Il coraggio dell’aurora /8
Un percorso di spiritualità per i giovani sulle tracce di Etty Hillesum
Fabiola Falappa
(NPG 2014-01-73)
La pace interiore produce la pace esterna,
la pace esterna nutre la pace interiore.
(R. Panikkar)
I poteri che generano armonia
In quest’ultimo appuntamento dedicato alla riflessione e all’ascolto della testimonianza di Etty Hillesum, ho scelto di mettere in dialogo questa grande donna, che abbiamo pian piano imparato a conoscere, con un’altra pensatrice altrettanto preziosa per la crescita spirituale di ogni giovane e che saprà aiutarci a rileggere e porre in prospettiva gli scritti di Etty, così da permetterci di pronunciare un’ultima parola, ma ovviamente mai definitiva: pace. Mi sto riferendo ad Hannah Arendt, nata anch’essa da famiglia ebraica, che durante la sua permanenza in Francia si prodigò per aiutare esuli ebrei della Germania nazista. Ad ogni modo, dopo l’invasione e la conseguente occupazione tedesca della Francia, durante la seconda guerra mondiale e la successiva deportazione di ebrei verso i campi di concentramento tedeschi, dovette emigrare. Da questo vissuto esperienziale Hannah matura la concezione in base alla quale la causa della distruzione della coscienza umana è da imputare alle logiche tipiche del male e alla banalità che lo caratterizza.
È infatti dalla coscienza che scaturisce, secondo lei, all’opposto, l’energia per trasformare la realtà che ci circonda: una coscienza desta, vigile e critica è capace di apportare alla società grandi benefici e di essere realmente efficace nella storia. Così Arendt indaga la struttura sociale, le logiche di massa, fino a far riferimento alla mentalità e ai comportamenti comuni e quotidiani; in ciascuno di questi ambiti emerge un sistema globale che conduce all’ottundimento della coscienza umana. Di certo anche Etty avrebbe sottoscritto la lucida descrizione che Arendt rivolge a quegli anni terribili e bui. Ciò è ravvisabile, per sceglierne uno, nel passo seguente:
«Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi, continuavo a predicare; e non vedo nessun’altra soluzione, veramente non ne vedo nessun’altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il nostro marciume. Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi. È l’unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove»[1].
Mentre dominio e violenza comportano prevaricazione e rottura delle relazioni intersoggettive, il potere è per Arendt l’energia «che si genera quando le persone si riuniscono e “agiscono di concerto”»[2], è la forza che nasce dalla cooperazione. In questo senso le grandi facoltà dell’uomo sono tutte delle forme di potere. È possibile individuare allora sei forme di potere che corrispondono al rafforzamento di altrettante facoltà umane che aiutano a trasformare la società iniziando a “cercare in noi stessi”, per dirla con Etty.
La prima è il potere di pensare, che infatti richiede la cooperazione tra l’ego e l’alter interiori. Il pensiero è un colloquio interiore e intimo dove l’io di una persona dialoga con la sua coscienza. L’uomo diviene eticamente stupido, “banale”, come Eichmann, quando questo pensare etico e dialogico della coscienza si spegne e si diventa acritici, insensibili, irresponsabili.
C’è poi il potere di giudicare, cioè di discernere il bene e il male nelle situazioni sociali, politiche, storiche. Senza giudizio non c’è autentica azione politica né può essere costruita la democrazia.
Il potere di volere dà corso concreto alla libertà, fa sì che la persona sia coerente con questo suo essere originariamente libera. Qui la scelta è insieme l’attestazione della finitezza e dell’immensa dignità della persona umana. Tutti questi poteri caratterizzano l’originalità della presenza nel mondo di ciascuno di noi, originalità che viene alla luce nell’azione. Il potere di agire e di cooperare è il fondamento di una vita buona comune.
Ma più che in ogni altra forma di potere la luce di una coscienza desta, e non al contrario totalmente passiva di fronte ai sistemi sociali e alle ideologie, si manifesta nel suo confronto con il tempo, in particolare con il passato e con il futuro.
Il potere di perdonare è un modo per vincere gli effetti negativi del male subito, cosicché il passato non è revocabile e tuttavia sono orientabili diversamente i suoi frutti.
«Il potere di promettere è invece un modo per orientare le relazioni e i comportamenti nel futuro. Esso ci sfugge per definizione, eppure gli uomini possono farsi garanti, l’uno per l’altro, di un atteggiamento positivo, leale, responsabile nella relazione dischiusa o rinnovata dalla promessa»[3].
Nascere all’azione cosciente
Porsi in ascolto delle loro riflessioni intrecciate, in cooperazione appunto, significa riscoprire la libertà di agire contro gli idoli della società di massa, superare il conformismo sociale, che manifesta oggi tutto il suo strapotere, per riattingere all’energia originale dell’agire, frutto di una costante maturazione della vita della coscienza personale. In questa visione antropologica l’uomo è soggettività nascente e dunque libera, aperta a una pienezza ancora sconosciuta e a un compimento che non coincide con la morte.
«Il corso della vita diretto verso la morte condurrebbe inevitabilmente ogni essere umano alla rovina e alla distruzione se non fosse per la facoltà di interromperlo e di iniziare qualcosa di nuovo, una facoltà che è inerente all’azione, e ci ricorda in permanenza che gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire ma per incominciare»[4].
Da questo passo emerge, a mio avviso, l’auspicabile rottura arendtiana rispetto a tutto ciò che è “inevitabile” agli occhi dell’essere umano ormai caduto nell’abitudine del vivere senza la luce della coscienza attiva. Ciascuno si convince e finisce per credere che il “normale” corso dell’esistenza porti alla distruzione totale, all’annientamento, ma è possibile andare oltre la credenza a questa fatalità facendo emergere l’unica facoltà che è così potente da interrompere il corso stesso della vita: l’azione cosciente. Quella che, a mio avviso, Etty Hillesum ha saputo testimoniare e incarnare ad ogni passo della sua esistenza nascente, costantemente lucida e fonte di speranza e coraggio per ogni altro.
La facoltà dell’azione può giungere allora ad interferire con la legge della mortalità, con il corso quotidiano e inesorabile della vita spesa tra nascita e morte, e realizzare il miracolo di una vita finalmente compiuta, già solo perché continuamente pronta ad iniziare sempre e di nuovo.
Solo l’agire ha come presupposto essenziale infatti la pluralità degli esseri umani: esso, a differenza di altre facoltà sperimentabili nell’isolamento, non può realizzarsi senza la partecipazione, la reazione, la cooperazione, la risposta e l’opposizione da parte di altri. Sottolineare questo aspetto ritengo significhi compiere già un primo passo contro l’attuale elogio della sfera privata che comporta conseguentemente il ripiegamento su di sé, l’isolamento personale e una intimità esasperata, tutte forme in opposizione radicale rispetto all’autentica armonia capace di generare quella pace tanto desiderata.
«L’azione, diversamente dalla fabbricazione, non è mai possibile nell’isolamento; essere isolati significa essere privati della facoltà di agire. Azione e discorso necessitano della presenza degli altri, allo stesso modo in cui la fabbricazione necessita della presenza della natura e dei suoi materiali, e di un mondo in cui collocare il prodotto finito. (…) La storia è piena di esempi dell’impotenza dell’uomo forte e superiore che è incapace di procurarsi l’aiuto o la collaborazione del suo prossimo»[5].
Ed è proprio dall’esempio di Etty che impariamo a cogliere nella storia quei semi, dai più neanche percepiti, di pace: dal potere che può fiorire da una donna apparentemente debole e indifesa eppure capace di far generare tutta la forza che scaturisce dalle virtù interiori appena ricordate, in riferimento alla riflessione di Annah Arendt. Il suo scopo è proprio quello di comunicare questo sguardo positivo a chi ha accanto, tanto da affermare la sua intenzione di “farsi pane spezzato” come un altro Cristo, per i compagni di prigionia, condividendo il suo tempo e la sua gioia. Tale energia armonica, abbiamo sottolineato spesso durante questo cammino percorso insieme, nasce in lei dalla scoperta della sensazione di rimanere in ogni momento nell’abbraccio del suo Creatore e amante delle sue creature, che continua a mostrarle il suo volto anche nel campo di prigionia o mentre è in partenza sul suo vagone.
Dopo aver considerato tutti questi tratti di profonda e intima ricchezza che dipingono la persona di Etty, potendo sostenere di averla ormai pienamente come amica e interlocutrice speciale, possiamo lasciarci con uno dei suoi passi più conosciuti che è insieme un augurio e una certezza di realizzazione per tutti e per ciascuno di noi, di voi.
«Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio verso il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. È l’unica soluzione possibile»[6].
NOTE
[1] E. Hillesum, Diario 1941-1942. Edizione integrale, Adelphi, Milano 2013 (II ed.), p. 366.
[2] H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1989, p. 180.
[3] Ibidem, pp. 174-182.
[4] H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, cit., p. 182.
[5] Ibidem, pp. 137-138.
[6] E. Hillesum, Diario 1941-1942. Edizione integrale, Adelphi, Milano 2013 (II ed.), p. 638.