Pastorale Giovanile

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    Introduzione a: Annunciare Cristo ai giovani cristiani



    (NPG 1976-070/9-2)


    Nel gruppo di redazione che ha elaborato l'impianto di questa monografia, erano presenti alcuni giovani.
    Li abbiamo provocati con una domanda a bruciapelo: Come hai scoperto la persona di Cristo? Quale annuncio te l'ha resa vicina, interessante, sconvolgente? Oggi, la maturazione di fede di questi giovani ha consolidato il primo entusiasmo, ha tradotto in scelte di vita l'iniziale adesione.
    Ma c'è stato un «salto», un passo e un gesto, che ha rimesso in questione il credente-bambino, per risvegliare l'attesa di una Persona capace di dare alla fede il segno dell'adulto.
    Quale?
    Ecco le loro risposte. Riprese dalla viva voce di' una rivelazione tra amici, senza nessuna pretesa di descrivere un quadro di riferimento globale.
    Hanno, tutte, una dimensione comune. Assunta e teorizzata, è diventata lo stimolo di partenza della nostra ricerca.

    «Parlo di me, della mia esperienza personale. Che cosa mi ha fatto scoprire la persona di Cristo?
    Mi sono guardato attorno e ho scoperto il mondo in cui vivo. Mi ha fatto ribrezzo, per tanti aspetti. Voglio farci qualcosa. Devo.
    In questo mio progetto mi sono incontrato con Uno che è capace di perdere la vita, per arrivare fino in fondo.
    Questo fatto mi ha colpito moltissimo. È diventato, per me, un cercare con lui un cammino in questa direzione».

    «Mi pare di aver incontrato Cristo nell'ultima serata di campo che ho fatto con la comunità di cui ora faccio parte. Cristo è stata la persona che mi ha costretto ad uscire dal mio individualismo. Mi ha costretto a fare un esodo dalla mia solitudine.
    Una persona che ti costringe - ti costringe veramente, con il suo amore - ad uscire dalla tua solitudine, dal tuo individualismo. A buttare giù la maschera, ad essere veramente se stesso. Perché solo così mi posso realizzare.
    Mi ha aiutato in questo processo la mediazione della comunità. Ho incontrato Cristo e la comunità. Cristo nella comunità. Nei fratelli che vivono questa esperienza. Ho scoperto questa spinta a Cristo nella mediazione dei miei fratelli.
    All'esterno c'era la comunità Ma dentro, nel profondo, c'era una Persona diversa, non riducibile a quella dei miei amici della comunità».

    «Ho scoperto Cristo nei miei educatori, giovani di poco più grandi di me che animavano il gruppo di cui facevo parte.
    Ho trovato educatori che vivevano quello che portavano agli altri. Non mi interessava che fossero dei buoni animatori di gruppo e gente che sapeva bene le cose che diceva. Volevo che quello che portavano al gruppo fosse cosa vera, della loro vita.
    Gli educatori che ho incontrato sono persone che hanno pagato di persona, con rinunce, con molti no. Hanno rinunciato a carriere politiche e professionali, ai soldi, per stare con noi a tempo pieno.
    Mi ha impressionato il fatto che quello che essi donavano (non "elargivano"), era vita vissuta.
    Mi sono chiesto: "perché?". E ci ho scoperto dietro il Cristo».

    «Mi persuadono le cose autentiche che Cristo ha fatto. Oggi lo vedo in una maniera meno soprannaturalistica: il soprannaturale è una bella cosa, il soprannaturalismo no, come tutti gli "ismi"...
    Mi pare di ritrovare il Cristo, nella pienezza della fede, quando lo sento fare quelle cose autentiche di cui tutti abbiamo sete, in fondo al cuore.
    Trovo però delle resistenze, attorno a me. Le cose che mi sembrano le più autentiche, quelle in cui mi ritrovo meglio, suscitano in altri delle ansietà, delle perplessità.
    Mi piace, per esempio, scoprire che Cristo parla con autorità, offre una dottrina "nuova", che libera dai peccati, dai pregiudizi; qualcuno invece si turba per questo, perché identifica essere cristiano con essere "persona perbene", e essere perbene significa non cambiare nulla...
    In una parola, ho scoperto che nel Vangelo, in Cristo, c'è qualcosa di "importante" per me, per noi uomini. Ma questo viene capito solo se ci si mantiene disponibili, aperti. Quando uno ha già trovato tutto, non trova più niente di nuovo e di interessante nel Vangelo e in Cristo».

    ALLA RICERCA DI UN ORIZZONTE PER LA PASTORALE GIOVANILE

    Ci poniamo un problema che, a prima vista, può sembrare strano. Per lo meno nuovo, nel senso che non corrisponde alle preoccupazioni spontanee di molti operatori di pastorale giovanile. Qual è l'orizzonte su cui collocare la pastorale giovanile oggi? L'annuncio di Cristo ai giovani cristiani e quindi ogni progetto di evangelizzazione?

    Il senso della nostra domanda: orizzonte come linguaggio

    La domanda contiene una catena di interrogativi che è opportuno evidenziare, per precisare meglio l'ambito della domanda che stiamo ponendoci.
    1. In una conversazione, in un rapporto dialogico, gli interlocutori si intendono solo se parlano la stessa lingua; se usano cioè non solo gli stessi segni fonetici, ma se a ciascuno di essi corrisponde un universo simbolico omogeneo: dicendo «pane», tutti devono intendere la stessa cosa. Anche la pastorale è un dialogo. Non solo tra Dio e l'uomo. Ma tra uomo e uomo: tra l'operatore di pastorale e il destinatario della sua proposta. Per questo affiora il problema dell'unità di linguaggio. Quale linguaggio deve usare l'educatore per presumere, con una certa consistenza, che esso corrisponde a quello dei giovani?
    2. Il linguaggio, nell'attività pastorale, ha una funzione evocativa. Diventa «strumento» per mediare il dono di salvezza di Dio e per sostenere la risposta personale dell'uomo. Esso ha quindi un compito importante: deve parlare di Dio non solo in modo corretto, ma soprattutto in modo vitale, perché l'intervento di Dio investe tutta la persona. E deve interpellare il giovane a livello di esistenza, perché non si tratta di comunicare informazioni, ma di intessere un rapporto di vita tra persone. Da qui il problema: quale movimento può assumere la pastorale giovanile per diventare linguaggio evocativo?
    3. Persone e gruppi hanno già un loro linguaggio. Si può definire globalmente come linguaggio «profano», perché ha come oggetto le esperienze quotidiane, profane. La pastorale giovanile fa proposte situate in un altro orizzonte, per fedeltà al suo statuto. Parla di una salvezza che ha un versante trascendente, escatologico, anche se investe quello storico. Se, per comunicare, la pastorale assume questo linguaggio che si riferisce ad esperienze religiose, non c'è il rischio di parlare un'altra lingua rispetto a quella giovanile, e di bruciare quindi ogni possibilità di dialogo? D'altra parte, si può annunciare la salvezza di Gesù Cristo in un linguaggio totalmente profano?
    Quando parliamo di orizzonte in cui collocare la pastorale giovanile, ci riferiamo a questi problemi. Basta un minimo di riflessione sulla prassi, per avvertire come essi siano seri e impegnativi. Lo sono oggi, molto più di ieri. E lo sono soprattutto a livello giovanile, per la particolare sensibilità che i giovani possiedono al riguardo.

    Sono problemi impegnativi particolarmente oggi

    In un contesto non secolarizzato, l'orizzonte per la pastorale giovanile era la normale situazione di vita, in cui esisteva un clima di diffusa religiosità. Il problema dell'orizzonte, in ultima analisi, non esisteva affatto. Era ovvio e naturale credere in Dio. Si sentiva forse parlare di non-credenti, ma non se ne incontravano quasi mai. La proposta pastorale trovava resistenza solo sulla sponda della fondazione razionale della fede (le prove dell'esistenza di Dio erano un «cavallo di battaglia»...) o su quello dell'incoerenza pratica. La significatività della fede per l'esistenza umana era un fatto scontato, sostenuto dai valori tradizionali, diffusi nella famiglia, nella scuola, nella società stessa. L'istituzione ecclesiale godeva di un sufficiente prestigio sociale. L'educatore pastorale era assillato soprattutto dalla ricerca di una sua qualificazione «professionale». Con un po' di aggiornamento teologico, per dire cose interessanti, e con il fiuto dell'esperienza fatta, il fascino sui giovani era assicurato. Oggi le cose sono cambiate, strutturalmente. È caduto il clima di cristianità che sosteneva la proposta pastorale. L'istituzione ecclesiale è contestata. Il messaggio cristiano è una delle tante voci che parlano all'esistenza. Il problema di Dio non è più quello della sua esistenza, ma quello del suo «senso»: ci si chiede non se Dio esiste, ma cosa significa Dio per la realizzazione della vita umana. Con l'immagine di Dio, sono entrati in crisi anche i contenuti centrali del messaggio cristiano . Questi fatti pongono grossi interrogativi alla pastorale giovanile. Non basta ripensare alla sua funzione, per reinterpretarla alla luce del mutato contesto culturale. Ci si deve, prima di tutto, interpellare sull'orizzonte di significato in cui collocarla, per non correre il rischio di annunciare un progetto di salvezza, in un linguaggio lontano da quello reale, dei giovani concreti. Non si tratta di modificare l'involucro per salvare il contenuto. È in questione una comprensione totale, che tocca contenuto e involucro, e spinge a misurare la pienezza dell'annuncio sulle direzioni oggettive dei destinatari, proprio per salvare la specificità dell'esperienza cristiana (RdC 75).

    Quale orizzonte per la pastorale giovanile oggi

    Ogni comunità pastorale darà la sua risposta, farà la sua scelta. Da parte nostra facciamo emergere la risposta che ci siamo dati. E il nostro orizzonte di significato, la precomprensione da cui muoviamo ogni successiva ricerca di opzioni e di metodi pastorali per i giovani d'oggi. Per noi, l'orizzonte in cui collocare la pastorale giovanile è determinato da queste tre dimensioni:
    - una proposta che ha un senso
    - una proposta che ha un senso di salvezza
    - una proposta che trasforma la vita in dossologia.
    Analizziamo i tre aspetti.

    1. Una proposta che ha senso
    Le proposte che hanno come obiettivo la diffusione di nuove informazioni, sono accettate o rifiutate in base al criterio «vero-falso». Il problema del senso è di poco conto. La dimostrazione di un teorema matematico o di una legge fisica poggia la sua forza sulla razionalità e sulla evidenza logica dei passaggi . Se è vera, l'assenso intellettuale è assicurato. Non ci si interroga su che cosa tutto ciò dica alla vita quotidiana. La cultura intrisa di razionalismo che ha caratterizzato, per un certo tempo, anche la pastorale, ha spinto a riprodurre gli stessi schemi nell'educazione alla fede. Il nuovo contesto culturale ha capovolto le prospettive. Tutto centrato sulla significatività esistenziale, rifiuta la fredda razionalità. Il problema è soprattutto questo: che senso ha la proposta per la vita quotidiana? cosa dice di importante? come coinvolge le esperienze storiche? L'orizzonte è la ricerca di senso, la significatività esistenziale. Ogni proposta di pastorale giovanile non è prima di tutto percepita come vera o falsa, ma come piena o priva di senso. Dopo aver valutato cosa essa dica alla quotidiana esperienza, inizia il processo di verificazione e di approfondimento. Se alla domanda pregiudiziale sul senso, la risposta è negativa, l'approccio non sarà vitale. Al massimo potrà essere di tipo culturale: come ci si interessa di una formula di chimica o di un autore di moda. Se invece la proposta è avvertita come importante-per-me, capace di senso, può nascere il coinvolgimento personale. La ricerca di senso, la preoccupazione che l'annuncio abbia un senso per chi lo ascolta, sono il primo contributo per creare un linguaggio capace di mediare il dialogo Dio-uomo.

    2. Una proposta che ha un senso di salvezza
    Per definire l'orizzonte in cui collocare la pastorale giovanile, la ricerca di senso è una dimensione importante, ma non sufficiente. In questa posizione, siamo in una logica molto diffusa. Il consumismo procede nella stessa direzione, a pieno ritmo. Ogni sua proposta è radicalmente un senso alla esperienza quotidiana. Fino all'assurdo dl manipolare le attese, per offrire così risposte piene di senso, perché collegate con queste attese indotte. In quale direzione si colloca la pastorale giovanile? Rifiutiamo questo livello superficiale. Il messaggio cristiano non fa concorrenza con i prodotti che danno senso alla vita stressata, di un cittadino della civiltà dei consumi. Nel profondo delle attese di molti giovani, come degli uomini più sensibili di tutti i tempi, c'è il dramma dell'esistenza umana continuamente minacciata. Sentiamo che è difficile vivere autenticamente l'«essere uomo»: per noi e per gli altri. C'è il problema dei contenuti per definire l'autenticità umana e quello della speranza sulla realizzazione. La lotta quotidiana per essere uomini e per permetterlo a tutti di esserlo. Quando a fatica si costruisce un brandello serio di umanizzazione, ci si accorge come ci rilanci verso orizzonti più vasti. «Ci sono delle cose che sono "già date", ma non sono "a portata di mano": si pensi all'amicizia, all'amore, all'incontro personale, alla fedeltà coniugale. Queste realtà non possono essere completamente funzionalizzate; non siamo noi a porre un'ipoteca su di esse, ma sono esse a porla su di noi». Su tutto poi incombe la minaccia dello scacco: svuotamento, perdita di senso, morte. Chi è l'uomo? Chi dà salvezza a questo uomo ? A questa domanda le risposte sono molte. Si riferiscono ad analisi ideologiche, a prassi politiche, a valutazioni di responsabilità diverse. Sono tutte prese di posizioni differenziate ad una stessa comune ricerca di autenticità umana. L'attenzione all'umano minacciato è il denominatore comune delle attese più profonde. Forma un orizzonte di senso molto generale e molto vivo. È il segno condiviso di un linguaggio davvero universale, oggi soprattutto. Ecco il secondo contributo per determinare l'orizzonte su cui collocare la pastorale giovanile: la proposta pastorale per i giovani d'oggi ha senso, se è un senso di salvezza all'autenticità del quotidiano essere uomo.

    3. Una proposta che trasformi la vita in dossologia
    È finalmente questo l'orizzonte adeguato per la pastorale giovanile? L'attesa di significato e di salvezza per una vita, vissuta continuamente sotto la minaccia dello scacco, esprime fondamentalmente una esperienza umana. Corrisponde al quadro di riferimento di tutti gli umanesimi storici.
    Se la pastorale giovanile si qualifica come «educazione alla fede», proposta di un dono trascendente di salvezza, questo orizzonte è sufficiente?
    L'impegno di salvare l'uomo nel suo «essere uomo», non svuota forse la specificità radicale della fede, riducendo la pastorale ad un umanesimo: uno dei tanti e neppure il più capace ed efficace? O, invece, collocare la pastorale giovanile nell'orizzonte dell'attesa di salvezza all'umano minacciato, non può significare una nuova e più sottile strumentalizzazione dell'uomo, adescato con parole di speranza e rilanciato poi immediatamente in un altro mondo, dove la salvezza quotidiana non ha più nessuna importanza?
    L'attesa di senso è un fatto umano, esprime con un linguaggio profano l'attuale momento storico, personale e sociale. Ma non solo questo. Quest'uomo quotidiano è più grande di se stesso: si trascende radicalmente. Per dono è capace di scoprire come la sua attesa di significato sia costitutivamente ricerca appassionata di Dio e come la salvezza in Gesù Cristo sia la salvezza al suo desiderio di essere uomo autentico.
    Quando l'uomo cerca se stesso, annaspa nella faticosa costruzione di un senso alla propria vita, di una speranza alla problematicità della realtà che gli incombe, l'uomo cerca Dio. Chiama «per nome» (anche se con perifrasi: RdC 198) Gesù Cristo, «il» Salvatore. Costruisce e anela la propria autenticità e, in questo, è nella salvezza di Gesù Cristo. Evangelizzare è rivelare che questa ansia è presenza viva di Gesù Cristo, è il segno efficace della sua pasqua.
    Il salto di prospettiva, dall'umano al trascendente, gli è congeniale, in Gesù Cristo che gli è diventato consostanziale. Anzi, solo in questo orizzonte umano, di attesa di significato e di salvezza, il salto verso l'Altro-da-sé gli è possibile: perché solo a chi è in trepida attesa di personale salvezza, Gesù Cristo, la salvezza del Padre, ha qualcosa di serio e di definitivo da dire.
    Nell'incontro con Cristo, l'uomo trova un significato nuovo al suo esistere di sempre. Scopre che la sua vita quotidiana gli è restituita «salvata», con una significatività che la invera e la supera. Salvato per dono nel suo esistere storico, l'uomo diventa capace di vivere la vita di ogni giorno in un orizzonte che coinvolge in ogni battuta, l'amore del Padre. Questa vita diventa così un inno di lode e di ringraziamento al Padre, nel Cristo. È «dossologia»: canto al Padre, proprio nella sua quotidiana profanità, da poter essere celebrata con verità nei momenti liturgici.
    Colui che ha trovato significato e salvezza, celebra la speranza che gli è donata, in una novità di vita. Le cose di sempre assumono i toni dell'incontro, piccoli quotidiani gesti dove si fa esperienza di un modo nuovo di essere uomo, perché amato dal Padre, salvato in Gesù Cristo, restituito ad una reale comunione con tutti i fratelli.

    Una conclusione che è prefazione

    Abbiamo definito le dimensioni che descrivono, nel nostro progetto, l'orizzonte della pastorale giovanile attuale. Si tratta di un'unica «precomprensione»: la salvezza in Cristo come risposta del Padre al desiderio di autenticità umana piena. I tre aspetti che abbiamo tratteggiato sono livelli diversi di quest'unico globale orizzonte. In questa prospettiva, il messaggio cristiano non è un insieme di informazioni da conoscere con l'intelligenza. Non è una dottrina da memorizzare. È proposta di senso e di salvezza in Gesù Cristo; perché ogni esperienza umana sia un canto d'amore al Padre che per primo ci ha amati.
    Crediamo che su questo piano si giochi, con i giovani d'oggi, la «credibilità dell'annuncio di fede» (RdC 96). Le conseguenze sono immediate. Ne ricordiamo una, quella che collega ogni possibile ricerca di conclusioni. Se quello che abbiamo tracciato è l'orizzonte normativo per la pastorale giovanile, la scelta di opzioni, di metodi, di interventi, di modelli va continuamente verificata da questa prospettiva. La comunità che fa una proposta o vive un progetto pastorale deve, prima di tutto, chiedersi se ciò si colloca in questo orizzonte: se è una proposta che ha senso (per chi l'ascolta), se è salvezza, se offre una novità di vita, in chiave di «lode al Padre». Quando qualche elemento lascia dei dubbi, abbiamo l'impressione che l'onestà del nostro servizio pastorale ci costringa alla fatica di ripensare i termini della proposta. Qualche volta si tratta di semplice riformulazione; altre volte è stata interpellata poco l'esperienza storica dei giovani; altre volte, forse, non è fede ma ideologizzazione della fede, suo svuotamento.
    Il progetto di evangelizzazione che stiamo elaborando, si colloca in questa ottica.

    RIFLESSIONE SULLA PRASSI:TESTIMONIANZE E PROBLEMI

    Il luogo dove l'evangelizzazione dei giovani trova maggiori possibilità di accoglienza e di incidenza, è il gruppo. Per molti, oggi soprattutto, senza l'appartenenza ad un gruppo giovanile o ad una comunità ecclesiale, è difficile ogni approfondimento e maturazione della fede.
    Questo è un dato ormai pacifico.
    Purtroppo gli operatori pastorali si accorgono che il gruppo non basta; o, meglio, non apre all'evangelizzazione spontaneamente, per il solo fatto di esistere.
    Sono richiesti interventi espliciti e diretti; ci vuole una certa strutturazione interna e il coraggio di alcune scelte precise. t difficile dire in concreto quali siano queste scelte. La storia dei vari gruppi è punteggiata di gesti abbastanza simili, che danno i risultati i più disparati: alcune cose funzionano quasi sempre; altre invece sono legate a troppe varianti, per poter essere generalizzate.
    Per fare una proposta concreta, abbiamo invitato quattro gruppi (per la precisione, tre gruppi e un movimento) a raccontarci la storia della loro maturazione di fede. Emerge il cammino di parecchi anni, gli scossoni e i cambi di rotta, le grandi intuizioni e i punti-fermi.
    Sono storie vere, molto eloquenti se i gruppi avranno la pazienza di meditarle, sapendo cogliere tra le righe quello che può riferirsi anche alla loro storia. Per facilitare questa importante opera di «riflessione sulla prassi», abbiamo evidenziato alcune chiavi di lettura.

    CONTRIBUTI PER UN PROGETTO DI EVANGELIZZAZIONE

    Coloro che hanno letto con attenzione la storia della maturazione di fede avvenuta nei gruppi citati e hanno trovato il coraggio di analizzare criticamente anche la propria prassi, certamente si sono sentiti provocare da molti interrogativi.
    A noi è capitata la stessa cosa. Dopo aver scorso una serie di esperienze significative, ci siamo detti: queste scelte sono tutte corrette? esistono dei punti-fermi che definiscono l'evangelizzazione (e i metodi con cui la si realizza), da cui giudicare la prassi? dove vogliamo arrivare, per poter concludere che il cammino percorso è sufficiente?
    In altre parole, abbiamo sentito il bisogno di giudicare la prassi alla luce di alcuni valori normativi, proprio nel momento in cui inducevamo dalla prassi una serie di suggerimenti per un progetto pastorale.
    Nell'educazione alla fede non è possibile la creatività in assoluto.
    Non solo la fedeltà all'uomo va normata sulla fedeltà a Dio (ed è l'unico modo per essere veramente fedeli all'uomo), ma l'accettazione di contributi multidisciplinari nella pastorale giovanile, richiede il rispetto di quanto le scienze educative oggi danno come acquisito.
    Esistono quindi alcuni punti-fermi di fondazione teologica ed altri di respiro antropologico: nella loro sintesi sono i criteri per un servizio « vero » all'uomo, figlio di Dio nel qui-ora della sua esistenza storica.
    Questo sul piano dei principi. E in concreto?
    Possiamo fare lunghi elenchi di processi pastorali che a noi sembrano ormai consolidati, tanto da diventare orientativi. Sulla rivista ne abbiamo parlato in molte occasioni. Soprattutto la monografia citata in apertura (1974 /9-10) riporta alcuni di questi criteri.
    Qui sottolineiamo quei temi, in parte nuovi e in parte già accennati, che ci sembrano particolarmente urgenti e concreti.

     


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