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    Criteri e indicazioni per un mondo più giusto e solidale, per giovani e laici protagonisti e non passivi consumatori


    "Economy of Francesco"

    Alessandro Iannini

    (NPG 2020-05-40)


    “Chi di voi volendo costruire una torre non si siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: «costui ha iniziato a costruire ma non è stato capace di finire il lavoro»… cosi chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo” (Lc 14, 20-30.33).

    Premetto che non sono un economista. Le mie considerazioni provengono da riflessioni e letture ma soprattutto dall’esperienza di vita. Sono Salesiano Cooperatore, di formazione psicologo clinico e di comunità, sposo da 25 anni e padre di quatto figli tra gli 11 e i 22 anni. Da più di vent'anni sono responsabile di attività sociali e dal 2012 presidente di una associazione di promozione sociale che raccoglie fondi e sostiene attività educative. L’economia è certamente – come per tutti direi – uno degli aspetti centrali che devo tenere presente ogni volta che mi trovo a compiere una scelta, dalle piccole scelte quotidiane a quelle strategiche. Con mia grande sorpresa in alcune situazioni mi sono reso conto che quello economico è stato il criterio con il quale ho effettuato una scelta. E con sorpresa ancora maggiore, pur occupandomi di educazione e di recupero di ragazzi in difficoltà, la domanda centrale alla quale ho dovuto rispondere a committenti e a superiori è stata spesso: “quanto costa”? E impiego molto del mio tempo di lavoro alla ricerca di risorse per dare respiro ai progetti.
    Eppure, spesso, nella pastorale e nella progettazione educativa, l’aspetto economico, l’impatto economico di una attività, viene sottovalutato e considerato solo in modo accessorio o relegato a qualcosa di cui affidarsi ai consulenti specialisti. Nello stesso tempo nella progettazione sociale si arriva al paradosso per cui - per evitare sprechi o fondi spesi male - ogni obiettivo viene tradotto in azioni descritte in modo capillare, alle quali si fa corrispondere delle voci di costo precise (ore di lavoro, acquisti...) in una proporzione data a priori da chi ha i fondi come se la realtà funzionasse veramente cosi! Il risultato è spesso che la “rendicontazione” - e chi la gestisce - determina cosa e quando va o non va fatto.
    Il vero dilemma è se esista o meno un equilibrio possibile e un modo concreto di evangelizzare l’economia, una soluzione che faccia quadrare i conti e magari addirittura produca un risparmio o un guadagno. O se altrimenti dovrò sempre scegliere tra Dio e mammona, per cui la mia azienda, la mia attività lavorativa o la mia famiglia non saranno mai capaci di dare a Cesare quello che è di Cesare e contemporaneamente ad essere produttive, a stare sul mercato, come si dice. L’ho sperimentato direttamente quando con l’associazione di cui sono presidente abbiamo preso in gestione la mensa dei dipendenti di un Municipio di Roma con l’idea di farci lavorare per alcuni periodi ragazzi in difficoltà. Ogni giorno l’aspetto imprenditoriale, con i suoi tempi, spazi e bisogni scanditi, si scontrava letteralmente con le esigenze dei percorsi educativi dei ragazzi e dei loro tempi, spazi e bisogni. Sembrerebbe quasi che non ci sia possibilità di dialogo tra il mondo economico e quello educativo e pastorale.
    Interessante la proposta di Gesù: sedersi a calcolare la spesa, vedere se si hanno i mezzi per portare a termine la costruzione. Potrebbe sembrare un semplice consiglio da manuale dell’amministratore: fare un buon bilancio preventivo! Ma diviene determinante l’ultima frase che afferma in modo radicale cosa è necessario affinché l’operazione riesca: non si può essere discepoli di Gesù senza rinunciare a tutti i propri averi, senza dare tutto quello che si ha a disposizione. Il vero calcolo che ci chiede di fare Gesù è se siamo disponibili a investire tutto nella logica che ci propone, perché se pensiamo si possa realizzare la costruzione con dei compromessi avremmo fatto male i nostri conti.
    Sarà possibile? Il Papa ci crede a partire dai giovani convocati ad Assisi:

    “Tutti, proprio tutti, siamo chiamati a rivedere i nostri schemi mentali e morali, perché siano più conformi ai comandamenti di Dio e alle esigenze del bene comune. Ma ho pensato di invitare in modo speciale voi giovani perché, con il vostro desiderio di un avvenire bello e gioioso, voi siete già profezia di un’economia attenta alla persona e all’ambiente” (Messaggio ai giovani imprenditori, 1 maggio 2019).

    Il Papa vuole incontrare chi accetta la sfida di “studiare e praticare una economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda. Per poter arrivare ad “un “patto” per cambiare l’attuale economia e dare un’anima all’economia di domani. Sì, occorre “ri-animare” l’economia!”.

    Criteri come sfide

    Propongo alcuni criteri e indicazioni, sfide possibili per un approccio all’economia a partire dal Vangelo.
    Il primo criterio ce lo offre il Papa stesso nel messaggio ai giovani economisti, imprenditori e imprenditrici: rivedere i nostri schemi mentali e morali. Ecco, non si può ragionare ancora solo con la partita doppia. Entrate e uscite. La realtà è più complessa. La sostenibilità non è solo una variabile economica. La sostenibilità deve tenere insieme le tre E: economica, educativa, ecologica. Le risorse di cui devo tener conto per capire se posso costruire la torre, e che alla fine della costruzione devono poter stare bene ed essere cresciute, sono prima di tutto le persone impegnate nella costruzione. Sono l’ambiente e il contesto nel quale sto costruendo la mia torre, sono naturalmente anche le risorse economiche necessarie, quelle che ho disponibili e quelle che posso attivare coinvolgendo altre persone intorno a me.

    “Il messaggio fondamentale della Laudato Si’ è che tutto è connesso: bisogna ascoltare il grido dei poveri e il grido della terra. Quindi non è solo il grido della terra che oggi si fa più evidente perché ne vediamo le manifestazioni; e quindi tutta l’attenzione alla Green Economy è importantissima, ma non risolve i problemi più gravi che stiamo vivendo, se non si mette insieme al creare un sistema di produzione, di scambio che non crei scarti umani” (intervista a Alessandra Smerilli, Vivere n.1 -2020).

    In una recente pubblicazione a cura di Cristina Bombelli dal titolo Amministrare con sapienza, il mondo del management si è confrontato con la regola di San Benedetto e con gli scritti sapienziali, facendo emergere elementi di convergenza interessanti tra mondi con finalità radicalmente diverse: Incontrare Dio attraverso la vita monastica e trarre profitto nella gestione di una azienda.

    “Di frequente ci si trova a dover affrontare delle scelte che sono quasi dei dilemmi, e si è ben consapevoli che non è sempre vero che una sola sia la via d’uscita corretta”. Pertanto di fronte alla crescente complessità e ad obiettivi sempre più sfidanti “si impone la ricerca di nuovi equilibri, personali e organizzativi”. “Siamo infatti convinti – continuano gli autori nell’introduzione – che non possa esserci una crescita economica che non vada di pari passo con una crescita umana, che non porti alla consapevolezza dei propri talenti e a investirli sia per la propria maturazione individuale che per il mondo aziendale e per il proprio contesto sociale” (p.10).

    Da qui scaturisce un secondo criterio applicabile alla vita di tutti i giorni: io come consumatore sono libero di scegliere come investire i miei soldi, il mio tempo, i miei talenti personali. Sono libero e responsabile di come lo faccio. Anche quando impegni precedenti (prestiti, mutui, contratti), impegni fissi e improrogabili (orari di lavoro determinati dal contesto, spese fisse di gestione), impegni e compiti determinati dall’esterno (tasse da pagare, famigliari da accudire e sostenere, scelte aziendali o statali subite) sembrano determinare le mie scelte, mi rimane sempre un margine di autonomia che ricade sotto la mia personale responsabilità. Posso sempre decidere cosa fare in un dato momento, come spendere una data cifra, come esprimere un mio talento personale. Questo fa la differenza. Si tratta di fare scelte consapevoli ad iniziare dal bilancio famigliare. Questo richiede imparare ad ascoltare l’appello della coscienza che mi interpella a livello personale ed esistenziale: “se non io chi, se non ora quando, se lo faccio solo per me stesso chi sono io?” (Rabbino Hillel). Questo implica un lavoro educativo da fare con i ragazzi sin da piccoli: prendere coscienza che le scelte economiche hanno un peso sulla nostra vita personale e sociale e pertanto posso coglierne la rilevanza ogni volta riflettendo sui criteri con i quali scelgo. A quali bisogni o desideri sto dando ascolto. Papa Francesco nella Laudato Si’ lo afferma con chiarezza: “Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare. In tale contesto non sembra possibile che qualcuno accetti che la realtà gli ponga un limite. In questo orizzonte non esiste nemmeno un vero bene comune” (LS n. 204). Quante volte negli itinerari educativi e di formazione dei ragazzi questi aspetti vengono tralasciati e non trattati? Quante volte negli itinerari e percorsi di educazione alla fede l’aspetto dell’economia famigliare e delle scelte economiche globali viene trascurato?

    Un terzo criterio possiamo definirlo come passaggio dal quanto costa al quanto vale nella valutazione di un impegno di spesa. Spesso ci fermiamo a valutare quanto costa realizzare un progetto, quanto costa investire in un determinato acquisto piuttosto che in un altro analogo o diverso. Qualche anno fa al termine di un anno di lavoro con quasi cento ragazzi in dispersione scolastica - di cui un bel gruppo di loro con provvedimenti penali a carico - durante la festa finale in cui molti di loro (certo non tutti) avevano recuperato la licenza media o acquisito un attestato di competenze professionali inserendosi nel mondo del lavoro, una persona di una certa importanza venuta a partecipare all’evento mi ha chiesto al termine della festa: “quanto costa questo lavoro che avete fatto?”. Non ho potuto fare a meno di rispondere: “quanto costa te lo dico subito perché abbiamo fatto un budget preventivo e consuntivo e cercato i fondi per arrivare al termine, e di sicuro non è poco. Ma prima di tutto ti chiedo quanto vale un ragazzo che stava per la strada, in carcere, senza prospettive e che ora è stato recuperato?”. Se stiamo solo e prima sul quanto costa, il criterio economico continuerà a guidare la politica, le scelte sociali, quelle educative. Continuerà a determinare le scelte personali e quelle dei governi. Se prima ci chiediamo “quanto vale”, credo che potremmo riorientare molti dei costi. Spendiamo male soldi, tempo, risorse naturali perché abbiamo assunto il criterio economico alla base di ogni scelta. Il bravo amministratore è solo quello che fa quadrare i conti, poi se fa crescere le persone e la comunità questo diviene secondario. Abbiamo rovesciato i termini della questione: “Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro patrimonio per ciò che non sazia? Su ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti” (Isaia 55,2).
    Con mia moglie ci siamo trovati come tutte le famiglie davanti ad alcuni bivi che richiedevano delle scelte con dei risvolti economici importanti ma che alla base hanno dei valori che abbiamo deciso di mettere a fondamenta delle nostre vite. Quando è nato il terzo figlio, abbiamo deciso che per alcuni anni lei avrebbe rinunciato a lavorare fuori casa e per far quadrare i conti abbiamo fatto delle scelte molto precise. Naturalmente una scelta consapevole ti permette di vivere con gioia e non con rimpianto eventuali rinunce. Se oggi ad un giovane prospettiamo un figlio come un costo da sostenere dal concepimento alla autonomia, chi potrà mai pensare di fare un investimento del genere? Se gli facciamo toccare con mano la ricchezza che porta un figlio e di come è possibile accoglierlo con alcune rinunce che costano un po' ma che valgono proprio poco rispetto a quanto vale una vita umana, capiamo bene che stiamo facendo una piccola rivoluzione culturale che passa anche attraverso l’economia.
    Nel passaggio dal quanto costa al quanto vale non possiamo non tenere presente la logica che ha guidato i grandi santi fondatori così come grandi imprenditori che, partiti dal nulla, hanno realizzato qualcosa che sembrava inizialmente impossibile: sono partiti da un sogno, da una idea, qualcosa che intravedevano come possibile anche non avendo ancora chiaro come si potesse realizzare. Questo sogno, questa idea li ha coinvolti totalmente con tutte le loro risorse umane e personali. La loro motivazione, passione e carisma ha contagiato tanti altri che hanno scommesso le proprie vite e le proprie risorse per aiutarli. Se una idea è buona, se un progetto è valido e risponde ad un bisogno reale, se dentro di noi c’è una passione che ci anima e che sentiamo come il nostro personale modo di rispondere al compito che la vita ci ha messo davanti, alla nostra vocazione, allora le risorse le mette a disposizione la Provvidenza, quella che per don Bosco era la principale azionista.
    Nel film Ghandi, mentre il protagonista era impegnato per la liberazione degli indiani che lavorano sottopagati nella Repubblica Sudafricana, c’è una scena emblematica in cui un giovane sacerdote lo va a trovare e si mette a disposizione per aiutarlo per poi chiedergli: “non ti sorprende che io venga qui ad aiutare te?”. E Ghandi risponde: “no, all’inizio forse mi sorprendevo, poi mi sono reso conto che se lotti per una giusta causa le persone escono fuori quasi dalle pietre per aiutarti”.
    Pensando alla costruzione della torre di cui ci parla Gesù, mi viene da pensare non solo al costruttore ma a tutti coloro che lui dovrà coinvolgere nella realizzazione del progetto e non posso non fare riferimento all’aneddoto sui tre operai alle prese con lo stesso duro lavoro: il primo interpellato dichiara semplicemente e con amarezza: “sto spaccando delle pietre”, il secondo con dignità: “sto lavorando per mantenere la mia famiglia”; il terzo con entusiasmo: “sto costruendo una cattedrale!”.
    Oggi troppo spesso ragioniamo per piccoli obiettivi immediatamente misurabili, le aziende come le realtà sociali devono far quadrare i conti subito, non possono aspettare e i grandi sogni sembrano rimanere sullo sfondo come utopie irrealizzabili.

    Ecco quindi un quarto criterio: se “il tempo è superiore allo spazio”, come ci ha indicato papa Francesco, pensiamo all’impatto che le azioni di oggi possono avere sul mondo nel tempo. Proviamo a immaginare cosa dovrebbe succedere fra cinque, dieci, venti anni. Jean Giono in L’uomo che piantava alberi ci ha insegnato che non è dato a noi raccogliere i frutti del nostro lavoro, mentre noi beneficiamo gratuitamente dei frutti del lavoro di chi ci ha preceduto. Agli occhi della gente

    “questa vicenda d'un pastore che, con molta fatica e nessun tornaconto personale, si dedicava tenacemente a piantar querce in una landa desolata avrebbe potuto apparire allora, tuttalpiù, come un'innocua stravaganza. Meritevole di suscitare, al massimo, un sorrisetto di compiacimento. Dietro a questa insolita storia positiva, persino ingenua, si cela invece un messaggio profondo. Capace di propagarsi nell'animo e nella cultura umana come le radici, i rami, le foglie e i frutti dell'albero sul terreno circostante”.

    Posso educare i bambini, i ragazzi e i giovani a interrogarsi sull’impatto nel tempo delle proprie azioni. A immaginare dei futuri possibili che sostituiranno la gratificazione pur necessaria alle proprie azioni con il prendere e consumare nell’immediato.

    Un quinto criterio è assumere la comunità come soggetto, comprendere che non è possibile e realistico pensare di operare qualsiasi cambiamento operando da soli o chiusi all’interno delle nostre realtà. L’attenzione alla persona nella sua totalità ci porta inevitabilmente a scoprire la comunità dove ci troviamo come luogo in cui vivere e dare corpo a stili di vita più sostenibili. il Papa stesso lo ha enunciato nel messaggio ai giovani e agli educatori per un “Patto globale sull’educazione” il 12 settembre del 2019. Con molta chiarezza afferma:

    “Un proverbio africano dice che per educare un bambino serve un intero villaggio. Ma dobbiamo costruirlo, questo villaggio, come condizione per educare. Il terreno va anzitutto bonificato dalle discriminazioni con l’immissione di fraternità… In un simile villaggio è più facile trovare la convergenza globale per un’educazione che sappia farsi portatrice di un’alleanza tra tutte le componenti della persona: tra lo studio e la vita; tra le generazioni; tra i docenti, gli studenti, le famiglie e la società civile con le sue espressioni intellettuali, scientifiche, artistiche, sportive, politiche, imprenditoriali e solidali”.

    Nella comunità possiamo condividere tra realtà diverse risorse economiche, talenti, spazi, idee; possiamo riscoprire il valore della reciprocità e della gratuità. Nella comunità sperimentiamo i legami vitali che arricchiscono la nostra vita e che, se curati, portano allo sviluppo di forme spontanee di solidarietà e di sostegno. L’appartenenza ad una comunità oggi nella società frammentata e liquida nella quale viviamo è una delle maggiori forme di protezione sociale possibile, un vero e proprio welfare informale e vitale. È l’antidoto possibile contro la percezione distorta di chi pensa di potersi realizzare da solo.

    “Farsi da soli” è la grande menzogna che ha condotto le ultime generazioni a pensare di poter evitare i legami per la vita e a cercare solo relazioni strumentali alla ricerca di una illusoria e tutto sommato poco gratificante autonomia. “Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti. Questa consapevolezza di base permetterebbe lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita”. (LS n.202) “Queste azioni comunitarie, quando esprimono un amore che si dona, possono trasformarsi in intense esperienze spirituali” (LS n.232).

    Il sesto criterio lo prendo dall’esperienza che abbiamo fatto tutti a causa della pandemia da coronavirus: “L’interdipendenza di responsabilità”. Abbiamo osservato come i diversi politici hanno spiegato come fosse importante trovare un giusto equilibrio tra sicurezza e tutela della salute da una parte e la ripartenza dell’economia dall’altra. Come i due criteri siano collegati e in contrapposizione. In un articolo di Animazione Sociale di aprile 2020 Chiara Saraceno, sociologa e filosofa, intervistata ha detto:

    “Credo che quello che stiamo imparando, se già non lo sapevamo prima e che forse ai nostri figli va comunicato come tale, è l’interdipendenza. Anche come interdipendenza di responsabilità. Il fatto che non si debba uscire di casa, che si debba stare ad un metro di distanza, che sembra la negazione del contatto, invece è l’esemplificazione dell’interdipendenza. Cioè io mi devo prendere la responsabilità non solo della mia salute, ma della tua salute e della salute di tutti. Così come per comprare le mascherine per i medici o i respiratori per i malati è necessario che tutti paghino le tasse. Questo messaggio che una società per funzionare ha bisogno del contributo di tutti è molto potente e spero che rimanga… Non solo dipendiamo dagli altri, ma siamo responsabili degli altri” (“Come ripensare il welfare nel dopo coronavirus?” – intervista a Chiara Saraceno – Animazione sociale n. 334-2020, pag. 17).

    Infine concludo con una consapevolezza: il modo di intendere l’economia continuerà a generare dentro ognuno di noi, dentro la società e anche dentro la Chiesa, dinamiche e punti di vista diversi a partire dal modo di intendere e interpretare il modo di vivere delle prime comunità cristiane: “tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno” (At 2,4). Rimane però la possibilità di vivere esperienze concrete in cui mettersi in gioco per dare vita a modelli e stili di vita sostenibili alternativi a quelli, peraltro fallimentari, proposti dai sistemi dominanti. “La spiritualità cristiana propone un modo alternativo di intendere la qualità della vita e incoraggia uno stile di vita profetico e contemplativo capace di gioire profondamente senza essere ossessionati dal consumo... Si tratta della convinzione che meno è di più” (LS n.222).
    Concludo con quanto afferma Johnny Dotti in un articolo sull’Osservatore Romano durante la quarantena:

    “Non possiamo continuare a produrre per consumare. Io credo al generare: cosa vuole dire questo nelle forme economiche, nelle forme sociali, nell’educazione? … Abbiamo bisogno di azioni politiche simboliche, di azioni economiche simboliche, di azioni spirituali simboliche, di azioni culturali, simboliche. Qui siamo molto miseri, molto scoperti. Corriamo dietro alle procedure, ai processi, all’analisi. Questo è il grande peccato. Non perché le procedure, i processi e le analisi non siano importanti, ma non possono essere l’unico sguardo sulla realtà. … La frase che mi ha colpito di più in positivo è quella legata a una fotografia che veniva da un vicolo di Napoli, nella quale c’era un cestino appeso con un foglio, dove c’era scritto: “Chi può metta, chi non può prenda”. In questa semplice affermazione popolare c’è quasi tutto. C’è il mistero della bellezza di chi siamo e di quello che possiamo essere” (Osservatore Romano 17/4/20 intervista a J. Dotti).


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