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    Una fede acculturata nell'oggi


    Tullo Goffi

    (NPG 1977-05-05)


    Questo è un tema importante: uno degli interventi nodali per la pastorale giovanile, attorno al quale si giocano molte carte della «fedeltà a Do e fedeltà all'uomo concreto».
    In un numero precedente della rivista (1976/7-9), riflettendo sull'annuncio di Gesù Cristo ai giovani d'oggi, abbiamo ricordato la necessità di dare alla proposta cristiana la caratteristica della «significatività»: una proposta significativa per il giovane concreto, perché «proposta di salvezza» alla sua ansia di autenticità e di liberazione totale. Ragionando in questi termini, abbiamo collocato la pastorale giovanile nel rapporto tra fede e cultura, perché abbiamo interpretato il dato perenne della fede (Cristo come salvezza per ogni uomo), secondo gli schemi culturali e antropologici di oggi (salvezza come autenticità e liberazione)
    Abbiamo «acculturato» la fede in una determinata antropologia. Del resto, come ricorda T. Goffi, la fede è sempre concretizzata in una cultura.
    Anche coloro che hanno parlato della salvezza come «salvezza dell'anima», hanno operato uno stesso processo: il dato perenne della fede è stato collocato nella cultura individualistica e dualista dei secoli scorsi.
    L'articolo di T. Goffi. fonda e motiva questo processo teologico. L'esempio appena fatto ci dice l'importanza dell'argomento. Facciamo altri esempi, per collegare alcuni discorsi, oggi molto frequenti in campo pastorale, con questo punto nodale dell'esperienza cristiana. I temi relativi alla cosiddetta «cultura cristiana» (in rapporto alla scuola, alla politica, alla comunità ecclesiale), si rifanno globalmente a questo problema.
    Anche coloro che dichiarano la fine di questa stessa cultura cristiana e cercano un pluralismo culturale, applicano (magari in modo esasperato) questi criteri. Il grosso capitolo pastorale delle «mediazioni» e, più globalmente, quello relativo alla «svolta antropologica» della pastorale, si rifà, come a fondazione, proprio a queste analisi.
    In termini più brucianti, il difficile rapporto tra marxismo e cristianesimo trova una sua comprensione e uno stimolo risolutorio, proprio da questi temi.
    La divisione che esiste, nelle comunità ecclesiali, tra i diversi operatori pastorali ha, alla radice, la mancanza di confronto con queste prospettive.
    Tutti questi motivi suggeriscono una lettura molto meditata dell'articolo. L'autore sviluppa la sua proposta in quattro tappe.
    1. Il cristiano vive la sua vita come impegno costante per il Regno di Dio. Nella fede interpreta il divenire della storia umana come realizzazione del mistero pasquale di Cristo. E traduce questa sua fede in attività personali e sociali che anticipino nell'oggi la promessa del Regno.
    2. In questo processo storico la fede del cristiano (e cioè la specificità della sua presenza nel mondo) si scontra con i vari modelli antropologici e politici: con le «culture», come oggi si dice. Questo rapporto tra fede e culture è irrinunciabile, perché il cristiano non ha una propria cultura, dedotta dalla fede, da opporre al fiorire delle altre culture.
    3. Questa importante constatazione (che, del resto, è già stata analizzata anche nello studio di G. Piana su «integrismo e radicalità cristiana»: si veda 1977/1) viene definita, in campo teologico, come l'esigenza di «acculturazione della fede». E cioè la necessità che la fede derivi il suo volto concreto e storico, nel dialogo con i modelli culturali ricorrenti. Da qui il problema: cosa porta di specifico la fede in questo dialogo? Cosa può assumere dalle culture, per non vanificarsi?
    Per orientare la risposta a questo interrogativo, l'autore si preoccupa di determinare in che cosa consista la specificità della fede nella vita di un cristiano: la fede gli dona la possibilità di interpretare situazioni e avvenimenti come segni rivelatori del progetto di Dio e da questo giudizio profetico trae gli impulsi all'azione.
    4. La parte conclusiva dell'articolo, affronta di petto il tema dell'acculturazione della fede oggi. La fede cristiana, in questo suo processo storico, fa i conti con il marxismo. È possibile una acculturazione della fede nell'umanesimo marxista? T. Goffi dà una sua risposta interlocutoria alla domanda, invitando il lettore ad approfondire il problema in un suo scritto recente e molto noto («Etica cristiana in acculturazione marxista», Cittadella editrice). In concreto, egli suggerisce queste tre direzioni di acculturazione per la fede oggi: il recupero della dimensione comunitaria, l'accentuazione salvifica integrale, la rilevanza politica per la liberazione dell'uomo.

    L'uomo, quando s'affaccia alla vita, non è già completo; non è nella maturità adulta; non è ancora come Dio l'ha destinato ad essere. E questo, non tanto perché nasce entro un'esperienza comune di peccato, ma in quanto viene all'esistenza come immaturo; come uno che deve imparare con gli altri e fra gli altri a situarsi in una comunione amichevole; come un essere che deve elevarsi verso una vita nuova sempre più uniformata a quella divina; come una persona che deve umanizzare il creato in cui riscontra tante acerbità aggressive. L'uomo è impegnato a realizzare se stesso; ad aprire in forma maggiormente comunitaria la sua convivenza fra gli altri; a diffondere sulla terra una vita secondo lo spirito di Cristo; ad ultimare la creazione costituita da Dio solo in forma iniziale. Un compito vasto, che il Vangelo indica come la venuta del regno di Dio.
    Di fronte a questo impegno, così immane e mai ultimato, l'uomo si esamina sulla validità delle proprie proposte, sulle personali capacità realizzative, sulla forza delle proprie iniziative, sulla costanza del proprio agire, sulla forma organizzativa da assumere fra gli altri, sui mezzi efficaci per una sicura riuscita. Riflettendo sulla propria esperienza, se a conforto può ricordare tanti aspetti promozionali già attuati, nello stesso tempo deve confessare come la salvezza integrale rimanga al di là di ogni buon sforzo umano; come essa si proietti qual realtà futura, sempre ricercata ma mai confortevolmente posseduta. La sapienza dei profeti e dei salmisti in modo costante ha deprecato la fiducia, che l'uomo pone in se stesso nell'intento di realizzarsi in modo completo e definitivo:
    «Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, che pone nella carne il suo sostegno» (Ger 17,12; Prov 28,26; Sal 146,3).
    Come allora attuarsi? Come liberarsi dalla morte del peccato? Come inoltrarsi verso la vita nuova maturata in una pienezza d'umanità veramente arricchente? Come introdursi in una esistenza, che sia partecipativa di quella divina? Come abilitarsi ad amare con carità? Solo Dio può liberare e promuovere l'uomo a tanta altezza:
    «Benedetto l 'uomo che confida nel Signore e il Signore è sua fiducia. Egli è come albero piantato lungo l'acqua, verso la corrente stende le radici» (Ger 17,78; Prov 3,56).
    Il popolo eletto ha coltivato questo abbandono fiduciale verso l'azione salvifica di Dio all'interno stesso delle sue vicende storiche; ha vissuto le sue peripezie qual storia salvifica, in cui Iddio effonde le sue grazie in modalità sempre nuove e sempre più efficienti. Nella pienezza dei tempi, l'aiuto di Dio si è concretizzato nell'azione salvifica pasquale del Cristo (1 Cor 15,17). In tal modo la fede in Dio è venuta acquistando un volto nuovo: essa appare e si configura qual vivere in fiducioso abbandono in Cristo, il quale è la «parola abbreviata» di tutto l'arco creativo salvifico; il quale è l'insostituibile luce e forza liberatrice operanti in ogni avvenimento promozionale umano. Credere è sapersi unire a Gesù qual Salvatore; è saper riconoscere-accogliere il Signore come il Liberatore; è cogliere in lui la vita spirituale paradigmata per tutti; è vedere nel suo spirito il principio d'interpretazione della propria esistenza salvata; è un essere convinti che la propria attività è chiamata a radicarsi su quella del Signore; è testimoniare di essere operanti in grazia per merito del mistero pasquale di Cristo; è un lasciarsi trasformare dallo Spirito del Signore ed interamente assorbire dal dinamismo innovatore del Risorto; è un ambire di poter amare al modo caritativo di Dio in Cristo.
    Questa fiduciosa disponibilità verso l'evento salvifico di Cristo può essere ingenerato unicamente dallo Spirito (1 Gv 5,20). «Nessuno può dire "Gesù è il Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo» (1 Cor 12,3). La fede è un dono carismatico, che lo Spirito offre ai singoli in servizio della salvezza propria ed altrui. Attraverso il dono della fede lo Spirito fa cogliere il divenire della storia umana qual attualizzazione del mistero pasquale del Cristo (la vita è creduta); fa vivere ogni attività personale-sociale secondo lo spirito della carità del Signore (la fede è vissuta) .

    FEDE QUALE FERMENTO DI VITA

    Mediante un proprio costante impegno, qualsiasi persona va acquistando una capacità critico-valutativa, sviluppa una maturità personale di giudizio, accede a una interiore responsabilità prudenziale e tecnica, si arricchisce istruendosi sull'esperienza degli altri. La fede, chiamata a permeare ogni valutazione personale, non sostituisce ma ulteriormente integra la personale abilità tecnica acquisita, gli atteggiamenti prudenziali individuali, la genialità creativa dell'io. Essa completa, allarga ed eleva il senso valutativo razionale critico del credente. Che cosa gli conferisce? La fede comunica la possibilità di interpretare situazioni ed avvenimenti quali segni rivelatori del disegno divino; fa abbandonare proprie anguste visioni, introducendo fra le indicazioni offerte dallo Spirito di Cristo; orienta sui sentieri da lui designati; rende attenti alla sua luce; fa ascoltare il suo giudizio sul peccato; convince ad invocare la sua misericordia pasquale, armonizza la propria visione con quella dei fratelli per farne la profezia del corpo mistico di Cristo. La fede comunica una superiore prospettiva in rapporto alla salvezza, che va al di là delle attese e delle aspirazioni umane; abilita a valutare ciò che è costruttivo dell'uomo nuovo, del cittadino del Regno, del figlio di Dio.[1] «Col dono dello Spirito Santo, l'uomo può arrivare nella fede a contemplare e a gustare il mistero del piano divino»,[2] ad uniformarsi alla prudenza del Signore, in quanto si impara a «vedere la storia come Lui, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare come Lui» [3] e, quindi, a contestare gli egoistici criteri umani diffusi nel mondo.
    La fede è, non unicamente principio di giudizio profetico, ma anche animatrice di iniziative; è principio di operosità; è forza realizzatrice; è impulso all'azione; è vitalità che aggredisce la realtà quotidiana (Eb 10,38). Essa è propulsione all'azione, se e in quanto questa sa esprimersi come salvifica; in quanto sa essere arricchita dalla grazia del Signore; in quanto sa accogliere il dono del Signore. La fede non avrebbe senso se, nella sua trascendenza salvifica, non penetrasse e non si integrasse nella vita terrestre; se non si esprimesse come forza orientativa della stessa esistenza concreta attuale. L'avvento di Cristo ha impresso un aspetto nuovo al mondo (Gv 6,29), e con la fede va diffondendo la sua vittoria sul male diffuso nell'universo (1 Gv 5,45). «La chiesa, nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengono a compimento le parole di Dio».[4]
    La fede, sia come visione profetica sia come vita vissuta, di continuo è impegnata a scontrarsi con il nonsenso, causato nel mondo da atteggiamenti peccaminosi. Il peccato, qual «creazione abortita» (Bernanos) dal seno di una libertà umana chiusasi al progetto di Dio, presume di costruire la salvezza con proprie mani; è arrogante autosufficienza umana che ingenera incapacità collettiva ad amare; rende gli uni estranei agli altri; s'esprime in istituzioni che favoreggiano sopraffazione vicendevole.

    FEDE IN CONTINUA ACCULTURAZIONE

    La fede, integrandosi fra pensieri personali ed attuandosi fra concrete attività, non si sovrappone a tali giudizi ed azioni, ma con essi forma un'unica realtà: li condiziona, mentre è da essi condizionata; li struttura in un dato modo, mentre è dai medesimi configurata; offre loro una particolare forma, mentre da essi riceve il suo volto concreto. La fede si caratterizza assumendo le culture esistenti; si qualifica secondo gli umanismi che trascendentalmente fermenta; si configura fra le promozioni sociali, che include nella sua visione salvifica, si concretizza fra i costumi, che purifica ed avvalora secondo la forma evangelica. Come di fatto è accaduto presso la chiesa apostolica e ne danno testimonianza gli scritti rivelati neotestamentari.
    In pratica appare equivalente affermare che la fede si esprime attraverso la mediazione culturale, oppure dire che la fede si struttura nell'intimo di una vita che muta. La fede non ha una propria cultura da opporre al fiorire delle culture umane; né esige di arrestarsi ovattata da una cultura esperimentata come esemplare. La fede è necessitata a farsi fermento perenne dell'umanismo che va affiorando in nuove forme; a «promuovere ed elevare tutto quello che di vero, buono e bello si trova nelle culture umane».[5] Una missione che «non si realizza sempre senza difficoltà. Queste difficoltà non necessariamente sono di danno alla fede; possono, anzi, stimolare lo spirito ad una più accurata e profonda intelligenza della fede».[6]
    Come si giustifica l'acculturarsi della fede? Presso la chiesa primitiva si riteneva che l'acculturazione della fede fosse il modo cristiano legittimo di appropriarsi di quanto era fiorito dal ceppo evangelico presso gli umanismi pagani. Secondo Giustino il Logos si è manifestato agli ebrei profeticamente (in figura) nella legge; ai greci parzialmente sotto forma di " semi di verità"; presso i cristiani in una totalità storica e personale.[7] Ne consegue che «tutto ciò, che è stato detto di vero da chiunque, appartiene a noi cristiani».[8].
    Nel discorso odierno si legittima l'acculturazione della fede, in quanto civiltà e culture occidentali hanno potuto usufruire in qualche modo di una certa ispirazione del Vangelo. Gli stessi non-credenti dichiarano: «Non possiamo non dirci cristiani». Un marxista ha osservato circa i valori culturali: «Qualora, nella loro variante non cristiana, si pretendesse svellerli dalle loro radici legate alla persona di Gesù, si addiverrebbe a una sorta d'impoverimento spirituale (...). Sta di fatto, che nell'ambito della cultura mediterranea, a cui apparteniamo per nascita, quei valori sono legati alla dottrina e al nome di Gesù. Costituiscono un patrimonio spirituale che fu lui a mettere in circolazione, conferendovi la sua forza d'urto. È, perciò, ridicolo e infecondo ogni tentativo di «abolire Gesù», di «farlo fuori» dalla nostra civiltà culturale col pretesto che non crediamo in Dio in cui egli credeva».[9]

    La meditazione teologica attuale

    Se si volesse riprendere il problema secondo una visuale teologica odierna, si potrebbe osservare che la fede acculturata non è altro che un aspetto dell'attualizzazione ecclesiale dell'incarnazione redentiva del Cristo Signore. La fede è chiamata ad accogliere tutto l'umano, man mano che si affaccia storicamente; è impegnata a purificarlo e riproporlo secondo l'ispirazione evangelica. La fede esprime nel suo intimo il dinamismo incarnazionistico-pasquale nel fatto stesso di assumere, redimere e cristianizzare le varie culture umane. Per questa sua opera incessante, essa deve consentire ad essere periodicamente purificata nel linguaggio, nei modelli culturali, nelle esperienze di costume in cui si va traducendo. Essa deve potersi offrire con un volto sapienziale odierno, sintonizzata ai buoni costumi attuali, secondo le forme espressive correnti, orientata su ideali amati oggi. È ascetico atteggiamento falso lo stare saldi sulla forma di fede vissuta ieri, trascurando le nuove esigenze di credibilità.
    Vivere la fede, secondo gli odierni modelli culturali, non significa esporla a smarrire il suo senso tradizionale autentico; né ritenere che il suo messaggio spirituale possa esprimersi adeguatamente in ogni cultura umana. La fede accetta di acculturarsi, ma con senso critico, secondo sue innate esigenze. Anche perché non esiste cultura umana interamente atta ad esprimersi qual autentica acculturazione del mistero cristiano. Verso ogni cultura umana il messaggio cristiano si presenta qual forza pasquale che sconvolge, rivoluziona e scompiglia i bei pensieri razionali; li distoglie dal convincimento di essere qualcosa di definitivamente valido. L'evento salvifico cristiano non accetta l'umano come un valore definitivo. Lo assume, si esprime attraverso le sue manifestazioni culturali, ma poi lo trasforma e lo rinnova secondo lo spirito di Cristo. Il messaggio evangelico non è fatto per fissarsi definitivamente in una cultura, in una filosofia, in un pensamento umano. Assume i pensieri degli uomini, ma per trasformarli e comunicare ad essi una nuova prospettiva.

    È possibile acculturare la fede nell'umanesimo marxista?

    In particolare, taluno esclude che la fede cristiana possa acculturarsi nell'umanismo marxista, perché questo non è aperto al trascendente.[10] Si dimentica che Cristo ha assunto la carne umana come si è situata storicamente, cioè segnata dal peccato. Dio ha mandato «il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato» (Rom 8,3). Per il peccato la carne è distolta da Dio, separata da lui, riottosa al suo amore, ribelle alla sua grazia, ricurva su se stessa. Nonostante questo il Cristo ha assunto simile carne per salvarla. Con il medesimo spirito redentivo la fede-carità ecclesiale deve informare tutto l'umano culturale, anche se questo appare immerso in espressioni erronee, sviato dalla sua intima finalità teologale, frammisto ad elementi umanamente negativi.
    Certamente quando si è di fronte a una cultura valida, sana, interiormente aperta sul trascendente, riccamente fiorita su valori autentici, già purificata da scorie erronee, si ha la possibilità di una acculturazione più piena, più spontanea, più arricchente. In tale ipotesi si può parlare di una possibile acculturazione di fede, la quale può concretizzarsi in assunzione integrale di un dato sistema culturale o filosofico. È quanto ha fatto la teologia scolastica (soprattutto san Tommaso) in rapporto al pensiero filosofico aristotelico. Tuttavia, acculturazione non significa adesione a un sistema; non significa accoglienza integrale di una data cultura; non si riduce all'appropriazione indiscriminata di tutte le affermazioni presenti in un movimento culturale. Una fede acculturata è necessariamente valutazione critica di una data cultura e una ripresentazione secondo la forma evangelica.
    In passato, nella comunità ecclesiale, l'adesione al contenuto dottrinale della fede aveva creato divisioni, sette, contrapposizioni e scomuniche fra fratelli credenti in Cristo. Oggi è più facile trovare contrasti e opposizioni fra cristiani per le implicazioni socioculturali del loro modo di credere. L'unità della fede deve essere ricercata attraverso le sue espressioni pluralistiche di giustizia sociale, di prassi politica, di mentalità culturale. L'unità della fede viene vissuta non indipendentemente dal trovarsi impegnati magari anche in divergenze ed opposizioni socioculturali. Una certa possibile conflittualità politico-culturale è la situazione terrestre di una comunità ecclesiale peregrinante verso l'unione caritativa; è la condizione di fatto, che rende maggiormente consapevole la cristianità di doversi impegnare in una propria continua conversione; è lo stato sofferente, in cui si trova a doversi esprimere provvisoriamente la fede ecclesiale.

    FEDE IN ACCULTURAZIONE ANTROPOLOGICA

    L'ambiente, in cui oggi viviamo, appare prevalentemente caratterizzato da una mentalità sia capitalistico-borghese sia proletario-marxista. Simile contesto non riesce in tutto e sempre negativo per una vita di fede. Sotto certi aspetti può far sentire con maggior prepotenza la necessità di integrarsi nella fede. «Ciò che si attende dalla fede, raramente è stato così grande come oggi» (W. Kasper). La società attuale, quanto più consente all'uomo il dominio tecnico scientifico sui mezzi produttivi, tanto più gli fa constatare la sua incapacità radicale a proporre soluzioni valide circa le mete ultime della vita. Solamente la fede consente di comprendere il senso supremo del proprio agire, il perché della propria esistenza e della storia umana. Essa permette di testimoniare il significato della morte-risurrezione del Cristo entro l'esperienza della propria morte; aiuta a strappare l'assurdo, che altrimenti affiorerebbe da una vita effimera che si spegnerebbe in forma totale.
    Accanto a questa chiarificazione sull'esigenza della fede, il contesto socioculturale proletario-borghese, per lo più e in modo maggiormente appariscente, suscita difficoltà verso una vita credente. È tipico della presente società borghese-marxista aver ingenerato l'ateismo come fatto culturale di massa. L'ateismo è frutto di una generalizzata visione laicista del mondo e della pretesa autosufficienza umana nell'attuare la felicità terrestre,[11] è ingenerato dall'ostentata capacità conoscitiva e creativa degli uomini in rapporto all'universo; è una reazione al come i cristiani presentano il loro Dio non armonizzato ai sentimenti spirituali odierni,[12] è espressione di una fede valutata qual sovrastruttura a quanto comunemente oggi si ritiene importante.[13]
    La fede può essere vissuta in tre modalità diverse: fede spontanea e senza critica, ricevuta e vissuta a un livello sociologico; fede mistica, accolta in un'esperienza e in una certezza spirituale interiore; fede critica, verificata sul piano della ragione e della sua efficienza pratica. Oggi si tende verso una fede, che sia valida dal lato socioculturale ed esperimentata entro una ristretta comunità dal lato spirituale: fede non accolta per pura tradizione, ma per opzione coscientemente personale e per impegno responsabilmente adulto.
    Taluno prevede che la fede cristiana, non più patrimonio spirituale delle masse, si raccolga presso una élite praticante in un mondo scristianizzato. Per la fede il problema della qualità non deve
    disgiungersi da quello della quantità. La chiesa è inviata per la salvezza di tutti gli uomini, per comunicare indistintamente a tutti la buona Novella. La fede si esprime nei singoli ma come fede del popolo di Dio, come fede della comunità ecclesiale. Lo stesso fiorire delle attuali comunità di base si configura qual presa di coscienza che la vita di fede s'attua nella e con la comunione fra gli altri. Si affaccia un problema pastorale: come far vivere una fede personale da parte di una vasta comunità umana?
    La cultura marxista accusa la fede cristiana di rendere il credente un rinunciatario di fronte alle ingiustizie pubbliche; di costituirlo fiducioso solo verso l'intervento di Dio; di situarlo ozioso mendicante, che supplica gratificazioni dall'alto; di ridurlo ad essere un rassegnato fra le vessazioni repressive del presente per ottenere una ricompensa futura. Atteggiamento remissivo, che riesce repellente per la massa operaia, educata ad assumersi la responsabilità nel costruire la città terrena.

    Esigenze per l'acculturazione attuale della fede

    La fede cristiana deve essere ripensata in modo da apparire gradita, anche secondo la presente prospettiva socioculturale. Essa si delinea essenzialmente quale fiducia a Dio in Cristo, il quale non in modo isolato provvede a tutto né per la sola sua grazia tutto orienta verso il miglior bene, ma influisce all'interno dell'iniziativa responsabile degli uomini. «Se uno vuol vantarsi, cerchi nel Signore il proprio vanto» (1 Cor 1,31). La fede abilita ad essere trasformati in senso pasquale così da essere risorti in Cristo, da essere forti in virtù dei carismi del suo Spirito, da essere uomini nuovi autorizzati ad impegnarsi alla concreazione, da essere dei salvati che salvano se stessi e gli altri. La fede invita a testimoniare come Iddio renda operatori di vita nuova nello Spirito di Cristo; serve a responsabilizzare ognuno risvegliandolo a compiti promozionali verso i fratelli. «Tutto posso in colui che mi dà forza» (Fil 4,13). Fede concepita, vissuta ed espressa qual animazione profonda ed autentica della grandezza dell'uomo. Essa invita a vedere Iddio, che opera non disgiunto dalle opere umane, nell'intimo dell'uomo, limitatamente alle possibilità realizzative di questi. «L'oggetto della nostra fede si è spostato: nello spostare il problema teologico da Dio alla storia dell'uomo in Gesù Cristo» (Samuel Ruiz).
    Essere consapevoli della propria grandezza secondo la fede significa essere sempre più accoglienti della potenza di Dio, essere docili allo Spirito, essere coscienti che solo operando nella grazia del Signore si testimonia una propria potenza. Secondo la fede l'uomo è principio di salvezza in misura che nella sua condotta rivela qualcosa di Dio, in proporzione che il dono divino interviene all'interno del suo lavoro (Lc 1, 68-79). Il credente riacquista la sua qualifica di rivoluzionario sul presente. Esiste una misteriosa corrispondenza fra «essere credente» e «crescere». «La fede è incremento d'azione» (P. Ricoeur); il credente è taumaturgo di un nuovo mondo. Ogni qualvolta il credente riesce ad instaurare un aspetto autentico d'umanismo, ogni qualvolta introduce una nuova
    dimensione d'amore fra gli uomini, ogni qual volta instaura un perfezionarsi dell'universo creato, egli svela la presenza provvidenziale del tutt'Altro fra le sue azioni.
    Tutto questo richiama l'insegnamento che giace alla base della cultura odierna, soprattutto a ispirazione marxista: la storia è realizzata dal popolo. Bisogna imparare a prestare attenzione a quanto viene attuandosi nel popolo, in dimensione comunitaria, nella realtà concreta, secondo una responsabilità il più largamente compartecipata. Nell'odierna acculturazione, anche la fede si orienta verso questa prospettiva eminentemente proletaria. Essa, nell'inculcare la stessa pratica dei sacramenti, la indica non quale mezzo capace di immettere il credente passivamente entro la salvezza, ma quale abilitazione ad essere salvatore di se stesso. Il sacramento introduce a celebrare il mistero pasquale fra i fratelli nel Signore; fa dovere di favorire la crescita responsabile della comunità ecclesiale; impegna ad orientare ogni uomo verso la propria salvezza. Il sacramento costituisce il credente qual principio salvifico entro l'assemblea cristiana.
    Tutta la liturgia richiede di essere celebrata in modo da costituirsi efficace richiamo all'impegno comunitario ecclesiale per la comune salvezza; così da situarsi all'interno del corpo mistico per una nuova vita. La celebrazione liturgico-sacramentale non responsalizza unicamente in favore di una vita soprannaturale, né coscientizza esclusivamente verso una futura salvezza a tipo religioso: essa è grazia che vuol risvegliare l'anima credente a vivere in Cristo la stessa promozione umana terrena, quale momento della salvezza integrale.

    FEDE PER UNA SALVEZZA INTEGRALE

    L'odierna società industriale, laica a ispirazione capitalistico-marxista, non solo ha messo in valore l'operosa creatività dell'uomo, ma ha dato ampio spazio all'importanza del benessere terrestre. Ciò che conta è la felicità, non tanto rimandata nell'al di là, ma già fin da ora inaugurata. Un messaggio salvifico si ritiene veritiero, solo se si mostra tale al presente; se incide trasformando l'umano nella sua attuale situazione storica; se si offre in una perspicua constatazione mondana. Per i neo-marxisti Dio non è un essere reale, ma solo un'esigenza della realtà presente, protesa verso un suo compimento, verso un suo futuro senza confini. «La trascendenza è nient'altro che l'esperienza mediante la quale l'uomo acquista la consapevolezza di essere egli stesso Dio nel suo divenire» (R. Garaudy). I marxisti sono impegnati ad aggredire il reale presente per costruirne uno nuovo, il quale esprima un assoluto benessere umano generalizzato. La negazione di Dio è proclamata in favore di un prevedibile sviluppo ulteriore del presente contesto umano. Si accetta Dio in quanto indica attuale grandezza umana autonoma; lo si nega in quanto esprime un al di là trascendente.
    In questa atmosfera culturale la fede deve poter parimenti annunciare ampiezze nuove terrene; deve offrirsi qual fermento all'interno della vita umana per attuarvi le sue prospettive utopiche. Essa testimonia come l'evento salvifico di Cristo è costituito per la salvezza integrale; come esso rimanga inattuato, finché esiste una carne attanagliata dalla sofferenza o repressa sotto un'ingiustizia sociale. L'evento salvifico di Cristo si qualifica veritiero, se sa rendere solidale nell'amore la presente comunità umana; se risveglia una carità oblativa fra le persone; se diffonde il senso di servizio come dono di sé agli altri fra i credenti; se fa diffondere uno stato di pace confortevole in tutti; se rende il contesto creato beneficamente umanizzato; se allontana dal mondo l'esperienza del male e della sofferenza; se impedisce che i volti siano bagnati da lacrime.
    La salvezza cristiana, stimolata dalla stessa soteriologia marxista, si impegna ad indicare una presente auspicabile promozione umana; si offre in favore di una immediata liberazione; attesta che la sua redenzione già fin da ora è in parte concretamente raggiungibile. Sia pure che la salvezza cristiana è terminalmente escatologica; è misurata sul Cristo integrale risorto; non si attua integralmente se non con la partecipazione dei credenti alla vita trinitaria divina. È una salvezza protesa verso un vortice d'amore divino mai posseduto ultimativamente, mai esaurito nel suo senso profondo, mai raggiunto nella sua esperienza ultima. Per la soteriologia cristiana il genere umano «si avvicina alla redenzione definitiva in un processo infinito, che si compie sulla via della salvezza».
    La fede, annunciando la liberazione umana integrantesi all'interno della salvezza escatologica caritativa del Cristo integrale, con ciò stesso riconosce una missione ad ogni persona impegnata sulla terra; attesta che, in virtù dello Spirito del Signore, ha significato ogni vita; proclama che ognuno può lasciare una traccia imperitura di bene; convince come ogni anima sia degna di essere indicata all'ammirazione e al rispetto di tutti. «E, invero, come si potrebbe mai parlare di un progetto globale per l'umanità e d'un senso da dare alla sua storia, se miliardi di uomini ne sono stati esclusi in passato, se tanti schiavi e soldati sono vissuti e morti senza che per loro avesse un senso il loro vivere e morire? Come potrei rassegnarmi all'idea che degli uomini continuino ancora a sacrificare la vita perché nasca una realtà nuova, se non fossi convinto che questa nuova realtà li contiene tutti e li continua, onde vivono e risorgono in essa?».[14]
    Se per la fede ogni persona è resa partecipe nel realizzare e nell'usufruire la salvezza definitiva fin dalla vita terrestre, è doveroso ricordare come tutta l'umanità intera costituisca il nuovo popolo eletto. Non esiste nazione privilegiata con il diritto di dominare sugli altri o di esserne guida secondo lo spirito. Ogni popolo è prediletto da Dio in Cristo: l'umanità costituisce un solo popolo, che la pasqua del Cristo interamente redime e salva. «Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale».[15]

    FEDE IN DIMENSIONE POLITICA

    La fede può essere principio di salvezza integrale umana, qualora sappia incarnarsi in una cultura appropriata; se risveglia in animi giovanili l'entusiasmo per una missione profetica da realizzare nel mondo odierno. La fede potrà significare qualcosa nella vita, se implichi e susciti un'autentica rivoluzione culturale, capace di recare le schiere giovanili alla revisione critica e al superamento della stagnante ideologia imperante. Per usare un'espressione di A. Gramsci, la fede sarà attivamente politica, qualora appaia acculturata «con una concezione del mondo, la quale ponga e ricerchi nel seno stesso della società umana e nella coscienza individuale le forze che producono e creano la storia».[16]
    Queste forme politicizzate della fede appaiono necessariamente provvisorie. Nessuna forma storica culturale riesce ad esaurire le ostilità del messaggio cristiano. La fede ha sempre qualcosa che supera ogni sua traduzione politica concreta. Esiste sempre uno spazio creativo, a cui il messaggio della fede ulteriormente sollecita, verso cui la comunità dei credenti deve tendere. Sono raccomandabili formule culturali periodicamente nuove, capaci di esprimere le virtualità ancora latenti nel messaggio cristiano. Per fede si ritiene che il messaggio evangelico è offerto per orientare in continuità verso un mondo migliore, per testimoniare una vita comunitaria cristiana sempre rinnovabile in forme superiori, per introdurre in un'esperienza rivelatrice di un lembo del futuro regno di Dio.
    La fede, secondo la prassi della chiesa primitiva apostolica, implicava tre atteggiamenti concreti: kerygma (proclamazione dell'evangelo), martyrion (testimonianza di vita), diakonìa (servizio). Il credente annunciava «la buona novella», oltre che con le parole, con la testimonianza della propria vita e mediante il servizio agli altri. Questo servizio agli altri, come testimonianza della Parola vissuta, in quali modi potrebbe essere oggi indicato? Quale diakonìa potrebbe far testimoniare la fede, se espressa in odierna dimensione socio-politica? Come potrebbe esprimersi la fede in quanto fermento valido della società presente?
    La fede, politicizzata secondo la mentalità d'oggi, incita a un'esistenza soprattutto solidale coi poveri, per promuovere fra essi la giustizia, per condividere la loro emarginazione sociale in risposta alla sfida della società dei consumi e del successo materiale; per la difesa dei diritti dell'uomo, ovunque essi non siano rispettati; per sradicare ogni disordine stabilitosi fra le strutture socioeconomiche; per stroncare ogni tentativo di oppressione o di sfruttamento. La fede in odierna dimensione socio-politica invita a comunicare se stesso agli altri, nel rendersi attento ai bisogni altrui, nel non saper gustare un sentimento se non è partecipe alla persona amata, ad impegnarsi nel sensibilizzare l'amico su una comune esperienza. La fede evangelica, che apre sull'altro al modo di Cristo e in Cristo, predispone a sopprimere l'incomprensione che offusca l'animo umano; si propone di comunicare un senso a quanti lamentano di non saper avere un proprio valore; attira lo sguardo su quanti giacciono inosservati e inascoltati; rende noto il bene che rimane inconsciamente celato entro un animo; svela il volto culturale diffuso presso l'ordinaria comune vita non osservata; fa luce sulle cose che giacciono nell'oscuro opaco; offre splendore su quanto rimane soffuso di banalità.

    Stare con i poveri

    La fede invita a ispirarsi a Cristo e a seguirne il comando che fa stare in ascolto dei poveri; rende attenti ai loro sentimenti; abilita a capirli intimamente; li accoglie con amore delicato; comunica ad essi una parola espressiva del loro stato; li strappa dalla emarginazione solitaria; conferisce un senso sociale al loro comportamento disatteso dalla generalità. Riesce così a liberarli dall'angosciosa solitudine interiore, che è ingenerata dalla incomprensione in cui giacciono, dalla incomunicabilità fra fratelli, per la dimenticanza continua subita, per la mancata espressività comunicativa, per l'inavvertenza generalizzata nella comunità.

    Autorità e servizio

    La fede, in dimensione politica, non solamente invita alla promozione dei sofferenti, ma insieme educa al senso evangelico di servizio, che deve essere vissuto presso l'autorità (Lc 22,25 ss; Mt 20, 25 ss; Mc 10,42 ss). La vita umana ha bisogno di integrarsi sul principio autoritativo, di stabilirsi in istituzioni, di sentirsi confortata entro un ordine pubblico, di percepirsi sorretta dal diritto. Simili benefici, necessari per una confortevole convivenza umana, possono essere intimamente intaccati dal demoniaco, giacché il peccato originale si annida in tutto l'umano. In pratica essi possono essere inclinati a trasformarsi in potere che asservisce; in un ordine istituzionalizzato ostacolante l'attuarsi di una giustizia più ampia; in un diritto legittimante il sopruso da parte del forte verso il debole.
    La stessa vita religiosa può, inconsciamente, consolidare il disordine latente nell'autorità, in quanto potenzia questa con l'aureola del sacro; in quanto aggancia ogni potere a Dio, sconfessando chi attenta all'istituzione costituita. Qualora il potere esistente sia oppressivo o l'ordine dominante sia ingiusto, la religione-sia pure in contrasto con ogni sua intenzione cosciente-di fatto avvalora e rende maggiormente efficiente il loro stesso aspetto manchevole. Mons. Vieira Pinto, presidente della Conferenza episcopale mozambicana, in una sua lettera pastorale annotava come l'azione caritativa della sua chiesa aveva di fatto impedito il maturarsi di una coscienza nazionale autonoma presso il popolo mozambicano: «La collaborazione della chiesa con il colonialismo portoghese, per azione o per omissione, è stata un'offesa al popolo mozambicano, offesa difficile da scusare. La religione ha diviso il popolo. Alleata all'impero, la fede univa le popolazioni africane al popolo portoghese, nello stesso tempo che le faceva cristiane. Assecondava in questo modo la politica dell'impero e del governo portoghese, che poneva l'unità del popolo nell'essere portoghese e non mozambicano. Accettando questa trasformazione violenta di identità, la religione non solo divideva, ma anche impediva al popolo di essere popolo».[17]
    Il contesto culturale marxista odierno ha aiutato a comprendere come la autentica fede cristiana debba impegnarsi a purificare e a convertire lo stesso esercizio autoritativo; a promuovere una libertà responsabile sempre più diffusa; a far apparire la carità servizievole, quale forma che vivifica nel rispetto di ogni autonomia personale e sociale.

    Acculturazione come «svuotamento»

    La fede-attuandosi in dimensione politica per una salvezza integrale, che già si preannunzia su questa terra-necessariamente assapora momenti di crisi, di sconforto, di sconfitta: fa gustare il senso dell'inutilità della propria fede, perché essa è proposta, vissuta e testimoniata attraverso la propria debolezza operativa. Ogni attività umana, anche quella offerta in servizio degli altri e per spirito di fede, incontra contrasti; esperimenta disillusioni; è sottoposta a momenti di scacco. La fede offre un senso nuovo e fecondo a queste stesse situazioni, che appaiono negative. Essa le tratteggia come un'esperienza di kénosis, analoga alla condizione spirituale vissuta dal Cristo durante la sua passione, nell'ora della sua morte in croce. È in sentirsi situato in uno stato di umiliazione, di servitù inutile, di spogliazione circa quanto si ama fare, di annientamento della propria personalità.
    La fede, attraverso la kénosis, convince come l'attività presente debba integrarsi nel sacrificio; debba accedere verso la salvezza integrale mediante rinunce dolorose. L'economia della croce è giustificata da una profonda esigenza: convince che la propria azione è valevole, in quanto in essa opera Iddio; fa ritenere che i nostri sforzi otterranno un grande risultato, ma in virtù della grazia divina; sospinge ad accettare la propria limitatezza, giacché lo Spirito è incaricato ad integrarla. Il credente è fiducioso nel medesimo momento che constata l'inutilità del suo sforzo o anche di quello ecclesiale, perché la sua fiducia è nel Signore.
    Ecco perché la fede, nella stessa acculturazione socio-politica odierna, richiede di essere alimentata dalla parola di Dio, di dimorare nell'ascolto dello Spirito, di poter respirare in un clima di preghiera. Sia pure che la Parola venga ascoltata, meditata e attuata con la pre-comprensione culturale odierna e secondo la dimensione ecclesiale presente; sia pure che si preghi secondo lo spirito di unione con lo Spirito di Cristo attualizzatosi nell'oggi.


    NOTE

    [1] Cf Concilio Vaticano II,cost. Gaudium et spes,39.
    [2] Concilio Vaticano II, cost. Gaudium et spes,15.
    [3] CEI, Il rinnovamento della catechesi, 38.
    [4] Concilio Vaticano Il, cost. Dei Verbum, 8.
    [5] Concilio Vaticano Il, cost. Gaudium et spes,76.
    [6] Concilio Vaticano II, cost. Gaudium et spes, 62.
    [7] GIUSTINO, II Apolog. 8,3, 13,3.
    [8] GIUSTINO, II Apolog. 10 e 13. Cf ORIGENE, Philocalia, XIII, ed. H. Crouzel, SC 148, Parigi 1969, 186; S. AGOSTINO, De doctrina christiana, II, 40, 60.
    [9] LESZEK KOLAKOWSKI, Gesù Cristo; profeta e riformatore, in AA.VV., Marxisti di fronte a Cristo, Queriniana, Brescia 1976, p. 108.
    [10] Per un discorso piùl approfondito cfr. T. GOFFI, Etica cristiana in acculturazione marxista, Cittadella, Assisi 1975.
    [11] Concilio Vaticano II, cost. Gaudium et spes, 20.
    [12] Concilio Vaticano II, cost. Gaudium et spes, 19.
    [13] CEI, Rinnovamento della catechesi, 53.
    [14] R. GARAUDY, Fede e rivoluzione, in AA.VV., Marxisti di fronte a Gesù, Queriniana, Brescia 1976, p. 54.
    [15] Concilio Vaticano II, cost. Gaudium et spes, 22. Cf Gal 3,28.
    [16] A. GRAMSCI, Sotto la Mole, Torino 1975, p.495
    [17] MONS. VIEIRA PINTO, Lettera pastorale. Riflessione sulla chiesa, in Il Regno, Documenti,, 19/1975, p. 445.


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