Joseph Gevaert
(NPG 1976-06-44)
Non è una novità affermare che la preghiera è in crisi, soprattutto tra i giovani, nonostante alcune indicazioni incoraggianti che riguardano tuttavia un numero molto limitato di giovani. Le cause della crisi sono complesse. A noi interessa, in questo contesto, analizzare quelle di ordine metodologico: di fronte al mondo secolarizzato le forme abituali di educazione alla preghiera si sono rivelate inadeguate. Per forme inadeguate intendiamo l'obbligo per principio di partecipare ad un certo numero di pratiche, l'accento posto unicamente sulla istruzione biblica e teologica, la ripetizione meccanica di formule... È innegabile che troppi preadolescenti e adolescenti, dopo tutti gli sforzi dei loro educatori che per anni li hanno guidati nella iniziazione alla vita cristiana, giunti alle prime crisi puberali e adolescenziali abbandonino per sempre la preghiera. La preghiera non li interessa più.
Il discorso va subito allargato per ricordare che la crisi non investe soltanto la preghiera, ma anche ed in primo luogo la iniziazione cristiana in genere e la stessa appartenenza ecclesiale.
La reazione degli educatori è molto diversa. Emergono tuttavia due posizioni: quella di chi continua ad insistere su processi di tipo kerigmatico e attribuisce la responsabilità della crisi alla crisi di valori della nostra società in genere, e quella di chi, senza nascondersi le difficoltà dell'uomo d'oggi, cerca di elaborare nuovi processi educativi.
È su questa seconda linea che intende porsi il mio intervento, notando subito che non è possibile dare ragione in questo intervento delle nostre scelte. Rimando per questo alle pagine del mio libro «Esperienza umana e annuncio cristiano» [1].
La nostra scelta è di dare grande peso nella catechesi, alla esperienza umana e alla scoperta della dimensione religiosa che è sempre presente nell'uomo e che deve essere educata.
A questo punto il vero problema della preghiera è la sua integrazione nel complesso della vita umana in genere, attraverso una serie di interventi educativi che tendano a sensibilizzare alle grandi esperienze umane che possono maturare la esigenza di una dimensione religiosa e di una comunicazione con il trascendente. diamo dunque alcune di queste grandi piste di sensibilizzazione alla esperienza religiosa.
LA RICERCA DEL SENSO DELLA VITA
Non sono pochi a credere che l'uomo prega in primo luogo perché è nella miseria. In realtà che l'uomo in miseria senta maggiormente il bisogno di pregare è comprensibile proprio perché preso da una situazione umana più provocante e in fondo più illuminante sul senso della esistenza umana. Occorre tuttavia affermare che la esperienza religiosa non trova il suo spazio naturale nella attesa di vantaggi materiali, politici e sociali, ma nella scoperta che al di là della trasformazione del mondo c'è il problema del senso della vita. E chi prega Dio lo fa allora perché lo intuisce coinvolto in questa ricerca. Dio non vien pregato come surrogato di una tecnica incapace di risolvere certe situazioni, ma per rispondere all'appello che egli rivolge all'uomo di situarsi come persona davanti a lui, di cercare nella comunione con lui una risposta alla solitudine della sua esistenza in mezzo agli altri uomini.
Educare a pregare implica dunque in primo luogo questa ricerca del senso della vita, stimolando dei tentativi di risposta sempre più adeguati, a seconda della età. Affrontare con serietà questa opera di umanizzazione sensibilizzando ad una ricerca di senso nel rapporto con il trascendente è già affrontare l'educazione alla preghiera. Molte volte invece gli adolescenti abbandonano la preghiera perché non la sentono collegata con questa ricerca di senso o perché di fatto non sono giunti a questa ricerca. In entrambi i casi la preghiera diventa inutile.
L'ALTRO, FONTE DELLA MIA ESISTENZA
Ci sono delle definizioni di uomo che contrastano fortemente con una visione cristiana e che perciò impediscono l'accesso al mondo della preghiera. Nel momento in cui l'uomo si definisce tale perché manipolatore della natura o costruttore di macchine, diventa estraneo un discorso in cui l'uomo è realizzato nel momento in cui comunica con gli altri e con il trascendente.
Occorre pertanto precisare una certa visione di uomo. E questo non soltanto in vista di una scelta cristiana, ma in primo luogo per un recupero di una dimensione interpersonale come elemento fondante della esistenza umana. L'uomo è uomo in quanto comunica con gli altri, attraverso gesti di giustizia e di amore: l'uomo è amare ed essere amato. L'educazione alla dimensione interpersonale della esistenza è educazione alla preghiera, cioè ad un rapporto con un Altro che dà significato al mio esserci nel mondo, con un Altro la cui verità è la sua fedeltà all'uomo. Per educare alla preghiera bisogna aiutare a maturare tutti i sentimenti che caratterizzano il rapporto con gli altri: gratitudine e attesa, perdono e comprensione, supplica e godimento reciproco, desiderio di presenza e di dialogo... Del resto il modello biblico del rapporto tra Dio e l'uomo è quello della fedeltà reciproca nell'alleanza, dell'affetto e dell'amore, del fidanzamento e del matrimonio.
Analizzando, ad esempio, con i preadolescenti il rapporto con i genitori (la vita come dono e mistero; la comunicazione e la comunione con l'altro come fonte di felicità; i sentimenti di gratitudine, abbandono all'altro, dipendenza reciproca...) ci si avvia molto concretamente a quel modo di comunicazione con il trascendente che è la preghiera. La stessa capacità educativa è riscontrabile nella analisi e nella crescita umana, nei rapporti interpersonali nella classe, nella vita di gruppo nei rapporti di amicizia in genere.
L'ESISTENZA UMANA COME UN ITINERARIO
Una delle scoperte umane più maturanti è la consapevolezza che al di là della dispersione superficiale, l'esistenza è un itinerario, un cammino sempre aperto a nuove possibilità, un appello a realizzare sempre qualcosa di nuovo. L'immagine del popolo di Dio in cammino e quella della Pasqua ad esso collegata non sono comprensibili se non si fondano su delle esperienze umane in cui l'unità della esistenza e la sua proiezione verso un futuro pieno di possibilità siano emerse di prepotenza. Se invece la vita è presentata come assimilazione di schemi prefabbricati in cui non c'è da aspettarsi niente di nuovo, in cui l'ultimo momento non sarà diverso dal primo, non si riuscirà ad afferrare il senso cristiano della chiamata, della vita-compito, della pienezza che ci attende. Se la vita è concepita come itinerario diventerà invece rilevante uno spazio per la preghiera come gratitudine per il cammino che si sta compiendo, come domanda che invochi l'avvento del regno, come protesta contro la lentezza della storia...
Per i preadolescenti tutto questo diventa un discorso concreto nel momento in cui vengono aiutati ad assumere un atteggiamento positivo verso la vita, in cui la partecipazione ad imprese da realizzare sollecita un atteggiamento positivo verso il futuro, nella riflessione sul passato per sottolineare il cammino percorso nella crescita di amicizia, nella comprensione degli altri, nell'apertura ai problemi del mondo...
ESPERIENZE DI BISOGNO DI SALVEZZA
I momenti in cui l'uomo sente maggiormente la angoscia esistenziale sono sempre stati momenti privilegiati per una iniziazione religiosa e questo non tanto a causa di uno sfruttamento della debolezza dell'uomo , quanto per il fatto che in simili occasioni egli riesce ad afferrare con più lucidità il bisogno di salvezza insito nel fatto di essere uomo, creatura limitata. Non è che Dio si faccia maggiormente presente, ma è l'uomo che è più sensibile alla sua presenza e intuisce il significato profondo di una salvezza che risolva non i singoli problemi della sua esistenza ma il suo esserci a questo mondo nel suo insieme. Non è alienazione, ma protesta contro la situazione tragica della esistenza, protesta che, se da una parte diventa lotta contro la violenza e le forze di morte, dall'altra diventa invocazione di liberazione per tutta la storia.
Viene da chiedersi, a questo punto, se molte delle difficoltà che i giovani e gli stessi preadolescenti provano nella preghiera, non abbiano origine anche dalla scarsa esperienza che essi hanno delle situazioni limite dell'esistenza. La sofferenza fisica e mentale viene isolata, la morte viene un confinata negli ospedali e sono in pochi a vederla in faccia, la stampa ci rende familiare e allo stesso tempo scontata la violenza nelle nostre città e la stessa guerra...
Per educare alla preghiera bisogna dunque permettere ai ragazzi di farsi un quadro esatto di ciò che significa essere uomo e della situazione tragica in cui viene spesso a trovarsi, situazioni irresolvibili dal punto di vista della scienza e della tecnica, ed inspiegabili col solo ragionamento umano.
CONCLUSIONE
Abbiamo visto brevemente alcune delle dimensioni umane permanenti che, attraverso l'esperienza, possono aiutare ad inserire la preghiera nel contesto della vita umana nel suo insieme.
Per concludere mi sembra importante riferirci al clima di secolarizzazione in cui tutta questa sensibilizzazione avviene oggi, e nell'epoca di sviluppo che caratterizza la preadolescenza. Si può dire, in certo senso, che si tratti di due esigenze simili: il preadolescente entra in una fase della
vita in cui abbandona ogni concezione di tipo magico nei confronti della realtà circostante; la secolarizzazione afferma decisamente la responsabilità dell'uomo di fronte ai problemi del mondo. In entrambi i casi ci si trova innanzi ad una esigenza di purificazione del concetto di preghiera: da una parte il preadolescente avverte che pregare non serve, dall'altra l'uomo maturo rifiuta di fare riferimento ad un Dio tappabuchi. La soluzione è da ricercare in una educazione ad una leale presa di posizione di fronte alle urgenze del mondo d'oggi per una ricerca di soluzioni fabbricate dalle mani dell'uomo e allo stesso tempo in tutto ciò che abbiamo chiamato sensibilizzazione al problema del senso dell'esistenza. L'educazione procede allora su un duplice binario: la preghiera diventa possibile e significativa solo se questo duplice cammino viene portato avanti nello stesso tempo.
NOTE
[1] J. Gevaert, Esperienza umana e annuncio cristiano, LDC, Torino 1975.