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    Un'esperienza forte di nome Maria



    Maria Xaveria Bertola

    (NPG 1979-04-43)


    Da una ventina di anni a questa parte, a nessun osservatore di cose religiose, nemmeno al più distratto, può essere sfuggito un fenomeno che ha segnato l'apice della sua evoluzione parabolica intorno agli anni sessanta: si tratta della vasta manifestazione di sfiducia nel confronto del culto cristiano alla Madre di Dio. Da più parti, sia i. téologi che i pastora listi incominciarono a parlare di «crisi» della devozione mariana, di «reazione» ad una certa mariologia o, comunque, di una specie di tradimento del valore mariale, all'interno della situazione religiosa cattolica. Fatto sta che, mentre i catecheti preferirono scegliere un periodo di silenzio, per ripensare alla nuova strutturazione del fatto mariale all'interno del mistero di Cristo, e i catechisti e i pastori «quotidiani» scelsero di puntare alle realtà essenziali dell'annuncio, il popolo di Dio, quasi senza accorgersene, si senti privato di «qualcuno» che «fa presenza trainante» nel suo cammino di ricerca del volto di Dio.

    UNA PRESENZA FEMMINILE

    Mitologia, Storia delle religioni, Antropologia culturale, Psicologia e Teologia sono scienze ricche di argomenti per dimostrare la necessità di una «presenza femminile» nel cammino maturativo del singolo e della collettività e a dare il significato di questo «femminile» sia a livello di esperienza umana che di esperienza religiosa. Infatti, fin dall'antichità più arcaica, la natura, l'essere furono rivestiti dei simboli della femminilità a motivo della produttività e fecondità. Non solo: fu la stessi conoscenza misterica ad essere rivestita, talvolta, di schemi femminili e considerata una «categoria femminile del divino».
    Lo stesso progetto di Dio, concepito in modo così rispettoso nei confronti dell'uomo, ha voluto contemplare un «a solo» femminile che, nell'intervento storico di Maria di Nazareth, ha trovato la sua realizzazione e il suo momento esemplificativo e tipologico. Ne consegue che qualunque tipo di cammino umano che si programma e si realizza sulla base dei «bisogni» psicologici - che sono già sulla linea dei doni di Spirito Santo - dovrà tener conto di un elemento equilibratore ed armonizzatore, che ha come nome psicologico «femminile», come nome teologico «Maria», come nome concreto «madre». La posta in gioco è così grande che il grande teorico della psicologia del profondo, Jung non esitò ad affermare che la differenziazione dell'«io» dalla «Madre» - intesa come Archetipo della psiche umana - sta all'inizio di ogni presa di coscienza sia femminile che maschile. Infatti, sia nella donna come nell'uomo, l'attivazione dell'Archetipo riguardante la femminilità, vuoi come lato inconscio per l'uomo, vuoi come coscientizzazione di un proprio ruolo nella donna, passa subito e sempre attraverso la madre o la figura materna e, successivamente è il risultato delle successive deintegrazioni e integrazioni delle esperienze con la donna, per cui l'inconscio di ogni uomo è la donna, e viceversa.
    Tutto questo sottolinea la necessità di riportare, nello spazio di coscienza, quel dolce peso di «femminile sacro» che, all'interno del cristianesimo, possiamo chiamare con il nome concreto di Maria di Nazareth.
    Come accompagnare questo processo di chiarificazione nell'uomo e, soprattutto, nel giovane?
    Si tratta non tanto di preoccuparci di «dare» un modello femminile al giovane, ma piuttosto di «guidare» il giovane stesso nel cogliere la realtà modello «dal di dentro», nella parte più intima del suo vissuto, che diventa momento esperienziale di cammino, e sguardo teso a quel segno prolettico che non costituisce in sé un punto di arrivo e di estasi contemplante, ma certezza per i tentativi umani in cerca di libertà e di realizzazione ultima e beatificante.
    Penso che il momento più significativo di questa esperienza del femminile profondo sia costituito dal momento liturgico, ma sono convinta che, nello stesso tempo, una forte esperienza liturgica debba avere la premessa o, meglio, il sostegno di significanze psicologicamente vitali che, troppe volte non consideriamo con sufficiente attenzione.

    EUCARESTIA COME ESPERIENZA DEL «DOVER-DIR-GRAZIE DI SÉ RECETTIVO»

    In una catechesi eucaristica, come in una esperienza forte di cammino di fede - che nell'Eucarestia trova il suo punto di partenza come il suo culmine - non può mancare la presenza discreta ma obbligatoria di Maria. Non solo: credo proprio che questo momento mariano, che sta alla base dell'esperienza eucaristica, sia l'atteggiamento femminile che ogni cristiano, uomo o donna che sia, anziano o giovane, deve assumere come costituente normale. del suo «porsi di. fronte a Dio» per rendere grazie.
    A mio avviso, questo è il momento più alto di una possibile devozione mariana giovanile, che diventi esperienza gratificante e maturante.
    La nostra società - è inutile volercelo nascondere - è frutto di una cultura costruita dal maschio, che ha posto come criteri di efficienza e di funzionalità il potere. La sete del potere è la chiave ermeneutica di una lunga storia fatta da oppressori e da oppressi, da vincitori e da vinti, da ricchi e da poveri. Sembra, infatti, che fin dai tempi antichi, - tempi che oggi l'Antropologia culturale sta tentando di riscoprire e di analizzare - l'identità, la personalità stessa dell'uomo sia dipesa dal potere, anzi, da un potere molto specifico, quello sugli «altri», a cominciare dalla donna e dai figli.
    Ne consegue che ogni persona che vive in una siffatta società, non appena percepisce il valore e la necessità di una propria realizzazione, tende a strappare, in qualche modo, un pezzo di potere a qualcuno e a diventare, a sua volta, un soggetto «valente» nell'ambito della società virilista in cui si muove. E un potente, per minimo che sia il suo «feudo», non conosce l'atteggiamento del «rendere grazie»; al massimo, accetta l'umiliazione del servilismo, al fine di strappare un pezzo di potere per sperimentare la pur minima porzione di «padronanza» su qualcuno.
    Bisogna rivolgersi alla propria «dimensione femminile» per poter essere in grado di sperimentare la ricchezza della recettività maturante in quell'atteggiamento di «passività» che non è inerzia, ma attesa paziente e realizzata nell'armonia del proprio essere, di quell'unica potenza salvifica che viene dall'alto e chiede una risposta.
    La risposta umana alla soteria divina, diventa eucarestia e ci coglie soltanto in quella parte di essere costituito dalla nostra femminilità. Maria di Nazareth ne diventa il simbolo e, nello stesso tempo, la profezia compiuta.

    Una devozione mariana costruita sull'impegno di interpretare le attese giovanili

    Ho il sentore che mai come oggi, l'umanità e, all'interno di essa, i giovani, siano stati richiesti e gratificati di una possibilità di esperienza mariana cosi forte. Di conseguenza, una devozione mariana giovanile, oggi, non può essere costituita dallo squallido tentativo di ringiovanire certe pratiche di pietà e di devozione mariana, ma dallo sforzo di leggere «a monte i bisogni che urgono nell'essere umano, bisogni aventi una manifestazione esasperata nell'età della giovinezza, qualunque ne sia il riferimento cronologico. Maria è Colei che, essendo liberata e libera, sa dire grazie all'unico potente, che Ella accetta come Signore, come Kyrios della storia e della sua vita.
    E Maria è la Donna.
    Ecco perché un rinnovamento del culto mariano pone all'umanità, in maniera forte, il problema dell'essere femminile e si colloca nel movimento tendente a fare scoprire l'autentico significato della donna nel mondo; ciò perché, nonostante le varie e più originali forme di contestazione, si va facendo strada la convinzione che, anche oggi, la salvezza dell'uomo (inteso nel significato culturale di colui che può, colui che dà) passa attraverso la donna (intesa come colei che riceve e, quindi, sa ringraziare) proprio com'era passata, attraverso Maria, la salvezza dell'umanità, Cristo, nella pienezza dei tempi.
    Il tentativo di trasformare in vissuto umano la salvezza, attraverso la mediazione femminile, risponde, infatti, ad una legge della storia divina e tocca da vicino il mistero della nostra salvezza: l'incarnazione del Figlio di Dio.
    Nello sforzo faticoso e, a volte, rabbioso, di superare la delusione di promesse non mantenute e di speranze vanificate, il giovane di oggi, confuso e smarrito nel magma vorticoso di ideologie che si contendono la priorità, ha un estremo bisogno di una logoterapia cristiana. La crescita della «domanda religiosa» rivolta, spesso, a sette esoteriche o a gruppi di tipo pietistico, pur di evitare le mediazioni culturali e l'impegno nella storia, sono campanelli di allarme. A queste istanze essenziali non va data una risposta consolatorio-evasiva, né tanto meno una risposta superficiale o banale, ma liberante. In questo frangente storico, che può diventare delicato e prezioso per un salto maturativo della personalità cristiana, Maria diventa uno «zikkaron», un «memoriale» e i vari momenti che l'hanno vista coinvolta nella dinamica del Nuovo Esodo, del Sinai della Nuova Alleanza, nella risposta del suo «amen» a quanto Dio chiedeva all'umanità attraverso di Lei, diventano elementi concreti, che non chiedono al giovane una riproduzione stereotipa di quanto Lei è stata, né una ripetizione pedissequa di quanto Lei ha fatto, ma indicano al giovane cristiano, uomo o donna che sia, uno stimolo nuovo per carpire il «senso» della propria vita personale e collettiva, e gli chiedono un nuovo tipo di risposta, da inventare ogni giorno in novità e creatività, allo stesso modo che, nella novità, lo Spirito chiama alla libertà.

    Devozione mariana e educazione eucaristica

    Stando cosi le cose, ne consegue che una vera e soda devozione mariana deve trovare il suo spazio privilegiato in una educazione eucaristica che, se si attua concretamente nella convocazione domenicale, si realizza, però, nella e «quotidianità» fatta di mille momenti che diventano «significativi» e che passano, di volta in volta, attraverso esperienze le più varie, che vanno dal brivido dell'esodo, alla fatica del cammino nel deserto, alla costatazione della gratuità dell'amore che si dona ai vari Sinai quotidiani e che riceve un «Amen» collettivo di impegno e poi, giù giù, attraverso la storia, fino all'entusiasmo del canto del Magnificat, che loda Dio per le portentose opere compiute, giorno dopo giorno, in mezzo al suo popolo, con «braccio forte e mano distesa». E tutto, nella vita di un giovane o del gruppo di giovani che fanno questa esaltante esperienza mariana, prende la forma di risposta al «Fate questo come mio memoriale». Un tale vissuto eucaristico è messo a bagno in una spiritualità mariana che, non solo enuncia i misteri del rosario, ma li vive in un ritmo di vita che va dall'«Ecco la serva del Signore», fino all'attesa dello Spirito Santo, di cui ci parla Atti 1,14.
    Alla «memoria» delle mirabilia Dei, di fronte al silenzio squarciato dalla Parola di Dio, il giovane si mette in atteggiamento mariano di ascolto, come Maria, la donna dell'ascolto e della conservazione della Parola nel suo cuore, di cui ci parla Luca 2,19-51: Maria conservava in cuor suo la Parola, cioè, ne faceva l'esegesi, la interpretava alla luce della fede nella potenza salvifica di Dio.
    Non c'è momento più forte e più significativo per vivere la spiritualità mariana, del momento in cui il gruppo-assemblea di giovani diventa il «popolo dello shemà», il popolo dell'ascolto.
    Ascolto che interrogazione a Dio, di fronte all'impossibilità umana: «Come avverrà?».
    Ascolto che è «messa in azione» della Parola di Dio: «Ecco la serva del Signore: si faccia di me secondo la sua parola».
    Ascolto che diventa dossologia: «L'Anima mia magnifica il Signore»; dossologia che diventa prassi di amore che serve: Maria parte verso i monti della Giudea; sottolineando l'atteggiamento da assumere per la realizzazione del «Fate questo...» nello spazio che separa una celebrazione eucaristica dall'altra.

    DEVOZIONE MARIANA CHE HA NOME SERVIZIO

    Il testo greco di Lc 1,38 porta un termine particolare per indicare l'atteggiamento mariano che risponde a Dio. Il termine è «doulé». Esso appartiene alle famiglie verbali di «douléuo», «latreuo» o «leitourgheuo» usati soprattutto in ambito cultuale; il termine «doulos» viene usato, infatti, quasi esclusivamente sotto l'aspetto della totale dipendenza dal Signore Jahvé. Si tratta, dunque, di un servizio a Dio, svolto in un atteggiamento e in un'atmosfera di culto, anche se l'A.T. è, comunque, d'accordo che il vero servizio di Dio non si compie in un culto puramente rituale, ma nell'obbedienza alla voce del Signore, obbedienza che matura dalla riconoscenza per l'opera salvifica che Dio attua nella storia.
    La «doulia» è il servizio di Dio, e l'accettare di porsi in questa linea di servizio significa aprirsi al mistero di Dio, accettando pienamente la sua signoria e scartando qualunque altra scelta di dipendenza padronale che non si ponga in questo spazio di signoria divina.
    L'evangelista Luca esprime l'atteggiamento di risposta di Maria alla proposta di Dio, con il termine «doulé»: Sono la «doulé» di Dio!
    L'accettazione di Maria si pone, quindi, sulla linea dell'«ebed» Javhé, una linea portante nella prosecuzione del progetto soterico. Ed è questo il lieto annuncio ai giovani di oggi, che sognano di rifare la società sulla base di modelli che siano in dissonanza con i modelli capitalistici, forti del potere.

    Accettare il Signore come «unico signore»

    L'atteggiamento mariano segna la fine di ogni tipo di potere dell'uomo sull'uomo e riporta la storia umana all'armonia della primitiva vocazione del soggetto adamitico: Disse Dio: regnerete sulle cose, sugli animali e sul cosmo, camminerete in comunione tra voi, servirete il vostro Creatore e Signore (cf. Gn 1-2).
    Le conseguenze derivanti dall'accettazione del Kyrios come «unico Signore sono de- terminanti per una vita che voglia rifarsi al cliché mariano; la vita di Maria, infatti, si caratterizzò veramente per il suo stile deviante dalle costanti comportamentali della cultura del suo tempo: basta pensare che cosa volesse significare per una donna di 2000 anni fa, vissuta in un piccolo villaggio della Galilea, diventare interprete del dialogo che Dio realizza con l'umanità; anzi, c'è di più, .Maria non diventa soltanto possibilità di dialogo, ma luogo della nuova «shekinah» di Dio, l'Arca della Nuova Alleanza, chiamata a contenere in sè il carico di ricchezza della promessa di Dio e il carico di possibilità di risposta dell'umanità intera. Veramente, quando Dio diventa l'unico signore da servire, la vita può rendersi libera da ogni modello sociale., da ogni dipendenza totale e da ogni potenza politica. Dio non chiede il «visto» a nessuna ambasciata politica per trasbordare sul nostro pianeta terra, ma chiede l'assenso ad una donna (colei che sa ricevere e ringraziare) che, rappresenterà, personificandola, tutta l'umanità. La libertà da tutti gli altri padroni ci viene data per il servizio all'unico Kyrios. In tal modo, i tre termini significativi dell'impegno di un giovane, stanno tra loro in un rapporto necessario e scomponibile: doulos, kyrios, eleutheria diventano, cosi, i punti di riferimento di un cammino esodale che si snoda nella storia e la costruisce come storia di salvezza. Giovanni dirà che è veramente libero (eléutheros) solo colui che è liberato dal Figlio (Gv 8,36); e questa likiftà viene data unicamente per il servizio e per l'obbedienza al Kyrios (Rm 12,11; 14,18; Col 3,24).
    Per Maria, infatti, l'essere stata salvata (liberata) dà Dio (Kyrios) ha comportato immediatamente il mettersi in cammino per servire il progetto di Dio, e servirlo nell'aiuto ai fratelli (cammino verso Elisabetta). Questo cammino esodale della serva «doulé» del Signore segna un solco nella storia del popolo di Dio, in cammino faticoso verso la liberazione ultima (LG II e VII). L'interesse per questa figura di donna stupendamente femminile, sorge e si radica nei problemi vissuti e all'interno della prassi storica. Maria è un «indispensabile» per indicare quel «già avvenuto» di quanto ogni cristiano e ogni giovane è chiamato a realizzare.
    La «Sérva del Signore», contestando con il suo atteggiamento, i criteri di giudizi della nostra storia, può offrirci una nuova chiave di lettura della stessa, indicandoci profondi ed estesi spazi di servizio a tutti gli uomini «amati da Dio».

    POTENZA DI MATERNITÀ TRADOTTA IN CAMMINO DISCEPOLARE

    La scorsa estate fui invitata dai giovani Tendopolisti presso il Santuario del Divino Amore, Roma, per animare una loro giornata di ricerca. Il tema di fondo era: Giovani in una società senza madre, e l'approfondimento conobbe tre momenti così specificati:
    - caratteristica dominante della società odierna
    - quale tipo di presenza femminile
    - giovani senza madre o senza padre? Quale possibilità di maturazione?
    Desidero tentare, ora, di evidenziare alcuni elementi che possono essere utili ai fini dell'argomento che andiamo esplorando. In questa nostra società, costituita dalla volontà di potenza dell'uomo, la donna si trova a vivere un intenso stato di conflittualità, ed è in questa situazione che essa viene richiesta di giocare, al massimo, sulla sua maternità biologica e, allo stesso tempo, di rinunciare al massimo, a realizzare tutte le componenti di una maternità adulta e matura, componenti che vanno ben oltre la mera maternità biologica.
    Infatti, da una parte la donna è tentata di stare al gioco del potere maschile, impossessandosi di quella parte di potere che le viene dalla sua sessualità e specie, dalla sua maternità; d'altra parte, costata che la sua stessa maternità viene strumentalizzata, sia dalla donna stessa, come gratificazione e compenso alla sua frustrazione ed oppressione, a dai criteri di una ideologia capitalista che sembra avere interessi per «creare» la donna quale «salvagente emotivo dell'umanità», «angelo del focolare», «regina della casa», «mediatrice di pace», «madre tutta tenerezza» in un mondo di guerre, di competizioni brutali, di corsa agli armamenti; pur tuttavia, questa stessa società non esita a fare ricadere sulla donna la piena responsabilità dei figli e della loro educazione fisica, intellettuale, morale, e anche religiosa (gli incontri catechistici con i «genitori» non sono sempre costituiti da mamme?).
    Ma arriva per tutti, piccoli, giovani e grandi - chi prima chi dopo - il momento in cui occorre tagliare il cordone ombelicale che ci tiene psicologicamente al sicuro, in quel beato abbandono nel tiepido sonno senza peso del sacco amniotico. Sono questi, i momenti dell'uscita psichica dal grembo materno, cui fa seguito la nascita psichica dell'uomo.
    Alla madre tocca per prima sperimentare questa separazione, questo svezzamento, superando l'angoscia del distacco e la tristezza che dà un procedere solitario.
    Ci sono vari modi di realizzarsi come madri.
    C'è il tipo di madre infantilmente apprensiva, che non lascia crescere il figlio, perché gode a dargli la vita «fatta da lei» e da lei programmata. In fondo, secondo una certa ideologia corrente, non è lei la «regina della casa» che ha il compito dovere-diritto di programmare i sudditi? E così il giovane si trova di fronte ad una madre-padrona, la «tutta perfetta» che aspetta soltanto che le si chieda aiuto. È il tipo di Madonna che «fa le grazie» e che va pregata per questo. I giovani migliori rifiutano questo genere di devozione, in favore della loro autonomia. C'è, però, un modello alternativo di Donna riuscita, sia per la madre che per il figlio: è Maria, la madre di Gesù che, dopo aver cercato, per giorni e giorni il figlio smarrito, lo ritrova nel tempio tra i dottori, e, alle sue parole, la madre accetta i primi tentativi di una conquistata autonomia da lei, per un legame vocativo al Padre.
    C'è, poi, il tipo di madre che non trova spazio di amore se non entro le mura ristrette della sua famiglia nella quale si sente a suo agio nella sua potenza di «fata benefica» e di «madre coccolona» con i figli e il marito - diventato anche lui più figlio che marito. Anche a questo tipo di madre viene offerta un'alternativa. Il capitolo secondo del vangelo di Giovanni ci presenta Maria che «depone» il ruolo di madre carnale di Gesù, per entrare a vivere nell'ambito di un discepolato fedele, dove con Gesù attenderà l'«Ora», nel rispetto dei tempi fissati dal Padre e nell'accettazione totale dei ruoli propri. È appunto a questi tempi e a questi ruoli che Maria affida la stupenda frase ai servi: Fate tutto quello che vi dirà, invitando tutti i presenti a sottomettersi alla economia dell'«Ora di Gesù».
    Da questo momento Maria. passerà nel silenzio del discepolato, per ritornare viva e presente, con un suo ruolo ben specifico, il grande momento del compiersi dell'«Ora» al Calvario.
    È questo, un nuovo tipo di cammino-devozione con Maria, la madre di Gesù. Il discepolato cristiano non è una companionship scacciapensieri: è il programma di un cammino esodale che porta dalla potenza umana alla Potenza di Dio; questa, nelle mani dell'uomo, diventa «impotenza» che salva. Per questo la gerarchia dei valori di un discepolato cristiano, in cui è presente anche Maria, pone alla cima il più piccolo, colui che nessuno vuole e desidera, l'emarginato, il povero nella cui pelle Cristo si fa trovare. L'ultimo di questa società che si erige sulla potenza, diventa il primo nel programma di Cristo e di coloro che lo seguono.
    I giovani che camminano con questo ritmo, comprendono ben presto che non è sufficiente denunciare l'orrore del sistema capitalistico; occorre compromettersi contro di esso fino alle sue fondamenta, per ridare alla società degli uomini un volto femminile, capace cioè di dono gratuito. L'«Ora» di Gesù ha contemplato questa realizzazione del «polo femminile dell'essere». «La mia vita la do liberamente... io ho il potere di dare la mia vita e di riceverla di nuovo» (Gv 10).
    È su questa via che Maria ha seguito Cristo come discepola; ed è stato questo il titolo più bello che il Vaticano II ha dato a colei che da madre è divenuta discepola del suo figlio.
    Devozione mariana è tornare a questa operazione «insiemità».

    CONCLUSIONE

    I pochi elementi che mi sono sforzata sottolineare in queste pagine non sono che l'inizio di un lungo discorso propedeutico per una impostazione seria di devozione mariana, da realizzare come forte esperienza cristiana, nella vita del giovane o nei gruppi di giovani.
    Non a caso P.G. Besutti, da buon osservatore qual è, ebbe a scrivere in un suo articolo «Maggio ieri e oggi», pubblicato su «La Madre di Dio», che in fatto di tentativi di rinnovamento della pietà mariana non si può non notare la sconcertante mancanza di creatività.
    In verità, in genere i nostri tentativi partono dalle «strutture», dal «di fuori» della nostra realtà umana. Se avessimo la pazienza di rinunciare, per ora, alle ricette pastorali che ci vengono offerte qua e là e delle quali noi andiamo alla ricerca, per convincerci, invece, che è necessario partire dal «di dentro» dell'uomo per creare qualche cosa di valide. È questo «spazio profondo» del nostro essere, infatti, che è sede di grandi potenziali energetici, che urgono di essere bene incanalati verso possibili riscontri in modelli veri che, il più delle volte, ci lasciamo sfuggire. Maria è uno di questi «riscontri» che spesso ci sfugge, perché lo vogliamo convogliare nella corsia di quei «pattern of behaviour» che nascono dalla convenienza di una società che si preoccupa di confrontarsi con il suo «quadro di riferimento», non su quello di Dio.
    Una nuova chiave d'interpretazione di Maria e della devozione mariana, può introdurci in una nuova società, quella che sopra tutto i giovani continuano a vedere come possibile utopia.


    T e r z a
    p a g i n A


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