Pastorale Giovanile

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    Amici, compagni, primi amori. Le relazioni in preadolescenza


    In cammino con i ragazzi /6

    Fabio Gianotti

    (NPG 2012-07-64)


    Accanto alla dimensione corporea, quella relazionale stringe in modo significativo gli aspetti emergenti della preadolescenza. I mutamenti nei rapporti interpersonali, tanto quelli tra pari che quelli col mondo adulto, sono la forma tangibile di un profondo processo di significazione esistenziale. Attraverso le relazioni i nuovi ragazzi cercano, non senza difficoltà, nuove possibilità di essere e soprattutto misurano l’eco dei propri gesti. Io nel mio corpo in cambiamento non sono più lo stesso individuo, ma al contempo, vivo il paradosso di ciò che resta di me; gli altri (amici, genitori, parenti tutti, professori, allenatori ed educatori) indicano quelle relazioni che, per come le ho intese fino ad oggi, non sono più in grado di definirmi. Questo «sistema complesso di mutazione»,[1] che non può mostrarsi come in un film, viene vissuto da ogni preadolescente attraverso le relazioni di cui partecipa. Io nel mio rapporto con l’altro sperimento nuovi significati identitari, drammatici o esaltanti, rompo le immagini che non mi corrispondono più e cerco affannosamente un io che possa resistere fino a quando non ne avrò sperimentato uno più convincente. Davanti alla preadolescenza si apre un orizzonte instabile e avventuroso che si lascia alle spalle quelle definizioni di noi e del mondo che poco tempo prima sapevano rassicurarci.

    Sulla stessa barca

    Durante la preadolescenza le relazioni con i coetanei acquistano un valore preponderante. C’è un mondo nuovo al quale i ragazzi e le ragazze possono e devono partecipare: un luogo alternativo alla famiglia che non concepisce gli schemi e le regole degli adulti e che ne possiede di proprie. La relazione con gli altri ragazzi della mia età è l’unico modo che ho per sopravvivere, tuttavia la condizione comune non genera alleanze spontanee e solidarietà.
    La preadolescenza si apre e chiede una nuova appartenenza, ma a complicare questo passaggio già di per sé così eterogeneo e frammentario si aggiunge una periodizzazione scolastica discontinua: per molti preadolescenti i presagi di cambiamento si avvertono sul finire della scuola elementare, ma non sbocciano che nei primi anni delle superiori. I gruppi, scolastici, sportivi, parrocchiali o spontanei si fanno più numerosi e anche quando non sono scelti restano comunque un imprescindibile banco di prova.[2] In tutto ciò le immagini di ogni ragazzo e ragazza si moltiplicano: nascono nuovi io tanti quanti sono i contesti. La personalità si frammenta e tende a performarsi su ogni relazione senza soluzione di continuità: sorgono comportamenti contraddittori e un diario, o comunque sia, uno spazio di segretezza può rappresentare un rifugio ameno per arginare questa evoluzione apparentemente schizofrenica.
    Quando la maturazione sessuale fa esplodere il taboo della diversità, le classi, in particolare quelle delle scuole medie, si spezzano, maschi da una parte e femmine dall’altra. Il più delle volte il conflitto tra ragazzi e ragazze è una messa in scena, un gioco di provocazioni, che consente al singolo di conquistare un’individuazione minima, ma necessaria: l’appartenenza al proprio gruppo di genere. Per questo motivo il confronto più arduo avverrà all’interno del sottogruppo. Lì verrà stabilito cosa è giusto e cosa è sbagliato, ciò che è prezioso e ciò che è indifferente e, soprattutto, cosa è necessario fare per essere riconosciuti.

    L’unico gruppo possibile

    Per i ragazzi diventa centrale la partecipazione al gruppo e al gruppo non si può mancare. La compagnia, la squadra compongono la sostanza del singolo: di quella nuova identità che sembra valere sopra ogni cosa. Io esisto nella misura in cui gli altri componenti del gruppo mi nominano, mi guardano. Il più delle volte – se interroghiamo un ragazzo di 12 anni – sapremo che è meglio essere vessati, presi di mira dal gruppo piuttosto che essere ignorati. Gli occhi e le attenzioni degli adulti di riferimento hanno ancora un valore, ma per il gruppo si è disposti a sopportare una sofferenza profonda. Io sono il mio gruppo, ne assecondo i codici, i rituali, la divisa, gli accessori, l’uso del corpo e, se riesco, cerco di conquistare una posizione sicura, poiché vivo in una precarietà giornaliera: una battuta o un inciampo possono rovesciare il mio status, effettivo o presunto che sia, poiché il gruppo, come i genitori, è sì quello in presenza, ma il più delle volte i ragazzi si confrontano con la propria rappresentazione di esso.
    In questo passaggio le relazioni d’amicizia, quelle intime, a due, sono sottoposte ai forti condizionamenti del gruppo, e capita spesso che a resistere siano le coalizioni piuttosto che i legami affettivi e di cura. L’amicizia conoscerà stagioni più proficue, quando la forza del gruppo sarà ridimensionata, quando la mia identità avrà attraversato questa difficile tempesta di immagini e quando i miei sentimenti saranno emanazione di una relazione viva e non la conseguenza compiaciuta o sconsolata di una misura.

    Tu per me, io per te

    Le relazioni tra ragazze si inseriscono in un sistema di bisogni simile a quello dei coetanei maschi, ma si sviluppano in modo diverso. Il condizionamento del grande gruppo è presente, ma è vissuto dall’interno di un nucleo più intimo, quello individuato da alcune e selezionatissime relazioni. In questa fase si apre una corsa forsennata ai rapporti esclusivi, legami assoluti, utili a rassicurare abissi di fragilità perlopiù attraverso dinamiche di compiacimento. Le ragazze che spesso si dicono, sorelle, «vivono quasi in simbiosi in un gioco di rispecchiamenti e reciproche conferme».[3] Se per i ragazzi non c’è identità se non nel gruppo, per le ragazze è necessario trovare una persona che corrisponda i propri gesti e bisogni in modo simmetrico. Io serberò ogni tuo segreto e farò per te qualsiasi cosa a patto che sia lo stesso per te. Crescono così rapporti a rischio d’asfissia che vogliono costantemente essere controllati: flussi incrociati e insaziabili di dimostrazioni.
    Questi legami formidabili, che possono nascere nello spazio di un giorno, coltivano, attraverso il facile gioco delle corrispondenze, una fragilità di fondo che può rendere insostenibile tanto la fobia del tradimento quanto l’idea della solitudine. Così uno «squillo» di cellulare che non riceve la corrispondente risposta può rompere un idillio. La voce di un’altra amica può scatenare una dinamica triangolare dando vita ad una di quelle situazioni diffuse nelle quali l’invidia, la rabbia e la paura si innestano sulle insicurezze individuali e le logiche del gioco son legate alla seduzione e alla diffamazione.

    L’amore pensato

    Il tema dell’innamoramento e delle relazioni di coppia dovrebbe seguire un trattazione di genere, ma in questa sede mi limito a segnalarne alcuni tratti salienti. In questa età anche l’affettività intrattiene un rapporto complesso con quello dell’identità personale. A volte il gruppo o gli amici influenti dettano i ritmi, i significati e gli slanci della vita sentimentale del singolo: condividere un interesse per una persona dell’altro sesso può essere proibito o necessario. L’argomento è delicato: per un commento si può essere tacciati di sentimentalismo e libertinaggio, oppure, di lì a poco, se non ci si adegua velocemente, l’accusa diverrà quella di omosessualità o a-normalità. In questo quadro la questione dell’identità sessuale assume delle tinte drammatiche: i ragazzi che cullano dei dubbi possibili, in molte situazioni, imparano presto a tacitarli e scelgono di seguire il gioco della maggioranza.
    La psicologia, in particolare quella psicoanalitica, ci suggerisce che molto spesso gli amati dei preadolescenti rappresentano delle proiezioni dell’io. Dire di amare o sapere di essere corrisposto da una persona significa dare consistenza all’idea, alla fisionomia e al valore che ho di me stesso. A questa età i baci delle ragazze valgono come trofei da «postare» sulle bacheche di facebook, e se una ragazza non è innamorata di nessuno, anche un cantante può soddisfare il bisogno. L’amore in questa fase è perlopiù pensato e narcisisticamente rivolto a sé. Il corpo che cambia e raggiunge la maturità sessuale costringe l’individuo ad un difficile percorso di riappropriazione, nel frattempo l’affettività può e deve essere immaginata. Il confronto con gli aspetti pulsionali è complesso e misterioso, ma il valore simbolico della relazione esplode dando vita a storie fantasiose e a partner improbabili. Allo stesso modo l’intensità estrema dell’attaccamento e di certi sentimenti, come ad esempio la delusione, è propria della preadolescenza e dell’adolescenza. Il vissuto è effettivamente lancinante e può lasciare un ricordo profondo, ma il motivo di tale affettività estrema risiede ancora una volta nelle peculiarità di una personalità che per un rifiuto rischia di perdere se stessa. Fortunatamente tali sentimenti sono molto acuti, ma non hanno il tempo di mettere radici.

    Adulti coi ragazzi: l’apologia dei compiti

    Non intendo approfondire il rapporto tra genitori e figli e nemmeno quello tra ragazzi e figure educative, vorrei invece portare il focus su uno degli aspetti più trascurati di questa età, utile forse ad individuare le coordinate di uno stile educativo efficace: il valore del compito e in generale del fare.
    La preadolescenza corre il rischio di risultare antipatica. È difficile sopportare quel fragoroso impasto di irrazionalità ed egocentrismo, tuttavia le apprensioni e il fascino di una vita emotiva in esplosione catturano l’attenzione degli adulti. Uno degli equivoci prospettici per genitori, educatori e insegnanti che si accostano ai preadolescenti è quello di prestare il fianco alle problematiche connesse alla sfera introspettiva e ai problemi relazionali dimenticando che il percorso di crescita verso l’autonomia si specifica, con la stessa importanza, attraverso l’acquisizione di responsabilità. Non è semplice resistere alla tentazione di idealizzare le rarissime confessioni dei ragazzi o sperare di capirli o educarli attraverso illuminanti momenti di dialogo. Certamente per ridimensionare le costrizioni delle dinamiche di gruppo è utile tematizzare, smontare e chiamare per nome i meccanismi e i vissuti che i ragazzi sperimentano, ma il rischio è quello di trascurare la proposta: le regole di casa, non solo quelle che pongono dei limiti, i percorsi didattici, che dovrebbero essere strutturati per progetti e fondati sulla cooperazione e in genere ciò di cui i ragazzi possono responsabilmente essere artefici.
    Nel «fare» e nella fatica il mio corpo è riconoscibile, nel raggiungimento o fallimento di un obbiettivo io attribuisco un valore effettivo a me stesso. Le prove, se ben ponderate e affascinanti, possono aumentare la resilienza e conferire sostanza ad un’immagine che rischia di restare in balia di un precario sistema di rappresentazioni. Se mi prendo cura del mio corpo, dei miei spazi e dei miei oggetti, se imparo a muovermi nella città, se prendo parte ad uno spettacolo teatrale, se scrivo un racconto, se dipingo, se aggiusto una bicicletta, se pratico uno sport, se partecipo ad un evento, se cucino, se suono uno strumento, se pianto dei fiori, se studio o se lavoro, ho la possibilità di sperimentare il mondo e me stesso in modo reale.
    La proposta di un compito non può certamente risolvere la complessità di un transito come quello preadolescenziale, tuttavia la dimensione del «fare» può rappresentare una solida opportunità per misurarsi con il tema delle responsabilità inoltre; se i compiti sono condivisi con altri coetanei, nuovi significati esperienziali possono ampliare il vissuto valoriale e relazionale del singolo.

    RAGAZZI ED EDUCATORI IN AZIONE
    (a cura di Alessandra Augelli)


    I preadolescenti si interrogano

    Stella

    Visione del film «Stella» regia di S. Verheyde, Francia, 2008.
    Nel 1977 Stella ha undici anni e vive con mamma e papà che gestiscono un bar nella periferia di Parigi. Trascurata dai genitori, la piccola coltiva il proprio immaginario attingendo da un universo di adulti allo sbando, ma la sua vita è destinata a cambiare a causa di una scelta scolastica che la metterà a dura prova. I primi amori, un’amicizia importante e l’amicizia di sempre accompagneranno la protagonista attraverso le sfide della crescita.

    Si riflette assieme:
    – Nel film è evidenziato il rapporto con due coetanee: chi sono queste due amiche di Stella? Come trascorre il tempo in loro compagnia? Quali sono i significati distinti di tali relazioni?
    – La pellicola mostra tre situazioni legate all’incontro con l’altro sesso: il rapporto con Alain, il pomeriggio col gruppetto di strada in vacanza e il ballo col ragazzo incontrato alla festa. Come si comporta Stella nelle tre situazioni? In che modo e perché muta il rapporto con Alain?

    I preadolescenti si interrogano

    Mean Creek

    Visione del film «Mean Creek» regia di Jacob Aaron Estes, Usa, 2005.
    Il prepotente, Georgie, attacca in modo insensato un compagno di scuola, il gracile Sam. Il fratello maggiore di Sam, Rocky, decide di fare giustizia e con due amici escogita un piano per umiliare il bullo, ma, mentre il disegno punitivo prende forma, emergono le fragilità di Georgie e lo sguardo di Sam si apre alla compassione. Sam cerca, a questo punto, di fermare il fratello, ma saranno le dinamiche di gruppo a decidere l’esito della vicenda.

    Domande per la discussione
    – Quali sono le ragioni dei protagonisti? Perché prendono parte alla gita in barca?
    – Come mai il vissuto del protagonista nei riguardi di Georgie cambia radicalmente?
    – Cosa accade quando Sam chiede al fratello di abortire il piano?
    – Come sono distribuite le responsabilità dell’epilogo?
    – In generale, durante un maltrattamento qual è la responsabilità degli astanti?
    – Quali possono essere gli ingredienti per formare un gruppo coeso e accogliente?

    I preadolescenti si interrogano

    L’occhio del lupo

    Lettura di alcuni stralci del romanzo L’occhio del lupo di Daniel Pennac, Salani, Roma, 2003.
    Il racconto di Pennac descrive la meraviglia di un incontro. I protagonisti sono un lupo rinchiuso in uno zoo e un ragazzo misterioso, Africa, che a dispetto dell’iniziale indifferenza del’animale decide di posizionarsi davanti alla gabbia per fissarlo insistentemente. Il gioco di sguardi sarà il contatto che aprirà l’incontro tra due mondi e due vissuti che. pur nella loro singolarità sapranno riconoscersi. Il libro parla ed esemplifica le fasi di una relazione, i segreti dell’empatia e la magia di due storie che si intrecciano.

    Domande per la discussione:
    – Cosa spinge il ragazzo ad entrare in contatto con il lupo?
    – Cos’hanno in comune i due protagonisti del racconto? In cosa, invece, si differenziano?
    – Come si evolve la storia di conoscenza e amicizia?
    – In che cosa si sentono i due arricchiti da questo legame?
    – In che modo questa storia si avvicina alle tue esperienze di amicizia e alla costruzione di legami con gli altri?

    Educatori in ricerca

    Etichette di gruppo

    Questa attività può essere rivolta sia ai ragazzi che agli educatori, ma, nel primo caso, se non la si conosce, si consiglia una sperimentazione in prima persona dei meccanismi emotivi del «gioco». Su un gruppo minimo di dodici persone il conduttore chiede a quattro o cinque «volontari coraggiosi» di farsi avanti e di uscire dalla stanza con lui. Sulla testa di ogni volontario viene posta una corona di carta con un’etichetta, ossia la scritta di un ruolo che definisce un’identità di gruppo. Solitamente le etichette utilizzate sono quelle de «il tipo giusto», «il simpatico», «il capo», «lo sfigato», «l’antipatico», «l’inesistente» e possono presentare indicazioni su come essere «trattate»: ad esempio sotto quella de «l’inesistente» ci può essere scritto «ignoratemi» o sotto quella dello «sfigato», «prendetemi in giro».
    I volontari non devono sapere quale etichetta gli è toccata in sorte e tra loro non devono suggerirsi pena la fine del gioco. I volontari e il conduttore raggiungono il gruppo per iniziare una discussione pretestuosa su un argomento a scelta, come ad esempio l’organizzazione di una gita di qualche giorno. L’attività risulta più semplice se i conduttori sono due: il primo esce coi volontari e il secondo può stare col resto del gruppo e istruirlo. Il mandato per tutti i partecipanti è quello di prendere parte alla discussione attenendosi alle etichette. Dopo dieci o quindici minuti di discussione, la simulazione viene interrotta, ma i volontari devono mantenere le etichette in testa.
    Il conduttore passa in rassegna uno dopo l’altro tutti i volontari per rivolgere loro alcune domande: «Come stai?», «Cosa hai provato durante la discussione?», «Come si sono comportati con te i tuoi compagni?», «Cosa hai pensato durante la simulazione?», «Quali comportamenti hai messo in atto?» e alla fine prima di sfilarsi la corona di carta «Cosa pensi ci sia scritto sulla tua etichetta?».
    Dopo questa fase che serve soprattutto a chi indossava le etichette negative per elaborare il proprio vissuto, inizia una discussione guidata sui meccanismi di gruppo.
    – Esistono queste etichette nei gruppi della vostra età? Quali altre etichette conoscete?
    – Chi decide le etichette?
    – Perché esistono certe etichette, come ad esempio quella de «lo sfigato»? A cosa servono?
    – Conoscete qualcuno che per un’etichetta ha avuto delle difficoltà? Come è andata a finire?
    L’attività utilizza perlopiù etichette maschili questo è dovuto al fatto che le dinamiche tra ragazze sono il più delle volte sottili e implicite, e per questo motivo poco si prestano alla simulazione. Si consiglia di approfondire il tema dei meccanismi al femminile durante la discussione.
    – Sono diverse le etichette dei ragazzi da quelle delle ragazze? Quali etichette circolano tra ragazze?
    – Quali sono i comportamenti che le ragazze mettono in atto per fissare un’etichetta?
    – Quali sono le paure dei ragazzi e quelle delle ragazze in un gruppo? Quali sono le etichette più temute? Perché?

    NOTE

    [1] P. Barone, Pedagogia dell’adolescenza, Guerrini, Milano, 2009 p. 91. Seppure il manuale di Barone sia più incentrato sull’età adolescenziale, la trattazione evita la tentazione di schemi diagnostici e valorizza gli aspetti processuali.
    [2] Sono quelli che Gustavo Pietropolli Charmet chiama i debutti. In G. Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti, Cortina, Milano, 2000, p. 215 e seguenti.
    [3] A. Augelli, Erranze. Attraversare la preadolescenza, Franco Angeli, Milano, 2011, p. 90.


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