Parabole giovani /1
Roberto Seregni
(NPG 2012-01-2)
In ricerca
Tutti cerchiamo la felicità e la pienezza della vita.
Con ogni mezzo, magari senza nemmeno rendercene conto, inseguiamo ogni sentiero che sembra custodire promesse scintillanti di gioia.
Non sempre è facile distinguere tra un’occasione e una tentazione. Non sempre – e lo ripete anche la saggezza popolare – tutto ciò che luccica è oro.
Ma dove stanno i fondamenti sicuri di una vita piena, bella e realizzata?
Come coltivare sogni magnifici continuando a tenere i piedi ben piantati per terra?
Ai discepoli e alle folle assetate di pienezza e di bellezza, Gesù ha donato questa parabola.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande. (Matteo 7,24-27)
Fondamenta
Il Rabbì contrappone l’opera di due uomini che hanno costruito la loro casa. L’attenzione non è richiamata sulla bellezza o sulla grandezza della costruzione, ma sulle fondamenta.
Questa è una prima sottolineatura molto importante: le fondamenta non si vedono, non balzano all’occhio, nessuno le nota, eppure sono la parte più importante della casa. Sono esse a deciderne la stabilità e, quindi, il futuro.
Così è anche nella vita del discepolo. Sono le scelte maturate nel silenzio e nella preghiera, i tempi di ascolto davanti alla Parola, il discernimento nei momenti importanti della vita che costruiscono le fondamenta nascoste di ciò che poi è sotto gli occhi di tutti.
La santità non si improvvisa, ma si costruisce in silenzio e senza fare troppo rumore.
I gesti eroici non spuntano dal mattino alla sera, ma hanno alle spalle tempi nascosti di maturazione.
Dentro ogni uomo c’è una scintilla del DNA di Dio, ma solo edificando fondamenta solide essa può divampare nel cuore.
Scrive Diacodo di Fotica:[1]
Tutti noi che siamo esseri umani siamo a immagine di Dio. Ma essere a sua somiglianza, è proprio solamente di quelli che, con un grande amore, hanno vincolato a Dio la propria libertà.
Ascoltare e fare
Tutta la parabola è incentrata, come divevamo, sulla contrapposizione dell’opera di due uomini.
Il primo, definito saggio, è colui che costruisce sulla roccia. Sa bene che sarà molto faticoso scavare sulla pietra, ma sa anche che quelle fondamenta sono solide e irremovibili. Chi costruisce così la sua vita è il discepolo che ascolta la Parola e la mette in pratica: questa è saggezza.
Il secondo uomo, definito stolto, è colui che costruisce sulla sabbia. Indubbiamente più facile, più economico e più sbrigativo, ma anche più fragile e insicuro. Chi costruisce sulla sabbia è chi ascolta la Parola, ma non la mette in pratica, cioè costruisce la sua vita allo sbaraglio: questa è stoltezza.
Siamo di fronte a due atteggiamenti contrastanti: ascoltare e fare, ascoltare e non fare. Entrambi gli uomini della parabola ascoltano, ma non per questo sono entrambi discepoli.
Non si può accontentare. Mettersi in ascolto della Parola è certamente un passaggio fondamentale, ma rischia di divenire sterile e inutile se non è seguito da un cammino di accoglienza e di conversione.
Un detto dei padri del deserto [2] ricorda:
Non c’è bisogno soltanto di parole! In questo tempo vi sono molte parole tra gli uomini. Ma c’è bisogno di opere; questo è necessario e non le parole, che non portano frutto.
Il cristiano è chiamato a ridare carne alla Parola, a divenire nella fragilità della sua persona la trascrizione vivente di ciò che ha ascoltato. Come dice una bella preghiera della comunità di Bose, la Parola va letta e accolta, meditata e amata, pregata e custodita, contemplata e realizzata.
Solo così può costruirsi una vita cristiana che possa dirsi tale.
Ed è proprio su questo che possiamo misurare la maturità dei nostri cammini personali e comunitari.
Senza mezze misure
Mi piace sottolineare la radicalità della contrapposizione: non ci sono vie di mezzo o compromessi.
O di qua o di là.
O la casa rimane saldamente al suo posto oppure crolla in mille pezzi.
La scelta del Vangelo richiede questa radicalità, perché la sequela non sopporta mezze misure, distrazioni, nostalgie o uscite di sicurezza. In gioco, lo ripeto, ci sono i fondamenti del vivere e non le quisquiglie.
Costruire sulla roccia è mettere la propria esistenza totalmente nelle mani di Dio, è rispondere liberamente ad un amore che ci anticipa e ci sorprende.
Costruire sulla roccia è non accontentarsi delle mezze misure, è pagare con il proprio sudore scelte controcorrente che profumano di Vangelo e di bellezza.
Costruire sulla roccia è investire la propria libertà, è fare progetti sul proprio futuro lasciandosi guidare dal soffio delicato e potente dello Spirito.
Costruire sulla roccia è dire dei «no» per far spazio a dei «sì» che allargano il cuore e rendono capaci di un amore inaspettato e sorprendente.
Tempeste
Nella narrazione della parabola mi colpisce che per entrambe le case sia riportata la stessa descrizione delle avversità: «Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa…» (vv. 25.27).
La vita del discepolo è burrascosa come quella di qualunque altro uomo: stare con il Signore non mette al riparo dalla tempesta! Lo sanno bene i discepoli che hanno attraversato il mare in burrasca con a bordo il Signore (Mc 4,35-41): la sua presenza non cambia la realtà, ma il modo di guardarla e di giudicarla. Il tentativo di vivere mettendo carne alla sua Parola non sottrae dalle fatiche e dalle tentazioni, ma dona la certezza di non essere soli e abbandonati.
Sul discepolo potranno cadere le tempeste più tumultuose, ma se la sua vita è fondata sulla roccia che è Cristo, non dovrà temere. Anche davanti ai venti più impetuosi potrà urlare a squarciagola: «Benedetto il Signore, mia roccia!» (Sal 143, 2).
NOTE
[1] Diadoco di Fotica, Cento capitoli gnostici sulla perfezione spirituale, 4 (SCh 5bis, p. 86).
[2] Detti editi e inediti dei padri del deserto, Qiqajon, 2002, p. 36.