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    Papa Francesco e i giovani - Pensieri ricorrenti /7

    Cesare Bissoli

    (NPG 2016-05-66)


    1. Dopo un po’ che si segue la relazione di Papa Francesco con i giovani si possono individuare certe costanti: ama – riamato – i giovani come tali, e non per qualche appartenenza privilegiata (salvo la condizione di disabilità); in ogni viaggio apostolico significativo programma un incontro con loro, possibilmente dialogico, a domande libere inviate dalla base, il che gli permette di parlare con maggior spontaneità e vivacità, senza fogli pre-scritti, che sorridendo restituisce al segretario; vede i giovani non isolati in sé, e se li incontra in qualche associazione o movimento, parla loro non come un ‘club’ cattolico garantito, ma come ‘generazione’ di persone che costituisce una fase originale necessaria della vita sia della società come della Chiesa; in quarto luogo - e questo si nota nei grandi viaggi - imposta un discorso inserito nel contesto familiare, sociale e religioso di appartenenza, con un voluto radicamento nell’ambito dell’esistenza; è costante l’apertura di grandi orizzonti nell’ordine della fede in cui “Gesù Cristo è la guida sicura”, che si traduce in invito alla preghiera e si manifesta in una attenzione preferenziale per i poveri; e ancora va sottolineato il tono affettuoso, mai direttamente critico, sempre incoraggiante e aperto alla speranza. È presto osservabile che laddove l’entusiasmo è maggiore, ancora più evidente è la sintonia del Papa. In America Latina il livello è imbattibile!
    2. Questi elementi caratterizzanti si ritrovano in un discorso programmatico tenuto ai giovani messicani, raccolti in due stadi, a Guadalajara e a Morelia il 16 febbraio 2016. È a Morelia che Papa Francesco tenne materialmente il discorso, tra i più belli mai pronunciati, per contenuto e stile di comunicazione, chiamando i giovani per nome, suscitando reazioni positive alle sue affermazioni, stimolando ripetizioni ad alta voce di idee chiavi, entusiasta verso giovani loro stessi entusiasti, ma concreti, realisti e critici nelle domande-problema che a nome loro Daniela, Alberto, Roberto, Rosario hanno rivolto a Francesco. Il nocciolo comune era: come avere speranza in un oggi dove mancano le opportunità di lavoro e di studio, dove dominano la manipolazione delle coscienze e lo sfruttamento delle braccia come merce.
    3. Il Papa si è concentrato su tre termini-guida: ricchezza, speranza, dignità.
    - “La ricchezza che Dio ha dato a voi; voi siete la ricchezza del Messico. Uno dei tesori più grandi di questa terra messicana ha il volto giovane, sono i suoi giovani”.
    - “La speranza che vi dà Gesù Cristo. Vi dico questo, e ne sono convinto, sapete perché? Perché come voi credo in Gesù Cristo. È lui che rinnova continuamente in me la speranza. E risveglia in me, in ognuno di noi, il fascino di godere, il fascino di sognare, il fascino di lavorare insieme. È grazie a Lui che possiamo dire: che non è vero che l’unico modo di vivere, di essere giovani è lasciare la vita nelle mani del narcotraffico o di tutti quelli che la sola cosa che stanno facendo è seminare distruzione e morte”.
    - “La dignità che vi dà il non lasciarvi ‘lisciare per il pelo’, ed essere merce per il borsellino dell’altro… Quando ti si vuol far credere che tu cominci a valere quando ti mascheri di vestiti, marche dell’ultimo grido della moda, o quando diventi prestigioso e importante perché hai denaro. La principale minaccia è quando uno sente che i soldi gli servono per comprare tutto”.
    4. Con benefico realismo, Papa Francesco completa questi pensieri, che possiamo intendere per noi elementi di un vademecum di pastorale giovanile, con altri motivi che gli stanno a cuore.
    - Sa bene e lo dice chiaramente che anche per i giovani vengono momenti in cui “tutto sembra pesante, quando sembra che ci caschi il mondo addosso” e viene da dire a Gesù: “non guardarmi, sono tutto infangato o infangata… non c’è più rimedio. Io ti dico solamente, lasciati afferrare la mano, e afferra quella mano. Gli alpini hanno un canzone molto bella, che a me piace ripetere ai giovani, una canzone che cantano mentre salgono: ’Nell’arte di ascendere il successo non sta nel non cadere, ma nel non rimanere caduti’”.
    - “Rosario ha detto una cosa molto bella: 'nella famiglia si impara la vicinanza’. Sì, in famiglia si impara la solidarietà, a condividere, a discernere, a litigare e a mettersi d’accordo, a discutere e ad abbracciarsi e baciarsi. Nella famiglia c’è quella ricchezza che voi avete, potete trovare la speranza, potete avere dignità. Voi sognate di avere una famiglia?”. La risposta fu un sì grandioso e corale.
    - Infine altro tratto che dice il modo concreto, realistico di Papa Francesco nel parlare ai giovani. Ad essi annuncia un Cristo che sembra poter dare una felicità a portata di mano, ma ricorda anche: “Certo per questa strada forse non avrete la macchina ultimo modello, non avrete il portafoglio pieno di soldi, ma avrete qualcosa che nessuno potrà togliervi, cioè l’esperienza di sentirsi amati, abbracciati e accompagnati. È il fascino di godere dell’incontro, è il fascino di sognare nell’incontro con tutti. È l’esperienza di sentirsi famiglia, di sentirsi comunità. È l’esperienza di poter guardare il mondo in faccia, a testa alta! Senza la macchina, senza i soldi, a testa alta! La dignità!”.
    Dopo la lettura di tanti incontri del Papa con i giovani, in vista del ’vademecum’ citato sopra, mi sorgono delle domande: quale può essere la receptio o accoglienza reale dei giovani che ascoltano? (Non ho fin qui notato qualche studio in proposito). Quale mediazione spetta a noi formatori? Come si possono qualificare e valorizzare gli interventi di Papa Francesco, per ciò che dice e per il modo così empatico con cui lo dice?


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