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    Dimensioni strutturali e responsabilità personali



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1977-8-41)


    La definizione di politica che abbiamo privilegiato, ha messo l'accento anche sulla necessità di elaborare un quadro di valori. Essi sono indispensabili sia nell'analizzare la situazione di fatto esistente, sia nel decidere la prospettiva verso cui tendere e le strategie da utilizzare
    È tipica, in questa visione, la sottolineatura fatta più volte a proposito di partecipazione. Essa esprime un giudizio negativo sul sistema vigente, dove appunto è assente la partecipazione. Determina un punto d'arrivo ottimale, definendo l'obiettivo di un sistema sociale che assicuri a ciascuno le condizioni per l'autoprogettazione. Descrive le strategie d'intervento, insistendo sulla necessità di partecipare all'esercizio del potere, evitando il più possibile sia le deleghe che i consensi forzati.
    Definendo la politica in chiave di partecipazione, abbiamo fatto alcune importanti scelte di ordine antropologico e metafisico: ci siamo interrogati sull'uomo. Queste valutazioni vanno allargate e organizzate in un giudizio globale. Cosa significa costruire un sistema sociale più giusto? È sufficiente rimettere le cose apposto, magari con un pizzico di generosità in più come testimonianza di una inversione di tendenza nella spirale dell'egoismo? Oppure significa lavorare per modificarle alla radice, cambiando l'ordine ingiusto, i rapporti falsi e alienanti, superando la tentazione di creare interventi secondo la logica dominante?
    Le analisi sociali, elaborate con la ricca strumentazione di cui oggi disponiamo e allargate ad una sensibilità mondiale, favorita dalla larga comunicazione di informazioni, ci conducono ad esprimere un giudizio sostanzialmente negativo sull'ordine vigente. Sentiamo il bisogno di modificare molti ingranaggi che non funzionano, di progettare modelli alternativi di sviluppo, di parlare in termini di liberazione totale dell'uomo. La «riserva critica» che è la fede, ci dona conferma e allarga questo giudizio negativo, nel momento in cui riempie di speranza l'operatore di un mondo nuovo.

    LA LIBERAZIONE: PERSONA O STRUTTURA?

    Come lavorare per modificare l'ordine ingiusto? Esistono moltissime risposte, dal concreto della prassi storica di gruppi e movimenti. Oscillano in un arco che tocca i due estremi del discorso: conversione della persona e cambio strutturale. In teoria è facile ricordare che persona e struttura sono comprincipi di uno stesso impegno di liberazione. Nella prassi quotidiana c'è sempre il rischio di assolutizzare un aspetto a scapito dell'altro. Sul piano educativo il pericolo è serio e tutt'altro che remoto. Gli educatori, soprattutto quelli che sono in servizio da un certo gruzzolo di anni, sono cresciuti in una sensibilità povera di coscienza strutturale. Abbiamo una precomprensione sulla realtà che tende a ridurre i rapporti a fattori individuali e volontaristici. Tutto avviene in base all'impegno della persona, alla sua buona volontà. L'analisi dei condizionamenti oggettivi e la progettazione di cambi strutturali viene considerata molto poco. D'altra parte, molte nuove percezioni svuotano la responsabilità personale, perché affidano un ruolo sproporzionato alla modificazione strutturale, quasi bastasse cambiare le strutture per risolvere tutto. E così le tensioni crescono, per una scorretta radicalizzazione di prospettive, facendo difficile la riconciliazione e l'equilibrio delle parti.
    La crisi è acuita dalla spontanea - e, spesso, affrettata e adolescenziale - messa in questione di ogni struttura, quando se ne avverte il condizionamento.

    IL PESO CONDIZIONANTE DELLE STRUTTURE

    Questo discorso va approfondito, anche per evitare di creare contrapposizioni, dove invece si richiedono interventi complementari.
    In questo contesto intendiamo come «struttura» la codificazione e l'istituzionalizzazione dei ruoli socali e, nello stesso tempo, l'organizzazione di questi ruoli strutturati in un sistema sociale.
    Le strutture determinano un tessuto normativo di rapporti interpersonali e di comportamenti, al cui interno ogni persona è forzata ad inserirsi; se non si vuoi vivere ai margini o bollati come devianti, vanno accettate le «regole» sociali. La struttura facilita gli scambi tra le persone, perché codifica il modo con cui essi devono avvenire. In questo, aiuta a superare le ansie e le insicurezze che accompagnano i diversi gesti, quando sono incerti, non chiaramente normalizzati. Un esempio è offerto dalla «buona educazione»: nelle sue prescrizioni è determinato il tipo di comportamento da assumere nelle varie circostanze; questo dà una certa sicurezza alla persona che sa, quasi in anticipo, se sarà accettata o rifiutata, in base all'osservanza più o meno rigida delle norme, socialmente riconosciute in un determinato ambiente. In questo caso, la struttura permette di reagire, senza doversi interrogare ogni volta sui toni e sui comportamenti da assumere.
    Nello stesso tempo, però, la struttura è sempre un grave condizionamento, che comprime la creatività personale e la responsabilità; perché spinge alla ripetizione passiva dei gesti già codificati, premiando, per di più, coloro che si adeguano senza farsi troppi problemi.
    Questa descrizione potrebbe far pensare ad un meccanismo neutrale, che funziona al di sopra dei conflitti sociali. Ma non è cosa. Le strutture hanno una loro precisa collocazione politica, perché sono state elaborate in vista di determinati fini (in cui l'uomo e il suo rapporto con la società è sempre presente), spingono a ripetere gesti chiaramente orientati a questi stessi fini, puniscono, nell'emarginazione sociale (anche violenta), coloro che non accettano di sottostare a questa logica. In questo senso si dice che le strutture fanno «violenza» all'uomo: perché gli restringono libertà e creatività e lo costringono in un progetto antropologico e politico, che non ha contribuito ad elaborare e in cui, forse, non si riconosce.
    Un esempio, tra i più tipici e ripetuti, aiuta a comprendere il ruolo non-neutrale delle strutture: l'analisi dei rapporti economici (le strutture economiche). Essi sono ormai così rigidi, da formare un tessuto impenetrabile, che sfugge di mano anche a coloro che l'hanno elaborato. Si parla di «ferree leggi» dell'economia, per ricordare a coloro che vorrebbero progettare interventi alternativi, che presto o tardi anche essi saranno «schiacciati». Da queste strutture economiche derivano la divisione del lavoro, la stratificazione sociale, la supremazia del profitto contro l'uomo, i conflitti sociali, le ingiuste distribuzioni dei redditi, la progressiva emarginazione dei più poveri...
    Il riferimento alle strutture economiche ci aiuta a ricordare un altro aspetto caratteristico di ogni struttura: la sua persistenza e rigidità. Una volta codificati, determinati rapporti restano, al di fuori della buona/cattiva volontà delle persone. Non possono essere modificati, se non mediante un intervento che si contrapponga in modo efficace: attraverso una modificazione oggettiva, creando cioè una struttura di segno contrario. Le forze sociali a cui fa comodo la persistenza di alcune strutture (perché condividono, non solo teoricamente, la logica ad esse sottostante) resistono alle nuove proposte o cercano di vanificarle, mediante processi di emarginazione, di parcheggio, di repressione o di integrazione. Queste riflessioni non possono far concludere sull'ipotesi ottimistica di eliminare tutte le strutture. Sarebbe una conclusione troppo affrettata e sociologicamente scorretta. Non è infatti possibile sognare né un mondo senza strutture (sarebbe impossibile l'esistenza interpersonale), né un mondo in cui le strutture si modifichino progressivamente e spontaneamente, senza l'intervento di una libertà: è una contraddizione in termini, perché le strutture sono di natura loro incapaci di «sospendere» la propria esistenza e il proprio peso condizionante (esse sono, per definizione, una «codificazione»).
    Questi rilievi aprono invece al problema politico che ci sta a cuore: la trasformazione della società è prodotta dalle condizioni oggettive (e cioè dalla modificazione delle strutture) oppure dalla iniziativa dell'uomo? Basta affermare (come fanno alcuni) che le idee governano il mondo, che agli uomini nulla è impossibile, che la storia è integralmente opera loro? E quindi rifiutare come meccanicistica ogni pretesa di condizionare la trasformazione sociale mediante un confronto e un impegno anche nelle strutture? Oppure (come fanno altri) basta accentuare a tal punto il ruolo condizionante delle strutture, da far apparire la storia come lo sviluppo unicamente di fattori oggettivi e deterministici? Nella prima ipotesi, l'unica cosa che conta è la responsabilità personale e la coscienza culturale. L'uomo è pensato al centro dei valori e dei progetti, capace di operare sulla base del suo impegno e della sua buona volontà. Non si tiene affatto in conto il condizionamento strutturale. Il cambio sociale è frutto del cambio culturale: le nuove strutture sono conseguenza spontanea di questi nuovi valori.
    Nella seconda ipotesi, contano solo le strutture: esse sono la causa di tutti i mali e l'alternativa di ogni liberazione. La libertà e la responsabilità personale ha un peso molto relativo, perché è condizionata (positivamente o negativamente) dai fattori strutturali. Il cambio sociale è conseguenza diretta e determinata del cambio strutturale. Le nuove strutture porteranno automaticamente nuovi valori.
    La nostra posizione, come abbiamo già ricordato, rifiuta questi due estremi, per coniugare in modo relazionale sia la responsabilità personale che il confronto strutturale. Crediamo che la costruzione di un mondo nuovo non sia un fatto solo culturale, legato alla buona volontà degli uomini; esso avviene all'interno di un movimento di trasformazione delle strutture; queste strutture, però, possono venire rinnovate in profondità solo nella misura in cui vengono gestite da uomini nuovi.

    AL CENTRO LA RESPONSABILITA PERSONALE

    In questa prospettiva affiora l'importanza di una educazione alla politica che sappia mettere al centro la responsabilità personale, anche nella necessaria analisi strutturale: una educazione cioè alla responsabilità personale aperta a responsabilità (ed a interventi) collettive e strutturali.
    Gli aspetti personali e strutturali sono indici di una stessa urgente maturità politica. Compito della relazione educativa è la creazione di un contrappeso di percezioni. Si tratta di far scoprire la dimensione strutturale a coloro che hanno avvertito solo l'urgenza di un cambio personale o intersoggettivo: si instaura così un processo di crescita che va dall'aspetto soggettivo a quello oggettivo. O, nei casi opposti, si tratta di recuperare la dimensione personale all'interno di una consapevolezza soltanto strutturale, mediante un processo che corre invece dall'aspetto oggettivo a quello soggettivo.
    Abbiamo ricordato il peso condizionante delle strutture, per fare un discorso realistico. Insistiamo però sulla necessità di vivere questa lettura, e il conseguente impegno politico, in una prioritaria responsabilità personale, per non dimenticare la centralità della persona, sia nella interpretazione dei fattori di alienazione (da cui liberarsi), che nella progettazione di strategie alternative. Un impegno politico che parta da premesse di deresponsabilizzazione personale, è alienante.
    La visione personalistica della politica ci aiuta a recuperare, in forma matura, le percezioni che caratterizzano la definizione di «impegno sociale» (interventi al livello dei bisogni fondamentali dell'uomo, servizi educativi e formazione tecnico-professionale, recupero degli emarginati e handicappati...). L'impegno politico, anche nei gesti a prevalente risonanza strutturale, non può ignorare questi problemi, tipicamente individuali, nell'urgenza con cui sono vissuti: il cambio strutturale è progettato anche come risposta concreta a queste esigenze inderogabili.
    A chi ha fame, in parole povere, non basta offrire una coscienza politica, che gli permetta di cogliere le radici strutturali della sua emarginazione; gli va dato anche qualcosa di concreto, per risolvere i morsi della fame.
    La centralità sulla persona permette di ritrovare anche il fondamento etico di ogni impegno politico. Il senso della storia, la vittoria del senso sul non-senso cosa diffuso nell'ordine attuale che è disordine costituito, è un compito da realizzare, mediante la progressiva costruzione di una storia veramente per l'uomo. Ma questo processo non avviene in uno storicismo etico, dove i valori sono solo quelli nuovi e sono valori perché sono nuovi. Giudichiamo ingiusto questo sistema sociale e lottiamo per una storia costruita in una logica diversa, perché l'immagine definitiva dell'uomo preesiste all'impegno politico. Essa è un valore normativo del suo agire politico, anche se è un «già» che si comprende sempre più autenticamente, mentre si lotta per realizzarlo.
    Questo è importante, per parlare di un «quadro di valori» nella politica; ed è pregiudiziale per un orientamento cristiano della storia. Solo in questa visione ha senso ricordare la «responsabilità» personale. L'uomo è responsabile della storia non solo perché è chiamato a costruirla, ma anche perché è «causa», con tutti gli altri uomini, dello stato di alienazione diffusa, delle sopraffazioni e delle oppressioni. Il cambio sociale non può essere frutto solo di modificazioni, oggettive, ma si richiede una «conversione» personale: l'inversione esistenziale di tendenza di chi da oppressore decide di diventare liberatore, prima di tutto per quello che è (e conseguentemente in quello che fa). Da questo cambio radicale, concretizzato e sostenuto da condizioni oggettive, nasce il mondo nuovo che, nell'impegno politico, vogliamo costruire.


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