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    La comunità educativa

    soggetto ecclesiale

    Interrogativi e punti di approfondimento

    Juan E. Vecchi



    1. La soggettività della comunità educativa

    I documenti e gli studi sulla comunità educativa in generale [1] e, più in particolare, su quella salesiana [2] offrono ormai materiale per una antologia. Gli approfondimenti brevi, [3] medi e lunghi sembrano avere esaurito l'argomento e lasciar luogo dunque soltanto alla ripetizione. Ogni aspetto è stato trattato in forma particolareggiata: fondamenti, composizione, competenze, funzioni, processi interni e rapporti esterni.
    Un risultato non piccolo si è ottenuto: socializzare e condividere la scelta della comunità educativa come elemento cardine della scuola salesiana. Ciò comporta concentrare gli sforzi nel promuovere e qualificare gruppi di educatori, senza trascurare per questo la consistenza culturale e pedagogica dei progetti e l'aggiornamento delle strutture. Di tale proposito sono prova i due ultimi Capitoli Generali. Quello dei Salesiani stabilisce che nel presente sessennio (1990-96) la comunità educativa dovrà diventare realtà in ogni presenza. [4] Sarà quindi un impegno da verificare con molta serietà a raggio ispettoriale e mondiale alla prossima scadenza (1996).
    Il Capitolo Generale XIX delle Figlie di Maria Ausiliatrice suppone la comunità educativa come realtà indiscussa in fase di attuazione, la riporta sovente al centro del discorso educativo e ribadisce l'urgenza di alcuni processi al suo interno come per esempio la partecipazione, la comunicazione, la solidarietà, l'attenzione alla nuova situazione della donna. [5]
    Dell'impegno per la comunità educativa dà fede pure il «Progetto Educativo della scuola e della formazione professionale dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Italia» (1992). [6] Secondo la descrizione sintetica iniziale, essa «è centro propulsore dei processi, fonte di energia che fa nascere relazioni interpersonali, modello di conduzione educativa conforme allo spirito di famiglia del carisma salesiano». Ciascuna di queste espressioni può dar luogo a un capitolo di commenti e di applicazioni pratiche. Alcuni temi connessi con la comunità educativa poi hanno avuto svolgimenti autonomi ancora più estesi: l'animazione, i collaboratori laici, il sistema preventivo, la formazione permanente.
    Il limite deplorato, ma spiegabile, è la lentezza nella realizzazione. Per cui nel convegno di Sacrofano si affermava: «Oggi si devono attivare i processi che possono far diventare le unità scolastiche locali soggetti capaci di gestire la complessità e adeguare la propria azione ai ritmi dei cambiamenti. I problemi che la scuola deve affrontare sono molti. La sola enunciazione e corretta impostazione appaiono lunghe e difficili. Più urgente che riuscire a dominarli tutti in una sola volta, è mettere in azione gruppi di educatori solidali nella missione educativa, capaci di rielaborare gli stimoli che li si offrono e creare modelli di intervento. Tali gruppi possono non soltanto assimilare gli orientamenti che vengono dai propri centri di animazione, ma anche sperimentare soluzioni originali». La conclusione era palese: gli studi ad alto livello, le direttive da parte dell'autorità, i documenti chiarificatori sono utili. Ma più urgente è preparare in forma sistematica persone e gruppi ad interpretarli e realizzarli. Non si tratta di alternative escludenti - ancora orientamenti o sforzo di qualificazione degli educatori - ma di priorità e urgenze.
    Su questa linea vuole collocarsi il nostro discorso: raccogliere una sfida, riprendere uno stimolo fecondo e giungere a dei chiarimenti che consentano di migliorare la vita e l'assetto delle comunità già nell'immediato.
    Della comunità educativa, nell'ultimo tempo, si è messa a fuoco con particolare interesse la soggettività: il fatto che essa non sia soltanto committente di un lavoro da compiere su incarico e per conto di altri (quasi un appalto!), ma ne sia il titolare; che la sua responsabilità sui contenuti e gli indirizzi, l'offerta e i risultati educativi non sia secondaria e di sola esecuzione ma principale e di progettazione; che non soltanto proponga processi educativi ai giovani, ma li faccia essa stessa.
    Tale condizione di soggetto veniva presupposta in molte prospettive precedenti, ma non era stata tematizzata né presa come un punto di vista ricostruttivo della complessità scolastica per estrarne le molteplici conseguenze. [7]
    Negli orientamenti che hanno guidato la riflessione di questi anni ricorre per la prima volta, riferita alla presenza della scuola cattolica nella società civile, nel documento «La scuola Cattolica oggi, in Italia» della CEI. [8] Presentandolo alla Conferenza Nazionale Salesiana (Frascati, 1983), Mons. Ambrosanio ne additava, come grande novità e asse portante, la triplice soggettività della scuola cattolica: quella educativo-culturale, quella sociale e quella ecclesiale.
    La prospettiva venne poi ripresa da «La dimensione religiosa dell'educazione nella Scuola Cattolica» (Congregazione per l'Educazione Cattolica, 7 aprile 1988), [9] e fatta oggetto di ampia discussione nel Convegno Nazionale del novembre 1991. [10]
    Parlare della scuola cattolica come soggetto significa concepirla in primo luogo come uno spazio umano anziché come una struttura; pensare l'educazione in termini di relazioni tra persone e gruppi piuttosto che di soli programmi o contenuti intellettuali. È il soggetto che fa il progetto conforme alle sue possibilità, convinzioni e aspirazioni. La soggettività dunque spinge tutto il discorso dell'educazione verso la comunicazione, creatività e responsabilità.
    In questo spazio umano persone e gruppi interagiscono in forma libera e molteplice. I risultati educativi trovano una spiegazione ultima negli agenti stessi, nella loro mentalità, professionalità e dedizione, piuttosto che in cause esterne, lontane o anonime come l'ambiente generale, il sistema scolastico, i programmi. La soggettività educativo-culturale sta ad indicare il diritto, il dovere e il compito che ha la comunità di immaginare, e mettere in atto criteri e proposte educative originali, accordi con una visione dell'uomo in cui crede e conforme alla valutazione che fa dei destinatari. Non solo «passa» o trasmette cultura, ma la elabora. Non solo riproduce l'educazione ordinata dall'alto ma la ripensa e attua secondo scelte proprie.
    La soggettività sociale [11] significa che la scuola cattolica fa parte, a tutti gli effetti e con pieno diritto secondo la propria natura e finalità, della comunità sociopolitica nazionale, del contesto sociale immediato e soprattutto del sistema educativo: non è sussidiaria, di supplenza, una concessione a «settori» di particolari convinzioni religiose, ma uguale ad altri plessi scolastici quanto a stato giuridico, sostegno economico, doveri e rappresentatività, sebbene originale e complementare quanto a contributi culturali e pedagogici.

    2. Soggetto ecclesiale

    La soggettività della comunità educativa presenta dunque diverse dimensioni autonome, non riducibili l'una all'altra, sebbene poi in una comunità concreta interagiscano e si fondino in unità. La ragione ultima di tutte è nella persona che per prima ha il diritto innato all'educazione e alla cultura in senso attivo e passivo e che, per promuoverle, può anche dare origine a soggetti sociali che vengono riconosciuti e regolati dagli ordinamenti giuridici, civili ed ecclesiali.
    La persona non vive dunque tali dimensioni in forma schizofrenica, separandole l'una dall'altra secondo tempi, interlocutori o spazi giuridici. Pur facendole interagire dialetticamente per ottenere da ciascuna il massimo di stimolo e ricchezza, le organizza in una identità personale e le gerarchizza in una scelta di valori educativi e di prassi pedagogica. E ciò con tanta maggior libertà e chiarezza quanto più gli ordinamenti giuridici dei paesi riconoscono i soggetti sociali come luogo dove la persona (e non in primo luogo lo stato!) si esprime e si sviluppa. Forse non si è presa ancora sufficiente consapevolezza della cultura che sta ispirando da alcuni anni il vivere sociale dei paesi più avanzati. Può capitare che i cattolici (o si fa per dire!) manifestino ancora un complesso di inferiorità, una tendenza alla sudditanza, a mettere tra parentesi l'identità educativa che scaturisce dalla confessione della fede, all'adeguamento di fronte al mondo scolastico «laico» o agli organismi statali. E la persona umana, unica e unita interiormente, che ha diritti inviolabili e crea possibilità nuove, sia come singolo sia nei soggetti o formazioni sociali. Sono questi dunque che si specializzano e si moltiplicano nella società moderna e complessa per poter accogliere le scelte delle persone, non le persone che rinunciano o nascondono la loro identità per poter stare entro soggetti sociali stretti e rigidi. Noi vogliamo approfondire la soggettività ecclesiale, che non è un principio di riduzione delle altre due ma lo strumento di una loro ricomprensione, [12] e che appare carica di conseguenze e applicazioni pratiche. Si è detto infatti che «costituisce un punto fondamentale nuovo e originale; con essa avviene un trapasso copernicano». [13]
    Anche il primo Convegno Nazionale sottolineava questa novità: «Potremmo parlare... di conversione culturale: si tratta di operare un rinnovamento di mentalità e un rilancio operativo per una qualificazione della scuola cattolica che risulti nell'ambito educativo, culturale e scolastico "specchio della Chiesa" di una comunità che fa sintesi tra la fede e la vita». [14]
    Anche facendo la tara di una certa enfasi scontata nella presentazione di ogni nuovo documento o prospettiva specialmente ad operatori del settore interessato, la portata di queste affermazioni rimane ancora di notevole peso. Se poi corrisponde ai fatti ce ne dovremmo rendere conto guardando la prassi della Chiesa e l'andamento delle comunità scolastiche. L'asserto riguarda infatti principalmente queste due realtà.
    La soggettività ecclesiale, d'altra parte, non è un principio teorico o un titolo di nobiltà da sfoderare in qualche opportunità straordinaria, ma un criterio operativo le cui conseguenze possono essere verificate anche con un certo rigore. [15]
    Così la presenta come un principio operativo e organizzativo il nostro Progetto: la comunità scolastica è «il soggetto ecclesiale nel quale la comunità cristiana assume senza riserve la dimensione educativa e culturale della propria esperienza di fede, nella varietà delle presenze, delle vocazioni e dei ministeri. La diversità accolta in tutta la sua ricchezza e la convergenza costruita intorno al progetto educativo e al servizio dell'autorità costituiscono l'elemento centrale di unità». [16]
    Ciò era stato sovente ribadito. La scuola cattolica veniva infatti additata come presenza di credenti nel mondo scolastico, compimento della missione ecclesiale, luogo educativo coerente con la fede, parte del tessuto vivo della Chiesa locale, contributo della Chiesa alla società civile, spazio significativo dell'incontro tra fede, istituzione della comunità cristiana, ambiente ecclesiale di educazione, luogo di formazione cristiana integrale attraverso l'assimilazione sistematica della cultura.
    Ma centrare il discorso sulla «soggettività ecclesiale» vuol dire ripensare e vivere in maniera nuova l'originale rapporto che esiste tra Chiesa e scuola cattolica.
    • La scuola cattolica appartiene alla Chiesa non nel senso che è sua proprietà o possesso «come un bosco, un prato, una banca o un palazzo», ma ne costituisce una «porzione», una realizzazione capace di assumere e riflettere la sua identità e la sua vita. Non è semplicemente un'iniziativa, un servizio emanato verso l'esterno, ma la stessa comunità ecclesiale, una sua manifestazione particolare volta ad adempiere la sua missione di educare l'uomo. È Chiesa! Ipsa Ecclesia! [17] In essa è presente e agisce la Chiesa di Cristo. [18]
    Il carattere ecclesiale non è un valore che si ottiene per concessione, consensi o pratiche religiose aggiunte, ma è costitutivo una volta che la missione è stata
    data o riconosciuta. Perciò il Codice di Diritto Canonico [19] stabilisce criteri per il riconoscimento ecclesiale delle istituzioni scolastiche e delle comunità che le curano.
    • Come «porzione» o «realizzazione» della Chiesa è aperta ad altre sue espressioni, alcune più piene e comprensive, altre più piccole. Tra le prime bisogna annoverare la Chiesa locale in cui la comunità scolastica si inserisce immediatamente; tra le seconde, le associazioni ecclesiali particolarmente quelle che le sono più affini e soprattutto la famiglia, considerata pure soggetto ecclesiale. Come «porzione» o espressione ecclesiale ha anche un rapporto singolare con la comunità umana nella quale vive come fermento e alla quale è inviata.
    • Ma la comunità scolastica non viene sufficientemente descritta come soggetto ecclesiale mediante la sola appartenenza o identificazione con la Chiesa. Bisogna mettere sulla bilancia un altro elemento: la sua originalità fra i diversi soggetti o manifestazioni ecclesiali.
    La missione di «educare l'uomo» è affidata alla Chiesa universale e particolare. Ma solo le comunità a cui ci riferiamo assumono questa missione secondo il modello professionale, civile e scolastico.
    La soggettività educativo-culturale code-termina la composizione, il funzionamento, le finalità, il metodo pastorale, e anche l'espressione della fede della comunità scolastica. Non la si può pensare o volere simile alla comunità parrocchiale, o al movimento ecclesiale. La sua differenza non consiste soltanto nel «lavoro» materiale, ma proprio nella sua esperienza ecclesiale. Se pensassimo altrimenti porremmo già il principio della divisione o giustapposizione tra esperienza di fede e compito di insegnamento che non vorremmo veder affermato alla fine del ragionamento, nel momento di tirare le conseguenze quotidiane.
    • A definire ulteriormente l'originalità ecclesiale concorre il fatto che la comunità scolastica ha una propria soggettività sociale che proviene dalla sua appartenenza ad una comunità umana indipendentemente da denominazioni confessionali. È piantata nel secolare, nel punto di incontro tra fede e mondo, piuttosto che tra istituzione ecclesiastica e Stato, fonde in sé finalità ecclesiali e finalità sociali. In forza di questa soggettività si apre, si comunica e interagisce con altri soggetti dedicati alla medesima o ad altre attività culturali all'interno del corpo sociale sulla base dei principi e degli interessi secolari anche se in questi essa porta i fermenti e contributi della sua scelta religiosa.
    Dai due tratti precedenti ne viene un terzo. Poiché radicata nella società umana e nell'area culturale, la comunità scolastica si configura come «missionaria». La missionarietà viene fondamentalmente dal fatto che compie la missione nella Chiesa; ma anche perché è collocata in uno degli aeropagi moderni e risulta quasi una frontiera «ad gentes». «L'ecclesialità della scuola cattolica ha un'intrinseca forza missionaria - diceva Mons. Tettamanzi -. Non la chiude nella Chiesa, ma l'apre all'esterno, alla società chiamata come è, proprio nell'impegno culturale, educativo, scolastico a trasmettere la visione di vita ispirata al Vangelo non solo ai suoi membri, ma a tutti gli altri». [20]
    Nella scuola cattolica partecipano dunque della soggettività ecclesiale persone che sono a diversi livelli nella comprensione e pratica della fede. Anzi essa si estende più in là dei confini visibili della Chiesa, a coloro che collaborano di cuore alla missione, pur appartenendo ad altre confessioni cristiane o avendo per il momento verso la Chiesa solo una apertura o disponibilità. [21]
    E ciò anche se è vero che la soggettività ecclesiale si fonda sul battesimo, che comporta il diritto-dovere alla crescita e allo sviluppo come figli di Dio. Di esso gode in primo luogo tutti i fedeli e correlativamente l'organizzazione ecclesiastica che lo esercita attraverso le sue diverse espressioni sociali.
    • Nei documenti che veniamo esaminando si parla di soggetti a quattro livelli: la chiesa universale e particolare, entro la quale la scuola cattolica trova la sua ragion d'essere, la comunità educativa che esercita con propria responsabilità e creatività la missione della Chiesa di educare; le diverse componenti interne alla comunità educativa, genitori, educatori, allievi designati anch'essi come soggetti dell'educazione; finalmente i singoli, indipendentemente dalle categorie in cui vengono inclusi, a partire dal loro essere persone e battezzati chiamati a crescere nella fede, a diffondere il Vangelo e a associarsi liberamente con altri per interessi collegati allo sviluppo umano e cristiano.
    Questa articolazione, ascendente e discendente, dalla comunità alla persona, dalla persona alla comunità è di somma importanza: fa vedere che la soggettività non parte da un «collettivo» il quale per primo la possiede nella sua totalità e la distribuisce poi a organismi subalterni che vengono quasi assorbiti da essa; ma ciascuno la ha in proprio e la mette in comune conservando la propria inalienabile originalità.
    Da questa appartenenza differenziata, originale scaturiscono le relazioni che si stabiliscono tra la comunità educativa e la Chiesa particolare: il termine che le definisce non è dipendenza anche se si riconosce all'autorità il ruolo di costituire, riconoscere e orientare; non è nemmeno autonomia. anche se si riconosce
    alla comunità educativa la capacità di elaborare quello che è nel suo campo professionale specifico. È reciprocità: la relazione che intercorre tra i membri del corpo in cui è raffigurata la Chiesa. Con le parole della CEI: «La scuola cattolica deve pensare se stessa e il proprio compito in una relazione sempre più piena con la Chiesa diocesana; la diocesi deve sentire e trattare la scuola cattolica come una realtà profondamente radicata nella propria trama vitale e nella propria missione verso il mondo». [22]
    La Chiesa particolare dunque riconosce come sua, nel senso di comunione non di possesso, la comunità scolastica, le affida la missione educativa, la appoggia dal punto di vista sociale ed economico, provvede a collocarla in una buona organizzazione del suo servizio per i fedeli e per tutti quelli che ne vogliono approfittare, la inserisce nella sua vita comunitaria visibile e ne valorizza la presenza. La comunità educativa scolastica a sua volta si mantiene in comunicazione con la comunità ecclesiale, presenta nel contesto il volto della Chiesa sensibile ai problemi dell'uomo, assume le sue linee pastorali secondo il proprio modello di azione, apporta la propria professionalità anche in altri impegni della comunità cristiana, partecipa attivamente alla progettazione di un servizio di educazione più esteso e più ricco; [23] in particolare, alla luce del suo soggetto protagonista, il mondo dei ragazzi e dei giovani, cerca un'integrazione profonda tra il proprio lavoro educativo e la pastorale giovanile. [24]

    3. Applicazioni e conseguenze per le Comunità Educative Pastorali Salesiane

    Le conseguenze pratiche della soggettività ecclesiale si diramano per noi in tre direzioni: la struttura interna della comunità scolastica, la sua originalità carismatica, il ruolo del nucleo animatore.

    3.1 La struttura interna
    Ogni soggetto ecclesiale assume le caratteristiche della Chiesa sebbene non in maniera uniforme. Ora l'elemento più caratteristico della Chiesa, la causa o radice del suo essere e manifestarsi come comunità-società è la presenza dello Spirito di Gesù che crea tra i membri comunione di fede, di speranza e di carità. A servizio dello Spirito e della comunione si costituiscono adeguati ministeri.
    • La comunità educativa dunque è un fatto dello Spirito. I vincoli tra i suoi membri, educatori, genitori, allievi non sono soltanto di lavoro e organizzazione ma rispondono a una chiamata e convocazione. [25]
    Non è determinante che tale fatto non sia vissuto da tutti a livelli eccellenti o che alcuni non lo percepiscano chiaramente come motivazione della loro presenza e partecipazione. E importante invece che il gruppo animatore sia consapevole delle sue possibilità e orienti la comunità di conseguenza. La comunione infatti è anche progetto. Il livello più elementare sta nell'assumere insieme un disegno per la crescita della vita secondo il Vangelo, nel collaborare, nel dimostrarsi a vicenda sincera stima e fiducia.
    Come in ogni espressione di Chiesa è una comunione per la missione. La missione la richiede e allo stesso tempo la ricrea e rafforza. Nel nostro caso la missione ha un punto di coagulo, l'educazione della persona. Ha pure una mediazione privilegiata: l'elaborazione sistematica e critica della cultura attraverso l'insegnamento. Questi non sono solo strumenti dell'evangelizzazione. Per la comunità scolastica sono «esperienza di vita cristiana» e costituiscono la forma e il contenuto dell'annuncio: una visione evangelica della vita, proclamata attraverso la testimonianza e parola. «La scuola è luogo di evangelizzazione, di autentico apostolato, di azione pastorale non già in forza di attività complementari, parallele o parascolastiche, ma per la natura stessa della sua azione rivolta direttamente all'educazione della personalità cristiana». [26]
    • In questa comunione per la missione educativa si articolano e operano organicamente diverse vocazioni: il laico secondo la sua condizione di vita, uomo o donna, sposato o celibe; il consacrato/a (religiosi/e, membri di istituti secolari) con la loro esperienza spirituale e il loro patrimonio educativo; il ministro ordinato conforme al compito che assume nella comunità, di cappellano, direttore spirituale o educatore in senso professionale. Tali presenze costituiscono un riflesso vivo della ricchezza della chiesa e facilitano la comprensione della sua realtà. [27]
    • Il compito educativo fa scaturire espressioni originali da ciascuna di queste vocazioni. Un sacerdote educatore ha un suo modo proprio di mettere a frutto il ministero della parola, della santificazione e dell'animazione pastorale. La cattedra è il suo pulpito. La cultura intesa come vita e pensiero è il suo messaggio; l'orientamento evangelico della comunità costituisce il suo ministero pastorale. La sua opera di santificazione consiste nell'aiutare a riconoscere e dare una risposta generosa alla grazia nel processo di formazione e crescita integrale. Qualche cosa di simile capita per il consacrato. Anche prescindendo da una sua specifica prassi pedagogica di cui parleremo più avanti, la consacrazione medesima agisce come energia educativa: offre un riferimento sostanziale di valore nella formazione della cultura personale, ricorda il carattere indispensabile della donazione per la propria realizzazione, orienta verso la preferenza per i beni proclamati nelle beatitudini, estende la razionalità fino alla ricerca del senso e la percezione del mistero che la vita comporta.
    Il laico attua in forma originale le caratteristiche generali della sua vocazione: il suo trattare le questioni temporali dal di dentro e secondo le proprie leggi si traduce in capacità di comunicare esperienza vissuta alla luce della fede nel vivo delle sfide della cultura e del contesto sociale; il suo compito di lievitare le realtà temporali con l'etica, la carità e lo spirito del Vangelo aiuta la comunità a collocarsi con realismo nella contingenza, per fare i passi possibili senza perdere di vista le mete ultime.
    I beni che questa comunione è chiamata a far crescere nei giovani e negli adulti sono la fede, la speranza e la carità: il senso della presenza «liberante» di Dio nella storia, la fiducia nel compimento della salvezza, la scommessa per l'uomo. Tutte e tre hanno una realizzazione originale nella comunità e nel progetto educativo.
    L'educazione alla fede tiene costantemente presenti i fenomeni di vita dei giovani, i fatti della cultura precedente e attuale che sono determinanti per la loro mentalità, la riflessione che se n'è fatta per risignificarli col Vangelo. Segue il cammino dell'esplorazione della realtà che è proprio del processo educativo e connaturale al giovane; lavora con la testimonianza, le motivazioni, le esperienze convincenti soprattutto di tipo pedagogico. «Secondo i casi, si deve ricominciare dai fondamenti; integrare quello che gli alunni hanno assimilato; dare risposte alle domande che salgono dal loro spirito inquieto e critico; abbattere il muro dell'indifferenza: aiutare quelli già bene educati a raggiungere una via migliore e dare loro una scienza alleata dalla sapienza cristiana». [28]
    La speranza si esprime nella scoperta gioiosa delle possibilità di ogni persona, nella disponibilità ad accogliere e far maturare il positivo che c'è nei giovani, nella fiducia nella cultura umana che si svolge nel tempo, [29] nell'attesa di raggiungere con i giovani i traguardi di una umanità più vicina a quella che si rivela in Cristo. [30]
    La carità si traduce nel rapporto interpersonale, nella competenza professionale, nello sforzo di preparare e fare proposte «segnate dal gusto per il bene, il bello, il vero, sperimentate in forma coinvolgente», [31] nella presenza incoraggiante nella comunità educativa, che serve da mediazione per la sintesi cultura-vita-fede.
    Finalità e percorso educativo, articolazione organica di vocazioni diverse per la realizzazione del progetto, orientamento verso la comunione profonda di fede, speranza e carità danno origine al tipo di ministeri che servono la comunità. È evidente che se ci fermassimo alla sola soggettività culturale o sociale, non solo alcuni compiti, ma la configurazione, l'articolazione e lo stile medesimo dell'autorità e di altri ministeri risulterebbero diversi.

    3.2 L'originalità carismatica
    I primi documenti ecclesiali sulla scuola hanno messo in guardia contro il ripiego o «ritirata» dei religiosi/e dall'impegno scolastico. La loro diminuzione era evidente e progressiva come lo è tuttora. Si doveva per lo più al calo vocazionale, a ridimensionamenti con cui si tentava di ritornare ai destinatari preferenziali o al bisogno di soddisfare altre domande di educazione e pastorale sorte posteriormente. Solo in alcuni casi, piuttosto individuali, sono intervenuti motivi ideologici.
    Le motivazioni addotte per arginare questo esodo non mettevano in luce la ricchezza pedagogica dei diversi carismi. Ribadivano invece la validità apostolica dell'azione educativa e la sua importanza per la missione della Chiesa.
    Così il documento «La scuola Cattolica» (1977) che ha aperto la serie di dichiarazioni sul tema, ricorda i vantaggi dell'apostolato comunitario in campo educativo [32] e sottomette al discernimento del Vescovo la chiusura o la riconversione delle opere scolastiche in altre attività. [33] Una normativa simile la si trova oggi nel Codice di Diritto Canonico. [34] Erano ragioni di efficienza e di disciplina pastorale piuttosto che considerazioni sul carattere ecclesiale o la ricchezza carismatica della comunità educativa. Infatti, in tale documento in primo luogo si mette l'opera (la scuola), poi il progetto, poi la comunità. L'intenzione prima è mantenere e qualificare le scuole, non tanto dare una coscienza o dimensione nuova alle comunità scolastiche o prendere atto dell'esistenza di comunità ecclesiali diverse.
    Ai gruppi di religiosi/e non vengono attribuiti particolare peso e significato qualitativo collegato al loro carisma. Eppure l'interrogativo che non pochi religiosi/e si ponevano non era tanto se l'educazione fosse un'attività proficua per l'evangelizzazione, ma quale era il contributo specifico e il posto della loro opzione radicale per il Regno in una struttura e in un programma di insegnamento segnati fortemente da criteri secolari e in molti casi funzionali a finalità poco concordi col Vangelo.
    C'erano dunque nell'aria delle domande: i religiosi apportano qualcosa di proprio alla qualità dell'educazione cattolica e alla dinamica della comunità educativa? La ragione per cui si consiglia loro di non abbandonare il campo scolastico è soltanto quella non indebolire la quantità della presenza cattolica? È sufficiente accennare, in forma generale, alla possibilità di una testimonianza evangelica fra i giovani e di una dedizione completa al lavoro scolastico?
    Il documento seguente su «Il Laico cattolico testimone della fede nella scuola» (1982) è un po' più esplicito, ma non risolutivo. Mentre conferma la ricchezza che la compresenza di sacerdoti, religiosi e laici porta a un progetto di scuola cattolica, sottolinea anche l'importanza delle scuole dirette da famiglie religiose. [35] I religiosi, dunque, possono inserirsi singolarmente nelle istituzioni cattoliche o avere opere proprie, caratterizzate da una loro presenza comunitaria. Ma come si influisce in ciascun caso sulla fisionomia, le strutture e le dinamiche dell'educazione? I pregi attribuiti a la presenza dei religiosi sono «la testimonianza qualificata in un mondo secolarizzato», «la possibilità di un contatto immediato e duraturo con la gioventù in un momento che spontaneamente reclama spesso la verità della fede... in un'età nella quale le idee e le esperienze lasciano un'impronta permanente nella personalità dell'alunno». [36] Sono accenni ancora piuttosto generici applicabili a qualsiasi presenza di religiosi in qualsiasi comunità scolastica.
    È sintomatico che in parallelo alla riflessione sul laico educatore non ce ne sia stata un'altra sui religiosi educatori. «La scuola cattolica oggi, in Italia» (1983) rappresenta un momento di maggior chiarezza riguardo al ruolo della comunità religiosa nelle opere scolastiche. «In particolare, recita, spetta alla comunità religiosa, ove sia presente nella scuola cattolica, il compito di calare all'interno del progetto l'originalità del carisma proprio dell'istituto religioso e l'esperienza acquisita nella tradizione del servizio». [37]
    L'accenno viene raccolto in seguito nel documento «La dimensione religiosa dell'Educazione nella Scuola Cattolica». Dopo aver riconosciuto che la maggior parte delle scuole cattoliche dipende da istituti di vita consacrata, che i loro membri si mettono a disposizione completa dei giovani convinti di servire in loro il Signore e che nella stessa loro vita comunitaria esprimono visibilmente l'esistenza della chiesa che prega, lavora e ama, rileva che tali istituti portano alla scuola la ricchezza della loro tradizione educativa, modellata sul carisma originario, e offrono ai membri una preparazione professionale accurata richiesta dalla vocazione educativa. Dunque il carisma e la spiritualità non sono relegati e rinchiusi nella comunità di vita consacrata, ma si diffondono, configurandolo, nell'ambito educativo. I religiosi vi portano non soltanto competenza didattica e capacità di gestione, ma una esperienza delle spirito che si traduce in prassi pedagogica.
    Ciò rappresenta un piccolo passo avanti nel riconoscimento del ruolo storico dei religiosi nella concretizzazione dell'attuale progetto di scuola cattolica, ma non ancora sufficiente. Per cui non lascia molta traccia.
    Infatti in documenti posteriori, per esempio, «Fare pastorale della scuola oggi in Italia» (6 giugno 1990), nel capitolo che si propone di studiare tutti i soggetti operanti nella e per la scuola, [38] la comunità o gruppo dei religiosi o religiose non viene annoverata. Si parla dei vescovi, dei parroci, dei laici, degli operatori scolastici, delle consulte, dei genitori e degli allievi. La comunità dei religiosi/e non sembra costituire un soggetto che interagisce solidalmente con gli altri all'interno della comunità educativa.
    Ma nel frattempo gli educatori elaborando i loro progetti e i religiosi approfondendo la loro spiritualità hanno evidenziato le diverse tradizioni pedagogiche che fioriscono dai carismi dei fondatori e caratterizzano le loro famiglie.
    Tutte insieme esprimono la missione educativa della Chiesa capace di adeguarsi ad ogni cultura, categoria, ambito e persona.
    Per quanto riguarda i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice i Capitoli Generali hanno chiarito l'originalità del loro progetto educativo. «È una ricca sintesi di contenuti e metodi: di processi di promozione umana e insieme di annuncio evangelico e di approfondimento della vita cristiana. Nelle sue mete, nei suoi contenuti, nella sua attuazione concreta richiama contemporaneamente le tre parole con le quali don Bosco lo definiva: ragione, religione, amorevolezza». [39] C'è dunque un principio e un'ispirazione unitaria.
    «Può essere proposto e offerto a chi non condivide la nostra visione del mondo e non partecipa della nostra fede perché applicato con duttilità, gradualità e sincero rispetto verso i valori umani e religiosi presenti presso le culture e le religioni esso produce frutti fecondi sul piano educativo, libera grandi energie di bene e in non pochi casi pone le premesse di un libero cammino di conversione alla fede cristiana». [40] È una dichiarazione di validità universale come corrisponde all'educazione!
    Il progetto salesiano si concentra dunque sull'«educativo». Lì si ritrovano tutte le iniziative, quelle che sembrano di beneficenza o di ricupero, quelle più culturali o religiose, e persino quelle che hanno come destinatari gli adulti.
    L'educazione poi è orientata, attratta e animata dal polo pastorale perché la ragione e il cuore sono attirate da e verso la «religione», cioè verso il riconoscimento e l'esperienza di Dio. Per dirlo col parere di uno storico: «Non bisogna pensare la visione e l'azione educativa di Don Bosco divisa in due tronconi, perennemente contrastata da due diversi ispirazioni, una celeste e l'altra terrena, equivalenti e sullo stesso piano. I due orizzonti non si oppongono ma si compongono in un'unità gerarchica... I fini dell'educazione si subordinano ad un più alto ideale morale-religioso cristiano soprannaturale, la salvezza dell'anima e il servizio amoroso di Dio». [41]
    L'unità di tali «orizzonti» (di orizzonti infatti si tratta!) non viene perseguita soltanto a livello di formulazioni verbali o di conoscenze intellettuali. E tutta l'esperienza educativa che porta verso la sintesi particolarmente attraverso due fattori. Il primo è lo stile dell'opera educativa impostata sul modello oratoriano (casa, chiesa, scuola, cortile), e corrispettivamente la struttura di «famiglia» della comunità educante con una gerarchizzazione tipica di finalità, dimensioni e attività. Il secondo è il rapporto personale educatore-giovane che recupera ed esplicita elementi vari, dispersi o invisibili a prima vista nelle attività e nella comunità che rende palesi i sentimenti, atteggiamenti e disposizioni che educatori e giovani hanno nei momenti che sembrano concentrati, in forma quasi neutrale, sui contenuti, per esempio il momento didattico; diventa più profondo attraverso gli incontri spontanei o cercati per motivi personali; tende a divenire continuo e di lunga durata fino a far nascere l'amicizia educativa.
    L'originalità carismatica dunque si manifesta anche nella forma di offrire e elaborare con i giovani le proposte educative. Si cerca la fusione o vicendevole animazione tra educazione ed evangelizzazione privilegiando la via esperienziale dell'ambiente, l'incontro di persone, le attività, la partecipazione, la corresponsabilità: è tutto il contenuto metodologico del sistema preventivo.
    Contenuti e metodi inducono nella comunità una forma di realizzare la missione educativa, un criterio nei rapporti di lavoro, una maniera di maturare decisioni e un'organizzazione, duttile e adattabile, ma in coerenza con la totalità degli elementi precedenti.
    Tale organizzazione trova un appoggio indispensabile nella determinazione dei ruoli comunitari. Essi si coordinano e si subordinano conformi agli obiettivi immediati, medi e ultimi e conformi allo stile della comunità. Così il punto di riferimento ultimo in ordine all'orientamento è colui che rappresenta la finalità pastorale, il superiore/a religioso. Tra i salesiani è sacerdote, sia che operi quotidianamente nella struttura sia che la orienti nel contesto di un'opera più ampia. Il sacerdote nella comunità educativa salesiana non è cappellano ma educatore. Orienta l'educazione secondo una pedagogia dell'anima e della grazia.
    D'altro verso lo stile comunitario tipico richiede che l'ultimo riferimento e appello non sia la figura del tecnico, ma quella del padre/madre. Il direttore-sacerdote o la superiora religiosa guidano il discernimento affinché il progetto educativo si mantenga nella sua linea pastorale. Il padre/madre provvede perché lo stile comunitario (rapporti, esigenze, disciplina, equilibrio, riconciliazione) si sviluppi nello spirito di «famiglia» (l'educazione è cosa di «cuore»!) e non si richiuda nello schema «scolastico».
    È evidente che di questa definizione della prima carica si dovrà tener conto nella strutturazione dei ruoli subalterni. E qui c'entra il pluralismo dei modelli organizzativi scolastici che sono strettamente legati alla visione educativa e alla concezione comunitaria e ai quali, di conseguenza, si riconosce sempre più non solo una esistenza precaria, «tollerata», ma piena cittadinanza e uguale dignità nel mondo della scuola.
    L'ordinamento e competenze dei ruoli inclusi nel Progetto Educativo sono normativi dunque per regolare i rapporti all'interno della comunità e dell'istituzione e dovrebbero considerarsi parte del contratto di lavoro. Diversamente si mantiene uno scollamento: ottima visione della comunità educativa e una strutturazione totalmente insufficiente per assicurarne spirito e finalità.
    La comunità educativa risulta così allargamento, espansione della comunità religiosa costituita nel nome del Signore. O se si vuole quest'ultima viene ad essere concentrazione della prima; il legame tra di esse è sempre la missione, il progetto e la prassi educativa.
    A ragione, dunque, da quando si è incominciato a parlare della comunità educativa, i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno voluto approfondire il rapporto tra vita religiosa e progetto educativo, tra comunità religiosa e comunità educativa, tra direzione spirituale dei confratelli e orientamento pedagogico della comunità educativa, tra ruoli della comunità religiosa e ruoli della comunità educativa. Certo non ci si può avvinghiare con norme tanto strette che impediscano ogni movimento, o così «ideali» che finiscano per non rispondere alla realtà. Ma gli orientamenti di principio sono utili per capire l'armonia dell'insieme, per non disperdere tutto o porzioni importanti del proprio patrimonio.

    4. Il ruolo della comunità religiosa

    Sulla base di quanto detto prima le Costituzioni hanno sancito cinque punti fermi: nel nostro inserimento nella Chiesa locale e universale offriamo il contributo della pedagogia salesiana, [42] e ciò significa consapevolezza del carisma educativo; la missione, il progetto educativo e gli obiettivi pastorali vengono affidati alla comunità religiosa in forma solidale e corresponsabile; [43] attorno ad essa e a partire da essa si organizza la comunità educativa nella quale si offre ai laici la possibilità di conoscere e approfondire lo spirito salesiano e la pratica del sistema preventivo e li si invita anche a far parte della Famiglia Salesiana: [44] il direttore guida il discernimento pastorale e orienta gli impegni educativi affinché si adempiano le finalità della missione e si raggiungano gli obiettivi del progetto; [45] la meta della comunità educativa è poter diventare «esperienza di Chiesa». [46] Il ruolo della comunità salesiana è dunque di convocazione o costituzione della comunità educativa, cura dell'identità e animazione. Ciò si traduce in uno sforzo di formazione permanente, coordinamento operativo e orientamento pratico. Per poter svolgerlo le si richiederà in primo luogo condivisione del progetto. Sarà necessaria la sua partecipazione all'impostazione sostanziale del progetto e al chiarimento di punti particolari, soprattutto se si tratta di quelli che sono particolarmente sentiti oggi nell'educazione.
    Ma poi ci vorrà solidarietà nell'opera di animazione secondo i compiti e i doni. Va richiamato il concetto di «ambiente» salesiano di educazione. Esso è più ampio della stretta organizzazione scolastica. Contempla la presenza di adulti che o per età o per competenza non compiono prestazioni scolastiche ma sono parte della «famiglia» educativa che si interessa dei giovani e hanno una parola o una esperienza da offrire.

    NOTE

    1. Ciascuno dei cinque documenti ecclesiali che sono alla base di questa relazione fa una presentazione della comunità educativa:
    Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica, La Scuola Cattolica, 1977, nn. 53-62.
    Id., Il laico cattolico, testimone della fede nella Scuola, 1982.
    Id., La dimensione religiosa dell'educazione nella Scuola Cattolica, 1988, nn. 14-46.
    CEI, La Scuola Cattolica oggi, in Italia, 1983. no. 34-51.
    CEI, (Ufficio Nazionale per l'Educazione), Fare pastorale della Scuola oggi in Italia, 1990, nn. 26-43.
    2. Cfr. J.E. VECCHI, Pastorale giovanile, una sfida alla comunità ecclesiale, Leumann. LDC. 1992. pp. 120-196.
    R. TONELLI, «Comunità Educativa» in VECCHI, PRELLEZO, Progetto educativo Pastorale, Roma, LAS, 1984, pp. 399-416.
    3. Sono particolarmente ricche e indicative le presentazioni della Comunità Educativa che vengono nei PEPSI delle singole ispettorie dopo le revisioni degli ultimi Capitoli Ispettoriali.
    4. «La Congregazione si impegna nel prossimo sessennio a costruire in tutte le presenze la comunità educativa pastorale», CG 23 n. 235; «Entro il prossimo capitolo ispettoriale ogni comunità locale realizzi e perfezioni nella propria opera la comunità educativo-pastorale», CG 23 n. 236.
    5. Cfr. Atti del Capitolo Generale XIX, pp. 45-66.
    6. Cfr. n. 4, pp. 23-24.
    7. Cfr. CEI, La presenza della Scuola Cattolica in Italia, Atti del primo Convegno Nazionale. Roma. 20-23 novembre 1991, Brescia, La Scuola. 1991. p. 22.
    8. CEI, La scuola cattolica oggi, in Italia. o.c.. n. 78: «La scuola cattolica contribuisce con le sue strutture, le sue disponibilità culturali... con la sua specifica soggettività a formare quel sistema integrato di servizio scolastico, in cui le strutture predisposte dai pubblici poteri e quelle istituite e-o stile da soggetti diversi si integrano...».
    9. O.c., n. 33: «La scuola cattolica ha avuto dunque dal Concilio una identità ben definita: possiede tutti gli elementi che le consentono di essere riconosciuta non solo come mezzo privilegiato per rendere presente la Chiesa nella società, ma anche come vero e proprio soggetto ecclesiale».
    10. Cfr. CEI, La presenza della Scuola Cattolica in Italia, o.c.
    11. Cfr. La presenza della Scuola Cattolica in Italia, o.c., p. 78.
    12. Cfr. La presenza della Scuola Cattolica in Italia, o.c., p. 49.
    13. CISI, Scuola Salesiana oggi in Italia, I Conferenza Nazionale, 1983, pp. 95ss.
    14. La presenza della Scuola Cattolica in Italia, o .c ., p. 52.
    15. «Se parliamo di soggetto ecclesiale e di eeclesialità della scuola cattolica, il vocabolario si fa preciso e rigoroso. Qui bisogna prendere sul serio le parole che usiamo». La Scuola Cattolica oggi, in Italia, o.c., p. 96.
    16. SDB-FMA, Il Progetto educativo della scuola e della formazione professionale dei Salesiani di Don Bosco e delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Italia. Roma, 1992, p. 23.
    17. Cfr. Scuola Salesiana oggi, in Italia, o.c., p. 96.
    18. Ibidem, p. 55.
    19. Can. 803. 804. 806.
    20. La presenza della Scuola Cattolica in Italia. o.c., p. 57.
    21. Cfr. La Scuola Cattolica. o.c., n. 59.
    22. La Scuola Cattolica oggi, in Italia, o.c,. SN.
    23. Cfr. La presenza della Scuola Cattolica in Italia, o.c., pp. 62- 63.
    24. Ibidem, p. 64.
    25. Scendere alle radici più, profonde della Chiesa significa coglierla non solo nella sua struttura istituzionale-giuridica o nella sua attività pastorale. ma anche ed innanzitutto nella sua dimensione teologica: la Chiesa è mysterium, una realtà di grazia che è accessibile solo alla fede e che nel contempo trascende la stessa comprensione del credente. Per questo il rapporto tra Chiesa e scuola cattolica non si esaurisce nella precisazione degli aspetti giuridici e pastorali, ma attinge la sua singolare profondità e originalità nel radicarsi nella dimensione misterica della Chiesa. Solo a questa profondità è possibile definire l'intera verità dell'ecclesialità propria della scuola cattolica». CEI, La presenza della Scuola Cattolica in Italia, o.c., pp. 49-50.
    26. La dimensione religiosa dell'Educazione nella Scuola Cattolica, o.c., n. 33.
    27. Cfr. Il laico cattolico, testimone della fede nella Scuola, o.c., n. 46.
    28. La dimensione religiosa dell'Educazione nella Scuola Cattolica, o.c., n. 23.
    29. Cfr. E. MAIOLI, J.E. VECCHI (a cura di), L'animatore nel gruppo giovanile, Leumann, LDC, 1988, p. 24.
    30. Cfr. Il laico cattolico, testimone della fede nella Scuola, o.c., n. 26.
    31. Cfr. E. MAIOLI, J.E. VECCHI (a cura di), L'animatore nel gruppo giovanile, o.c., p. 25.
    32. Cfr. La scuola Cattolica, o.c., n. 75.
    33. Cfr. o.c., n. 76.
    34. Cfr. can. 801. 803. 806.
    35. Cfr. Il laico cattolico testimone della fede nella scuola, o.c., n. 46.
    36. O.c., n. 46.
    37. La scuola cattolica oggi, in Italia, o.c., n. 36.
    38. Cfr. Fare pastorale della scuola oggi in Italia, nn. 21-43.
    39. CG21, SDB, n. 80.
    40. Ibidem, n. 91.
    41. P. BRAIDO, Il sistema preventivo di Don Bosco, PAS-Verlag, Ziirich, 1964, 2a ed., pp. 123-124.
    42. Cfr. Costituzioni SDB, art. 48; FMA, art. 63.
    43. Cfr. Costituzioni SDB, art. 44; FMA, art. 64.
    44. Cfr. Costituzioni SDB, art. 47; FMA, art. 68.
    45. Cfr. Costituzioni SDB, art. 44; FMA, art. 52.
    46. Cfr. Costituzioni SDB, art. 47; FMA, art. 68.


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