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    L'istituto come sistema socio-culturale



    Pietro Gianola

    (NPG 1968-08/09-42)

    Una comunità giovanile effettiva esiste non solo in quanto i giovani alunni consentono alle nostre iniziative, ma in quanto diventano protagonisti essi stessi, collaborando con noi, integrati al nostro lavoro.
    Non si dica che non sono capaci, che non vogliono farlo, rinunciando alla propria responsabilità per sfiducia o per pigrizia o inettitudine. In tal caso non eserciterebbero quella che è forse la più grande esperienza dei loro anni giovanili, non userebbero il più grande ed efficace mezzo educativo. Non potrebbe non risentirne la loro maturità adulta.
    L'Istituto di educazione-scuola non può non presentare una pianificazione di base, una sua struttura di particolare «sistema sociale» finalizzato per tradizione e per oggettive esigenze a scopi prefissati.
    Tale organizzazione formale deve essere voluta e intenzionale, in base a precise ragioni, non ultima quella di sostenere e attuare il metodo «comunità».
    Gli studi più attuali di pedagogia, sulla traccia di più generali indicazioni sociologiche, guidano a presentare l'Istituto d'educazione e scuola (tale è il nostro abitualmente; per analogia molte cose valgono anche dove manchi la scuola interna) con un modello sociologico-pedagogico chiaro, come un vero piccolo sistema socio-culturale:
    – un complesso organico di raggruppamenti tra persone che interagiscono a scopo educativo:
    – educatori di età e funzioni e ruoli diversi, ma aventi una cultura comune (essi sono portatori di una cultura comune)
    – e tendenti a indurre in (a portare a) tale coltura comune i soggetti educandi, cioè a guidarli a condividere atteggiamenti, norme, valori, modelli di condotta, concezione di vita, religione e morale,
    – mediante un piano educativo comune,
    – con la mediazione dei gruppi comunitari e spontanei e dei più ampi raggruppamenti (cioè proprio per quella forte influenza, per quella spinta che il gruppo dà all'accettazione di un patrimonio culturale). La figura d'insieme che l'Istituto assume, si può rappresentare in uno schema nel quale tutto le posizioni «comunitarie» sono poste nelle loro relazioni sia orizzontali che verticali, schema che si usa chiamare organigramma.
    Questo sistema socio-culturale dell'Istituto di Educazione-Comunità, presenta visibili quattro raggruppamenti maggiori:
    1. degli EDUCATORI (superiori, educatori, insegnanti)
    2. dei GIOVANI ALUNNI (sottogruppo d'età scolastica, in fase educativa, pensabile come articolato a sua volta in altre divisioni sempre minori)
    3. delle FAMIGLIE dei giovani: vero «gruppo», perché orientate tutte allo stesso scopo entro il medesimo ambiente e organismo educativo
    – con funzione di controllo (diritto primario dei genitori all'educazione dei propri figli)
    – con funzione di mediazione tra la comunità degli educatori e la comunità dei figli e viceversa
    – per la conoscenza dei figli
    – per favorire la loro formazione scolastica e educativa
    – con funzione di continuità, concretando l'azione degli educatori nei ritorni in famiglia, nelle visite, corrispondenze..., nell'unità di un vero piano educativo comune: obbiettivi, metodi, attività condivise...
    4. dei rappresentanti della COMUNITÀ PIÙ LARGA civile e religiosa Condividendo costoro il diritto, la preoccupazione educativa, gli interessi, riguardo agli stessi giovani e allo stesso ambiente, devono prendere parte attiva e responsabile nella direzione educativa, e perciò partecipare alla vita attiva della comunità educativa integralmente intesa, mediante presenza, consulenza, sovvenzioni...
    L'ISTITUTO-COMUNITÀ si presenta ben diverso dell'Istituto-Massa.
    Le due comunità degli Educatori e dei Giovani alunni dovrebbero stagliarsi abbastanza come unità sociali distinte, anche se perfettamente collegate, in modo che collaborino con ruoli distinti anche se reciproci. E come entità distinte hanno bisogno di una loro visibilità. Distinzione, visibilità, interdipendenza: sono i caratteri di queste vere unità sociali che come due costellazioni in sé definite sono in continuo dialogo, ora diretto, alla base, ora al vertice, mediante organi rappresentativi.
    La COMUNITÀ DEI GIOVANI ALUNNI ha come soggetti gli educandi, gli scolari. Può strutturarsi in unità o sottogruppi attribuendo incarichi e poteri, e eleggere delle rappresentanze (capigruppo, presidenze, consigli, comitati). Ha come propria la cultura giovanile. È quindi possibile il segno effettivo della sua visibilità di gruppo dotato di struttura e cultura differente entro il quadro della comunità educativa. Per questo occorre studiare come darle visibilità, importanza, autorità adeguata sul piano del consiglio, dell'intervento nella discussione, dell'offerta di collaborazione, di partecipazione nei tempi di programmazione, esecuzione, verifica, pur in modo commisurato alla situazione di non adulti, di soggetti relativamente non maturi, dei suoi membri.
    Questi due raggruppamenti devono collaborare per dar origine alla Comunità educativa.
    Differenziarsi e distinguersi non vuol dire contrapporre una struttura all'altra, ma qualificarsi meglio entrambi in vista dell'azione comune, comunitaria, generale, a tutti i livelli della programmazione educativa, dell'attuazione efficace in ordine agli scopi sostanziali da conseguire, tenendo conto funzionalmente delle diversità della maturazione, della cultura, dello stato (religiosi, ecclesiastici), della formazione, dell'età con le loro conseguenze. La struttura educativa totale deve acquistare maggiore forza d'incidenza, per una più produttiva integrazione di forze convergenti, proprio perché differenziate, entro un progetto di obbiettivi comuni e condivisi.
    Nel dialogo ognuno prende dall'altro, con rispetto reciproco, con oggettiva valutazione; i giovani sono più aperti, disponibili, rigorosi; gli adulti sono più saggi, più colti, più prudenti.
    Solo così, in dialogo, gli educatori possono essere accettati e seguiti come guide che non trascurano, non deprimono, né disprezzano, ma valorizzano tutto, anche le differenze.
    Per meglio attuare il compito di istituzione mediatrice verso la società in cui devono prepararsi efficacemente a vivere domani, quindi per meglio conseguire le finalità educative, è bene che gli alunni, appena ne sono in grado, collaborino, partecipino alla costituzione della stessa autorità, di una parte dell'autorità, con la posizione di leggi (regolamenti generali o particolari, codici) e al controllo sociale disciplinare, attraverso rappresentanti in Consiglio, o in forme serie di tribunali di comunità giovanile, attraverso contatti espliciti con i rappresentanti della società adulta anche esterna all'istituto, introdotti nella comunità degli educandi, per prendere contatto con i loro problemi, per comunicare le proprie esperienze in situazioni di vita sociale, creando occasioni di incontro, come visite, partecipazioni, scambi.
    I contatti di rappresentanza generale possono accentrarsi in un consiglio comunitario, composto da:
    – uno o più delegati dei giovani
    – uno o più delegati della comunità degli educatori
    – un rappresentante delle famiglie, del loro gruppo, della loro associazione
    – e anche i rappresentanti dell'ambiente locale: operatori locali, esperti dei gruppi di assorbimento per il lavoro
    – ecclesiastici rappresentanti del Vescovo, della Parrocchia, di Centri giovanili.
    La Presidenza spetta evidentemente al Direttore, figura centrale di tutta la comunità educativa, dotato di rappresentanza mediatrice di tutti i gruppi dopo averli unificati in stretti rapporti di conoscenza, di affetto, di consenso.
    L'assemblea generale di tutti i quattro raggruppamenti può avere luogo alla apertura di ogni anno di lavoro, nei momenti più solenni o impegnativi, di importanti decisioni, alla fine dell'anno in fase di bilancio e verifica. Non si tratta di scontri di interessi, di rivendicazioni, ma di avviare e far funzionare più unità sociali volute e destinate a collaborare tra loro in forme convergenti e consenzienti.

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