Pastorale Giovanile

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    Dio e giovani in dialogo


     

    Vaticano II e i giovani

    Riflettendo su Dei Verbum a 50 anni dal Vaticano II

    Cesare Bissoli

    (NPG 2012-03-32)


    Parliamo del documento, ormai diventato famoso con il nome di Dei Verbum (DV). In termini precisi e solenni suona: Costituzione Dogmatica sulla Divina Rivelazione.
    DV entra a far parte del «quadrilatero» del Vaticano II, con le altre tre Costituzioni, sulla Chiesa (Lumen Gentium), sulla Liturgia (Sacrosanctum Concilium), sul rapporto Chiesa e mondo (Gaudium et spes). Da questa collocazione alta, siamo invitati a renderci conto che DV non è una pia riflessione, ma ha un valore assiale, di fondamento, per la comunità dei cristiani. Possiamo dire che se nella comunicazione del Vangelo della fede non tutto è DV, tutto ha bisogno di DV ed è permeato da esso.
    Da questo documento infatti ha preso una spinta fortissima, come fosse la prima volta, l’uso di un vocabolo-chiave, Parola di Dio, termine ripetuto continuamente, forse inflazionato, ma vero e decisivo per chi intende essere cristiano, In sinergia con Parola di Dio sta l’altro termine, Bibbia o Sacra Scrittura, diventato anche esso quasi uno slogan, suscitando un notevole interesse per il Libro Sacro.
    Ma ciò ha anche prodotto un bisogno di chiarificazione dei significati; e soprattutto urge un incremento della pratica biblica, segnatamente nel mondo giovanile.
    La nostra riflessione, secondo l’intento perseguito dalla rivista, richiama i contenuti maggiori di DV, offre linee di una valutazione, dona indicazioni per una proposta educativa giovanile.

    IL CONTENUTO

    Il contesto

    Va subito menzionato un dato di contesto che permette di mettere ancora meglio a fuoco l’assoluto valore di DV. Ci riferiamo al lungo, travagliato processo di redazione: esso va dal 1962, inizio del Concilio, al 1965, 18 novembre, praticamente a conclusione di esso, con appassionate discussioni e molteplici stesure, quasi un’eco delle calde riunioni sinodali dei primi secoli. Ciò attesta un cammino di maturazione delle idee, ma anzitutto delle mentalità dei padri conciliari, con il superamento di schemi concettuali inadeguati circa la Rivelazione e la verità che spetta alla Bibbia: con l’affermazione perentoria del primato della Parola di Dio nella vita della Chiesa, con il coraggioso invito al diretto contatto con il Libro sacro da parte del popolo. Come ha affermato un grande esperto che fece il Concilio, «DV è un testo che costituisce il ‘portale d’ingresso’ e insieme il fondamento dell’edificio teologico del Vaticano II» (H. de Lubac). Per questa ragione è a questo documento che NPG dà il primo passo.
    Possiamo riportare a tre i pilastri dell’edificio: l’avvenimento della Parola, ossia la divina Rivelazione trasmessa per Tradizione; il documento scritto della Parola: la Sacra Scrittura o Bibbia; l’esperienza della Parola: la pratica della Bibbia nella vita

    L'AVVENIMENTO (cc.1-2)

    Dio parla agli uomini e la sua Parola – che è Gesù Cristo – giunge fino a noi oggi

    Segnaliamo i nuclei maggiori.
    – La fede cristiana non è fondata né si riduce a dottrine speciali ricavate da speculazioni di uomini geniali, ma corrisponde a fatti, anzi ad una serie di fatti, che hanno al centro questa formidabile verità: Dio stesso ha preso l’iniziativa e si è «rivelato», cioè si è fatto conoscere e anzi si è donato all’uomo: detto in termini a noi consueti, gli ha parlato. E questa comunicazione non si è chiusa, ma rimane una possibilità anche per noi. Affermazione splendida:
    «Con questa rivelazione infatti Dio invisibile per il suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli e ammetterli alla comunione con sé» (n. 2).
    Notiamolo bene, il volto di questo Dio: non è quello del padrone che sta sdegnosamente chiuso nel castello della sua grandezza, ma è il volto di un amico che parla con l’uomo come amico, si auto-comunica, avvalendosi di parole e azioni, solo per amore e con amore. Quindi se per legittima esigenza della ragione ci interessiamo delle formule dottrinali su Dio (n. 6), sappiamo che dicendo Parola di Dio ci riferiamo sempre a delle persone viventi, cioè la santa Trinità, che intendono colloquiare con noi.
    – La Parola di Dio avviene nella storia dell’uomo, ha quindi una sua storia. Il mondo creato (la natura, l’uomo) ne è come una traccia, una eco significativa. In particolare lo sono le grandi religioni. Ma la Parola prende chiarezza e comprensione in un popolo che Dio si è scelto, il popolo di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Mosè, di Davide, di Elia, dei profeti, in sintesi il popolo di Israele. Di ciò è documento la parte della Bibbia che chiamiamo Antico Testamento (n. 3).
    Vuol dire che l’AT ci interessa come testimonianza certa della Parola di Dio, in preparazione della incarnazione della stessa Parola, Gesù di Nazaret (v. DV c. 4).
    – Infatti «Gesù Cristo parla le parole di Dio». Il n. 4 di DV è forse il testo più importante di DV, perché riconosce che Gesù di Nazaret è in se stesso Parola di Dio:
    «con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione… egli compie e completa la rivelazione».
    La documentazione biblica in materia è attestata dal Nuovo Testamento, dove vi sono i Vangeli, gli Atti, le Lettere degli apostoli, l’Apocalisse (v. DV c. 5)
    Vuol dire che Gesù Cristo in tutta la sua persona rivela-dice all’uomo Dio, il suo progetto di salvezza e porta a Dio le parole dell’uomo, il suo desiderio di essere salvato, cioè liberato dal male e reso felice. Con Gesù tra Dio e l’uomo si stabilisce un dialogo bello e costruttivo, se lo vogliamo fare.
    – Certe volte un entusiasmo biblico corto si blocca sul documento scritto della Parola di Dio che è la Bibbia, dimenticando che come in ogni buona famiglia il padre fa conoscere il suo pensiero ai figli non soltanto con un testo scritto, ma parla a loro, spiega bene prima ciò che poi magari verrà scritto. È quanto ha fatto Gesù con gli apostoli, li ha mandati anzitutto non a scrivere, ma a predicare il Vangelo, cioè a far conoscere a tutto il mondo la sua vita, le sue opere, le sue parole, in maniera che fossero a Lui fedeli, ma anche creativi, capaci di far capire Gesù in mezzo a culture e lingue diverse. Per questo dello stesso Gesù abbiamo un unico vangelo in quattro forme diverse. E poi tante Lettere di Paolo e degli altri apostoli che dicono il medesimo Gesù del vangelo con prospettive e accenti assai diversi.
    Questo vuol dire che Gesù fa dire la sua Parola in una comunità e da una comunità fatta di persone vive, animate dallo spirito di Gesù o Spirito Santo. Esse formano la Chiesa, dove vi sono delle guide autorizzate, che fanno da maestri (Papa, Vescovi). Durante poi questo processo di comunicazione viva si intrecciano parole, segni (i sacramenti) e atti di carità. Finalmente dentro la Chiesa è stata scritta la memoria del Signore congiunta alla memoria della Parola di Dio nel popolo di Israele: è globalmente la Bibbia, che perciò diventa il documento sicuro e insostituibile di riconoscimento della Parola di Dio e insieme oggetto di continuo confronto. Ne deriva che la Scrittura va compresa come la intende la Chiesa. Questo processo di trasmissione della Parola di Dio da vivente a vivente si chiama Tradizione. Nella Tradizione si legge e si comprende la Bibbia. DV c. 2 tratta di tutto ciò. Dio ha voluto che ci fosse questa unità profonda e interagente tra Tradizione e Scrittura. In maniera lapidaria così si esprime DV:
    «La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa» (n. 10).
    – Se Dio parla a noi, noi come ci dobbiamo comportare? Viene espresso da una paroletta celebre: la fede, «con la quale l’uomo si abbandona a Dio tutt’intero liberamente» (n. 5).
    Vuol dire in concreto frequentare il «deposito» della Parola che sono la Scrittura e la Tradizione, cercare di comprenderla, dare una piena fiducia al Signore che ci parla, metterla in pratica. In particolare ricambiare la Parola che Dio ci rivolge, rivolgendo a Lui la nostra parola, che è la preghiera. Dio parla, ma Dio anche ascolta, e Gesù è il sicuro portavoce di Lui a noi e di noi a Lui.

    IL DOCUMENTO (cc.3-5)

    Dio ci ha mandato una sua lettera: è la Bibbia

    Anche questo è un dato della rivelazione di Dio. Siccome noi viviamo nel tempo e siamo esposti alla dimenticanza della Parola di Dio e insieme alla tentazione di interpretarla a modo nostro, Dio ha provvidenzialmente voluto che
    «le verità divinamente rivelate (fossero) contenute ed espresse nei libri della Sacra Scrittura, e (fossero) scritte per ispirazione dello Spirito Santo» (n. 11).
    È dottrina della Chiesa, antica quanto la Chiesa. Comprende una raccolta organica e ufficiale o canone di 72 libri (45 dell’AT e 27 del NT), composti lungo tanti secoli prima di Gesù e dopo di Lui fino alla morte degli apostoli, i testimoni autorizzati di Gesù, il quale rimane la Parola definitiva di Dio. A fare questa biblioteca vi misero mano uomini religiosi (agiografi) con tutto il loro genio personale e secondo la loro cultura.
    Ma, cosa che conta di più, essi pensarono sempre questi libri così numerosi e diversi come un’unica «lettera di Dio» agli uomini, garantita dall’intervento dello stesso Spirito Santo, la verità assoluta di Dio.
    Vuol dire che la Bibbia, altro nome di Sacra Scrittura usato soprattutto dai moderni, è insieme di natura divina e umana, opera di Dio in collaborazione con l’opera di uomini. È il mistero dell’incarnazione che continua:
    «Le parole di Dio infatti, espresse con parole umane, si sono fatte simili al parlare dell’uomo, come già il Verbo dell’Eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece simile all’uomo» (n. 13).
    Ciò comporta riconoscere che la Bibbia è necessaria per ascoltare la Parola di Dio e comprenderla rettamente anche quando lascia dei segni del Libro Sacro.
    Ma come va interpretata la Bibbia? Ecco un nodo essenziale specialmente nel pluralismo culturale di oggi. DV dona un sostanziale contributo al n. 12. Bisogna tenere conto che essendo la Bibbia la «lettera di Dio» ispirata dallo Spirito Santo e composta da uomini secondo la loro cultura, occorre accostarla e interpretarla con le risorse dell’intelligenza umana che analizza a fondo un libro antico, ma anche con le risorse dell’intelligenza di Dio, che ci spinge a riconoscere fondamentali verità. Esse sono:
    – La Bibbia attesta non verità di scienza, ma verità in ordine alla salvezza, quindi offre indicazioni «non su come è fatto il cielo, ma come si va in cielo» (per dirla con una celebre frase di S. Agostino poi ripresa da Galileo).
    – La salvezza che Dio vuole per l’uomo non è opera di un istante, ma è bene architettata entro un progetto organico che va dalla creazione del mondo fino alla fine della storia (escaton), o storia della salvezza, avendo al centro Gesù Cristo Signore e giudice. Questo progetto dona una potente unità a tutti i libri.
    – Questo Gesù, Parola di Dio, è vivente, operante e trasmesso nella Chiesa (Tradizione) che fa continua esperienza della Parola di Dio (Gesù) in quanto l’annuncia, la celebra e la vive. In quest’ottica la Bibbia va compresa secondo il senso della Chiesa e nella sua Tradizione
    Vuol dire che la Bibbia deve essere ben capita, per cui non basta una lettura rapida e superficiale, che si traduce in un rovinoso fondamentalismo, bensì mantenendo attenzione critica al senso delle parole, al genere letterario…; contemporaneamente va tenuto presente che il senso del testo si inserisce in un disegno di salvezza che la Chiesa ci manifesta e ci offre con la catechesi, la liturgia e i sacramenti, la carità. Sicché la fede nella Parola di Dio e l’intelligenza del lettore vanno tenute unite e interagenti, come «le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità» (Fides et Ratio, proemio).
    DV nei cc. 4 e 5 presenta distintamente l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento richiamando alcuni aspetti centrali per importanza intrinseca e anche perché esposti a discussione.

    Per l’Antico o Primo Testamento sono affermate tre verità

    – I libri dell’AT sono sì memorie umane del popolo di Israele, ma in esse questo popolo condotto dai suoi grandi uomini (Mosè, i profeti i saggi) ha riconosciuto la mano di Dio in alleanza con loro per attuare un progetto di salvezza; tale progetto nell’AT è polarizzato per il futuro su una persona-evento chiamato Messia, l’inviato di Dio stesso (n. 14).
    – Sicché l’AT è necessario per i cristiani perché contengono «un vivo senso di Dio, un sapienza salutare, mirabili tesori di preghiera» (n. 15). Alla scuola di Gesù, Parola definitiva di Dio, si può capire certe imperfezioni di linguaggio e di dottrina proprie di un popolo in cammino. Diventano un manifesto della «pedagogia di Dio» (n. 15).
    – I due Testamenti sono fra loro uniti secondo questa logica:
    «Dio ha sapientemente disposto che il NT fosse nascosto nell’AT e l’AT diventasse chiaro nel NT» (n. 16).

    Quanto al Nuovo Testamento sono evidenziate due verità

    – La centralità del NT nella Bibbia e dunque nel progetto salvifico di Dio, perché vi si attesta la Parola di Dio non tanto scritta sulla carta, ma fatta uomo, Gesù il Salvatore (n. 17).
    – La seconda verità si concentra su una questione diventata bruciante ai tempi del Concilio: la storicità dei Vangeli, quindi di Gesù.
    Nella storia della Chiesa vi è sempre stata la cura di mantenere intatta la verità che Gesù non è un mito, ma una persona storica e che i vangeli dicono la verità in ciò che scrivono di Lui; ma insieme si doveva spiegare perché nei vangeli – pur riferendosi con fedeltà all’unico Gesù – ci fossero così tante differenze. La risposta viene codificata nel n. 19, il paragrafo decisivo sul nostro problema e tra i più importanti di DV. Va detto che da Gesù al vangelo scritto vi è una lunga predicazione degli apostoli (circa un trentennio), i quali – per essere fedeli al Maestro che li aveva mandati a predicare il suo vangelo in mondi così diversi – necessariamente dovevano adattare il suo messaggio alla comprensione degli ebrei rispetto ai romani, ai greci e oggi diremmo, ai cinesi, agli indios… Il risultato è che questa diversità di scrittura testimoniata dai vangeli «riferisce su Gesù con sincerità e verità». L’analisi scientifica lo conferma, anche se non mancano autori recenti più o meno prevenuti che ne indeboliscono la portata, mettendo in dubbio la fedeltà della prima Chiesa.
    Questo vuol indicare ancora una volta quale sia la vera natura dei libri dell’AT e del NT, contro ogni distorsione, e ancora di più la necessità di accostarli correttamente e frequentarli come il buon pane in cui Dio trasforma la sua Parola. Su questo punto della Parola di Dio fatta Pane di vita il IV vangelo nel c. 6 dice cose stupende.

    L’ESPERIENZA (c.6)

    «È necessario che i fedeli abbiamo largo accesso alla Sacra Scrittura» (n. 22)

    È stato giustamente rimarcato che questo cap. 6 intitolato «La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa» ha fatto da scopo a tutta la DV: conoscere la Parola di Dio per effettivamente incontrarla. Per questo nei capitoli precedenti si era chiarito cosa intendere per Parola di Dio e come andavano comprese le Scritture. Ma la questione era e rimane piuttosto «come fare pratica» del libro Sacro. Vedremo che sarà la successiva Esortazione Verbum Domini (2010) a dare preziose indicazioni in materia. DV configura in certo modo le arcate del grande ponte della pratica proponendo i punti seguenti.
    – La Chiesa ha sempre venerato la Bibbia come Parola di Dio unendola insieme al Corpo di Gesù, ponendo quindi nell’Eucaristia l’incontro più rilevante con il Signore e con i fratelli di fede. Qui appare la stessa espressione usata per la Parola di Dio nella rivelazione:
    «Nei Libri Sacri, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli e discorre con essi» (n. 21 cfr n. 2).
    Sicché la Parola del Libro Sacro può essere giustamente e solennemente affermata
    «saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale» (n. 21).
    – Da qui partono tre impegni: impegno di diffondere la Bibbia con buone traduzioni (n. 22); impegno apostolico degli studiosi «per offrire al popolo di Dio l’alimento delle Scritture» (n. 23); impegno di dare alla teologia «un’anima», e questa è la Scrittura (n. 24).
    – Non resta allora che chiamare insistentemente alla lettura della Bibbia tutti i credenti: clero, catechisti, religiosi/e, fedeli, ricordando a tutti un famoso monito di S. Girolamo: «L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo» e raccomandando un clima di spiritualità e di preghiera. Tra le righe appare anche se non nominata la «lectio divina» (n. 25).
    Qui finisce la grande cattedrale di DV con l’espressione solenne: «La parola di Dio permane in eterno» (n. 26).

    UNA VALUTAZIONE

    Adesso, a quasi cinquant’anni di distanza, cosa rimane di DV, o meglio che cosa è avvenuto dopo di essa, e a causa di essa, a riguardo della Parola di Dio e della Bibbia? Il popolo di Dio ha ricevuto la «lettera» del suo Dio, l’ha aperta, l’ha letta, o giace ancora chiusa su qualche scrivania? Concretamente quanti cristiani leggono direttamente la Sacra Scrittura? Come viene presentata nella Messa domenicale?
    Focalizziamo in tre punti il nostro parere: la DV continua ad essere un documento di valore assoluto; essa ha iniziato a produrre un’ampia riflessione di studio; soprattutto ha stimolato una pratica biblica più intensa nella comunità ecclesiale.

    DV, «una pietra miliare nel cammino ecclesiale» (VD 3)

    È Verbum Domini (VD) l’ultimo documento della Chiesa sulla Parola di Dio (frutto del Sinodo del 2008), che afferma con totale sicurezza:
    «I Padri sinodali… riconoscono con animo grato i grandi benefici apportati da questo documento (Dei Verbum) nella vita della Chiesa, a livello esegetico, teologico, spirituale, pastorale ed ecumenico» (n. 3).
    Di DV non si potrà mai fare a meno. Rimane la «magna charta» sulla Rivelazione, la Parola di Dio, la Bibbia, essa offre i fondamentali del cristianesimo.
    Sono stati ampiamente recensiti i contributi più innovativi di DV. Sono:
    – La personalizzazione del concetto di Rivelazione e Parola di Dio: non si tratta di una dottrina, ma di un avvenimento determinato dallo Spirito Santo per cui Dio incontra e parla all’uomo tramite Gesù Cristo.
    – La Tradizione non consiste anzitutto in pronunciamenti del magistero, ma è formata di persone vive, i cristiani nella Chiesa che si trasmettono la Parola di Dio, avvalendosi in particolare della Bibbia.
    – La Bibbia è la Parola di Dio in quanto scritta, con la cooperazione di Dio e dell’uomo. È attestazione infallibile della Parola. La verità che dice non riguarda però l’area del sapere scientifico ma l’annuncio della salvezza. Per questo è tanto indispensabile quanto da comprendersi dentro la vita della Chiesa o Tradizione, sapendo leggerla come messaggio unitario di salvezza incentrato in Gesù.
    – La storicità dei vangeli, e dunque di Gesù, va compresa attendendo all’origine dei vangeli a partire da Gesù, passando attraverso la predicazione viva degli apostoli, fino alla redazione finale.
    – Ad ogni cristiano è fatto pressante invito di trattare la Bibbia quale libro della sua fede, sempre sostenuto da una intelligenza credente.

    Una ricerca che continua

    Si può immaginare quanta riflessione ha provocato DV, documento salutato da tutto il mondo cattolico (e cristiano) con piena simpatia e sintonia. Chiaramente non tutto quanto in esso era scritto diceva la totalità dell’argomento; alcuni aspetti sono stati lasciati più impliciti, e soprattutto l’incalzare delle problematiche intorno all’inculturazione di tanti popoli così diversi poneva al centro la questione ermeneutica o della giusta interpretazione e assimilazione della Parola di Dio. Un altro compito era stato sollecitato da DV e da essa aperto come una strada nuova, cioè il contatto diretto con la Parola di Dio e segnatamente con la Sacra Scrittura.
    Di qui la comparsa in questo cinquantennio di due (più uno) grandi documenti ecclesiali frutto di studio attento. Il primo porta il titolo: L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (1993). È della Pontificia Commissione Biblica (PCB). Affronta a fondo la questione ermeneutica, tenendo conto degli studi filosofici e teologici su questo settore. I titoli delle varie parti dicono l’estensione della trattazione: i vari (sei) metodi di approccio alla Bibbia; cosa significa fare una interpretazione cattolica della Bibbia; come attualizzare il Libro sacro; l’incontro con la Bibbia nella liturgia, nella lectio divina, nel ministero pastorale, nel dialogo ecumenico.
    Un successivo documento sempre della PCB del 2001 ha affrontato un nodo delicato: il modo diverso di leggere l’AT da parte degli ebrei e da parte dei cristiani, scrivendo: Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana. Con ciò è stato compiuto un passo decisivo per mantenere la pur innegabile differenza tra le due letture dentro un quadro di profonda convergenza, al servizio dell’unica Parola di Dio.

    Una pratica qualificata ed estesa

    Finalmente è comparso il documento che per autorevolezza e per ampiezza di tematiche maggiormente continua DV. Porta non per nulla un termine simile: Verbum Domini (VD) (Parola del Signore). È il frutto del Sinodo sulla Parola di Dio del 2008, rielaborato e pubblicato da Benedetto XVI con il titolo Esortazione apostolica post-sinodale Verbum Domini sulla parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa (2010).
    In sintesi potremmo dire che VD è soprattutto in continuazione e approfondimento del c. 6 di DV, cioè sul come realizzare l’esperienza pratica della Parola di Dio, offrendo una vasta gamma di percorsi, di cui segnaliamo qui alcuni.
    Sono riassumibili in tre grandi categorie:
    – Primo contributo di VD è aver espresso il senso genuino di Parola di Dio, già affermato in DV nn. 2s, con maggior chiarezza. Non vuol dire anzitutto Bibbia, un libro per quanto sacro e necessario, ma indica il dialogo che Dio vuol fare con l’uomo in cui soggetto centrale è Gesù Cristo, il Verbo stesso di Dio fatto uomo. Con questo sono implicate altre sfaccettature tanto da potere far assomigliare la Parola ad una sinfonia (n. 7) suonata nella Chiesa. Ciò è sotteso da un’approfondita teologia della Parola d Dio fin qui inedita, di cui si mettono in rilievo la dimensione cosmica, antropologica, biblica, cristologica, escatologica ed ecclesiale (nn. 6-49).
    – A seguire, si rimarca la collocazione della Parola di Dio, collegata qui strettamente alla Bibbia, dentro la vita ecclesiale: anzitutto e soprattutto nella celebrazione liturgica, nella catechesi, nella formazione del clero e dei laici, sottolineando in particolare la teoria e pratica della Lectio Divina (nn. 50-89).
    – Infine del tutto nuova è la visione extraecclesiale della Parola di Dio, ossia che essa è, come si può dire, Parola in missione, continuando la missione di Gesù Maestro; è anche Parola che impegna nel mondo dei giovani, dei poveri, dei sofferenti; Dio con la sua parola intende venire a contatto con le culture, perché la «Bibbia è il grande codice per le culture» (n. 110). Si pensi alla storia degli effetti che la Bibbia ha prodotto in campo artistico, letterario, sociale, etico, interessando per questo anche illustri non credenti. Infine la Parola di Dio veicolata dalla Bibbia entra in dialogo con altre religioni e ha anche benefica rilevanza ecologica (nn. 90-120).

    La Rivelazione di Dio è una comunicazione grande, gratuita, decisiva. È come un sinfonia, la sinfonia della Parola di Dio. Ci viene donata ma non ci lascia inermi o passivi come schiavi, ma ci rende collaboratori, anzi produttori. Come è vero che non c’è orecchio che ascolta, se non vi è Dio che parla, si rivela come Lui vuole, non c’è nemmeno rivelazione o Parola che tenga se chiudo le orecchie. Seguendo l’immagine della sinfonia, Insomma la Bibbia è lo spartito musicale, la Tradizione è l’orchestra che l’esegue, la catechesi, la liturgia, la carità sono gli strumenti, i cristiani sono i suonatori, il Papa e Vescovi (e collaboratori, presbitero, catechista, animatore…) sono direttori di orchestra, lo Spirito Santo è il grande, segreto regista, Dio e il mondo sono spettatori e giudici.

    PER FAVORIRE L'INCONTRO TRA PAROLA DI DIO E GIOVANI

    Tutte le riflessioni precedenti hanno per noi uno scopo ben mirato: dare al giovane la possibilità e la volontà di entrare in dialogo con Dio, ascoltarne la Parola, capirla, gustarla come fosse miele (è l’immagine cara agli Ebrei, v. Ez 3,3). Come fare? Non basterebbe che ogni giovane abbia una Bibbia, anche regalandogliela. È da accendere piuttosto la curiosità, che poi si fa simpatia, diventa attenzione e infine si volge in partecipazione ad un dialogo inteso compiutamente come incontro tra Dio che parla e ascolta il giovane e il giovane che ascolta e parla a Dio. Non è una cosa automatica, richiede un processo di maturazione che sa di profonda novità nel contesto di una società dove la fede è non più bene compresa o dimenticata. È il compito di quella che oggi con giusta enfasi viene definita Nuova Evangelizzazione. Indichiamo qui alcune linee operative avendo presenti soprattutto giovani e adolescenti in avanti.

    Un dialogo interpersonale che si realizza tramite Gesù e si attua nella Chiesa

    Occorre riabilitare la religione cristiana, passando da questa pensata come una somma indefinita di affermazioni teoriche per lo più scritte, a forma di libro, ad una religione come relazione in atto tra persone viventi, tra mondi vitali, io e Dio. Ebbene è proprio di una buona relazione siffatta l’uso della parola per dialogare, ciascuno con la sua identità. Per cui Dio parla e ascolta il suo interlocutore giovane, ed è proprio di Lui manifestarsi per rivelazione, ossia autocomunicandosi liberamente; l’uomo (giovane) vi corrisponde, ascoltando Dio e rivolgendosi a Lui.
    È da rimarcare che contenuto del dialogo non è un «buon giorno e buona sera», ma avviene su cose sostanziali che stanno a cuore all’uomo e a Dio: il senso della vita, la gioia e il dolore... tutte compendiate nel termine salvezza.
    In questo dialogo tra Dio e uomo, Dio, il Padre, ha posto Gesù, suo Figlio stesso fatto uomo, uno di noi, per dare concretezza e chiarezza al dialogo, Lui a nome di Dio verso di noi e ancora Lui a nome di noi uomini verso Dio. La relazione religiosa si manifesta come relazione cristiana.
    Ciò comporta due verità da sviluppare: cosa significhi un’antropologia della relazione tra persone differenti, intesa come comunicazione mediante il parlarsi reciproco; cosa significhi una teologia della relazione, in cui la comunicazione tra Dio e uomo viene precisata dal punto di vista di Dio in Gesù, detto Lui stesso Parola di Dio, e la conseguente rilevanza sull’uomo (giovane) che vi viene coinvolto per una risposta di intelligente fiducia o fede.
    Su questo nucleo sostanziale si fa invito alla conoscenza e spiegazione del c. 1-2 di DV.

    La Bibbia documento infallibile della Parola in dialogo nella comunità cristiana

    La Sacra Scrittura o Bibbia è il documento affidabile di un dialogo già iniziato tra Dio e l’uomo (anche giovane). Tale documento per volere di Dio e sotto la ispirazione del suo santo Spirito diventa la «grammatica» del dialogo che va continuando. Là, nella Bibbia, Dio ha fatto un dialogo con il suo popolo che continua oggi nel popolo che è la Chiesa, sottolineando che Gesù è stato sempre il portavoce del dialogo (nascostamente nell’AT, scopertamente nel NT) ed è che ancora Lui, il Signore risorto, che parla a nome di Dio nella vita della sua Chiesa.
    La Bibbia va vista anzitutto non come insegnamento di verità astratte sulla Parola e sul dialogo, ma come scuola di umanità, cioè di persone che hanno ascoltato e parlato con Dio. Vuol dire che una volta bene conosciuta nel suo rivestimento testuale, cioè come una somma di libri e ancora più di pagine, di versetti, di immagini, di simboli, di termini, la Bibbia va riscoperta nel suo mondo di persone concrete prima dentro la Bibbia stessa e poi nel mondo postbiblico, cioè in persone che da ben venti secoli si lasciano educare alla Parola di Dio nel solco della tradizione biblica.
    Questo comporta che i personaggi biblici dell’AT e soprattutto del NT vanno colti nella loro relazione con Dio: come l’hanno realizzata, quali contenuti ci mettevano, che effetti produceva in loro, notando le risposte positive e purtroppo anche di rifiuto. Nettamente si darà il primo posto alla «investigazione» di Gesù, di Paolo, di Maria, dei personaggi del Vangelo.
    Questo comporta entrare nel mondo dei cristiani e vedere il senso che la Bibbia ha rivestito e riveste in persone di ieri e di oggi, magari a noi vicine. Diventa pista di credibilità, ad esempio, ricercare cosa produceva in Madre Teresa la lettura della Bibbia, del vangelo che faceva continuamente. Cosa dava la Parola di Dio a Madre Teresa e cosa rispondeva Madre Teresa al vangelo. La forza di queste testimonianze hanno un compito pedagogico essenziale per entrare nella Bibbia e dialogare con Dio.
    Nella Chiesa la Parola di Dio, essendo sinfonia, si fa sentire e si dona a noi in una serie di segni e attività che formano una reazione a catena: la Parola di Dio, attinta dalla Bibbia, viene annunciata (con la catechesi e la predicazione), viene celebrata e pregata (con la liturgia, segnatamente con l’Eucaristia), per tradursi in servizio di amore o diakonia, e finalmente venire manifestata ad altri come in missione. Questa dinamica ecclesiale della Parola di Dio è detta Tradizione.
    Su questo nucleo sostanziale si fa invito alla conoscenza e spiegazione ancora del c. 2 e poi dei cc. 3-4-5 di DV.

    Fare esperienza della Parola di Dio

    È un traguardo necessario. Non si impara a nuotare soltanto sapendo di nuoto, ma buttandosi in acqua, provando e riprovando, magari bevendo qualche sorsata fuori programma.
    Vuol dire che soltanto l’esperienza del dialogo permette di capirlo a fondo, pur sbagliando all’inizio gli accenti. Così è di questo tema centrale della Parola di Dio di cui DV e successivamente VD si sono fatte magistero solenne.
    Vuol dire anzitutto essere convinti del valore formativo che sta nell’aiutare il mondo giovanile a fare tale incontro. Il giovane è capace di Parola di Dio (e Bibbia). Se l’educatore è lui stesso dubitante e dunque fuggitivo dalla presa della Parola, ciò avverrà anche per l’educando.
    Ciò avviene sulla base di una chiarificazione antropologica e teologica, sopra accennata, che si traduce concretamente in buona, amichevole e reciprocamente fiduciosa relazione tra educatore e giovane: allora si può proporre l’incontro con il Libro sacro come avventura che mira alla di realizzazione del «quinto vangelo», ossia annotando quale frutto della Parola-ascolto tra Dio e l’uomo (giovane) si compie, rispondendo a due domande: quale Parola di Dio dice questa pagina biblica? che cosa dice a me (a noi) questa Parola?
    A voler dare delle chiavi di lavoro avanzerei questi indicatori.
    – Frequentare anzitutto non un qualsiasi libro della Bibbia indifferentemente, ma i vangeli, uno alla volta, e a partire da essi collegarsi con buone ragioni con quanto è precedente a Gesù (AT) e quanto lo segue (NT).
    – Sostare sui personaggi, studiandone le relazioni anzitutto con Gesù e con altre persone, avvalendosi dell’analisi narrativa, in modo di mettere a fuoco ultimamente quale esperienza della Parola di Dio viene alla luce, in termini di accoglienza (ad es. Maria) o di rifiuto (ad es. il giovane ricco).
    – Prolungare tale relazione in testimoni, uomini e donne del nostro tempo, possibilmente anche giovani, come Chiara Badano, che nell’incontro con la Parola tramite la Bibbia ne hanno fatto ragione di vita e di santità.
    – Saldare la Bibbia con esperienze di Chiesa che la riprendono e la ridicono: vediamo così la Parola di Dio nell’Eucaristia domenicale, nella catechesi, nel servizio ai poveri, fino anche a tante espressioni culturali, di arte, letteratura, valori morali.
    – Una esperienza con una sua caratterizzazione oggi raccomandata è la cosiddetta Lectio Divina o lettura orante della Bibbia, cioè nella forma di incontro diretto con il testo sacro per incrementare anche un sapere biblico corretto, e soprattutto realizzare un dialogo con il Signore che parla e ascolta, in clima di silenzio e di orazione. È la via migliore per l’acquisizione di una vera mentalità e spiritualità della Parola di Dio attinta alla fonte della Scrittura.
    Su questo nucleo sostanziale si fa invito alla conoscenza e spiegazione del c. 6 di DV e ancora di più della parte II e III di VD.

    «Non vi sono parole al mondo più intelligenti, più rivelatrici e più indispensabili, parole insieme severe e gentili, strazianti e salutari. Una verità così universale: Dio è uno. Un pensiero così consolante: egli è con noi nella miseria. Una responsabilità così soverchiante: il suo nome può essere profanato. Una mappa del tempo: dalla creazione alla redenzione. Pietre miliari lungo la strada: il Settimo Giorno. Un’offerta: la contrizione del cuore. Un’utopia: se tutti gli uomini fossero profeti. L’intuizione: l’uomo vive per la sua fedeltà; la sua casa è nel tempo e la sua sostanza è negli atti. Un modello così audace: siate santi. Un comandamento così temerario: ama il prossimo tuo come te stesso. Un fatto così sublime: il pathos umano e divino possono accordarsi. E un dono così immeritato: la capacità di perdonarsi. La Bibbia è il più grande privilegio dell’uomo. Essa è insieme distante e così diretta, categorica nelle sue richieste e piena di compassione nel comprendere la situazione umana. Nessun altro libro ama e rispetta altrettanto la vita dell’uomo… Niente in essa è spurio e banale. Non è un’epica sulla vita degli eroi, ma la storia di ogni uomo in tutti i luoghi e in tutti i tempi» (A. Heschel, Dio alla ricerca dell’uomo, Borla, Roma 1985, 261ss.).


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