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    Tentazioni e virtù della vita universitaria


    Temi di pastorale universitaria /14

    Angelo Tumminelli *

    (NPG 2019-08-66)


     

    Nella vita dello studente universitario l’attività di studio assume una valenza totalizzante al punto da condizionare le scelte, le relazioni e i comportamenti della quotidianità; durante gli anni della formazione accademica ogni decisione deve, infatti, tener conto dei tempi e delle esigenze dello studio il quale diviene l’attività prioritaria in vista della quale occorre organizzare tutta la giornata. In quanto compito esclusivo dello studente, lo studio non deve però mai smarrire la sua funzione di strumento della formazione ovvero di mezzo attraverso cui la persona umana realizza sé stessa dal punto di vista della vocazione professionale. Se l’attività di studio perde la sua valenza strumentale assumendo un significato di fine esclusivo della persona si cade allora nella tentazione dell’idolatria a causa della quale ci si sente costretti a recidere o ridimensionare altri aspetti fondamentali della vita quotidiana che pure richiedono di essere coltivati e custoditi. Quando l’attività di studio impedisce di coltivare le relazioni autentiche trincerando la persona in una chiusura solipsistica, si produce un circolo vizioso che toglie sempre più spazio ad altre dimensioni importanti della vita personale facendo dello studio un vero e proprio dio che ci sottrae a noi stessi e di cui facilmente si rischia di divenire servi. In realtà, preparare un esame o, piuttosto, dedicarsi alle consegne accademiche deve promuovere la bellezza della persona integrale suscitando un senso di pienezza e di condivisione tale da implicare una naturale apertura agli altri. Il rapporto con gli altri diventa, dunque, un sentore puntuale dell’efficacia e della fecondità dello studio: più ci si trincera in sé stessi, meno lo studio è efficace; più ci si apre agli altri, più, invece, lo studio informa la persona rendendola capace di compiere la sua naturale inclinazione relazionale.
    In questa pervasività dello studio, si innescano tutte quelle dinamiche spirituali che se da un lato spingono lo studente al suo pieno compimento personale, dall’altro tendono a condurlo sull’orlo del fallimento spingendolo a ritenere che il percorso accademico intrapreso non è quello più giusto e adatto. Occorre allora essere in grado di riconoscere queste dinamiche per non lasciarsi trovare impreparati di fronte alle difficoltà spirituali che naturalmente sopraggiungono. Riconoscere le mozioni spirituali, come insegna Ignazio di Loyola, è l’arte del discernimento: attraverso di essa la persona diviene in grado di ascoltare i movimenti del proprio cuore e della propria affettività assumendo le proprie scelte con responsabilità e intelligenza. Sono fortemente convinto che il tempo della formazione accademica sia quello in cui maggiormente la persona è chiamata a rafforzare quest’arte esercitandosi in un faticoso lavoro di ascolto interiore e di preghiera. In questo senso, il tempo dello studio diviene un tempo di esercizio spirituale durante il quale la vita dello studente oscilla tra la condizione esistenziale del deserto e quella della gratuità.
    Il tempo del deserto è quello della tentazione, ovvero quando lo studente si sente profondamente scoraggiato e si convince che tutto rischia di andare perduto e che lo studio svolto non è stato altro che una irrecuperabile perdita di tempo. Il deserto è il tempo dell’aridità spirituale e intellettuale, ovvero il momento del silenzio in cui tutte le domande sembrano rimanere inascoltate. Si sperimenta il deserto, ad esempio, quando non si riesce a metabolizzare un argomento dell’esame o quando, dopo non aver superato la prova, si pensa all’insensatezza del percorso intrapreso. Nel silenzio inquietante del deserto siamo tentati alla rinuncia e nutriamo un senso di profonda solitudine di fronte a ciò che ci circonda: tutto sembra non avere senso perché tutto perde il sapore proprio della vera sapienza. Ma, come scrive Carlo Carretto, «questa parola” deserto” è ben di più che una espressione geografica che ci richiama alla fantasia un pezzo di terra disabitato, assetato, arido e vuoto di presenze. Per chi si lascia cogliere dallo Spirito che anima la Parola di Dio, “deserto” è la ricerca di Dio nel silenzio, è un “ponte sospeso” gettato dall’anima innamorata di Dio sull’abisso tenebroso del proprio spirito, sugli strani e profondi crepacci della tentazione, sui precipizi insondabili delle proprie paure che fanno ostacolo al cammino verso Dio». Quindi, bisogna considerare la condizione spirituale del deserto che pervade spesso la vita dello studente come un momento propedeutico alla stessa sapienza. Se, dunque, lo studente non può non fare esperienza dell’aridità, dell’incomprensione e del senso di abbandono, queste condizioni non sono fine a sé stesse ma trovano il loro significato nella misura in cui si aprono al momento successivo della gratuità.
    Lo studente sperimenta la gratuità allorché diviene capace di ascoltare il mondo nella sua propria significatività ontologica. La gratuità è il momento dell’intuizione in cui tutto ciò che prima era oscuro si palesa in una impressionante luminosità. Così gli argomenti che prima risultavano incomprensibili si gustano in tutto il loro significato non solo puramente intellettuale ma più integralmente esistenziale. La gratuità coincide, allora, con il momento della rivelazione del mondo, con l’attimo in cui la realtà studiata si offre all’intelletto umano rivelandosi come dono divino. È con la gratuità che si sperimenta la vera sapienza che è anche allo stesso tempo vera conoscenza: il mondo non è più un oggetto da conquistare con le armi dell’intelletto ma un Tu da scoprire che improvvisamente si rivolge al nostro cuore per trasformarlo e renderlo degno di bellezza. Nel momento della gratuità lo studente apprezza gli argomenti di studio comprendendoli come strumenti di rivelazione dell’amore insito nella realtà; così, è attraverso la gratuità che lo studente scopre il suo stesso cammino accademico come occasione di grazia e di incontro con Dio.
    In definitiva, non esiste vita accademica che non sia caratterizzata dalla costante oscillazione tra deserto e gratuità: se durante il deserto si sperimentano le gravi tentazioni dello spirito, durante la gratuità occorre fortificarsi per essere nuovamente pronti ad affrontare con maggiore consapevolezza le tribolazioni. Sono tante e pericolose le tentazioni che pervadono l’animo dello studente durante il tempo del deserto: oltre all’idolatria dello studio, già ricordata, vi è anche la tentazione del perfezionismo che induce la mente umana a concentrarsi sui minimi dettagli dell’argomento studiato perdendo invece una visione integrale delle cose, oppure la superficialità che induce a soprassedere da tutti i nuclei più importanti di un argomento che richiederebbero di essere approfonditi. Inoltre, sono tante le distrazioni che distolgono la concentrazione dallo studio spingendo lo studente a lasciarsi attirare da qualcosa di inopportuno o inefficace. Un’altra grave tentazione da considerare è quella del confronto con gli altri, ovvero quando l’altro viene visto come un nemico da abbattere o un modello imitabile cui è difficile adeguarsi. Ogni percorso accademico è sempre individuale e non deve lasciarsi condizionare da quello altrui né con riferimento ai tempi né riguardo ai risultati ottenuti. Tutte le tentazioni del deserto confluiscono nell’unica tentazione dell’abbandono, quella nella quale lo studente si sente terribilmente solo di fronte all’impossibilità di comprendere il mondo e si lascia vincere dallo scoraggiamento.
    Tutte queste tentazioni richiedono di essere combattute attraverso le virtù che devono fortificarsi durante il tempo della gratuità. Le virtù sono gli strumenti dell’edificazione spirituale della persona umana, quegli abiti che consentono allo studente di fortificare e confermare la propria vocazione. È allora necessario perseverare nelle virtù per vincere le tentazioni e sperimentare la bellezza dell’essere chiamati da Dio ad un compito di amore per il mondo. Tra le virtù che lo studente universitario deve maggiormente fortificare vi è anzitutto l’apertura del cuore, ovvero la disponibilità all’ascolto del mondo nel suo mistero imperscrutabile, la capacità di lasciarsi interrogare profondamente dalla realtà per abitarla in responsabile consapevolezza. Vi sono poi l’accoglienza dei propri limiti conoscitivi, la pazienza e la perseveranza nelle scelte e nel percorso intrapreso e la condivisione come capacità di dialogo costruttivo con gli altri nel cammino condiviso della conoscenza. Tutte queste virtù devono trovare fonte di alimentazione nella preghiera attraverso la quale lo studio si fa esperienza di lode a Dio per il dono del creato. Attraverso la preghiera anche lo studente, nel suo compito di approfondimento e di studio del mondo, si sente allora parte integrante del mistero dell’essere e, quindi, si sente ancora più amato e chiamato a realizzare il compito per cui è stato scelto direttamente da Dio.

     

    * PhD in Filosofia Morale e Docente di Storia e Filosofia nei Licei


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