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    Editoriale

    Michele Falabretti

    (NPG 2017-02-2)


    Si apre l’esperienza di un nuovo convegno nazionale di pastorale giovanile: non è mai un appuntamento banale. Anzitutto perché si offre l’opportunità di riflettere e di condividere i pensieri; in secondo luogo perché incontrarsi permette di scambiare le esperienze. Come dice qualcuno fra noi, i convegni “si fanno a tavola”. C’è una grande verità in questa espressione: tema, titolo, riflessioni sono soltanto un “pretesto” per condividere fatiche e preoccupazioni costanti e comuni.
    Ci occupiamo di giovani, dunque di libertà che desideriamo interpellate dal Vangelo e nello stesso tempo ancora in costruzione. Lo facciamo in ambiti ecclesiali e sociali molto diversi: mi capita di sorridere quando, in rari incontri che faccio in contesti europei o internazionali, sento lo sguardo di molti sull’Italia come se fosse una realtà omogenea e ben definita. “L’Italia è lunga”: è un altro modo di dire diffuso che porta – di nuovo – una grande verità. Storie e tradizioni, vissuti e sentire religioso molto diversi fra loro.
    Ogni tanto mi chiedo: cosa significa una Chiesa nazionale? Non credo che voglia dire omologazione, né tantomeno rinuncia a cammini storici costruiti nel tempo e con fatica. Ma i meccanismi di fondo (se così si possono chiamare) dell’educazione e della cura per le nuove generazioni, chiedono sempre più dei punti di riferimento. Il contesto che la contemporaneità ci offre è così frammentato e complesso, da risultare talvolta davvero difficile da abitare.
    Qualcuno, talvolta, chiede quali possano essere le ricadute di un evento nazionale di questo tipo. Lì per lì, nessuna; almeno credo. È davvero finito il tempo in cui si potevano convocare le persone per “istruirle” sul da farsi a casa. Forse questo riesce oggi alle aziende; ma – si sa – lì è il proprietario che decide e che comanda. Qui di proprietari non ce ne sono: i giovani appartengono a se stessi e le chiese locali rispettano tempi, percorsi e tradizioni che hanno le caratteristiche della vita di una grande famiglia.
    Eppure un convegno può attivare dei processi, può generare speranza (quanto è faticoso e logorante il lavoro educativo!), può consegnare alcune chiavi di lettura che si trasformano in strumenti preziosi per lavorare a casa. Un convegno inizia nel convenire, ma è consegnato all’intelligenza e alle mani di ciascuno: così stiamo cercando di interpretare i convegni di questi anni. La prima preoccupazione è di non perdere tempo, di non battere l’aria, ma di affrontare il cuore delle questioni. Per questo, a partire dal tema, scegliamo ciò che “agita” maggiormente il cuore di tutti.
    Gli ultimi due convegni, ci hanno offerto due grandi punti di riferimento: il senso della cura (anzitutto) come una passione da ricuperare e da far crescere. E poi la capacità di progettare: essa parte dal sogno condiviso con ogni giovane che incontriamo perché la vita sia espressione dell’umanità di Gesù. Progettare non è operazione che costruisce il vivere a tavolino, ma è pensiero sapiente che cuce le azioni di una chiesa con la vita delle persone e di un territorio.
    Con il convegno di quest’anno a Bologna, ci spostiamo sui soggetti della vita pastorale. Partiamo con gli educatori, consapevoli che non è un punto di partenza “assoluto”: avremmo potuto partire dai giovani e dalle loro diverse età di vita. Partiamo dagli educatori anzitutto perché le due grandi esperienze del 2016 (il Giubileo dei ragazzi e la GMG di Cracovia), ci hanno rivelato l’importanza di costruire percorsi di accompagnamento. Molti hanno osservato che nella misura in cui i percorsi sono stati preparati e sostenuti, il clima che si è creato, le relazioni tra le persone e soprattutto il ricominciare a settembre dopo l’estate, è stato qualcosa di diverso.
    In questo, più e prima delle cose da fare, c’è bisogno di persone disponibili e competenti che sappiano tessere relazioni educative buone ma non solo. C’è bisogno di fare alleanza e di fare squadra: fra educatori di uno stesso contesto, fra educatori che appartengono allo stesso territorio ma anche a diverse agenzie educative; fra educatori, famiglie e comunità.
    Queste alleanze sono sane, perché aiutano l’educatore a sentirsi costantemente a servizio della sua Chiesa e delle persone. Ma sono anche difficili, perché richiedono uno stile condiviso e soprattutto interpellano gli adulti di ogni comunità. Quante volte il lamento sale: “vorrei fare tante cose, ma non ci sono gli educatori”! Le competenze vanno formate e questo richiede tempo e risorse (intelligenza, cuore, conoscenze). Quando riusciremo a mettere il lavoro formativo sullo stesso piano dei servizi religiosi che vengono offerti soprattutto attraverso la celebrazione dei Sacramenti?
    Già, perché parlando di educatori torna al centro dell’attenzione l’idea che la Chiesa genera alla fede ogni volta che celebra i sacramenti, che annuncia e tesse relazioni di carità. Ma questo non significa – ancora – generare a una “vita di fede”. Per la quale c’è bisogno di incrociare seriamente la libertà delle persone che non va immediatamente “guidata”, ma va anzitutto interpellata e provocata. Insomma, educatori non si nasce – si diventa.
    Per questo ci auguriamo che questo convegno riesca a offrirci un altro punto di appoggio. Non soluzioni immediate, ma il gusto di scoprire quali cose vanno custodite nel cuore e fatte crescere. Soltanto così le nostre competenze educative diventeranno espressione del cuore del Pastore buono.
    Sento il dovere, in chiusura, di ringraziare Note di pastorale giovanile che in questi anni ci ha seguito con affetto e ha rilanciato i contenuti dei convegni nei numeri successivi. Dobbiamo molto alla rivista: nei cinquant’anni di vita (che si celebrano quest’anno, auguri!), le innumerevoli persone che hanno pensato e scritto, ci hanno offerto anche l’evoluzione del pensiero e la testimonianza di un lavoro, quello della pastorale giovanile, che non si è mai fermato. Tra l’altro questo convegno di Bologna è davvero particolare per un paio di circostanze che credo siano molto importanti. La prima riguarda la Rivista e il luogo del convegno: Bologna è la città natale di don Riccardo Tonelli, al quale non saremo mai grati abbastanza per l’offerta sincera della sua vita e della sua intelligenza alla rivista e alla pastorale giovanile. Ci ha insegnato davvero tanto: anzitutto che il pensiero deve precedere l’azione, perché quando si educa non si fabbricano cose – ma si accompagnano i processi di maturazione delle persone.
    La seconda circostanza riguarda il Sinodo dei Vescovi del 2018: i Lineamenta sono appena stati presentati; il lavoro è partito. Ci fa piacere che questo appuntamento del convegno (a cui la rivista partecipa con questo numero speciale offerto a tutti) possa essere un primo passo e contributo al lavoro che verrà. Sarà bello, ne sono sicuro: perché la passione per la vita di chi viene dopo di noi non è mai venuta meno! Buon cammino a tutti!


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