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    Sessualità


    I temi negati dell’educazione /5

    Mario Pollo

    (NPG 2011-03-56)


    Perché collocare la sessualità tra i temi negati dell’educazione, visto che è da molti anni che nella nostra società il sesso non è certo più un tabù, e l’educazione sessuale è accettata e ritenuta utile e necessaria dalla quasi totalità dei genitori e degli educatori?
    L’articolo muove dalla constatazione che la stragrande maggioranza dei discorsi attuali sulla sessualità e la stessa educazione sessuale, di fatto, nascondono una rimozione: quella del significato profondo della sessualità, il suo mistero che la lega inestricabilmente alla vita e al suo senso.
    Per chiarire questa affermazione si può partire dall’osservare che cosa oggi si intende normalmente per educazione sessuale.

    L’educazione sessuale

    Osservando com’è svolta solitamente l’educazione sessuale, risulta evidente che al suo interno la sessualità di solito è presentata attraverso il filtro di una disciplina scientifica, non importa se di tipo medico, biologico o psicologico, con il risultato che spesso essa appare banalizzata, perché privata di ogni mistero e significato trascendente.
    L’educazione alla sessualità, quindi, è spesso ridotta a essere una sorta di abilitazione alla comprensione dei processi fisiologici su cui si fonda la sua espressione corporea e psichica. Si potrebbe dire che, in questi casi, l’educazione alla sessualità è ridotta all’addestramento a un corretto uso della meccanica sessuale.
    Senza voler sminuire l’importanza di quest’aspetto dell’educazione sessuale, occorre però rilevare che esso riguarda solo un capitolo e non tutto il libro della sessualità, del quale alcuni capitoli non sono ancora stati scritti e forse non potranno mai essere scritti.
    Infatti la sessualità, nonostante tutti gli studi condotti a livello biologico, psicologico, sociologico e antropologico, appartiene ancora in gran parte al dominio del mistero.
    Una delle più belle descrizioni di questo mistero è fornita dal filosofo Paul Ricoeur laddove afferma:
    «Infine, quando due esseri si attraggono a vicenda, non sanno ciò che fanno; non sanno ciò che vogliono; non sanno ciò che cercano; non sanno ciò che trovano. Che senso ha questo desiderio che li spinge l’uno verso l’altro? Si tratta del desiderio del piacere? Certamente. Ma è una povera risposta, perché nello stesso tempo presentiamo che il piacere non ha senso per se stesso, ha un valore figurativo. Ma di che cosa? Abbiamo la coscienza viva e oscura che il sesso partecipa ad un tessuto di potenze le cui armoniche cosmiche sono dimenticate ma non abolite, che la vita vale molto di più della vita. Voglio dire che la vita è molto di più di una lotta contro la morte, di un ritardo della scadenza fatale; che la vita è unica universale, tutta in tutti, ed è a questo mistero che la gioia sessuale rende partecipi; che l’uomo non si personalizza, eticamente, giuridicamente se non si immerge nel fiume della Vita. Ma questa coscienza viva è anche una coscienza oscura, perché sappiamo bene che l’universo, al quale la gioia sessuale partecipa, si è radicato in noi; che la sessualità è il vertice di un’Atlantide sommersa. Da qui, il suo enigma».[1]
    La cultura sessuale contemporanea, pur non riconoscendo esplicitamente questo mistero, individua però la presenza essenziale della sessualità nello sviluppo dell’intera personalità umana attraverso il ruolo che essa gioca in una crescita segnata dall’autonomia, dall’oblatività e dall’apertura all’altro nel nome dell’amore. Questa posizione non va considerata una vera e propria contraddizione, perché l’importanza della sessualità per lo sviluppo umano è desunta dagli studi di stampo positivista di Freud, e comunque ridotta all’interno dei processi fisiologici e psichici.
    A fronte di queste posizioni riduzioniste si colloca la considerazione, che sta emergendo con sempre maggior vigore dagli studi antropologici, che la sessualità umana non è riducibile né al dato anatomico, né a quello psicologico, perché essa è anche un fenomeno culturale e, quindi, in molti casi essa è strettamente connessa alla dimensione religiosa dell’esistenza.
    Inserire la sessualità nella dimensione della cultura e, quindi, del linguaggio e della comunicazione in generale, significa poi, di fatto, riconoscere che essa non è un fenomeno che può essere letto isolatamente, ma che, viceversa, deve essere collocato negli orizzonti di senso e di valore di una data cultura umana. In altre parole, questo significa che la sessualità appartiene a un sistema culturale, ed è perciò influenzata dalle altre parti del sistema, che a sua volta influenza.
    Tuttavia anche quest’allargamento di prospettiva non rende ancora conto della componente di mistero in cui la sessualità è avvolta sin dalle origini della storia umana e che si manifesta nel pensiero mitico, in cui essa, oltre che con la vita, è strettamente interrelata con la morte.
    In quest’orizzonte la sessualità era considerata non solo come piacere ma essenzialmente come forza sacra del mondo.

    Il maschile e il femminile nei miti dell’origine del mondo e nella Bibbia

    Occorre anche ricordare che nei miti delle origini del mondo esso nasce dalla separazione, di solito traumatica, dei principi maschile e femminile che prima erano integrati in una totalità indifferenziata, che non è altro che è un archetipo della totalità, un simbolo mitico della «coincidentia oppositorum». La nascita, la vita umana, il mondo derivano tutti dalla separazione dei contrasti, degli opposti.
    Il maschile e il femminile come parti complementari e, quindi, incomplete di un’unità originaria, sono una verità che, di là del racconto, balena in questi miti.
    Si ritrova anche qui allo stato nascente la concezione che la vita è il luogo dei contrari e degli opposti. Infatti quando il mondo era solo il caos della stasi indifferenziata originaria, il mondo e l’uomo non esistevano.
    Da questo estremo accenno agli elementi mitici che costituiscono in qualche modo il racconto simbolico e misterioso dell’avventura dell’uomo prima che emergesse alla storia, e le cui strutture di significato hanno sede nell’inconscio umano, emergono le radici arcaiche di ogni possibile discorso intorno alla sessualità, all’amore e alla morte.
    Se nei miti delle origini il maschile e il femminile sono generati dalla divisione di un essere originario androgino, nella Bibbia il discorso cambia radicalmente, perché essi sono creati da Dio. Infatti, in Genesi 1,27 è detto che Dio «maschio e femmina li creò». Partendo da questo versetto, un racconto talmudico afferma che in origine l’adam era un essere siamese, dal duplice aspetto. Infatti, maschio e femmina erano uniti schiena contro schiena in un unico essere. Questo però impediva loro di incontrarsi faccia a faccia e, quindi, Dio li separò perché potessero unirsi nel dialogo. Le implicazioni etiche e filosofiche di quest’immagine quasi mitica sono che la distinzione tra uomo e donna deve essere presieduta da un principio di unità. Come dice il Talmud babilonese nella ketuvot 8a: «All’inizio Dio pensò di creare due creature ma in conclusione ne creò una sola». È interessante osservare che la radice di khawwah (Eva) designa la conversazione, il dialogo.
    Nella tradizione ebraica l’unità del maschile e del femminile è sottolineato anche dalla Cabbala laddove dice: «Ogni uomo deve restare maschile e femminile se vuole consolidare la forza dell’unione, e così facendo la Presenza (Shekinah) non si separerà mai da lui».
    Occorre poi considerare che in questa stessa tradizione il rapporto coniugale è considerato la metafora più importante del rapporto tra Dio e l’uomo e il modello della fedeltà all’alleanza.
    Nel cristianesimo poi, in particolare alla lettera agli Efesini di Paolo, l’unione tra uomo e donna in una sola carne prefigura il mistero dell’unità di Cristo con la Chiesa. Come afferma Schillebeeckx:
    «La realtà della redenzione di Cristo, nella sua unione sponsale con la chiesa viene attualizzata nel matrimonio stesso in modo speciale, caratteristico della vita degli sposi. Il loro compito morale e religioso è quindi di partecipare intimamente a questa unione redentrice d’amore esistente tra Cristo e la chiesa».[2]
    Nella riflessione teologica cristiana la sessualità è vista come ciò che chiama un uomo e una donna a un incontro, perché la persona umana si perfeziona e si compie solo nella relazione. Questo significa che l’apertura promossa dalla sessualità è luogo di crescita solo se è un incontro tra persone e non un incontro tra oggetti il cui fine è il soddisfacimento del desiderio.
    Questo aspetto è stato ribadito nella Gaudium et Spes (49):
    «Anche molti uomini della nostra epoca danno grande valore al vero amore tra marito e moglie, che si manifesta in espressioni diverse secondo oneste usanze di popoli e tempi. Proprio perché atto eminentemente umano, essendo diretto da persona a persona, con un sentimento che nasce dalla volontà, quell’amore abbraccia il bene di tutta la persona, e perciò ha la possibilità di arricchire di particolare dignità i sentimenti dell’animo e le loro manifestazioni fisiche e di nobilitarli come elementi e segni speciali dell’amicizia coniugale […] Questo amore è espresso e reso perfetto in maniera tutta particolare dall’esercizio degli atti che sono propri del matrimonio; ne consegue che gli atti stessi, con i quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorevoli e degni; e compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano e arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi stessi».
    È interessante notare come sia nei miti che nella bibbia il maschile e il femminile siano le due parti complementari della totalità dell’umano. E che, quindi, ognuno di essi in quanto incompleto apra l’uomo alla relazione, compresa come luogo privilegiato della costituzione dell’umano.
    La bibbia e la riflessione teologica da essa generata va oltre, perché la rivelazione ha fatto comprendere all’uomo come questa relazione tra il femminile e il maschile sia la metafora del suo rapporto con Dio e, dopo l’incarnazione di Gesù, quella della relazione sponsale di Gesù con la sua chiesa. Quindi, la sessualità è il luogo che apre l’uomo all’alterità immanente e trascendente e in cui egli può perfezionare e completare la sua umanità.
    In altre parole, la rivelazione delle scritture consente di comprendere che la complementarità maschio-femmina, necessaria per la costituzione della totalità umana, non è un processo psichico che avviene dentro la persona, non è un sogno od un fantasma, ma il rapporto reale che accade tra due individui di sesso diverso.
    Questo consente di dire che l’amore, la sessualità sono elementi fondanti, immanenti ma indispensabili, per ogni ricerca di pienezza umana, di conoscenza di sé.
    Ci aiuta però anche a comprendere che il rapporto maschio-femmina può trasformarsi in una spirale distruttiva della personalità dei contraenti, quando avviene al di fuori del rapporto di amore e che, quindi, il rapporto tra il maschio e la femmina non è né una semplice necessità fisiologica, né tantomeno una gioia gratuita, ma un elemento di quella ricerca del compimento di sé, dell’unità e della pienezza che caratterizza in vari modi ogni esistenza umana. Da questo punto di vista, il rapporto maschio-femmina possiede un significato oltre che psicologico anche spirituale.
    Non è però da credere che il rapporto maschio-femmina sia una sorta di automatismo che genera – per il solo fatto di essere attivato – questi effetti in chi lo vive. Infatti, in molte situazioni come si è or ora accennato, esso produce degli effetti esattamente contrari. Ciò capita, ad esempio, quando il rapporto non si fonda su una sessualità matura. In questo caso la complementarità non genera ricerca della pienezza e della verità intorno a sé.
    La sessualità matura è quella fondata sulla spiritualità dell’amore e sulla ricerca della solidarietà cosmica con l’umanità.
    Quando si parla di sessualità, non s’intende far riferimento esclusivamente al rapporto carnale tra due persone di sesso diverso, ma anche a tutte le varie forme di trasporto, anche squisitamente spirituale, che investono due persone di sesso diverso. La sessualità è, infatti, prima di tutto un legame di complementarità tra il principio maschile e quello femminile, e poi un dato fisiologico. È una ricerca di totalità e di solidarietà mistica con l’umanità, prima di essere una necessità di conservazione della specie.
    Il desiderio non nasce dagli ormoni, ma dalla complementarità che, nell’orizzonte del mondo, non trova mai una composizione.
    La separazione della totalità nei due principi maschile e femminile è la molla che crea la vita.
    È l’energia che quando trova dei limiti, delle forme finite in cui dirsi, crea lo sviluppo della vita nel mondo. Infatti, come si è più volte detto, il desiderio che non trova un limite con cui scontrarsi, che non trova un sistema di costrizioni, di regole e di divieti a cui adattarsi, produce distruzione e morte nel senso più disperato, e allontana l’uomo dalla ricerca di sé e del Dio che gli parla attraverso i suoi bisogni di totalità, solidarietà e oltrepassamento del confine dello spaziotempo.
    Il desiderio si esprime dunque come forza motrice. I limiti, le regole, le norme e i divieti continuamente rivisti e modificati sono in effetti la grammatica del discorso che consente al desiderio di declinare la vita.
    La sessualità attesta sia l’incompletezza e l’imperfezione della condizione umana, sia la felicità e la creatività possibile della vita umana all’interno del limitato, dell’incompleto e del finito. La sessualità è lo scacco e la potenza del finito. La sessualità è una condanna alla diaspora ma anche la promessa di una felicità che può già cominciare a dirsi nel corso della stessa diaspora. La sessualità non è solo ricerca di completezza, di totalità è anche, come si è visto, ricerca di solidarietà con l’umanità, al di là dei confini dello spaziotempo.
    Questo significa molto semplicemente che la solidarietà si ottiene perché si è stati procreati e si procrea, che la sessualità esprime tutta la sua potenza creatrice solo se non è scissa dalla procreazione.

    Sessualità e procreazione

    Ogni uomo è legato, anche biologicamente, alle genti che verranno dopo attraverso la propria discendenza, così com’è legato alle genti che sono già venute nel passato attraverso i propri genitori. La procreazione come legame, come parte essenziale di quella solidarietà e partecipazione al tutto costituita dall’umanità in tutta la sua storia.
    È qui che ha sede una delle radici essenziali del tempo noetico come si è accennato più sopra.
    Sessualità e procreazione sono due elementi inscindibili il cui equilibrio e adattamento reciproco, all’interno delle varie condizioni sociali e materiali di vita degli individui, non può che essere il frutto di una ricerca faticosa che non ha al centro il principio del piacere, ma quello della ricerca di una condizione umana più matura, evoluta e spiritualmente più completa.
    Il controllo delle nascite non può rispondere a motivi di ordine eminentemente utilitaristico/economico o peggio di ricerca egoistica del piacere, ma ad una ricerca di costruzione di una qualità più ricca dell’essere dell’uomo nel mondo.
    Occorre ricordare che la sessualità dice la sua potenza anche nella volontaria rinuncia, nella sua privazione. Mentre non dice alcunché nel suo dispiegarsi senza scopo alcuno al di fuori di quello di una irraggiungibile felicità dei sensi.
    Un discorso sul controllo delle nascite deve, quindi, giocarsi tenendo conto di tutto questo e non essere ridotto al risultato meccanicamente indotto nel sociale di una scoperta scientifica. La sterilità può essere ricca se feconda una diversa solidarietà dell’uomo con gli altri e con il mistero dell’Assoluto. Se, cioè, la rinuncia a essere inserito nella solidarietà biologica del mondo ha come contropartita il potenziamento della solidarietà sociale, culturale e spirituale. In questo caso il rifiuto di procreare, o addirittura dell’aspetto carnale della sessualità, diventa non alienazione ma dono senza confini.
    Il rifiuto della procreazione, invece, che non si sublima a un livello più elevato di solidarietà con l’umanità, perché generato dall’egoismo, diventa il segno di una separazione, di un inferno che isola l’uomo dalla ricerca di unità, nella diversità, con il tutto.
    L’inferno dell’uomo è o la perdita della propria identità d’individuo cosciente oppure la rottura della solidarietà con le più intime trame della creazione.
    La conquista della propria capacità cosciente di essere, pur nella accentuazione dei legami con l’umanità e il mondo, appartiene a quel processo che è stato definito ricerca della totalità, ma che altro non è che uno dei nomi per mezzo dei quali si dice l’Amore.

    Educare la sessualità

    In quest’orizzonte educare la sessualità passa attraverso il raggiungimento dei seguenti quattro obiettivi:
    – il riconoscimento e l’accettazione della complementarietà tra maschile e femminile;
    – la consapevolezza che la sessualità è l’energia che sostiene la creazione della vita e, quindi, che fonda la capacità di donare gratuitamente se stessi nell’amore;
    – il riconoscimento del legame profondo della sessualità con il mistero della morte e con la violenza;
    – l’accettazione della sessualità come luogo in cui il contingente trascolora nel mistero dell’eterno.

    Il riconoscimento e l’accettazione della complementarietà tra maschile e femminile

    Come si è visto, la totalità dell’umano si manifesta solo nell’incontro complementare tra maschile e femminile.
    Perché nei giovani maturi la coscienza e, quindi, il riconoscimento e l’accettazione di questa caratteristica fondante dell’umano, è necessario, per prima cosa, che nel loro percorso educativo essi sperimentino l’incontro con questa complementarietà negli adulti che si prendono cura educativa di loro e, in particolare, la percepiscano nella relazione esistente tra i loro genitori. O, se ciò non avviene, è perlomeno necessario che i giovani incontrino degli adulti che vivono la complementarietà del maschile e del femminile in se stessi. Adulti, cioè, che pur non tradendo il loro genere dominante, quello della loro identità sessuale, abbiano fatto spazio e integrato l’altro genere nella loro psiche. Maschi, cioè, che hanno lasciato spazio al femminile che è in loro, e femmine che hanno lasciato emergere il maschile che è in loro, e che lo hanno integrato nella loro identità di genere.
    La seconda cosa importante per raggiungere questo obiettivo è la comprensione del significato della differenza tra maschile e femminile nell’orizzonte della vita umana. Dove la differenza non è data dall’asimmetria tra i generi, nel senso che uno è dominante e l’altro sottomesso, ma dalla valorizzazione, ad esempio, della differente spiritualità, della differente sapienza relazionale ed esistenziale che caratterizza maschi e femmine. Il tutto nell’assoluta parità sia della dignità delle diverse vie che manifestano l’umano attraverso i generi, sia delle opportunità di accesso ai ruoli sociali.

    La consapevolezza che la sessualità è l’energia che sostiene la creazione della vita

    Questo secondo obiettivo richiede come primo passo il lavoro per riconnettere la sessualità alla sua funzione primaria: generare vita. Questo passo è richiesto dalle particolari caratteristiche della cultura sociale contemporanea che, grazie ai suoi ritrovati tecnico-scientifici, ha compiuto una netta separazione tra l’esercizio della sessualità e la procreazione. Questo, di là dell’uso del sesso come esclusiva ricerca di piacere, ha reso la sessualità tra le persone che si amano semplicemente una forma di comunicazione affettivamente intensa ma, tutto sommato, che isola queste persone e non le immette nel fiume della vita. Per lo stesso motivo l’astinenza sessuale ha perso ogni legame sublimato con la procreazione, divenendo un esercizio ascetico chiuso in se stesso e che non apre, quindi, alla generatività spirituale.
    Ri-scoprire questa dimensione significa riconoscere che l’energia che fonda la sessualità deve essere canalizzata verso la generazione di vita in tutte le sue forme. Ciò significa anche la capacità di esprimere la propria componente erotica non solo nel rapporto sessuale ma in ogni dono di vita, spirituale, culturale, sociale, ecc., che la persona ha occasione di fare nella sua quotidiana esistenza.
    Significa, perciò educare i giovani all’esercizio del meccanismo psicologico della sostituzione.

    Il riconoscimento del legame profondo del mistero della sessualità con quello della morte

    Nel passato, anche abbastanza recente, una delle forme che le persone utilizzavano per esorcizzare l’angoscia della propria mortalità era costituita dalla certezza dell’aver generato una discendenza che sarebbe durata al di là della propria morte e in molti casi nei secoli se non nei millenni a venire. Celebre è la promessa del Signore ad Abramo di una discendenza più numerosa delle stelle del cielo. Oggi, vista anche la scarsa fecondità della società italiana, quest’orizzonte culturale appare, se non proprio scomparso, assai indebolito. Eppure in questo pensiero della posterità come esorcismo dell’angoscia della mortalità era presente la consapevolezza da parte degli uomini di essere parte di quel misterioso ma potente fiume della vita cui accennava Ricoeur.
    In questa concezione era chiaro il riconoscimento che la sessualità è ciò che consente alla vita di oltrepassare i confini della caducità e di tutti i limiti che segnano la finitudine della condizione umana.
    Lo stesso discorso può essere fatto per quegli uomini che affidavano il superamento dei limiti della mortalità alla propria opera dell’ingegno, artistica, politica, economica, sociale, ecc. In questo caso si trattava di una sessualità sublimata ma sempre feconda, creatrice di vita.
    Allo stesso modo vi era la consapevolezza, nata dall’osservazione dei cicli vegetali, che affinché vi fosse una nuova nascita era necessaria una morte.
    Educare alla consapevolezza che sessualità e morte sono i due volti in cui si manifesta il mistero della vita nel mondo è fondamentale per collocare la sessualità nel giusto orizzonte di senso.

    L’accettazione della sessualità come luogo in cui il contingente trascolora nel mistero dell’eterno

    Se si sono raggiunti i primi tre obiettivi, questo quarto si presenta come la loro naturale evoluzione e conclusione. Infatti, l’aver aiutato i giovani a diventare consapevoli di essere immersi, anzi di essere parte, del fiume della vita che scorre da ben prima della loro nascita e scorrerà ben al di là della loro morte, li pone in relazione con il mistero che regna intorno alla sorgente e alla foce di questo fiume. Mistero che fa risuonare la consapevolezza che la loro vita non può essere inscritta esclusivamente nell’arco temporale costituito dall’intervallo tra la loro nascita e la loro morte. Il fatto stesso che da ogni giovane può generarsi una catena di uomini la cui lunghezza o durata nel tempo può essere teoricamente senza fine, o perlomeno sino alla fine del genere umano sulla terra, apre la loro limitazione nootemporale, che tra l’altro non è in grado di esaurire la loro sete di vita, all’eotemporalità, la inserisce cioè nella grande temporalità dei cicli cosmici. Basti pensare che ognuno di noi ha un progenitore che è vissuto, se ci si limita alla comparsa dell’homo sapiens, almeno 250.000 anni fa, ma se si volesse risalire più indietro, ad esempio all’homo erectus, arriveremmo a 2.000.000 di anni fa.
    Quest’abisso del tempo, in cui la sessualità umana consente agli uomini di immergersi, non è a sua volta che una porta verso l’ultima frontiera del tempo: l’eterno atemporale.
    Riuscire a percepire il legame tra la propria sessualità è il passo decisivo per l’evoluzione di un umano che è cosciente di avere al proprio interno le radici dell’eterno.


    NOTE

    [1] Ricoeur P. La sexualité. La merveille, l'errance, l'origine, in: Ésprit 11 /1960), pp. 1674-1675.
    [2] Schillebeeckx E., Il matrimonio, Borla, p. 165.


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