Pastorale Giovanile

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    Temi universitari maggiori


    (NPG 2017-06-23)

     

    Quel che segue è poco più che un elenco con note che rappresentano altrettante possibilità di intervento e punti di innesto per una sperimentazione pastorale accessibile e graduale in una comunità, in un gruppo, nella progettazione e nella proposta concreta. I Temi maggiori, come gli abbiamo chiamati, sono di fatto delle grandi aree che raggruppano al loro interno azioni specifiche che portano una visione particolare e specifica. Questi ulteriori temi saranno trattati e rappresentano il contenuto della Rubrica che nei numeri che seguiranno verranno via via affrontati unitamente a testimonianze significative rinvenibili sul sito della Rivista. Alcuni temi sono estremamente specifici e propri del tema universitario in senso proprio, ma ineludibili, altri più ampi e condivisibili in filoni pastorali ulteriori. L’azione pastorale può essere dunque inquadra in tre grandi ambiti, trattati qui da diversi autori, che teniamo distinti per meglio definirne in contorni specifici, ma che non possono vivere di vita propria perché sono inscindibilmente legati gli uni agli altri in una vicendevole contaminazione generativa.

    PASTORALE IN UNIVERSITÀ
    Marco Cianci, responsabile pastorale universitaria Arcidiocesi di Milano

    Solitamente si guarda al mondo universitario come al luogo della ricerca e del sapere, e così è: studio, ricerca e docenza sono i termini che affiorano alla nostra memoria, non appena pensiamo all’Ateneo.
    È pur vero che, accanto a questi termini che principalmente ci portano a pensare alla dimensione culturale, il nostro sguardo non può non volgersi a colui a cui tutto ciò è destinato: la persona. Ecco perché esiste e opera in università la “Pastorale Universitaria”.
    L’operato ecclesiale della Pastorale Universitaria vuole essere attenzione esplicita a coloro che, a vario titolo e in forma diversa, operano all’interno delle Università. Sarebbe infatti ingiusto pensare ad operare una pastorale universitaria, riducendola esclusivamente ad un’attenzione destinata al giovane studente; la PU è ben di più e cercheremo, in questo breve articolo di delinearne, anche solo brevemente, le forme.
    Anzitutto è necessaria una semplice ma fondante chiarificazione: quando si parla di PU in università è opportuno tenere presente una triplice suddivisione, che ci permette di chiarire l’operato pastorale negli atenei. L’agire si struttura principalmente a partire dalle seguenti distinzioni: la pastorale PER gli universitari, la pastorale IN università e la pastorale CON gli universitari.
    La pastorale per gli universitari è quell’azione ecclesiale propriamente rivolta ai giovani studenti, il cui scopo è un accompagnamento preciso e puntuale. Si comprende subito che la delimitazione è fragile - ed è buona cosa che lo sia – perché operare per gli universitari è anche operare per tutti coloro che lavorano in università. Basti pensare che, accanto al giovane studente (specialmente) fuori sede che incontra in questo contesto una guida spirituale (sacerdote o consacrato), c’è anche il personale tecnico amministrativo o il corpo docente.
    Spesso le domande che vengono poste a chi opera la pastorale per gli universitari calcano le orme di un cammino pastorale parrocchiale/oratoriano. Tuttavia, il fare pastorale per gli universitari non è un’imitazione o una copiatura delle pratiche parrocchiali. Operare in università vuol dire mettere i piedi in un terreno laico, nel quale non ci sono catechismi, attività ricreative, o altro.
    I verbi principali dell’azione pastorale - vedere, giudicare e agire - non sono secondari in un ambiente come l’ateneo, privo dell’ossatura parrocchiale.
    La pastorale per gli universitari è una sfida per la Chiesa, che entra in un terreno non suo. Essa ha come destinatari coloro che, pur frequentando l’università, già sono avviati e vivono un cammino cristiano. Tra le azioni specifiche di ogni pastorale per gli universitari, non possiamo non citare il culto, luogo espressivo e cifra sintetica nella quale il fedele si perfeziona: “Gratia non tollit naturam, sed perficit” (S. Tommaso). Naturalmente al culto partecipano coloro che ad esso sono già avviati, per questo motivo la pastorale per gli universitari, e per coloro che vivono in varie forme il lavoro in ateneo, non esime dall’uscire, dal culto alla cultura: la pastorale In università.
    La pastorale IN università raccoglie quanto viene svolto dalle Cappellanie o dai centri pastorali, che potremmo definire luoghi di missione, opportunità affinché la Chiesa possa mostrarsi nella sua natura: testimone di libertà, di verità, di giustizia e di pace (Canone Romano).
    È grazie all’azione in università che la Chiesa mostra se stessa in un ambito di vita privilegiato e singolare. Può capitare, a volte, che docenti e personale tecnico amministrativo, lontano dagli ambienti di fede, guardano inizialmente con “sospetto” la cappellania e quanto si svolge attorno ad essa, ma poi sono presi da vivo interesse: seminari di ricerca, corsi semestrali, convegni, conferenze di varia natura e di diverso genere. Si tratta di opportunità che permettono alla Chiesa di mostrarsi attenta, vicina, interessata e libera, per narrare la propria fede e senza essere invasiva in alcun modo.
    Il culto, di cui parlavamo sopra, viene qui tradotto e detto mediante la cultura; anche l’etimologia ce ne suggerisce l’unità, oseremmo dire l’inseparabilità. Il buon gusto del sapere, la curiosità sempre viva, fanno dell’uomo una creatura capace di scoprire sempre e senza mai fermarsi. Potremmo quasi parlare della famosa inculturazione: per essere capito e compreso, uno deve pur parlare il linguaggio con la grammatica del luogo!
    Non è infatti possibile agire in università (ambiente laico) con superficialità, per evitare spiacevoli conseguenze. È opportuno ponderare scelte appropriate, affinché la risonanza di una iniziativa possa mostrare la bellezza della verità, più che le polemiche. In questi tempi nei quali assistiamo alla morte delle ideologie e al crollo delle evidenze, più acuta si fa la domanda di come vivere quando l’orizzonte è confuso e il centro smarrito; sono pertanto tempi di grazia, perché sono diminuiti gli steccati che un tempo dividevano le persone ed è accresciuto il bisogno di cercare fondamenti sicuri.
    Con le iniziative in università è possibile coinvolgere non solo coloro che abitano l’ateneo (per studio o per lavoro), ma anche coloro che vivono ad esso vicini. È da questa intuizione che l’espressione ormai comune “learning society”, società di conoscenza, indica l’intuito fondamentale affinché l’uomo contemporaneo metta a frutto la soddisfazione dei propri interessi e le proprie potenzialità conoscitive, etiche e creative.
    La Chiesa, a partire da questa grande opportunità, desidera riflettere sul senso e sul futuro delle università, così da reinterpretare la domanda circa il suo ruolo nei confronti della società e senza dimenticare il bene comune e lo sforzo per superare le barriere, qualsiasi esse siano.
    La pastorale CON gli universitari è l’operato che permette un protagonismo del giovane studente affinché, all’interno dell’università, il compito di testimonianza della fede non sia demandato al sacerdote al consacrato, o a qualche altro adulto di buona volontà. Questo modo di agire è un vivere la fede in piena coscienza che permette al giovane, accanto a diversi amici e colleghi di studi, di esprimere la convenienza dell’essere cristiano. E anche in questo caso, siamo in un tempo di grazia, perché, come scrive Paul Evdokimov: “I discorsi non bastano più, l’orologio della storia segna l’ora in cui non è più solo questione di parlare di Cristo, quanto piuttosto di diventare Cristo, luogo della sua presenza e della sua parola”. I cappellani universitari devono solo sostenere il cammino del giovane, mostrandogli la pertinenza di Cristo con ogni aspetto della vita: i discorsi non bastano più, ora bisogna testimoniare con l’intera vita. Dal crollo delle evidenze, può così emergere una nuova e più persuasiva certezza: Cristo è capace di mettere in movimento la vita intera. E questo è ciò di cui il mondo ha bisogno.

    PASTORALE A FAVORE DEGLI UNIVERSITARI
    Angelo Giornelli, Direttore Fondazione Educatt
    Maria Villano, Ufficio Stampa Fondazione Educatt

    Si tratta di azioni strutturali a favore della parte più debole della comunità accademica (welfare universitario) con attenzioni particolari e specifiche. Di questo ambito fanno parte la residenzialità universitaria e la cura dei fuori sede, il dialogo con le istituzioni accademiche e civili, la promozione del volontariato e del servizio come occasione formativa, l’offerta di tirocini formativi innovativi e autenticamente formativi. Non basta soltanto occuparsi di quelli che si usa chiamare i “bisogni primari” degli studenti e delle loro famiglie – l’alloggio, il cibo, l’assistenza sanitaria, gli strumenti di studio, il sostegno economico – ma si tratta di fornire risposte a domande e a necessità più profonde della persona, tanto più complesse quanto meno esplicitamente espresse, ponendo la persona al centro.
    La concezione comune dell’unità abitativa delle residenze universitarie è stata spesso ispirata a criteri di gestione e di comodità dell’ospite che hanno portato a sviluppare il “modello albergo” o il modello “casa dello studente”, entrambi orientati sulle facilities e sui servizi o sull’economicità di gestione meno che sulle esigenze di formazione, umana e accademica, degli studenti ospiti. Diversamente da questi modelli, l’offerta abitativa messa a disposizione dagli enti di ispirazione cattolica si è da sempre caratterizzata per un’accentuata attenzione a concepire il Collegio e la Residenza universitaria come una “comunità studentesca” che abbia un progetto educativo e formativo complementare a quelli di Ateneo. Al di là dell’aspetto abitativo-residenziale, dunque, fondamentali sono i momenti e gli spazi ludico-ricreativi, quelli più specifici concernenti lo studio universitario e la preparazione degli esami, ma anche una rosa di opportunità di crescita personale e umana: come si capisce, si tratta di una scelta non dettata da criteri meramente economici, ma fondata soprattutto su requisiti di tipo valoriale, con l’obiettivo di creare spazi di studio e di confronto e aggregazione che possano favorire la formazione completa della persona e contrastare le difficoltà di socializzazione e la tendenza all’isolamento e alla sostituzione della vita reale con le relazioni basate sul networking tipiche della generazione dei Millennials.
    L’esperienza collegiale rappresenta un contesto particolarmente significativo per lo sviluppo e il rafforzamento delle competenze relazionali, cognitive, decisionali, oggi considerate fondamentali per affrontare le sfide della vita adulta, nella pluralità dei suoi contesti. Risiedere in un Collegio durante il periodo universitario offre diverse e numerose opportunità che fruttano spesso anche risultati tangibili, come dimostra un’analisi statistica condotta da Edisu Pavia ed Educatt, che ha permesso di evidenziare le migliori performance degli studenti che hanno risieduto presso i collegi rispetto a quelli che non hanno fruito di tale occasione.
    Come ha sottolineato il prof. Pierpaolo Triani nella sua relazione sul Ruolo educativo e formativo delle residenze universitarie (2016), ci sono diversi aspetti dell’‘umanità’ che i collegi universitari si propongono di coltivare:
    un umanesimo integrale, ossia attento a tutte le dimensioni della persona; un umanesimo relazionale, ossia non chiuso in sé, ma che riconosce l’incontro con l’altro come elemento costitutivo della propria identità; un umanesimo trascendente, ossia che si apre al mistero di Dio, come fondamento dell’esistenza; un umanesimo della fragilità, che riconosce il limite e la fatica come costitutiva della vita umana; un umanesimo comunitario e della fraternità, che riconosce il legame e il destino che accomuna gli uomini al di là dei gusti e degli interessi; un umanesimo della solidarietà e della speranza, che leggere la storia umana come un impegno per un bene che è già all’opera.
    Ma è anche nella solidarietà, nella scoperta dei bisogni dell’altro, nel dialogo e nell’incontro con persone in difficoltà, che la persona di un giovane universitario cresce. Accanto dunque alla residenzialità diventa centrale offrire alla popolazione studentesca delle opportunità di servizio volontario. Questo avviene a seconda delle latitudini e delle città nei modi più diversi e attivando risorse, ecclesiali e non, le più varie. Stare accanto al povero e al fragile è profondamente educativo e fornisce quelle competenze trasversali – capacità di lavoro di squadra, attenzione all’altro etc. – oggi determinanti anche per l’orientamento lavorativo.
    Analogo valore formativo hanno i tirocini formativi curricolari presenti in diversi corsi di studio: accordi e convenzioni con le istituzioni accademiche pubbliche e gli enti ecclesiastici permettono agli studenti di conoscere i nostri mondi e formarsi in settori che spesso sono di eccellenza rispetto a quanto abitualmente si riscontra e rispetto ai tirocini che abitualmente sono loro offerti. Le Diocesi che hanno un servizio di pastorale universitaria o i singoli enti possono con facilità costituirsi come enti accreditati presso gli atenei e scoprire questa risorsa che è significativa anche per gli enti stessi poiché porta all’interno uno sguardo nuovo, fresco di studi e di capacità innovativa .
    Un fronte ultimo rispetto al welfare universitario è rappresentato dall’ascolto delle situazioni di povertà umana ed economica sempre più crescenti. In accordo con la Caritas o altri enti o servizi vicini in diverse città universitarie vengono offerti agli studenti sportelli di ascolto psicologico e di sostegno nel percorso universitario. Accanto a questi risulta determinate la creazione di un sistema che reagisca efficacemente e in modo sinergico alle situazione di carenza di mezzi economici. Sempre più spesso le famiglie non sono in grado di fare fronte alle spese per l’istruzione superiore e questo determina l’abbandono degli studi. Il sistema delle borse di studio non è sufficiente e talora improvvisi rovesci famigliari o la semplice vergogna rispetto a posizioni sociali ormai perdute determinano questi casi. Gli atenei pubblici hanno un sistema di welfare anche importante così come gli enti di diritto allo studio ma spesso il territorio e gli enti ecclesiali non ne sono avvertiti. Avviene dunque che si aiuti una famiglia economicamente non pensando che, facendo rete con le istituzioni universitarie per il Diritto allo Studio, si possa aiutare anche a mantenere il corso di studio che in non pochi casi rappresenterebbe ancora per quel nucleo una concreta possibilità di riscatto per gli studenti e dunque anche per le famiglie che ci sono alle spalle.
    Questo è dunque il ruolo non solo dell’Università, ma anche della Pastorale universitaria: insegnare ai nostri giovani a vivere nell’oggi, che significa non tirarsi indietro di fronte alle responsabilità etiche che il nostro tempo ci impone di assumerci, verso i nostri simili, verso l’ambiente, verso noi stessi, verso i più poveri.

    PASTORALE CON GLI UNIVERSITARI SUL TERRITORIO
    Denise Drago, Cappellania universitaria di Perugia.

    È l’ambito in cui vi può essere maggior guadagno pastorale rispetto alla pastorale ordinaria, anche in quei territori ove non insiste un plesso universitario o quelle diocesi in cui non vi sono atenei o centri di ricerca. In quest’ambito possiamo segnalare l’orientamento universitario, la spiritualità dello studio, l’attenzione al fatto universitario delle comunità che affacciano su atenei, centri di ricerca, residenze universitarie, il valore imprescindibile del rapporto tra fede e cultura, il nesso tra esperienza universitaria e discernimento vocazionale, l’iniziazione cristiana e il catecumenato.
    Quando parliamo di Pastorale Universitaria nei nostri ambienti ecclesiali abitualmente fatichiamo ad immaginare di cosa si tratti: un gruppo dedito allo studio e alla ricerca, una élite di docenti, un’associazione studentesca, un movimento tra gli altri; difficile tratteggiarne l’identità e le attività che potrebbero farne parte: si possono definire propriamente ecclesiali? A chi sono rivolte? Da chi è proposta? Sono solo alcune delle domande che emergono. Addirittura si può rimanere sorpresi di fronte alla possibilità che un’attività pastorale sia connessa alla cultura e che vi possano essere dei punti di contatto tra università e chiesa, intesa soprattutto come territori: insomma una realtà non sempre di immediata e chiara comprensione anche per gli addetti ai lavori che talora faticano a raccontarsi e dunque creare capacità di lavoro sinergico con le altre azioni della chiesa. Nonostante questo oserei dire che la Pastorale Universitaria si ponga al cuore dell’azione della Chiesa che è per sua natura evangelizzatrice e generatrice di alleanze feconde . Figli di un’epoca in cui la secolarizzazione del sapere sembra essere la conquista di un nuovo umanesimo, rischiamo di perdere di vista il fatto che il carattere culturale appartiene inscindibilmente alla fede cristiana, la quale si alimenta nella misura in cui il messaggio cristiano entra in relazione con l’esperienza storica di ciascuno. Il credente pertanto è chiamato a pensare intelligentemente la propria fede; a far dialogare la buona notizia con i diversi ambiti del sapere e mostrare che ancora oggi il Vangelo è in grado di orientare e dare senso all’esistenza di ciascun uomo. Se questo dialogo fra Vangelo e cultura è centrale per tutti, con non minore intensità sarà vero per quei ragazzi che decidono di intraprendere un percorso universitario.
    Pensiamo agli adolescenti animatori nelle nostre parrocchie, che conclusa la scuola superiore di secondo grado, si trovano al bivio tra l’università e il mondo del lavoro, tra rimanere nella propria città oppure migrare verso luoghi sconosciuti e altri. Come fare a scegliere? Quali motivazioni portanti? Spesso influenzati da “eredità” e dinamiche familiari, attratti da esili e profonde aspirazioni, i giovani si trovano stretti tra le aspettative degli altri e i desideri iniziali che avvertono in cuore. Accompagnare i ragazzi in questo passaggio così delicato, diventa un servizio molto prezioso di orientamento che deciderà la loro vita. Si tratta infatti di sostenere una libertà inclinata verso la scoperta della propria identità e delle sue effettive capacità. Tale processo decisionale se alimentato da motivazioni di ordine vocazionale, condurrà il giovane ad una scelta più consapevole e serena e lo farà restare saldo anche nei momenti inevitabili di delusione e fatica.
    Varcando la soglia del mondo universitario poi i giovani entrano in contatto con un contesto favorevole non solo alla loro crescita intellettuale, ma anche alla loro piena maturazione umana. Molte infatti sono le sollecitazioni, le competenze acquisite, il confronto con “questioni vitali” e “profondi mutamenti” davanti ai quali si sentono talvolta poco equipaggiati e soli. In questo cammino sorge forte l’esigenza di essere accompagnati in vista di un’integrazione graduale dei diversi valori posti in gioco e, in particolare, l’armonizzazione dello studio con la fede, che oramai chiede di essere vissuta pubblicamente in un modo sempre più autentico.
    Da quanto detto si conclude che la Pastorale Universitaria si dà là dove sia presente almeno uno studente universitario, mentre troppo spesso le nostre comunità guardano ai giovani solo in modo “funzionale” (animatore, catechista, ecc…), o come persone da non perdere. La Pastorale Universitaria più che un insieme di attività, è un modo di guardare e pensare i giovani, allargando lo sguardo ristretto che troppo spesso le nostre comunità hanno . Spesso crediamo che i giovani d’oggi non siano più capaci di farsi domande e che vivano alla giornata senza preoccupazioni. In realtà l’università è il tempo in cui viene tenuto vivo il desiderio di un domani capace di accogliere la progettazione del proprio futuro; essa allena il giovane ad indirizzare le proprie energie verso un obiettivo che può e deve permanere nel tempo. Il percorso conoscitivo vissuto nel mondo universitario con fatica, pazienza e soddisfazione, custodisce ed esercita la ricerca di senso e di unità di vita, insita in ciascun uomo. Questa attitudine si offre come ricchezza qualificante per le nostre realtà ecclesiali, perché tornino ad essere luoghi fecondi: instaurare alleanze educative costituite da scelte libere e responsabili (come avviene negli oratori); alimentare la fiducia nella novità del Vangelo, la quale non è mai conclusa né fissata; rinvigorire il coraggio di rischiare nel percorrere strade inesplorate, tracciate dalla condivisione dei saperi e della fede e dall’originalità di ciascuno.
    Durante gli studi universitari i giovani acquisiscono competenze e abilità specifiche, contributi preziosi per gli “organismi di partecipazione delle comunità diocesane e parrocchiali” (uffici pastorali e amministrativi, strutture caritative, consigli pastorali ed economici, oratori) . Il loro coinvolgimento quindi offrirebbe alla chiesa reali possibilità di crescita “accogliendo le loro idee, anche quando appaiono provocatorie” . Allo stesso tempo le nostre comunità diventerebbero capaci di sostenere l’aspetto vocazionale della scelta universitaria e di accompagnare i giovani verso decisioni durature e definitive.
    Grazie alla Pastorale Universitaria, allora, la Chiesa, arricchita di uno sguardo peculiare sulla realtà giovanile, ha la possibilità di far risplendere la luce del Vangelo in modo più efficace, contribuendo a costruire la fraternità universale e all’edificazione del Regno.


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