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    Cosa vuol dire educare gli atteggiamenti



    Mario Delpiano

    (NPG 1995-04-48)


    Educare è perseguire cambiamenti nelle persone e consolidare quelli avvenuti consapevolmente.
    L'itinerario allora costituisce il cammino per indurre nelle persone, attraverso l'esperienza della realtà e dei rapporti con gli altri, la presa di coscienza e la decisione di cambiare, di modificare se stesse, ma non in maniera passiva, propria di chi subisce la realtà, bensì in modo attivo e creativo, come chi ha intravisto una direzione al progetto da perseguire.
    Ebbene, parlare di atteggiamenti è proprio interessarsi dei cambiamenti nelle persone intenzionalmente perseguiti; focalizzare in educazione il discorso sugli obiettivi, sulla ragione stessa per cui ci si educa.
    Le persone restano al centro dei processi educativi perché il loro cambiamento rappresenta la ragione ultima della prassi educativa.
    Prima perciò di rispondere agli interrogativi: cosa vuol dire educare gli atteggiamenti, come si persegue l'educazione degli atteggiamenti, occorre affrontare alcune questioni preliminari che si riassumono intorno alla seguente: perché educare le persone, produrre cambiamenti in esse, significa educare gli atteggiamenti?

    LA CENTRALITÀ DEGLI ATTEGGIAMENTI

    Non tutti in educazione sono d'accordo sul fatto che educare sia educare gli atteggiamenti.
    Infatti spesso si parla di mete, idealità, finalità e obiettivi, anche valori, ma poco di atteggiamenti, e poi, quando si scende al concreto, verso il particolare e lo specifico, ci si perde facilmente in elenchi infiniti di abilità da assicurare, in operazioni da compiere in termini di "cose da sapere e da saper fare", e infine ci si sono cimentati i sacerdoti della tecnologia educativa con le loro tassonomie di obiettivi: e le cose si sono davvero complicate.
    È vero che quando si ha a che fare con la persona umana le cose non sono mai semplici, chiare e distinte.
    Parlare e trattare dell'uomo è trattare della complessità; l'uomo oggi lo pensiamo come un "sistema complesso" dove le cose non sono mai date nella forma "elementare", ma nella forma "complessa" di sistema, cioè di unità e insieme di molteplicità.

    Tre "mondi" che rischiano di andare per conto loro

    Quando si intende pensare ai cambiamenti da produrre negli educatori e negli educanti (ma ci sarebbe da chiedersi: "chi educa chi?"!), si può ricorrere facilmente, anche se non siamo degli esperti di tecnologia educativa, ai cambiamenti che si possono indurre nelle persone prese come "testa", come "cuore" e come "corpo in movimento".

    Il "mondo cognitivo" della persona

    Nel primo caso, quando pensiamo all'uomo come "testa", perseguiamo cambiamenti espressi in termini di articolazione della mappa mentale del soggetto, cioè di modifiche nel modo di organizzare la realtà del mondo attraverso il pensiero e il linguaggio e di interpretare le cose. Sono quei particolari tipi di cambiamento nel soggetto di cui si interessa in maniera preponderante e in forma alquanto elaborata (scientifica, dicono, ma sarà proprio vero?) la scuola con la didattica. Le sue unità di cambiamento sono i cosiddetti "obiettivi cognitivi".
    Questo tipo di cambiamento mentale del giovane viene spesso anche perseguito tematicamente dagli operatori di pastorale giovanile, soprattutto attraverso la risorsa degli interventi di tipo catechistico.
    Questo primo tipo di cambiamento è alla portata di tutti; ne facciamo esperienza quotidianamente nella vita di tutti i giorni, quando impariamo cose sempre nuove, cioè assumiamo nuove informazioni dall'esperienza e veniamo così a modificare la mappa mentale attraverso cui le elaboriamo.
    Dobbiamo riconoscere che questo tipo di cambiamenti sono quelli più intensamente perseguiti da chi istruisce attraverso i cosiddetti processi di insegnamento-apprendimento, e in tal modo pensa di educare.
    Si tratta senza dubbio di cambiamenti importanti; tuttavia essi non sono il tutto e nemmeno la parte fondamentale dei cambiamenti che noi perseguiamo attraverso l'itinerario di educazione alla fede.
    Il motivo è molto semplice: il giovane e l'educatore non sono solo "testa"; sono anche, come ho richiamato più sopra, "cuore" e "corpo in azione".
    Il cambiamento che perseguiamo in pastorale giovanile è molto più globale, e non ci accontentiamo di una gran bella testa!
    Con l'itinerario vogliamo raggiungere un livello di cambiamento della persona che sia in qualche modo "cambiamento di tutto l'uomo", nella sua interezza di sistema complesso.

    Il "mondo affettivo" del soggetto

    Allora ci si apre un secondo livello di cambiamento: potremmo infatti aver insegnato ad un giovane a parlare e pensare da discepolo di Gesù fino a divenire perfetto ripetitore della bibbia a memoria, ma trovarci di fronte un giovane che ancora non "condivide" e non si "appassiona" alla vita e alla visione del mondo che Gesù ha fatto sua.
    Questa considerazione ci apre a riconoscere l'esistenza di un ulteriore modo di pensare il cambiamento delle persone: il cambiamento nel mondo affettivo, il mondo della sensibilità, della spinta emotiva, della pulsione vitale che muove l'individuo e gli da lo slancio per rischiare nel mondo della vita.
    Per questo la riflessione più impegnata sui processi di cambiamento in educazione ha aperto la riflessione su questo tipo di cambiamento, di cui è necessario tener conto anche dentro gli stessi processi di apprendimento. Nella ricerca pedagogica è diventato il livello degli obiettivi affettivi.
    La riflessione, pur fruttuosa, possiede però il limite di accostare ad un mondo della persona (quello cognitivo) un altro: quello emotivo-affettivo, senza indicare le connessioni tra le due componenti e il legame con quel tutto che è rappresentato dall'unico soggetto.
    Dobbiamo riconoscere che nella riflessione sui cambiamenti da produrre attraverso l'educazione, questo rappresenta indubbiamente un passo avanti.
    Non è sufficiente dire che occorre cambiare la testa e poi anche il cuore dell'uomo.
    Non possiamo accontentarci, se perseguiamo davvero il cambiamento in profondità di tutto l'uomo.
    Alla riflessione fin qui percorsa manca ancora un elemento: quello che chiamiamo il "terzo mondo" che l'uomo abita: e cioè il suo corpo che agisce e si muove nello spazio tra i corpi delle cose e delle persone.

    Il mondo del "corpo che si muove"

    L'uomo infatti, oltre che, anzi è proprio il caso di dire "prima" che testa e cuore, è "corpo che si muove nello spazio".
    Questo costituisce davvero l'elemento di base per chi intende produrre cambiamenti nelle persone; perché non abbiamo a che fare con spiriti o fantasmi, ma con l'essere dell'uomo in quanto corpo vivente che agisce e si incontra con gli altri corpi.
    Esso è stato in altri tempi la preoccupazione dominante in educazione, in un periodo in cui la parola d'ordine era data dai verbi "conformare, adattare, adeguare" il comportamento dei soggetti agli standard ambientali, senza bisogno di impegnare i soggetti nell'interiorizzazione; per quello nella società vi erano predisposti altri meccanismi.
    Successivamente l'aspetto corporeo e comportamentale è diventato un settore trascurato dalla riflessione educativa. Corpo e operatività comportamentale e gestuale sono stati quindi rimossi e svalutati nell'orizzonte dell'educazione, fino ad apparire un elemento di serie B, rispetto ai cambiamenti "superiori", soprattutto quelli dell'ambito cognitivo e razionale.
    Il suo ricupero da parte della pedagogia ispirata a modelli comportamentisti e organicisti ha fatto da bilanciamento e da ricostituzione di un equilibrio seppure ancora instabile.
    Quello che ancora mancava era l'integrazione di queste componenti inseparabili dell'uomo. La riflessione sull'atteggiamento va in proprio in questa direzione.

    Un livello di cambiamento capace di unificare i "tre mondi"

    La nostra riflessione non vuole essere né oziosa né accademica.
    C'è qualcosa di molto concreto e di importante che ci sta a cuore e ispira la nostra ricerca.
    Ci stiamo interrogando su quale sia il livello di cambiamento che intendiamo perseguire nei processi educativi dell'itinerario, in modo di unificare e tenere insieme questi tre mondi d'esperienza interna del giovane: "testa, cuore e corpo", o fuori di metafora, emotività, razionalità e corporeità.
    O, se vogliamo esprimerla in termini tecnici di progettazione educativa: vogliamo individuare un ulteriore livello di obiettivi, il livello educativo (cioè di cambiamenti intenzionalmente perseguibili sia dall'educatore che dal giovane) tale che sappia mettere insieme (sim-bolico appunto), dunque non li escluda, obiettivi cognitivi, obiettivi affettivi e obiettivi comportamentali.
    Ebbene questo livello di cambiamento è rappresentato per noi dagli atteggiamenti.
    Il cambiamento che perseguiamo nell'itinerario è quello di modificare e/o consolidare gli atteggiamenti delle persone.
    Ben consapevoli del fatto che, quando diciamo "atteggiamento", non indichiamo qualcosa in più da aggiungere agli obiettivi cognitivi, affettivi e comportamentali.
    Indichiamo invece qualcosa di ulteriore in grado di tenerli in connessione.

    COSA È ATTEGGIAMENTO?

    A questo punto diventa opportuna una definizione di atteggiamento.
    Intendiamo per atteggiamento una "disponibilità, agile e pronta, perciò frutto di organizzazione interna della personalità, ad entrare o porsi in relazione con" la realtà (se stessi anzitutto, e più ancora gli altri, ma anche le cose, la natura, il mistero) sapendosi richiamare a motivazioni ideali personalizzate (i valori interiorizzati).
    L'accento sugli atteggiamenti, in quanto dimensione relazionale e operativa della struttura di personalità, chiama in campo il compito centrale in educazione della formazione dell'identità personale e di conseguenza il rapporto che la connette con l'identità sociale (quindi il sistema dei ruoli. delle aspettativa, dei rapporti sociali).
    L'identità personale infatti emerge e si staglia, come processo di differenziazione e di individuazione, dall'interno dei diversi sottosistemi sociali in cui si vive.
    Gli atteggiamenti sono dunque legati all'identità personale e al sistema delle relazioni originali che una persona instaura nell'ambiente sociale.
    Essi rispecchiano perciò la "complessità" della persona e del sistema in cui vive, oltre che dei cambiamenti da produrre.
    Ed assicurano (esprimendola), la "globalità" dei cambiamenti da produrre, perché toccano al contempo "tutto" l'uomo, esteriorità e interiorità, mente, cuore e corpo.
    In quanto unità complessa di cambiamento l'atteggiamento racchiude:
    - le componenti emotivo-affettive in grado di attivare e mobilitare energia vitale nella persona;
    - le componenti cognitivo-linguistiche in grado di assicurare alla persona che entra in relazione la consapevolezza di abitare una "realtà ordinata e organizzata dal linguaggio" e per questo più o meno trasparente alla coscienza;
    - le componenti comportamentali-operative che "mettono in atto, mettono in scena" all'esterno, e perciò rendono visibile e riconoscibile, attraverso gestualità, operazioni sempre comprensibili in termini di oggettivazioni linguistiche, verbali o non;
    - le componenti valoriali interiorizzate della cultura sociale che rappresentano le ragioni vitali alle quali ci si ispira e dalle quali ci si lascia regolare nel cambiamento.
    Questa unità è data appunto dal pensare il cambiamento come un "porre tutto se stesso in relazione con la realtà" e con l'alterità da sé in particolare. Questo è atteggiamento.

    GLI ATTEGGIAMENTI AL CENTRO DELL'ITINERARIO

    Siamo convinti che questa scelta rappresenti un punto qualificante dell'itinerario e un punto innovativo nel pensare l'educazione alla fede.
    La scelta di privilegiare gli atteggiamenti è anche un punto discriminante nella diversificazione dei modelli e chiarificatore del modo di collocarci all'interno del pluralismo delle concezioni di pastorale giovanile.
    Con questa scelta è in gioco la "qualità" dell'itinerario.
    Essa rappresenta un "cambio di mentalità" e un'ottica critica verso la prassi educativo-pastorale corrente, dove solitamente la preoccupazione fondamentale viene posta sull'acquisizione delle conoscenze o sulla visibilità dei comportamenti, senza grande interesse per l'interiorità, cioè l'intenzionalità soggettiva e la sua apertura relazionale verso la realtà.
    Collocare al centro gli atteggiamenti è dunque un modo per riconoscere, oltre che la complessità del sistema uomo, la sua "apertura" (nell'animazione pensiamo ai sistemi aperti) e perciò la sua dimensione di imprevedibilità, "di mistero inviolabile di vita". E in questo senso è anche il modo in educazione di restituire alla persona lo spazio inviolabile e sacro della coscienza e della libertà, perciò della sua responsabilità.
    L'atteggiamento matura "da dentro", come la pianta dal seme, sotto una forza che non è altro che quella della vita che si apre al di fuori di se stessa e si comunica.
    Tutto ciò inoltre, nell'orizzonte teologico-pastorale significa il riconoscimento prioritario della azione dello Spirito di Gesù, il suo abitare le profondità del cuore dell'uomo e il suo sospingere da dentro l'apertura all'alterità del mondo; è perciò anche in gioco la nostra spiritualità, quella che anima tutto l'itinerario.
    Educare agli atteggiamenti è così una scommessa da parte dell'educatore sulla vita: quella propria e quella dell'altro da incontrare nella relazione. Non solo sulle parole e sui gesti, sempre troppo poveri e inadeguati per rivelare quello che l'uomo è nel più profondo di se stesso.

    L'ATTEGGIAMENTO: TRA INVERIFICABILITÀ E ESIGENZE DI VERIFICABILITÀ DEI PROCESSI FORMATIVI

    Viviamo in un tempo in cui acquistano sempre più importanza e centralità le preoccupazioni per l'efficienza, per l'interesse a misurare le cose e le persone in termini di produttività, a verificare e valutare l'esito dei processi di cambiamento.
    Certo in educazione questa è una esigenza che, se accolta ma non assolutizzata, può riversarsi positivamente su tutto il processo; e ce n'è davvero bisogno! Perché spesso l'educare è stato solo un processo a perdere, un investimento di risorse senza mai essere razionalizzato e sottoposto a verifiche, controlli, a valutazioni pensate come feedback in grado di correggere il cammino e di riorientare verso mete più praticabili.
    Ebbene, la scelta degli atteggiamenti ci permette di rilanciare la domanda di base per chi è interessato e preoccupato di misurare i processi: "Chi verifica chi?".
    Affermare la centralità degli atteggiamenti vuol però dire affermare che, in un certo senso, ogni processo di cambiamento delle persone tende a sottrarsi a qualsiasi pretesa di controllo esterno, di "verificabilità oggettiva" e docimologica che abbia la pretesa di non lasciare spazio alla soggettività.
    È affermare la "inverificabilità", almeno secondo l'accezione corrente, dei cambiamenti.
    Essa permette invece di riaffermare la centralità del soggetto in educazione, anche nei processi di verifica e valutazione. È un voler restituire al soggetto la propria interiorità che si esprime sempre nel suo essere in relazione, e affidare a lui anzitutto il compito della verifica del cambiamento in sé e della qualità del cambiamento del mondo che lo circonda. È restituire al soggetto parola e protagonismo sulla sua vita.
    Posta questa premessa, nell'itinerario di educazione alla fede non ci sottraiamo però alle corrette esigenze di verificabilità dei processi di cambiamento che come educatori mettiamo in atto.
    Per questo, pur asserendo l'inverificabilità ultima dall'esterno dell'atteggiamento, ci accorgiamo di potere ritagliare uno spazio adeguato e significativo di "regolazione" dei processi anche per gli educatori, senza delegarlo esclusivamente ai giovani in quanto soggetti direttamente responsabili dei cambiamenti nella loro vita.
    In che modo? Provo ad indicarlo.
    Anzitutto riconosciamo lo spazio alquanto importante riservato propriamente all'educatore per sollecitare e sostenere il giovane nel cogliere il nesso tra i suoi comportamenti e le sue idee da un lato e gli atteggiamenti che li sottendono dall'altro; e ciò affinché sia il giovane stesso a "scendere dentro se stesso", a ricuperare l'interiorità della coscienza riflessa e ad autoverificarsi in relazione agli obiettivi di cambiamento perseguiti insieme.
    È questo il livello più autentico e più proprio della verifica: solo il giovane la può fare, e nessuno può a lui sostituirsi. L'educatore può essergli di prezioso aiuto per favorire questa capacità.
    Allora il processo di verifica degli atteggiamenti, tra loro cambiamento e consolidamento, rimane esclusivamente in balia della soggettività e del privatismo? Come aiutare il giovane a verificarsi in termini di oggettività?
    Certamente l'accento sugli atteggiamenti sbilancia tutto il processo di verifica dalla parte della soggettività, ma questo non ci esime di perseguire le esigenze di una verifica oggettiva, rispettosa della verità della vita e della sua qualità che determinati atteggiamenti possono lasciare trasparire o viceversa occultare.
    Nella nostra prospettiva la verità oggettiva degli atteggiamenti è qualcosa che si sporge "oltre" quella che può essere concepita come la verità di una qualche oggettivazione linguistica, sia essa espressa in termini di comportamento verbale o di comportamento gestuale.
    La verità dell'atteggiamento è di una oggettività propria del linguaggio simbolico, di quello che riconosce e fa spazio alla soggettività, di quello che indica la direzione e non i confini bell'e fatti.
    Attraverso i comportamenti linguistici verbali o gestuali, che svelano e nascondono al contempo l'atteggiamento, noi possiamo cogliere "la direzione" del cammino verso cui esso rinvia, senza mai svelarne completamente e definitivamente la verità, cioè la qualità di vita che esso contiene.
    La verità dell'atteggiamento è dunque sempre parziale e provvisoria, è sempre oltre; non è mai posseduta e assicurata una volta per tutte; è più una direzione di marcia da verificare continuamente; è l'apertura del sistema uomo alla relazionalità.
    Per questo il contesto entro il quale restituire al soggetto la capacità di verificare e valutare i propri atteggiamenti, tra cambiamento e consolidamento, è quella della intersoggettività, del confronto e del dialogo, dello scambio e della circolarità.

    IL RAPPORTO TRA ATTEGGIAMENTI, VALORI, CONOSCENZE, COMPORTAMENTI

    A questo punto siamo anche in grado di precisare ulteriormente il rapporto tra queste differenziazioni nella definizione del cambiamento nella qualità della vita della persone.
    Dobbiamo affrontare il rapporto cioè tra atteggiamenti, valori, conoscenze e comportamenti.
    Riconosciamo anzitutto il nesso esistente tra quelle che sono alla fine "utili distinzioni", ma solo funzionali, all'esprimersi della vita nelle persone.
    In secondo luogo ribadiamo la necessità di cogliere questi diversi elementi come in rapporto circolare tra loro: quanto più si connettono, tanto più si rafforzano reciprocamente, e la modifica di qualcuno di essi produce un cambiamento in tutto il sistema.
    Per esemplificare: l'approfondimento della vita in termini di sviluppo di consapevolezza intorno ad essa, sostiene il consolidarsi degli atteggiamenti; cogliere alcuni aspetti della vita come valore, e dunque capaci di mobilitare energia psichica, tende a tradursi anche sul piano operativo dei comportamenti linguistici, verbali e non verbali.
    Ma anche lo sperimentare e il consolidare forme di relazione con sé e con gli altri ispirate ad un valore (per esempio la non violenza) si traduce in un ampliarsi della coscienza della realtà, in una modifica del modo con cui si interpretano le cose, e le persone in rapporto tra di loro, e in una tendenza a sperimentare nella pratica gestuale tale modo di porsi nei confronti della realtà.
    In particolare sentiamo di dover ribadire anzitutto lo stretto legame esistente tra i valori e gli atteggiamenti: il frammento di valore sperimentato in una relazione con l'altro offerta gratuitamente, cioè la qualità della vita di cui ci si appropria nel vissuto quotidiano fatto di esperienze e di relazioni, viene interiorizzato attraverso il processo di valorizzazione soggettivo (giudizio di qualità sulla realtà sperimentata) ed in tal modo esso mobilita il soggetto a sperimentarsi in rapporto con la realtà secondo quel particolare valore.
    Il legame valori-vissuti-atteggiamenti è dunque essenziale.
    Come può essere pensato invece il rapporto tra conoscenze e atteggiamenti?
    Le conoscenze, e perciò le abilità linguistiche che ne derivano per lo stretto legame tra pensiero e linguaggio, sono da pensarsi come "secondarie" e "derivate" rispetto agli atteggiamenti. E mi spiego.
    Il momento riflesso, cioè quello della comprensione razionale del mondo, in cui si oggettivizza la conoscenza attraverso il linguaggio, si accompagna ed è "momento secondo" rispetto al vissuto esperienziale e relazionale.
    Gli atteggiamenti nuovi sono prima vissuti e sperimentati, magari nell'accondiscendere ad una relazione che l'altro pone gratuitamente con noi, successivamente essi vengono "pensati" (cioè rielaborati discorsivamente) proprio attraverso la loro oggettivazione linguistica operata dalla memoria che racconta, dal pensiero che interpreta, dal linguaggio che organizza il vissuto dell'esperienza relazionale.
    Le conoscenze e le competenze linguistiche sono sì importanti in pastorale, ma vanno riconosciute come derivate e secondarie rispetto alla primarietà delle relazioni comunicative che mediano l'esperienza vitale.
    In questo senso l'atteggiamento è sempre in ordine alla comunicazione interpersonale tra soggetti che si scambiano vita.
    E così le conoscenze appaiono come altrettanti "comportamenti" di tipo linguistico che rendono possibile l'esperienza e la comunicazione.
    Qual è infine il legame tra atteggiamenti e comportamenti?
    L'atteggiamento, in quanto disposizione consolidata a porsi in relazione con la realtà, non rimane solo un fatto interiore, così come non è nemmeno solo un dato esteriore.
    L'atteggiamento diventa gestualità, si esprime in comportamenti linguistici e psicomotori; in operazione osservabili e valutabili.
    L'atteggiamento deve dunque "tradursi in comportamenti" visibili e sperimentabili.
    Riconosciamo perciò anche tutta l'importanza e il peso dei "gesti concreti" per educare agli atteggiamenti.
    Ma ad una condizione imprescindibile: che essi siano ricondotti al "senso" che l'interiorità contiene e che non sempre il gesto adeguatamente esprime o che il soggetto è in grado di rendere trasparente.
    Per questo diventa importante il linguaggio e la presa di coscienza.
    E questo è tutto il campo aperto all'intervento educativo: aiutare l'altro a risalire dai comportamenti ai "perché", alle ragioni, ai motivi, soprattutto risalire ai valori e ai modelli relazionali che sottendono ciascun comportamento. O, viceversa: sollecitare ad incarnare, a dar corpo e movimento, a liberare parole e pensieri, gestualità e operatività, a quelle sensibilità valoriali, a quei modelli relazionali cui ci si ispira e che si auspicherebbero come regolatori del proprio modo di collocarsi nel mondo, di rapportarsi con sé, con gli altri, con le cose, con la natura, con il mistero.
    Di fatto oggi, con uno sguardo attento e critico alla prassi pastorale, assistiamo ad alcune cadute di tensione educativa, come:
    - la tendenza generalizzata a dare maggior valore e peso all'esteriorità del comportamento che non all'interiorità dell'atteggiamento; essa è una soggezione culturale a modelli antropologici di tipo comportamentistico e solo funzionale;
    - l'assumere da parte di certi giovani "comportamenti ineccepibili" (e la condiscendenza da parte degli educatori per una cosiddetta "buona educazione" che sconfina nel senso comune), anche di tipo "religioso-sacrale", ma che si rivelano essere solo "di facciata", senza alcun rapporto con l'interiorità propria dell'atteggiamento.
    O a certi comportamenti ineccepibili di buone maniere fanno contrasto altrettanti atteggiamenti di intolleranza, di indifferenza o di rifiuto (penso ad un certo razzismo che affiora) che rivelano in realtà modi di porsi in relazione con l'altro radicalmente negativi.
    Su di un altro versante, ed è cosa ancora più facilmente riscontrabile, si danno modi di porsi in relazione con Dio, o anche con quelli del proprio gruppo (dunque atteggiamenti) in netta contraddizione con stili relazionali agiti nei confronti degli altri, di quelli che non sono sentiti come "del giro".
    Ciò è indice rivelatore di un grande cammino da compiere nell'educazione degli atteggiamenti.

    SUSCITARE, MATURARE, CONSOLIDARE ATTEGGIAMENTI

    Ci interessa educare ad atteggiamenti; perciò l'impegno è quello di sostenere le persone nel cambiamento e favorire in esse il consolidarsi di atteggiamenti positivi acquisiti, l'affiorare in esse di atteggiamenti nuovi, corrispondenti a quelle qualità della vita che ci stanno particolarmente a cuore.
    Se dunque atteggiamento vuol dire davvero quella qualità della vita nuova nel soggetto che consiste in un certo modo di porsi in relazione con l'alterità, allora dobbiamo riconoscere dalla prospettiva teologica che essi sono anzitutto "frutto di gratuità e dono dall'alto", da invocare e da accogliere, prima ancora che frutto di conquista e di appropriazione.
    Riconosciuto il primato della gratuità, il loro essere "grazia di vita", dobbiamo immediatamente riconoscere che essi maturano, si acquisiscono, si consolidano nella vita delle persone attraverso i processi educativi, cioè attraverso quella "grazia della comunicazione" che è rappresentata dall'incontrarsi nella libertà di soggetti diversi che si scambiano vita-in-qualità proprio quando accettano di rischiare se stessi nella relazione con l'altro; e riconoscono che la differenza non rappresenta un limite invalicabile o un ostacolo, bensì la possibilità unica che è offerta all ' uomo di un incontro che si riversa su tutti come ricchezza e novità.
    L'educativo serve quell'evento di gratuità che è la comunicazione e che viene interpretato da chi è credente come appello del Dio della vita che chiama al cambiamento di sé e del mondo. Ma insieme l'educazione serve anche, potenziandola, la capacità di risposta all'appello da parte dell'uomo che accetta di porsi in relazione con il Dio che lo cerca.

    Le condizioni educative

    Per un approfondimento educativo possiamo richiamare quelle "condizioni educative" che l'ambiente può creare e promuovere e che sollecitano al cambio o al consolidarsi degli atteggiamenti.
    - Anzitutto gli atteggiamenti si maturano "insieme"; l'appartenenza significativa e vitale ad un contesto interpersonale, rende anzitutto accessibile e sperimentabile gli atteggiamenti di cui si vuole fare esperienza e che si intendono indurre nei soggetti, facendo appello alla loro libertà e coscienza.
    - Insieme vuol dire, in concreto, nel mondo vitale.
    La scelta del gruppo primario, che pone la massima attenzione, al di là della produttività e dell'efficienza, alle relazioni tra i membri e alla loro qualità, diventa il riconoscimento di quale deve essere questo "grembo naturale" entro cui far fiorire atteggiamenti, farli sperimentare, verificarli e consolidarli.
    Il gruppo è il laboratorio di atteggiamenti nuovi e il luogo primario della loro acquisizione critica e consapevole.
    - La comunità educativa acquista inoltre una funzione particolare. Essa permette di costituirsi come "mediazione simbolica" tra ambiente e individuo nel suo mondo vitale, per offrire al soggetto quelle risorse in termini critici: essa diviene uno spazio di confronto e di critica sugli atteggiamenti; ne sviluppa e dilata la presa di coscienza, mentre può costituirsi come punto di riferimento esterno a gruppo e autorevole, vivaio di atteggiamenti nuovi, agorà di confronto, di dibattito, di discernimento.
    Dentro questi sistemi aperti di comunicazione rappresentati dal gruppo e dalla comunità educativa, c'è bisogno di un elemento che funga da "catalizzatore" dei processi.
    L'educatore con la sua relazione educativa (quella che gestisce con il gruppo e con l'ambiente e che vive con tutti i suoi membri) diventa un elemento di mediazione prezioso.
    La relazione educativa infatti è il modo incarnato di far vivere, sperimentare e proporre all'altro, sollecitandone la risposta in termini correlativi, un particolare atteggiamento.
    Proponendosi nella relazione comunicativa, l'educatore fa vivere in concreto gli atteggiamenti perseguiti e al contempo, proprio perché la comunicazione è sempre bilaterale e circolare, offre all'altro la possibilità di cimentarsi nello stesso atteggiamento.
    Un atteggiamento di accoglienza, per esempio, o di empatia o di non violenza sollecita nell'altro, destando la consapevolezza e appellandosi alla libertà, una corrispondente apertura relazionale in termini di accoglienza, di simpatia o di non violenza.
    La componente affettiva della relazione "apre" affettivamente l'altro al mondo e agli altri, in un gioco gratuito e imprevedibile di reciprocità.
    - Se la via dell'esperienza è quella che induce il cambiamento nella persona in termini di nuovi atteggiamenti, dobbiamo riconoscere perciò il peso condizionante sia delle esperienze primarie del soggetto, sia di tutte le successive esperienze indotte dall'ambiente. E insieme riconoscere che "senza fare esperienza sulla propria pelle", cioè senza poter entrare in contatto diretto e fisico (con corpo, testa e cuore) da parte del giovane con il mondo, cioè nella relazione con le cose, gli oggetti, la natura, gli altri, non si inducono atteggiamenti nuovi e non si consolidano quelli ancora solo provvisoriamente acquisiti.
    Naturalmente il momento della elaborazione simbolica e cosciente dell'esperienza costituisce sempre un punto luce qualitativo per l'auto-orientamento del soggetto, che impara a discernere e a comprendere le ragioni di scelta di un atteggiamento rispetto ad un altro.

    QUALI ATTEGGIAMENTI PER L'ITINERARIO DI EDUCAZIONE ALLA FEDE?

    Spesso quando ci si accinge a chiedersi quali atteggiamenti oggi vanno coltivati, ci si riduce ad un elenco infinito di atteggiamenti, lungo come la lista della spesa al sabato.
    Più che elencare credo sia importante invece lavorare per una definizione di quella costellazione di atteggiamenti (un sistema a rete?) che possano per noi dire oggi, in situazione, nel concreto della socio-cultura e del particolare momento storico di cambiamento, quella che appare sempre più come "direzione di scommessa sul futuro dell'uomo".
    Anche qui alcune indicazioni possono rivelarsi utili:
    - l'individuazione degli atteggiamenti che fanno nuovo l'uomo va operata articolando tre elementi: attenzione alla memoria culturale come viene riespressa nel momento presente (i valori della socio-cultura in cui si opera), attenzione alla situazione culturale del mondo giovanile (come sfida che proietta nel futuro il presente della cultura e come punto di partenza verso la novità) e custodia amorosa della memoria pericolosa dell'evangelo (come riferimento alle esigenze oggettive e profetiche dell'esistenza cristiana: in particolare a quella costellazione di atteggiamenti umani radicalizzati in termini di fede-speranza-carità).
    - La mentalità da itinerario ci ha abituati a pensare gli atteggiamenti non in termini di assemblaggio, ma in una logica germinale.
    Questo vuol dire per noi un'ottica del tutto: la scelta di far crescere nei giovani atteggiamenti sempre più consapevolmente ispirati all'esperienza evangelica, e ciò nella logica del cammino, significa assumere come riferimento il percorso delle quattro aree dell'itinerario: in esse gli atteggiamenti vengono progressivamente approfonditi, dilatati, radicalizzati e caricati di una intenzionalità che li rinnova.
    Cosicché di area in area gli atteggiamenti divengono capaci di esprimere, sempre simbolicamente, la radicalità degli atteggiamenti evangelici che chiamiamo fede-speranza-carità.
    - Un'altra nota nasce dal nostro tentativo di provare a dirci gli atteggiamenti: essi non sono mai isolati, ma, come nella logica delle ciliegie (una tira l'altra) essi si richiamano reciprocamente l'un l'altro. Cosicché provarsi ad individuare atteggiamenti è sempre costruirne un grappolo, elaborare un reticolo di elementi correlati. Alla fine gli atteggiamenti non stanno mai da soli! Proprio perché l'uomo è sempre assunto nella sua totalità, cioè nella relazione con sé, con gli altri, con le cose e la natura, con il mistero.
    - Infine ci chiediamo: c'è qualche filtro-criterio nella selezione degli atteggiamenti?
    La risposta potrebbe essere: pensiamo all'atteggiamento come unità complessa del cambiamento delle persone da indurre nel cammino indicato dall'itinerario di educazione alla fede, in un contesto dunque di comunità in cammino.
    Allora è proprio dentro l'itinerario che possiamo ritrovare alcuni elementi di criterio per l'opera di definizione e di selezione degli atteggiamenti.
    Infatti gli atteggiamenti sono sempre riferiti ad un'area dell'itinerario, un'area che ha la sua logica e rappresenta un certo modo e un certo livello di consapevolezza di riespressione della grande e unica meta: la vita piena e abbondante per tutti.
    In secondo luogo, all'interno dell'area, la selezione degli atteggiamenti viene orientata dai differenti movimenti progressivi che assicurano l'intero percorso educativo per ciascuna area.

    VERSO UNA COSTELLAZIONE DI ATTEGGIAMENTI

    Mi sembra tuttavia che in questo preciso momento storico culturale, in una fase di crisi e di veloce transizione, guardando alla condizione e alla cultura giovanile, si possa individuare una costellazione di atteggiamenti che possono quanto mai favorevolmente qualificare l'uomo nuovo di cui oggi andiamo alla ricerca.
    E tale costellazione di atteggiamenti, pur provvisoria e incompleta, deve necessariamente contemplare quelli che qui ci proviamo ad indicare:
    * Un atteggiamento di ricerca e di inquietudine del desiderio di vita contro il rischio del sentirsi arrivati (da parte degli adulti) e l'adagiarsi su false sicurezze (soprattutto da parte dei giovani);
    * una atteggiamento di ricerca dell'unità dentro se stessi per ricondurre i propri vissuti ad un "centro interno" quale antidoto alla frammentazione dell'identità e al nomadismo esperienziale;
    * un atteggiamento sapienziale di riflessione e presa di coscienza della realtà, un "saper andare dentro le cose" per un lavoro in profondità sul vissuto quale condizione indispensabile per accedere a livello del "senso" e quale condizione per poter scegliere davvero nella libertà;
    * un atteggiamento di ottimismo e di stupore di fronte alla vita come capacità di meravigliarsi e come disponibilità al riconoscimento delle ragioni positive che rilanciano la fiducia nella vita;
    * un atteggiamento di apertura empatica, di riconoscimento e di accoglienza dell'alterità in quanto "differenza" (di genere, di età, di cultura, di visione politica, di riferimento religioso...) come capacità di viverla nella convivialità e nel gioco della reciprocità;
    * un atteggiamento di solidarietà verso l'altro come soggetto di bisogno e come capacità di assunzione di responsabilità;
    * un atteggiamento di riconoscimento e di accettazione del limite che attraversa ciascuna esistenza, come capacità di superamento di quello che è il limite valicabile, e come capacità di affidamento e di appello all'"oltre" nell'esperienza del limite invalicabile dell'esistenza, per non rinchiudersi nella rassegnazione e nell'indifferenza;
    * un atteggiamento di gratuità, come capacità di andare "alla radice" della vita come dono e di vivere il dono come "appello e capacità di risposta" alla sua intrinseca esigenza di "messa in circolo".


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