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    Dal ’68 al 1974: i giovani protagonisti


    TEMI DI PASTORALE UNIVERSITARIA /19

    Fausto Bonini

    (NPG 2020-07-77)


     

    Il 1968 ha lasciato un segno nella storia. Nel bene o nel male. Dipende dal punto di vista e anche dalla distribuzione geografica di quello che è nato in quell’anno. Sono stati i giovani a mobilitarsi, quelli nati immediatamente dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, che aveva distrutto le vite di milioni di uomini e donne, che aveva raso al suolo intere città, che aveva imposto con la forza delle armi ideologie totalizzanti. Il ’68 parigino ha segnato l’apice della rivolta giovanile e io ho avuto l’opportunità di conoscerlo da vicino perché, essendo studente di Lingua e Letteratura francese a Ca’ Foscari, frequentavo, soprattutto d’estate, una parrocchia di Parigi.
    Anche a Venezia il ’68 ha lasciato il segno. Fortunatamente in positivo. Se avete voglia di seguirmi vi racconto la mia esperienza di giovane prete ordinato nel 1962, l’anno del Concilio Vaticano II, assistente del circolo femminile della Fuci di Venezia, inserito nella pastorale universitaria della città, dopo aver fatto per qualche anno il cappellano, prima a Jesolo e poi in una parrocchia di periferia del centro storico.
    Premessa: non intendo raccontare un passato, magari anche bello, ma che non esiste più. Non appartengo alla categoria dei “laudatores temporis acti”, i cosiddetti “nostalgici”. Non lo sono mai stato e non lo sono neppure in questo tempo in cui la società e la Chiesa in particolare, vivono tempi difficili. E allora perché ve lo voglio raccontare? Ma perché, secondo me, alcuni elementi di fondo che allora hanno rivoluzionato i modi di far pastorale nei confronti dei giovani sono validi anche oggi. Allora, lo ricordo bene, siamo andati allo scontro con chi gestiva la pastorale tradizionale e cioè la Curia e le parrocchie. Uno scontro non voluto da noi, ma determinato dalla realtà dei fatti. La pastorale tradizionale, quella delle parrocchie per intenderci, soffriva già allora l’esodo dei giovani, soprattutto di quelli che frequentavano l’università e che respiravano un’aria nuova. La stessa cosa succede anche oggi, ma purtroppo in modo più massiccio. L’esperienza di allora può suggerire qualcosa anche nella situazione di grave disagio in cui vive la pastorale oggi.
    Se avete voglia di seguirmi, vi spiego che cosa ho fatto allora e che cosa farei oggi per rimodulare in positivo la pastorale universitaria e quella giovanile in genere.
    Nel ’68 a Venezia esistevano due importanti poli universitari: Ca’ Foscari, dove si studiava Economia e commercio e Lingue straniere, e Architettura. C’erano inoltre anche il Conservatorio musicale e l’Accademia di Belle Arti. Senza trascurare il polo universitario di Padova, molto frequentato dai giovani veneziani.
    La cura pastorale degli studenti, sia universitari che studenti medi, in quegli anni a Venezia era molto ricca e articolata. Esistevano due circoli della Fuci, quello maschile e quello femminile, molto attivi e ricchi di proposte culturali e religiose, ed esistevano i GSM (Gruppi Studenti Medi), gruppi di studenti dei licei veneziani ai quali facevamo la proposta di incontrarsi settimanalmente per riflettere come cristiani su temi legati alle varie materie di insegnamento. Fuci e GSM, due capitoli che meriterebbero una seria riflessione sulle modalità originali della proposta cristiana, ma mi manca lo spazio per farlo.

    L'esperienza

    E vengo al racconto dell’esperienza vissuta a Venezia. Come suggerito dal Concilio Vaticano II, anche a Venezia fu istituito, nel marzo 1968, il C.U.C., cioè il Centro Universitario Cattolico. Un luogo di proposta religiosa aperto accanto all’Università di Ca’ Foscari. Come successe nelle altre città, anche a Venezia ci fu la prima occupazione dell’Università da parte degli studenti. Occuparono anche il C.U.C. e mandarono via l’assistente ecclesiastico. In quella occasione i miei superiori mi chiesero di lasciare la Fuci e i GSM e di riprendere, in quanto studente cafoscarino e concordandolo con gli occupanti dell’università, le attività nei locali del C.U.C. Cominciai seguendo la tradizione, ma capii subito una cosa, e cioè che le mie proposte non avevano futuro, perché erano proposte mie, che io offrivo ai giovani universitari, ma che non partivano da loro e che non incontravano le loro esigenze. Un po’ quello che succede nelle parrocchie anche oggi riguardo ai giovani che disertano. Dopo alcuni mesi passati nella tristezza di quelle stanze, aperte da me tutti i pomeriggi proponendo delle iniziative e aspettando che qualcuno ne prendesse parte, presi una decisione. Secondo me, bisognava chiudere con quel tipo di proposta e pensare a qualcosa di nuovo. Di originale. Di inedito a servizio dei giovani universitari e gestito dagli stessi giovani universitari. Ho convocato allora alcuni giovani di Santa Marta, una parrocchia della periferia di Venezia, dove avevo fatto il cappellano appena ordinato sacerdote, e alcuni giovani della Fuci a dei GSM che avevo seguito fino a qualche mese prima, e a loro ho posto la domanda: Che cosa possiamo fare in questa situazione di deserto? Anzi: che cosa voi potete fare? Io vi do una mano. Chiarito il punto di partenza che intendeva coinvolgere i giovani come protagonisti, ci siamo messi al lavoro.
    La preoccupazione primaria fu quella di coinvolgere gli studenti che frequentavano le università veneziane e anche quelli che studiavano a Padova e per fare questo furono individuati due punti di forza: una chiesa per la celebrazione della Messa domenicale e dei locali attigui per gli incontri proposti e gestiti dagli studenti. Fu richiesto al Patriarca Urbani la possibilità di utilizzare la chiesa di San Pantalon, vicina alle sedi universitarie, per la Messa domenicale, che iniziò domenica 13 ottobre 1968 a mezzogiorno. Messa molto frequentata e molto partecipata. Canti nuovi, uso delle chitarre, commenti preparati dai giovani, omelie preparate insieme qualche giorno prima e condivise con i sacerdoti della pastorale universitaria e quasi sempre discusse poi sul sagrato della chiesa. I partecipanti divennero presto folla e la chiesa, pur molto grande, era piena in ogni suo angolo.
    L’altro punto di forza i locali attigui, aperti tutti i giorni (con turni di presenza) per incontri, momenti di preghiera, dibattiti e conferenze. Io c’ero quando potevo, immerso in mille cose che dovevo fare, dalla frequenza ai corsi universitari, all’insegnamento nel Seminario minore e all’aiuto in una parrocchia della città. Nasce la Comunità studentesca di San Pantalon. Non un “Centro”, che fa pensare a un luogo, ma una “Comunità”, che rinvia a delle persone che condividono la responsabilità di gestire il luogo. Fu chiamata Comunità studentesca di San Pantalon, che nel 1972 si trasferirà poi in un’altra parrocchia divenendo “Comunità studentesca di San Trovaso”. Una comunità gestita da studenti e docenti aperta al mondo universitario, con turni di presenza per accogliere e tante proposte sviluppate nei locali accanto alla chiesa, ma anche dentro le aule universitarie. Fino al maggio del 1974 quando sul settimanale cattolico La voce di San Marco del 20 aprile 1974 apparve un comunicato ufficiale della Curia veneziana in cui si leggeva che “Viene abrogato il Decreto patriarcale del 1° marzo 1968 che istituiva il Centro universitario veneziano, che oggi si denomina ‘Comunità studentesca di San Trovaso’. Cessa pertanto ogni mandato conferito a sacerdoti per l’assistenza al Centro suddetto”.
    Perché questo gesto di autorità nei confronti di un’attività così ricca sul piano ecclesiale e giovanile in particolare? E quali le conseguenze? Ve lo dirò più avanti.
    Intanto continuo a raccontarvi come il passaggio a San Trovaso ha portato, in seguito a un Convegno di alcuni giorni residenziale fuori città, a una strutturazione più articolata della Comunità studentesca.
    Strada facendo la Comunità si era andata strutturando attorno ai tre poli tradizionali: quello spirituale, quello culturale e quello caritativo. Per coordinare la vita della comunità si pensò alla costituzione di una “leadership”, così si chiamava, formata dai referenti dei tre settori e dal sottoscritto. Accanto alla Messa domenicale, sempre molto frequentata e partecipata e ai numerosi gruppi che si incontravano nel corso della settimana, si sentì l’esigenza di un momento comunitario al centro della settimana. Viene scelto il giovedì, preparato dalla leadership e articolato in tre momenti: alle 19.00 celebrazione della Messa, a seguire “agape fraterna” che consisteva nel condividere il cibo portato da ciascuno e messo a disposizione di tutti e nella possibilità di fare quattro chiacchiere e infine un tempo di riflessione su temi di attualità o che riguardavano la vita della comunità. L’incontro del giovedì diventò così il centro della vita della comunità. Dove ognuno si incontrava con il Signore e con i fratelli e le sorelle.
    Nascono delle iniziative specifiche e delle proposte concrete sul versante spirituale (momenti di preghiera, ritiri spirituali, partecipazione attiva alla Messa domenicale, e altro), sul versante culturale (gruppi di studio nel corso della settimana, incontri con docenti universitari fuori e dentro l’Università…) e sul versante caritativo quali un doposcuola in una parrocchia di periferia, un’assistenza scolastica e di vicinanza umana nei due Riformatori giovanili della città, visite a ammalati e altro.
    Nel frattempo, prima i Gruppi Studenti Medi (GSM), poi anche la Fuci si trasferirono nei locali della Parrocchia di San Trovaso, che divenne così il luogo fisico della pastorale universitaria. La numerosa partecipazione giovanile cominciò a suscitare qualche riserva da parte di alcuni parroci che protestavano perché, così dicevano, portavamo via i giovani dalle parrocchie. Cosa non vera perché a un’indagine condotta su 300 partecipanti alla Messa domenicale, quasi tutti dicevano di non frequentare la parrocchia ma di aver ripreso a partecipare alla Messa domenicale grazie a questa proposta.

    La sua chiusura

    Finalmente arrivo a spiegarvi il perché di quel decreto del Patriarca Luciani di chiusura di questa esperienza. Siamo nel 1974 e la Chiesa italiana è impegnata a sostenere il “sì” all’abrogazione della Legge del 1970 che introduceva il divorzio in Italia. I giovani della Comunità ne discutono vivacemente. Il gruppo Fuci di Venezia, che è ospitato dalla Comunità studentesca di San Trovaso, produce un Documento intitolato “Riflessioni pastorali e politiche in occasione del Referendum”, dove si sostiene che il matrimonio, per i cristiani, è un sacramento indissolubile. Ma che non si può imporre per legge ciò di cui si è convinti per fede. Il Documento, molto elaborato anche dal punto di vista teologico, viene reso pubblico e inviato a numerosi Vescovi italiani. La reazione del Patriarca Luciani non tardò e, nell’aprile 1974, arrivò il Decreto di chiusura non della Fuci, che aveva prodotto quel documento, ma di tutta la Comunità. Mille cattolici veneziani firmarono una lettera a sostegno della Comunità, ma tutto fu inutile e con la celebrazione della Messa del giorno di Pentecoste, a inizio giugno, fu dichiarata chiusa quella esperienza e la Comunità fu allontanata dai locali della parrocchia di San Trovaso.
    Non ci fu nessuna protesta, nessuna occupazione di spazi come qualche giovane avrebbe voluto, ma, con grande amarezza e sofferenza, quella imposizione fu accettata.
    Comincia un’altra storia e qui mi fermo, ma non senza sottolineare che la fiducia nei giovani, il loro coinvolgimento nel pensare modi nuovi di presenza cristiana e nel trovare le forme pratiche di vivere la loro esperienza di fede è, sì, rischioso, ma ricco di suggestioni e di scelte concrete che talvolta, purtroppo come in questo caso, disturbano i cosiddetti benpensanti.
    Concludo con la riflessione di un leader della Comunità: “Devo dire che se non ci fosse stata l’esperienza della Comunità studentesca io credo che sarei partito per la tangente. Invece l’esperienza della Comunità studentesca mi ha permesso di scoprire o di riscoprire gli aspetti della fede in cui io sono cresciuto e che poi mi hanno accompagnato per il resto della mia vita”.

     

     


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