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    Un itinerario di educazione politica



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1977-8-51)


    Il primo intervento per educare alla politica è lo stesso quotidiano rapporto educativo. Solo in una relazione educativa veramente liberatrice si possono inserire gli stimoli specifici e diretti di educazione politica. In questo spirito, suggeriamo un itinerario metodologico di educazione politica. Esso potrebbe segnare il punto di riferimento delle attività di ogni istituzione educativa, per orientarle verso una maturazione politica dei suoi membri.

    SCOPRIRE LA REALTÀ

    Lo spazio di confronto, la materia fondante e irrinunciabile di ogni processo educativo, è il reale. La realtà non si insegna. Va scoperta sul terreno concreto della esperienza. La realtà diventa eloquente se è manipolata.
    I fatti, però, sono materiale bruto: inconsistente, disimpegnato strumento di cattura e di manipolazione. Essi diventano materiale politico, quando sono compresi in tutta la loro portata.
    Questo significa molte cose, che riassumiamo in un tracciato metodologico.

    La dimensione sociale e politica della realtà

    Il primo passo di educazione politica consiste nella scoperta della dimensione sociale della realtà. Bisogna capire cioè che viviamo in un mondo che ha una sua struttura sociale, in cui ogni persona trova la sua collocazione, legata a molti fattori che spesso superano le sue possibilità di intervento. Il sociale preesiste al personale, nella realtà. L'esistenza umana è sempre un'«esistenza sociale»: la persona è una libertà non alienabile, ma essa è nello stesso tempo misurata con altre libertà, in molteplici strutture sociali.
    La realtà, nella sua strutturazione sociale, ha sempre una dimensione politica. Le cose, cioè, non funzionano in forma neutrale, ma coinvolgono un progetto d'uomo, un modo di gestire il potere, un certo tipo di partecipazione, un'immagine globale di società. L'insieme dei rapporti sociali può favorire un progetto di promozione personale e collettiva, oppure, al contrario, instaurare rapporti di alienazione e di sopraffazione. La scoperta della realtà diventa piena, perciò, quando dalla costatazione della rilevanza sociale in essa presente, si passa alla valutazione del suo volto politico, mai neutrale.

    Strumenti per leggere correttamente la realtà

    La lettura della realtà, nella misura sociale e politica, non è realizzabile «a braccia», utilizzando soltanto la propria esperienza o parametri individualistici.
    È indispensabile utilizzare strumenti tecnici di indagine. In gioco ci sono forze e condizionamenti a livello strutturale che altrimenti sfuggono allo sforzo di comprendere la realtà. Il problema si complica: ma non ci sono altre vie di uscita. Se è vero che gli strumenti hanno normalmente una loro previa collocazione, non sono cioè neutrali, il loro uso non può essere assolutizzato, con una falsa pretesa di scientificità a priori. La lettura della realtà è sempre una lettura «calda», vissuta all'interno di alcune sensibilità di fondo che ne permettono un approccio più o meno attento, necessariamente «pilotato». È un rischio. Ma questa manipolazione strutturale è già comunque presente: siamo già spinti a cogliere la realtà secondo i parametri che fanno comodo a «qualcuno». Diventa importante vivere il riferimento alla realtà all'interno di una difficile dialettica: la collocazione decisa dell'istituzione educativa e dell'educatore, da una parte, per capire veramente le cose al di là delle facili emergenze superficiali, e l'impegno, dall'altra, di superare ogni forma di manipolazione che proviene dalle ideologie (dominanti o alternative, non importa).

    VERSO UNA PRESENZA IMPEGNATA

    La scoperta della realtà, nella sua dimensione sociale e politica, non può lasciare indifferenti. Esige che si intervenga concretamente e fattivamente per orientarla alla promozione totale dell'uomo e di tutti gli uomini. Si tratta di una vocazione di fondo, di un orientamento di vita che dà senso al progetto personale e determina l'impegno con cui vivere la propria vocazione professionale concreta.
    Questa responsabilità va tradotta in interventi espliciti. Gli interventi devono essere proporzionati alla maturità di chi li pone, per poter essere interiorizzati secondo un preciso rapporto tra esigenze storiche e sensibilità e propensioni personali. La conseguenza di questa sottolineatura è immediata: non esiste un modo univoco di intervento sociale e politico. Per alcuni giovani questa vocazione si realizza nel militare in organizzazioni sindacali, partitiche, di movimenti. Per altri si tratta invece di impostare in un modo politicamente efficace la propria attività professionale: la scelta di alcune professioni al posto di altre, in base alla responsabilità umana che comportano; il vivere la professione come promozione del fratello e del povero e non in una pura prospettiva di prestigio, di guadagno e di consumo; la partecipazione agli sforzi collettivi per liberare i ruoli professionali alienanti. Altri giovani possono scegliere un servizio di volontariato sociale e missionario. Per altri, infine, l'impegno politico si può tradurre in vocazione educativa o pastorale, nella certezza che l'annuncio efficace e operante del messaggio cristiano è il fatto politico più radicale per la liberazione dei poveri. In questi casi risulta evidente che l'impegno politico deve tradursi immediatamente in gesti concreti, per non vanificarsi in pura retorica. Questi gesti sono da una parte concretizzazione dell'impegno e dall'altra apprendimento dal vivo del significato dell'impegno stesso.
    Il giovane impara facendo. Poiché la sua conoscenza non rimanga a livello intellettuale, ma sia pronta a scattare nella mischia della vita, essa deve radicarsi nel rapporto azione-riflessione. L'interazione è reciproca: l'azione non è formativa se non è impastata con la riflessione; e la riflessione non approda a nulla se non scaturisce e si apre sull'azione.
    Il valore educativo della prassi condanna alla retoricità le pretese educative vissute dalle istituzioni che non hanno il coraggio di far vivere immediati interventi di promozione per la giustizia e di impegno politico. Molte istituzioni educative resistono a questa proposta. Ed è un fatto spiegabile. Il giovane che ha vissuto impegni di tipo storico, assume una sensibilità critica cosa raffinata, da mettere sotto giudizio quello che sta vivendo all'interno dell'istituzione in cui cresce. La lotta per la liberazione giocata fuori diventa sussulto e crisi dentro. Le vecchie gerarchie di valori in cui l'istituzione si cullava, crollano, rovesciando aspetti negativi e valori positivi. Quello che un tempo era pacifico, ora diventa problematico.
    Eppure non esiste alternativa. L'unica, seria, sta nel condividere questo impegno, per autenticarlo, mediante il servizio critico e maturante dell'adulto-educatore. In concreto, si richiede di proporzionare gli interventi alle reali capacità di autogestione dei giovani e di favorire l'interiorizzazione, in uno sguardo di globalità, attraverso gli adeguati processi di riflessione-revisione di ogni gesto compiuto.

    IN PIENA CORRESPONSABILITA

    La prassi politica richiama immediatamente il tema della partecipazione: un modo di gestire il potere in cui veramente tutti siano parte in causa. E questo sia nell'esercizio concreto dell'autorità, sia nella costruzione di un suo fondamento, nel controllo delle informazioni e nella elaborazione del consenso sociale. L'educazione all'impegno politico, se privilegia l'ipotesi partecipativa-operativa su quella unicamente culturale-informativa, non può passare che da una matura e reale corresponsabilità.
    E questo è un secondo punto critico. La corresponsabilità non soffre camuffamenti o giochi di svuotamento. O è ampia, tendente alla totalità, condivisione progressiva di tutti gli elementi che determinano il livello oggettivo di potere. Oppure è alienante: premessa alla non-partecipazione sociale, alla delega della responsabilità, alla accettazione dello sfruttamento, per sé e per gli altri.

    GLOBALITÀ, MA IN UN SANO REALISMO DI CRESCITA

    Ricordiamo un'ultima istanza, per stimolare gli educatori a farla oggetto di approfondimento. Ogni giovane ha un gran bisogno di essere educato ad una visione globale: dei problemi e degli interventi con cui risolverli. Il frammentarismo educativo è un grave disservizio.
    La dimensione di globalità non può però risultare sempre evidente nel momento della crescita giovanile. La maturazione avviene normalmente a sbalzi e a riprese, passando da entusiasmi fortissimi a momenti di abbandono, da impegni che sembravano polarizzare tutta la persona a improvvisi cambi di rotta.
    La globalità deve diventare respiro abituale dell'educatore. In lui la visione sull'insieme non può essere sfumata e fatta di pressapochismi. Soprattutto deve diventare respiro della comunità educante, per permettere il reale arricchimento che le proviene dai singoli educatori e dai singoli giovani, i quali, a titoli diversi, vivranno sempre in forma privilegiata alcuni aspetti dell'unico grande progetto educativo.
    L'istanza della globalità, corretta da quel sano realismo di crescita cui si è accennato (per non passare sulla testa dei giovani) è la definizione più attenta di educazione: l'assunzione a pieno titolo dello spontaneo movimento giovanile, per favorire lo sviluppo degli aspetti carenti, il confronto di quelli emergenti, attraverso la preoccupazione costante di integrare gli uni e gli altri in un quadro d'insieme preciso e organico.
    A questo proposito, ci pare di notevole peso educativo guidare il giovane a cogliere l'esistenza di interessi e collegamenti più vasti di quelli vissuti nel proprio quotidiano, perché sono spesso questi «più vasti» che condizionano gli altri. Diventa educazione alla globalità anche la preoccupazione di armonizzare le varie istituzioni in cui ciascuno è inserito e da cui, negativamente o positivamente, si è condizionati. Nel momento del cammino educativo queste componenti devono ritrovare uno spazio adeguato. Si tratta di un collegamento a livello di valori, che sul piano strutturale diventa la «gestione sociale» del processo educativo.

    PARTECIPAZIONE E GRADUALITÀ

    L'itinerario che abbiamo tracciato suggerisce un insieme di mete per l'educazione politica, in una successione logica. La realizzazione di questo itinerario viene vissuta in una prospettiva sempre educativa, in riferimento cioè ai processi di maturazione che descrivono il consolidamento della struttura di personalità. Si richiede perciò un indice alto e attento di gradualità, sia nella scelta dei gesti concreti da predisporre, sia nel passaggio da una tappa a quella successiva. Non possiamo però sconfessare l'orientamento di fondo: l'educazione all'impegno politico richiede un procedimento a indirizzo partecipativo, l'esercizio progressivo di partecipazione alla gestione di attività politiche dirette.
    Il tempo educativo non è spazio di parcheggio, nell'attesa (sempre più lontana) di possedere le carte in regola per una presenza operosa nel sociale. Si apprende «facendo»: dal vivo di una prassi intelligente e educativamente guidata.
    La partecipazione ideale si traduce in partecipazione totale, fino all'azione. Questo deve avvenire a livelli diversi: nella gradualità si gioca la pretesa educativa. Nel momento educativo vengono considerate per lo più le «microrealizzazioni» politiche, prossime, immediate, facili e possibili: negli ambienti e nei gruppi di vita, di studio, di lavoro, di contatto diretto, nelle occasioni di particolari impegni o problemi delle comunità locali, della società più vasta.
    Per i ragazzi, lo spazio di intervento è determinato dalle prime aree dell'itinerario tracciato: scoperta della realtà, coscienza della sua dimensione sociale e politica. Per i giovani, lo spazio è più vasto: possono e debbono essere avviati nell'azione di quartiere, nella gestione sociale, nella partecipazione a manifestazioni pubbliche per la difesa dei diritti civili, delle libertà personali.
    Questo «limite» (partecipazione diretta, ma in «microrealizzazione») risponde all'esigenza di non bruciare i tempi, costringendo ad interventi così impegnativi da rendere di fatto impossibile l'interiorizzazione dei loro significati.
    Parlare di microrealizzazione significa, da una parte, invitare al controllo, perché i gesti siano proporzionati a coloro che li pongono; ma, dall'altra, rifiutare l'istanza di parcheggiare i giovani, proibendo loro ogni attività politica, con la scusa che sono in fase di maturazione. Questo allenamento educativo sfocia presto nella capacità di partecipare ad attività politiche esecutive e progettative, all'interno dei movimenti esistenti (o elaborando movimenti alternativi), in coerenza con l'identità personale, con il proprio giudizio sulla situazione storica e sui tempi necessari per farla adeguatamente evolvere.


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