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    La terza missione dell’università: contenuti, obiettivi e percorsi /2


    TEMI DI PASTORALE UNIVERSITARIA /16

    A. Vincenzo Zani *

    (NPG 2020-03-71)

     

    Quali obiettivi e contenuti per la terza missione

    Con le sue numerose università, la Chiesa ha compiuto lungo i secoli, e sta sviluppando anche ai nostri giorni con rinnovato impegno, scelte illuminate e coraggiose in tutti i continenti. Tutto ciò può essere inscritto nella categoria della terza missione, proprio perché tali istituzioni sono veri e propri laboratori di pensiero e di formazione di ricercatori, di leader e di qualificati professionisti della cultura e della vita sociale. L’università in quanto tale, ma in particolare l’università cattolica che si ispira ai valori evangelici e promuove al proprio interno i saperi teologici posti in un costante e serio dialogo con gli altri saperi disciplinari e scientifici, diventa un fattore di progresso sociale e un laboratorio in grado di promuovere una cultura della solidarietà. Così la terza missione prende forza dalla natura stessa della “uni-versus” e si sviluppa se vi sono le condizioni progettuali e disciplinari adeguate.
    Nella prospettiva della terza missione, la Costituzione Apostolica Ex corde Ecclesiae, voluta da San Giovanni Paolo II per dare un orientamento preciso e omogeneo alle varie centinaia di Università Cattoliche, diventa una vera e propria “magna charta” da riscoprire e valorizzare con maggiore determinazione. Attraverso le università cattoliche e il loro patrimonio umanistico e scientifico, si legge nel documento, “la Chiesa, esperta in umanità […], esplora i misteri dell’uomo e del mondo, rischiarandoli alla luce che le dona la Rivelazione” (3). A partire da questo principio, la Costituzione dedica una parte consistente alla “missione di servizio” della Università Cattolica. E la esprime con alcune sottolineature di rilevante importanza che qui ricordo per titoli, ma che possono indicare altrettanti contenuti, obiettivi e percorsi.
    La sua missione consiste nella continua indagine delle verità mediante la ricerca, la conservazione e la comunicazione del sapere per il bene della società (n. 30). Per questo prepara uomini e donne che, ispirati dai principi cristiani, siano capaci di assumere posti di responsabilità nella Chiesa e nella società (n. 31). Le sue attività dovranno includere lo studio dei gravi problemi contemporanei, quali la dignità della vita umana, la promozione della giustizia per tutti, la qualità della vita personale e familiare, la protezione della natura, la ricerca della pace e della stabilità politica, la condivisione più equa delle risorse del mondo e un nuovo ordinamento economico e politico (n. 32). Questi impegni, inducono l’Università Cattolica ad avere, all’occorrenza, il coraggio di dire verità scomode, verità che non lusingano l’opinione pubblica, ma che sono necessarie per salvaguardare il bene autentico della società (n. 32). Per questo, una specifica priorità deve essere data alla valutazione dei valori e delle norme dominanti nella società e nella cultura moderna e alla responsabilità di trasmettere principi etici e religiosi che sappiano influire sulla realtà e sulla retta soluzione dei problemi della vita (n. 33) e sulla promozione della giustizia sociale, come indica la dottrina sociale della Chiesa (n. 34). In questi passaggi, la Costituzione riassume la prospettiva di impegno citando un punto fondamentale dell’enciclica Populorum progressio di Paolo VI: il Vangelo chiama urgentemente a promuovere “lo sviluppo dei popoli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell’ignoranza; di quelli che cercano una partecipazione più larga ai frutti della civiltà e una più attiva valorizzazione delle loro qualità umane” (PP 1). In queste espressioni, rilanciate da Benedetto XVI nella Caritas in veritate, è riassunta la responsabilità dell’Università Cattolica di contribuire concretamente al progresso della società. E così la missione dell’università viene sintetizzata dalla Ex corde Ecclesiae come servizio culturale e scientifico in favore “dello sviluppo, della comprensione tra le culture, della difesa della natura come una coscienza ecologica internazionale” (n. 37), e come impegno a “promuovere il senso della solidarietà nella società e nel mondo” (ivi). Gli orientamenti della ECE oggi sono riaffermati anche dalla recente Cost. Ap. Veritatis gaudium, circa le università e le Facoltà ecclesiastiche (come si può leggere soprattutto nel Proemio). Essa chiarisce ulteriormente che l’università è da considerare come un ambiente dal quale possono avere origine molteplici ripercussioni culturali e sociali, che oggi sono insufficientemente sviluppate.
    Pertanto a livello degli studi teologici, presenti in varie forme anche nelle Università cattoliche, noi possiamo scorgere le radici più profonde e più dense di valori a cui attingere contenuti, obiettivi e percorsi relativi alla terza missione, da poter estendere a tutti gli altri saperi proposti da una istituzione accademica cattolica. Vorrei proporre in questo senso qualche considerazione più pertinente agli studi teologici in rapporto alla terza missione.
    Prima di tutto mi pare opportuno riprendere alcuni passaggi molto preziosi della ECE, vede la missione dell’Università cattolica sempre più necessaria per l’incontro della Chiesa con lo sviluppo delle scienze, con le culture del nostro tempo e per il progresso umano e sociale (nn. 10-11). In tale prospettiva, la teologia – afferma la ECE – “porta un contributo a tutte le altre discipline nella loro ricerca di significato, non solo aiutandole ad esaminare in qual modo le rispettive scoperte influiranno sulle persone e sulla società, ma fornendo anche una prospettiva e un orientamento che non sono contenuti nelle loro metodologie”. D’altra parte, questa interazione “arricchisce la teologia, offrendole una migliore comprensione del mondo di oggi e rendendo la ricerca teologica più aderente alle presenti esigenze” (n. 19). E da qui il richiamo alla necessaria interdisciplinarità. Sulla base di questi orientamenti della ECE, si possono comprendere ancora meglio i contenuti della Veritatis gaudium che illuminano il tema della terza missione da uno specifico angolo interpretativo che, a mio avviso, andrebbe molto enfatizzato e approfondito (cf. incontro con l’Assemblea Plenaria della CEC e possibili iniziative di studio a cui la Cattolica dovrebbe pensare, soprattutto in occasione del prossimo centenario, assumendosi una sorta di leadership in questo ambito anche nei confronti delle altre Università cattoliche). Nella Veritatis gaudium, Papa Francesco riprende quanto già affermato nella Evangelii gaudium circa la necessità di tenere sempre unite dottrina e prassi, ragione teoretica e ragione pratica. E potremmo cogliere qualche passaggio della Costituzione proprio da questa ottica, partendo dal punto nodale esplicitato nel Proemio; e cioè il fatto che oggi dobbiamo muoverci nel contesto del “cambiamento d’epoca”. Questo interpella tutti, comprese le istituzioni accademiche. Il cambiamento d’epoca in cui ci troviamo a vivere ci consegna un compito non rinviabile, che viene espresso con queste parole: “sul piano culturale della formazione accademica e dell’indagine scientifica” è richiesto un “impegno generoso e convergente verso un radicale cambio di paradigma, anzi – scrive il Papa – verso una coraggiosa rivoluzione culturale”. Si tratta di un’espressione che il Santo Padre riprende dall’enciclica Laudato si’ (n. 114), e che in tale contesto egli intende applicare all’intero sistema di studi accademici, compresi quelli che si riferiscono alle diverse discipline teologiche. Questa affermazione-chiave fa comprendere gli altri passaggi contenuti nel Proemio con i quali viene ridisegnata la prospettiva degli studi ecclesiastici:
    - il “vasto e pluriforme sistema degli studi ecclesiastici, fiorito lungo i secoli dalla sapienza del Popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo e nel dialogo e discernimento dei segni dei tempi e delle diverse espressioni culturali” è “strettamente collegato alla missione evangelizzatrice della Chiesa” (n. 1);
    - oggi, occorre procedere “con ponderata e profetica determinazione alla promozione, a tutti i livelli, di un rilancio degli studi ecclesiastici nel contesto della nuova tappa della missione della Chiesa” (n. 1);
    - “uno dei contributi principali del Concilio Vaticano II è stato proprio quello di cercare di superare il divorzio tra teologia e pastorale, tra fede e vita. Oso dire che ha rivoluzionato in una certa misura lo statuto della teologia, il modo di fare e di pensare del credente” (n. 2);
    - dato che anche nella situazione odierna Dio vuole continuare ad “associare l’umanità a quell’ineffabile mistero di comunione che è la SS. Trinità, di cui la Chiesa è in Cristo Gesù segno e strumento”, occorre dilatare la ragione per renderla capace di orientare le dinamiche della famiglia umana nella prospettiva della civiltà dell’amore (n. 2);
    - è necessario che anche gli studi ecclesiastici sviluppino quel rinnovamento sapiente e coraggioso che è richiesto dalla trasformazione missionaria di una Chiesa ‘in uscita’ e contribuiscano al processo di discernimento, purificazione e riforma che tutto il Popolo di Dio deve intraprendere per una nuova tappa della evangelizzazione, come ha indicato Papa Francesco nella Evangelii gaudium (cap, 5).
    Da questi cinque elementi che ricaviamo dall’incipit del Proemio e dal seguito dello stesso, mi pare che per il nostro tema possiamo ricavare tre dimensioni.

    Anzitutto la dimensione “kerigmatico”

    Questo primo criterio rimanda direttamente ai numeri della Evangelii gaudium che presentano l’evangelizzazione come approfondimento del kerigma (cf. EG nn. 160-165), poiché senza la luce che promana dall’annuncio della novità evangelica ogni azione risulta inefficace. Gli studi, in tale senso, devono preparare a livello spirituale, intellettuale ed esistenziale, devono offrire un cammino di formazione e di maturazione che consenta all’essere umano di non accontentarsi di poco, ma di tendere al massimo affinché possa dire: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Per mirare a tale obiettivo non è sufficiente una formazione esclusivamente o prioritariamente dottrinale, ma occorre educare all’esigenza ineludibile di vivere l’amore del prossimo come espressione dell’amore di Dio, che costituisce il nucleo essenziale del messaggio morale cristiano. Infatti il kerigma, che deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni rinnovamento ecclesiale, è trinitario, cioè è il fuoco dello Spirito che ci fa credere in Gesù Cristo, che con la sua morte e risurrezione ci rivela e ci comunica l’infinita misericordia del Padre. Il principio kerigmatico viene attuato guardando almeno a tre dimensioni: l’esperienza liberante e responsabile di vivere come Chiesa la “mistica del noi”; far risuonare nella mente il grido dei poveri della terra, dando concretezza alla dimensione sociale dell’evangelizzazione; scoprire in tutta la creazione l’impronta trinitaria che fa del cosmo in cui viviamo “una trama di relazioni”.

    In secondo luogo, la dimensione dialogica

    Il dialogo è da intendere come esigenza intrinseca della natura stessa della persona e di tutte le sue facoltà intellettuali ed esistenziali. L’esperienza comunitaria della gioia che sgorga dall’incontro con la Verità deve portare ad approfondirne il suo significato a livello di vita pratica e tutte le sue implicazioni. Come si legge nel Proemio, “ciò che il Vangelo e la dottrina della Chiesa sono chiamati oggi a promuovere, in generosa e aperta sinergia con tutte le istanze positive che fermentano la crescita della coscienza umana universale, è un’autentica cultura dell’incontro, una cultura, anzi, possiamo dire, dell’incontro tra tutte le autentiche e vitali culture”. Continua il testo della Costituzione: “come ha sottolineato Papa Benedetto XVI, la verità è ‘logos’ che crea ‘dia-logos’ e quindi comunicazione e comunione” e da qui scaturisce l’invito a favorire il dialogo a tutto campo, nella linea tracciata dalla Gaudium et spes e richiamata chiaramente già dalla Sapientia christiana. In quest’ottica e secondo questo spirito è opportuno rivedere l’architettura e la dinamica metodica di studi proposti dal sistema ecclesiastico, nella loro scaturigine teologica, nei loro principi ispiratori e nei loro diversi livelli di articolazione disciplinare, pedagogica e didattica. Occorre, in altri termini – e questa è proprio la preoccupazione della Costituzione – ripensare e aggiornare intenzionalità e organicità delle discipline e degli insegnamenti impartiti per incidere là dove si formano i nuovi paradigmi di racconto e di pensiero. Dunque, ogni sapere va concepito non tanto e non solo secondo una prospettiva “posizionale”, cioè di formazione e consolidamento dell’identità della persona e in vista della propria professione, ma soprattutto secondo una prospettiva “relazionale”, di proiezione ‘in uscita’ e di apertura all’altro e al bene comune.

    La terza dimensione consiste nel principio dell’incarnazione

    Nella Costituzione vengono richiamati i due principi fondamentali: l’unità del sapere, con l’invito a passare dalla forma debole dell’interdisciplinarità alla multi-disciplinarità fino alla transdisciplinarità, per superare la frammentazione e ridare unità di contenuto, di prospettiva, di obiettivo, alla scienza che viene impartita a partire dalla Parola di Dio; e, in secondo luogo, la necessità urgente di “fare rete” tra le diverse istituzioni, attivando le opportune sinergie per ottimizzare i centri “finalizzati a studiare i problemi di portata epocale che investono oggi l’umanità. Giungendo a proporre opportune e realistiche piste di risoluzione” (Proemio 4/d). Già qui si intravede un legame chiaro alla terza missione dell’università, che viene ulteriormente evidenziata nell’ultima parte del Proemio, là dove viene avvertita l’esigenza di imprimere un nuovo impulso alla ricerca scientifica. La Costituzione si rivolge alle Università ecclesiastiche, ma il discorso vale anche per le Cattoliche, alle quali, in un’epoca segnata dalla condizione multiculturale e multietnica, nuove dinamiche sociali e culturali impongono un allargamento di impegno accademico. L’invito rivolto agli studi ecclesiastici a non limitarsi a trasferire conoscenze, competenze ed esperienze, agli uomini e donne del nostro tempo, ma ad elaborare strumenti intellettuali in grado di proporsi come paradigmi di azione e di pensiero utili all’annuncio in un mondo contrassegnato dal pluralismo etico-religioso, è un invito altrettanto urgente per le università cattoliche, chiamate ad incentivare il proprio impegno nell’innalzare la qualità della ricerca, nell’offerta di eccellenze disciplinari e sbocchi nei campi di ricerca aperti alle questioni della società e orientati a preparare nuovi leader capaci di contribuire alla costruzione del bene comune. Papa Francesco conclude il Proemio invitando le istituzioni accademiche ad esprimere in forma nuova, interpellante e realistica il proprio compito; in particolare la teologia e la cultura d’ispirazione cristiana devono continuare la propria missione vivendo rischiosamente e con fedeltà sulla frontiera. E conclude citando il suo Videomessaggio mandato al Congresso Internazionale di Teologia, svolto nel settembre 2015 presso la Pontificia Università cattolica di Buenos Aires: “Le domande del nostro popolo, le sue pene, le sue battaglie, i suoi sogni, le sue lotte, le sue preoccupazioni, possiedono un valore ermeneutico che non possiamo ignorare se vogliamo prendere sul serio il principio dell’incarnazione. Le sue domande ci aiutano a domandarci, i suoi interrogativi ci interrogano” (Proemio n. 5).

    Conclusioni

    In conclusione, vorrei ricordare che la Chiesa del terzo millennio è impegnata a rinnovare la propria passione educativa guardando soprattutto al bene delle giovani generazioni per aiutarle a crescere non solo in intelligenza ma anche in umanità. Il fine dell’educazione, come si legge nella Gravissimum educationis, è di consentire ad ogni persona di sentirsi attivamente partecipe nella costruzione di una nuova società, a partire da un quadro di istanze etiche e normative condivise. In quest’ottica la terza missione è come l’estensione del processo di inclusione che dalle istituzioni deve dilatarsi all’intera famiglia umana. Ciò significa che l’offerta formativa dell’università cattolica sarà efficace se saprà influire sugli stili di vita e trasformare la stessa esistenza dei cittadini delle future generazioni, offrendo un’educazione che sia una forza dinamica capace di modificare il presente, aiutando i giovani ad integrare i saperi della testa, del cuore e delle mani (Cf. Christus vivit, 222).
    Le sfide del cambiamento sociale e culturale che spingono le università ad aprirsi alla terza missione richiedono uno sforzo supplementare ai docenti. Come si legge nella Ex corde Ecclesiae, essi sono invitati a “migliorare sempre la propria competenza e a inquadrare il contenuto, gli obiettivi, i metodi e i risultati della ricerca di ciascuna disciplina nel contesto di una coerente visione del mondo”, raggiungendo anche una “integrazione tra fede e cultura, tra competenza professionale e sapienza cristiana” (n. 22).

    * Segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica.

     


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