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    Crescere e far crescere

    Alessandro Maggiolini 



    L
    orenzo oggi è più alto di me.
    Ha 18 anni, viene da Novara, come me, e da poco tempo ha iniziato scienze della comunicazione a Torino, dove studio anch’io: dagli stessi banchi di scuola agli stessi corridoi universitari, come un cerchio che si allarga per poi, inevitabilmente, ritornare al suo punto d’origine.
    Anche se non ci separa una grande differenza d’età (poco più di due anni), ho avuto la fortuna di essere animatore di Lorenzo tante volte: in ogni caso, nessuno dei due ricorda bene quando ci siamo conosciuti. Sicuramente, un primo contatto lo abbiamo avuto già durante le scuole medie, ma all’epoca neanche l’occhio più esperto avrebbe potuto scorgere la scintilla di un rapporto che sarebbe cresciuto davvero tanto per poi manifestarsi in tutta la sua luminosità solo negli anni del liceo.
    A dir la verità, non ricordo neanche la prima volta in cui ho avuto a che fare con Lorenzo come animatore: posso dire solo che, da un certo punto in poi, ho iniziato a notare dietro i suoi occhi furbi un ragazzo particolarmente sensibile.
    Da subito, ha dimostrato di essere un giovane con una gran voglia di raccontarsi: nel corso degli anni, attraverso piccole-grandi chiacchierate ho avuto il dono (per me un grande dono) di scoprire le fragilità di un ragazzo messo in discussione dalle tentazioni più comuni tra i giovani della sua età.
    L’unica cosa su cui entrambi siamo d’accordo è che, le prime volte, nessuno dei due stimasse particolarmente l’altro: Lorenzo mi ha più volte confidato che anni fa io gli apparivo “distante”, non facilmente avvicinabile e questa genuina confidenza mi sta aiutando, negli anni, a considerare anche questo aspetto ogni volta che sono chiamato a pormi davanti a dei giovani.
    Dalla mia parte, invece, ricordo un ragazzino vispo ma a tratti esuberante, capace di stare in mezzo agli altri ma allo stesso tempo desideroso di essere al centro. Solo scrivendo, adesso, a distanza di anni, inizio a capire come mai fossi diffidente di quel giovane: un po’ mi rispecchiavo nei suoi comportamenti e in lui vedevo con i miei stessi occhi quello su cui spesso ero stato invitato a crescere.
    Credo una svolta importante in questo rapporto arrivi durante un campo estivo in montagna, a Malesco (VB), dove i salesiani di Novara hanno una casa che è fonte di ricordi meravigliosi per generazioni e generazioni. In quell’anno, essendo animatore della sua squadra, mi sono ritrovato ad avere un contatto maggiormente diretto con Lorenzo: non so, forse lo stavo guardando per la prima volta non con uno sguardo superbamente superiore, ma con gli occhi di un ragazzo più grande che prova a fare del bene a un giovane che gli è stato affidato. Difatti, questo ha fatto scattare qualcosa e durante quella settimana più volte Lorenzo si è trovato ad aprirsi con me su vari aspetti: in estrema libertà e con una fiducia che ancora oggi fatico a spiegarmi, mi ha raccontato genuinamente di lui. Ho scoperto che musica ascolta, mi ha parlato delle sue amicizie, mi ha confidato le difficoltà della relazione con la sua ragazza dell’epoca. Si è aperto anche su un aspetto davvero delicato, soprattutto nella fase dell’adoloscenza: il rapporto con i suoi genitori, in particolare con la sua mamma.
    Tutto questo, per la prima volta nella mia vita, mi ha portato a farmi una domanda importante, capace di scavare dentro a lungo e in profondità: come porsi davanti a un ragazzo che si confida in questo modo? Cosa dirgli?
    D’altronde, ovviamente non ero la sua "guida spirituale", né tantomeno un adulto in grado di fornire dei “consigli di vita”: l’unica cosa che avrei potuto fare era portargli una piccola testimonianza di come io avevo affrontato (o, in certi casi, stavo affrontando) situazioni simili nel mio cammino.
    Ricordo che ci siamo allora lasciati, alla fine di quel campo, con una promessa: entrambi, ognuno nel suo punto del percorso personale, si sarebbe impegnato a “crescere e far crescere”. Mi fa sorridere che proprio poco tempo fa, a qualche anno di distanza, ci siamo ricordati di quella promessa.
    Nonostante questo, il periodo successivo è stato sicuramente quello in cui il rapporto è stato messo maggiormente alla prova: venendo a studiare e a vivere a Torino, infatti, ho un po’ perso il contatto quotidiano con Lorenzo. Non è stato però questo il vero problema: ho presto saputo, tramite alcune voci, che Lorenzo si era invischiato in alcune tentazioni tipiche dell'età: fumo, alcol, qualche canna. Un rapporto non limpido con la sua ragazza. Numerose discussioni con i genitori, anche molto accese. E, in tutto questo, studio e fede stavano andando in crisi. Mi ricordo bene le sensazioni che ho provato: prima la tristezza e poi l’impotenza, soprattutto perché da lontano non riuscivo a mettermi in contatto con lui. Non mi rispondeva neanche più ai messaggi.
    Per me non è stato facile, ma mi sono reso conto che non sono invincibile e che ogni tanto, per le persone a cui vuoi più bene, devi accettare di non poter far nulla di concreto, se non (forse) pregare.
    Cosa succeda durante e dopo fa parte del mistero della vita e della libertà. Lorenzo oggi non è uno stinco di santo, ma sta ogni giorno imparando di più che gli abbagli ci sono, sono forti, sembrano sovrastarci, ma bisogna vederli per quello che sono. E io sono grato di essere, in maniera semplice, al suo fianco, mentre lotta, si impegna, non molla. Come fanno tantissimi giovani come lui. Come, a mio modo, cerco di fare anch’io, consapevole di avere qualcuno più grande di fianco che mi aiuta a camminare e a crescere.
    Se dovessi con un aggettivo descrivere il mio rapporto con Lorenzo, direi “umano”: “umano” perché è una relazione che porta i suoi frutti migliori quando il contatto diretto è possibile; “umano” perché ci spinge spesso a parlare, con il tentativo di non banalizzare, le questioni grandi della vita; “umano” perché è un’amicizia vera, schietta, che non teme il confronto aperto.
    Infatti, sia io che Lorenzo abbiamo due caratteri non solo sensibili, ma anche particolarmente focosi quando si tratta di rispondere a opinioni che deviano dal nostro pensiero: questo non ci ha però mai portato a “scontrarci” in maniera negativa, ma è sempre stata occasione per confrontare senza grandi giri di parole due punti di vista diversi.
    Credo sia questo che mi permette oggi di parlare di un rapporto “fraterno”: se ho la fortuna di poter considerare Lorenzo come una sorta di fratello minore è perché i momenti più importanti della nostra relazione sono stati seminati e sono maturati all’interno della mura di un Istituto che è come una "casa". Per ogni ragazzo che lo frequenta, infatti, la sensazione è subito quella di essere tornato tra le mura domestiche: è grazie a un ambiente come questo (oratorio o scuola che sia) che certe amicizie possono sbocciare. Forse, in altri ambienti tutto questo non sarebbe mai avvenuto e io mai avrei pensato di poter ricevere tanto da un ragazzo più piccolo di me. Entrambi ci saremmo persi il gusto di una relazione genuina.
    Lorenzo mi ha insegnato, e mi insegna tuttora, che nell’animazione si riceve molto più di quello che si dà. Per quanto potremo sforzarci di dare tutto noi stessi ai giovani che ci sono affidati, ciò che loro saranno in grado di donarci avrà sempre altrettanto valore, se non di più.
    E lo spirito di don Bosco, che aleggia in ogni ambiente salesiano, anche attraverso Lorenzo mi ha cambiato e continua a farlo.
    Per questo sono debitore di questo ragazzo. Debitore per sempre.

     

    * Nato a Magenta nel 2002, ha conosciuto i salesiani a Novara, studiando presso il loro Istituto. Oggi studia Lettere a Palazzo Nuovo (Torino) e vive insieme alla comunità salesiana di Valdocco.

     

     


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