioni cha sarebbe delittuoso dimenticare o abbandonare negli archivi polverosi della storia. Non è solo la dimensione puramente di testimonianza che li rende importanti, ma le mete che ci indicano, gli ostacoli che hanno affrontato nell’imporre una rotta, nella dimensione di «timonieri», come suggeriva Antonio Nanni in un’opera di più di una decina di anni fa: «Noi siamo convinti che le «storie di vita» di questi personaggi siano affascinanti e che i giovani, ragazzi di oggi, proprio perché non appartengono più ad una cultura «ideologica», amino più i testimoni, gli uomini e le donne che hanno «osato», andando contro corrente e pagando, il più delle volte, di persona. Personaggi scomodi, cha hanno fondato su basi solide la loro coscienza, che hanno amato la vita, l’allegria, l’amicizia, e quando è arrivato il tempo della scelta si sono fatti trovare pronti e hanno testimoniato per la verità e la giustizia».[1] Proprio in questo senso si muove l’ultimo contributo presentato che riguarda alcune pagine estratte dall’ultimo libro-intervista dell’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro «Non arrendetevi mai», una conversazione a cuore aperto, curato da Federica di Lascio e Davide Paris, presidenti nazionali della Fuci, proposta con linguaggio chiaro e schietto soprattutto ai giovani lettori. Nelle pagine che abbiamo scelto, Scalfaro delinea dapprima con grande lucidità le caratteristiche dell’impegno cristiano in politica, partendo innanzitutto dal senso della testimonianza, per poi inoltrarsi nel tema dell’importanza dell’educazione vista come preparazione alla verità, come confronto con il pluralismo e come formazione del cittadino e in ultimo si sofferma sui doveri dell’impegno politico, soprattutto operando un ridimensionamento della presunta ostilità di un mondo autoreferenziale, per spronare i giovani a vivere l’avventura della politica nella dimensione collettiva come grande antidoto della chiusura e alla sterilità delle attuali forme della politica.

    QUESTIONI DI METODO E SENSIBILITÀ ISTITUZIONALI

    La scelta di un metodo che portasse alla comunicazione fra i due mondi può essere discussa. Passare da una sponda all’altra come in un dialogo fra soggetti stabili e riconoscibili, irrigidisce a priori parti che invece risultano fluide per loro natura. Pensare che i politici intervistati o comunque sentiti abbiano una precisa o meditata idea su questo rapporto è una vana illusione o una richiesta impropria. Tra la propria esperienza vissuta e l’attuale situazione c’è un vuoto di riflessione. Una volta dentro ci si dimentica la propria dimensione generazionale e si tende a vivere l’impegno politico attraverso modelli sedimentati. Dall’altra parte la distanza sembra preda di un effetto distorsivo che induce le giovani generazioni a considerare politica e politici molto più distanti da loro di quello che effettivamente sono. Insomma si tende ad allontanare, a nascondere temi, domande, problemi con il fastidio di chi deve fare i compiti per la vacanze sotto l’ombrellone della spiaggia. Però la strada seguita è stata questa, perciò cercherò di valutarla analizzando sia i contributi provenienti dai cosiddetti adulti significativi contattati che possono essere classificati nell’idea di mondo istituzionale, sia successivamente gli aspetti derivati dal contatto con il mondo giovanile nelle diverse forme presenti.
    Definisco mondo istituzionale quello composto dai politici di professione, dalla dirigenza scolastica e dal mondo universitario che abbiamo incontrato.
    – Rispetto all’interesse e al grado di collaborazione che i diversi politici da noi contattati hanno manifestato, va detto che accanto ad alcuni che si sono mostrati avvertiti e affidabili sul piano degli impegni presi, altri, soprattutto quando si è tentato di raggiungere il livello nazionale anche di un certo rilievo istituzionale, hanno rivelato quell’atteggiamento sempre ambiguo e ondivago che sembra basarsi su un calcolo delle convenienze, delle opportunità, dell’effetto mediatico o semplicemente frutto della noncuranza. Magari dovrebbero rivedere il lavoro dello loro segreterie che fanno da filtro, oppure ogni tanto prendersi il tempo di guardare con i propri occhi la realtà che li interpella, lasciandosi coinvolgere senza essere per una volta i «conduttori».
    – Il mondo della scuola non ha tempo, vive continuamente lo stress della quotidianità, dei permessi, della burocrazia, del far tornare sempre i conti (i giorni, i soldi, ecc.). I Dirigenti Scolastici leggono ma non capiscono, non hanno la pazienza di comprendere le finalità di uno sforzo educativo e a meno che non s’imbattano nei grandi numeri non si danno preoccupazione dei piccoli progetti che riguardano poche decine di studenti. Anche se poi la forma va sempre rispettata, come quando un mio Dirigente per darmi il permesso di lavorare sui questionari somministrati all’inizio, alla domanda sulla collocazione politica degli intervistati pose un sussiegoso e retorico veto (la privacy), per poi disinteressarsi largamente dell’esito del lavoro e di tutto il resto (l’anno dopo sarebbe andato in pensione!).
    – Veniamo all’ultima istituzione incontrata, l’Università. È stato proficuo e interessante per me e per gli studenti lavorare riferendosi al mondo universitario che è il loro futuro e che può avvicinarli a diversi titoli alla ricerca pura o ai livelli superiori di riflessione e conoscenza della realtà. Senza dubbio per alcuni di loro sentirsi ascoltati da un docente universitario e con lui confrontarsi è stato gratificante e costruttivo, però vedo anche confermata la tendenza a trovare molta difficoltà nel far dialogare fra loro scuola e formazione superiore per la laboriosità di far parlare lingue ed esperienze diverse. Problema che naturalmente esula dal nostro specifico tema, ma che lo ha inesorabilmente attraversato, generando sforzi di comprensione e continui adattamenti. Resta però secondo me necessario continuare a promuovere legami e scambi fra due mondi contigui che sembrano troppo spesso comportarsi come due perfetti sconosciuti vicini di pianerottolo.

    IMPRESSIONI SUL LAVORO FATTO DIRETTAMENTE CON I GIOVANI

    In questi quattro anni ho visto da vicino in che modo i giovani, soprattutto studenti, affrontino o riflettano sulle questioni che in qualche modo toccano o si avvicinino alla dimensione della politica. La loro è sicuramente un’esperienza mediata dalla scuola, ossia si inserisce in un contesto di «compito» e non di spontaneità. Anche se non è mai stata imposta una qualsiasi forma di valutazione, è evidente che la cornice scolastica con il suo corredo di coazione resta. Pur tuttavia emergono delle impressioni e delle osservazioni che vale la pena raccontare.
    * Voglia di avvicinarsi ma paura di essere respinti. Innanzi tutto mi è parso sempre più chiaro il paradosso di una curiosità, di un voler sapere e conoscere frenate, inibite. Come venire a contattato con materiale prezioso ma altamente infiammabile e perciò incontrollabile. C’è sempre stato il bisogno di sporgersi dalla finestra del mondo ma tenendo parte del corpo ben al di qua della soglia. Ciò significa che non è vero che esista nel mondo dei giovani un deserto della volontà, ma che non vedono le garanzie o non capiscono le regole del gioco che permettano partecipazione e gratificazione.
    * Scarsa conoscenza sia della stretta attualità, sia delle coordinate generali dei temi e delle dottrine politiche. Difficilmente ho trovato fra i miei giovani interlocutori la conoscenza sia delle questioni di più stretta attualità (quali leggi o progetti di legge erano al momento in esame o contestati, quali direzioni prendevano le forze politiche o quali guai capitavano ai vari leader politici, ecc.), né v’era più consapevolezza dell’architettura della politica intesa o in generale come storia del pensiero politico, oppure come conoscenza dei sistemi costituzionali, dei modelli elettorali e delle loro finalità o dei problemi di politica internazionale, ecc. Però è proprio nei momenti in cui queste lacune saltano fuori che ci si accorge della voglia di sapere che la scuola non riesce da sola a colmare e che la società civile sembra non raccogliere. Anche in questo caso non è la «cattiva coscienza» dei giovani ad essere sotto accusa, ma il non rendersi conto che la complessità della nostra società, nella quale conoscenza e informazione per tutti sono ancora obiettivi da perseguire, esige di dedicare spazi propri alla «sapienza civile» come motore della formazione della coscienza. Scrive Ernesto Preziosi sulle pagine di Appunti, rivista di cultura e politica del cattolicesimo democratico, a proposito della necessità nelle nostre comunità ecclesiali di far ripartire una stagione di formazione delle coscienze:
    «La proposta è che nell’ambito della comunità cristiana si offrano occasioni e strumenti per una conveniente formazione della coscienza. Non è compito da poco, specie se ci si rende conto che la coscienza dovrà essere formata da una precisa sensibilità sociale, quella del Vangelo, quella della dottrina sociale della Chiesa: vi potranno essere strumenti specifici, scuole, strutture di vario genere, rivolti a vari aspetti della conoscenza necessaria, da quella biblica, a quella storica, a quella magistrale, a quella più propriamente amministrativa, ecc. Ciò che dovrebbe essere chiaro è che il compito specifico complessivo è quello della formazione delle coscienze».[2]
    L’auspicio di Preziosi noi lo vorremmo generalizzato laicamente all’intero complesso della società civile e delle istituzioni pubbliche.
    * Si replica l’elitarismo. Ad essere precisi e non generalisti (nel senso del linguaggio televisivo) non tutti i giovani si sono comportati secondo gli schemi illustrati. Ne ho incontrati alcuni che invece seriamente e consapevolmente non temono di impelagarsi in questo insolito mare pieno di bizzarre creature e complicate correnti.
    Ma sotto questo aspetto mi sembra che non si faccia altro che replicare la tendenza secolare che fa della politica un fatto élitario. Sono le élite che guidano e dominano nel nostro tempo la scena politica intascando in termini di potere il lascito di generazioni di «emigranti» che hanno abbandonato il campo. Però non è detto che per le giovani generazioni ciò sia un male o un problema. Se analizziamo tutti i grandi fenomeni di partecipazione giovanile che non siano la musica, gli stadi o la rete, è inevitabile la formazione di un nucleo ristretto che fa da testa di ponte o più semplicemente svolge la funzione sociale di leadership. Quello che occorre capire è se ci troviamo di fronte ad una leadership autoreferenziale o ad un potente veicolo di coinvolgimento e di contagio verso potenziali altri gruppi o individui. Anche se fosse solo in linea teorica senza un riscontro effettivo. Sarà interessante valutare gli effetti di questa nuova stagione di movimento studentesco per renderci conto se si produrrà un allargamento della partecipazione superando gli schemi convenzionali dei pochi rispetto ai molti indifferenti o se si riprodurranno i meccanismi soliti di integrazione delle leadership studentesche nelle élite «adulte» (partiti, aziende, ecc.).
    * Distanza tra i linguaggi. A più riprese è apparso evidente ed esplicitato lo scollamento dei linguaggi. Non tanto per una questione di terminologia tecnica, ma per la natura simbolica e mimetica del linguaggio politico che rivolto ad una generazione abituata ad una comunicazione stilizzata e brachiologica produce incomprensione e fastidio. Mi ricordo di un’osservazione che mi colpì, portata da uno studente nella tavola rotonda di Perugia sull’uso indiscriminato e colpevole dei dati, dei numeri sia nei sondaggi che in tutte le altre importanti questioni economiche (pensiamo ai dati sulla disoccupazione, le politiche dei cambi). Vengono maneggiati nei modi più disparati e quelli che per un giovane appaiono certezze (sono abituati a pensarla così la matematica) si trasformano davanti ai loro occhi nei più potenti strumenti di manipolazione, di stravolgimento delle affermazioni.
    * La tavola rotonda di Perugia. Dalla tavola rotonda svolta a Perugia con il prof Gatti il 19 novembre, come abbiamo detto, sono emersi una serie di punti che possono considerarsi nodi tematici. Li ripropongo integralmente e in modo ragionato per darne più di un’idea.
    – Partecipazione: si è parlato di modelli di partecipazione, di mimesi dell’apparire (politica solo «estetica» e non progettuale), riflusso nel privato in quanto esperienza autentica che allontana dalla politica vista come esperienza inautentica (porta all’omologazione). Questo nucleo facilmente trapassa in quello di:
    – Identità: identità politica tra sfera pubblica e privata; che non viene costruita nella dimensione politica perché considerata omologante a mai individualizzante; requisiti etico-morali del politico o machiavellismo.
    – Limiti della politica: ne sono stati proposti diversi, da quello della semplice partecipazione (il sistema liberal-capitalista non può reggere l’urto quantitativo e qualitativo di una partecipazione di massa) a quello della formazione del cittadino, alle debolezze nei modelli politici (i mezzi senza i fini, il consigliere del principe senza l’ultimo libro del Principe); allo schiacciamento sul presente e la conseguente estenuazione della politica (fine dell’avvenire?).
    – Le finalità della politica: la solidarietà, la giustizia, la felicità. Temi accantonati ma di rilevanza centrale. Forse c’è una schizofrenia fra la riflessione e l’azione politica il cui risultato è l’esilio di queste grandi finalità della politica?
    – Formazione: questione chiave che risulta alla base di molte ambiguità o contraddizioni nel rapporto giovani e politica (ma non solo); insufficienza nei e dei soggetti formativi (scuola, partiti, famiglia) e sua necessità per avere adeguati strumenti per poter conoscere, capire e (forse) risolvere molte delle succitate ambiguità e contraddizioni.
    – Informazione: questione del linguaggio della politica; lo spazio della politica (attività omologante perché non più affidata a «spazi» politici come i partiti, ma delegata al mondo televisivo omologante per natura); spettacolarizzazione della politica (si riallaccia al tema partecipazione); che rapporto c’è fra informazione pubblica e privata.
    – Politica e sfera affettiva: separazione tra l’intersoggettività affettivo-amicale e quella politica; ruolo della famiglia nell’educazione politica.
    – Laicità: non è soltanto una questione individuale; l’importanza dei simboli culturali e religiosi all’interno delle dinamiche identitarie (violano, non violano, sono indifferenti); rapporto con il pluralismo e per estensione con l’alterità all’interno di una comunità statale.
    – Élites: solo i pochi che hanno spirito d’iniziativa fanno politica; necessità di omologarsi per fare politica; l’omologazione rafforza il senso autoreferenziale della attuale politica e destituisce di senso la possibilità di una politica per tutti e di tutti.
    – Responsabilità: è contraddittorio in un sistema democratico delegare ai politici o allo Stato la risoluzione di problemi, si deve far ricorso ai mezzi che la democrazia mette a disposizione per la contestazione del potere; senza si allarga la forbice tra la capacità di capire e quella di agire; combattere l’abitudine alla rassegnazione (psicologia dell’assuefazione) e richiamarsi al principio di responsabilità; altra faccia dell’individualità (non solo l’aspetto degenerativo ma anche quello di impegno personale.
    – Speranza: la dimensione della continuità storica della mia azione politica; l’utopismo che valorizza il mio impegno (la rete di azioni in cui cade la mia di cui nessuno può prevederne lo sviluppo) e ridà senso alla soggettività politica.

    ISTRUZIONI PER L'USO PER CHI SI VUOLE CIMENTARE CON IL TEMA

    Risulta assolutamente indispensabile iniziare dai giovani. Non solo considerandoli oggetto di un tema ma rendendoli protagonisti effettivi. In questo modo la distanza rispetto alla politica, può essere combattuta non potendo essere ragionevolmente ridotta da un semplice articolo di una rivista. Si può proporre l’intervista tra di loro su un questionario preparato insieme. Poi allargare l’orizzonte a gruppi di pari fuori del proprio ambito. L’intervista potrà essere predisposta in modo qualitativo o quantitativo, occorrerà stabilire insieme vantaggi e svantaggi dell’una e dell’altra metodologia. Successivamente si dovranno pubblicare i risultati di queste interviste o semplicemente in gruppo, o su una rivista locale, oppure in una tavola rotonda, invitando personalità significative (consiglieri municipali o comunali, docenti, testimoni). Se ne potrebbe ricavare una piccola pubblicazione o iniziare un blog sull’argomento che prosegua il lavoro iniziato.
    Ragio­nevolmente questo tipo di lavoro può raggiungere alcuni obiettivi: in primo luogo risvegliare il senso di partecipazione attiva e personale, poter esprimere costruttivamente il proprio giudizio sul tema. In secondo permette di immagazzinare e affinare nuove conoscenze, di strutturarle diversamente dai processi tradizionali di comunicazione mediatica. In terzo luogo si riproduce una dialettica politica «in ambiente controllato» ossia come in un laboratorio sperimentale dove osservazione e interpretazione del fenomeno possono essere più alla portata.
    Se questo percorso venisse portato avanti nella scuola, vanno ben pensati i tempi di realizzazione in relazione alle presenze esterne. Queste in genere assumono l’aspetto del variegato e si scontrano con la terribile macchina burocratica che è la nostra istituzione scolastica, poco duttile anche se affamata di «mondo». Andrebbe valorizzato come percorso interdisciplinare o strutturato n vista dell’esame, per meglio integrare scuola e società se non scuola e vita. L’interesse da parte degli studenti è assicurato, meno la continuità e le competenze specifiche. L’approccio in genere paradossalmente resta scolastico quando potrebbe portare i ragazzi a mettere in gioco la loro originalità o esporsi nello schierarsi rispetto alle più ampie tematiche politiche e sociali. Resto comunque convinto che è una scommessa per tutte le agenzie educative, dalla scuola alle parrocchie e quant’altro, ineludibile indispensabile.

     

    Un’umana insoddisfazione
    Aldo Moro

    Probabilmente, malgrado tutto, l’evoluzione storica non soddisferà le nostre ideali esigenze; la splendida promessa che sembra contenuta nell’intrinseca forza e bellezza di quegli ideali non sarà mantenuta. Ciò vuol dire che gli uomini dovranno pur restare di fronte al diritto e allo stato in una posizione di più o meno acuto pessimismo, e il loro dolore non sarà mai pienamente confortato.
    Ma questa insoddisfazione, questo dolore, sono la stessa insoddisfazione dell’uomo di fronte alla sua vita. Il dolore dell’uomo, che trova di continuo ogni cosa più piccola di quanto vorrebbe. È un dolore che non si placa se non un poco, quando sia confessato ad anime che sappiano capire, o cantato nell’arte, o quando la forza di una fede o la bellezza della natura dissolvono quell’ansia e ridonino la pace. Forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete. Ma è sempre un grande destino.
    (“Lezioni di filosofia del diritto”, Università di Bari, 1942)


    NOTE

    [1] Nanni A., Timonieri. Uomini e donne sulla rotta del terzo millennio, 1997 EMI, p. 5.
    [2] Preziosi E., Per un rinnovato impegno, in Appunti di cultura e politica 5, pp. 11, Milano, 2010.


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