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    Mario Gozzini

    (NPG 1970-08/09-65)

     

    I valori più autentici dei giovani d'oggi sono oggetto di costante attenzione ed esaltazione da parte del Magistero della Chiesa. Pacem in Terris, Gaudium et Spes, Populorum Progressio sono documenti che hanno ampiamente inciso sulla nostra coscienza. Sappiamo benissimo ormai che il lavoro per la pace e per la giustizia, per lo sviluppo dell'uomo singolo e dell'umanità intera ha un rilievo teologico sicuro in quanto preparazione del Regno, traduzione visibile della risurrezione. Liberare l'uomo dai condizionamenti delle strutture fondate sul potere non è soltanto un'operazione socio-politica: è collaborare all'opera di redenzione che Dio compie attraverso di noi.

    LE DIMENSIONI NUOVE
    DI UNA PRESENZA CRISTIANA

    Abbiamo di fronte due problemi; o meglio, due aspetti del medesimo problema.

    ♦ Prima di tutto si tratta di promuovere nell'intero popolo di Dio la conversione da una mentalità legata a un rapporto Chiesa-mondo in termini di contrapposizione polemica a una mentalità diversa che sente il mondo, e la sua storia, come il luogo naturale dove la Chiesa vive e si sviluppa, in un continuo scambio reciproco (cfr. GS 44). Il «volto nuovo» dei gruppi giovanili non può essere, in questo senso, qualcosa di specifico e di diverso dal «volto nuovo» di tutta la Chiesa che si viene maturando in una ricerca faticosa, talvolta drammatica.
    Ecco le questioni inerenti all'aspetto istituzionale della Chiesa da riformare: gli stimoli storici della partecipazione, della corresponsabilità, in una parola sola, della democrazia operano rettamente e utilmente se portano il popolo di Dio a conoscere se stesso, a scoprire la sua natura, i suoi compiti specifici di salvezza, più in profondità; e, nello stesso tempo, a testimoniare la fede in modi più trasparenti, meno ambigui ed equivoci, più capaci di mostrare la Chiesa come sacramento e segno dell'unità degli uomini. Ora, se di questa dinamica la chiesa locale rappresenta il luogo essenziale, quello in cui si decide la fisionomia e la struttura della Chiesa negli anni duemila, i gruppi giovanili cattolici tanto più e meglio potranno inserirsi nel movimento di riforma quanto più e meglio saranno collegati e contribuiranno al processo evolutivo in corso verso la rivitalizzazione delle chiese locali.

    ♦  In secondo luogo, e con particolarissimo rilievo per quel che riguarda i giovani, è tutto (o quasi) da inventare il modo di far passare l'azione e la presenza nel mondo dei valori sopra indicati dal piano di minoranze esigue al piano di massa; cioè il modo di far diventare costume normale dei giovani credenti, e poi di tutti i credenti, quello che ancora è impegno eccezionale di piccoli gruppi.
    Si tratta, dicevamo, di due aspetti del medesimo problema. Infatti una più profonda e responsabile coscienza ecclesiale cristiana – una fede, come si dice, più adulta – è in rapporto con una maturazione, una crescita nella coscienza umana, civile, sociale, politica. In questa chiave vanno ripensate le formule tradizionali dell'associazionismo giovanile cattolico: tenendo presente, d'altronde, che quanto più autentica sarà l'ispirazione della fede tanto maggiore diverrà l'insofferenza verso gli strumenti operativi e in genere verso le istituzioni a etichetta confessionale; tanto più forte, cioè, si farà sentire la spinta alla secolarizzazione e alla radicale laicizzazione degli impegni socio-politici. Nell'ambito dei quali, non nascondiamocelo, i giovani cattolici più desti e più generosi si troveranno a convergere e a stabilire intese, prima e più che con altri cattolici, con coloro che veramente vogliono promuovere il dinamismo del mondo, credano o non credano in Dio.

    ♦  L'ipotesi di lavoro più realistica è dunque la progressiva scomparsa di gruppi e associazioni strettamente confessionali a finalità di impegno storico. Proprio perché finiscono per limitare o comunque deformare la funzione universale della Chiesa, secondo un'immagine non autentica della fede: dove la difesa dei privilegi e del potere politico-sociale adombra, fino ad estenuarla, la realtà evangelica del lievito e del sale. Cresce la consapevolezza, e dobbiamo prenderne atto specialmente di fronte ai giovani, che la politica cristiana o la società cristiana, così come la cultura cristiana, sono formazioni storiche provvisorie, relativissime, in qualche modo fittizie; e che la prospettiva ne va abbandonata sotto pena di cadere nell'utopia, che è poi una indebita forma di immanentizzazione del vangelo. La politica, la società, la cultura sono i fatti dell'uomo: al cristiano spetta di portarvi il lievito e il sale della sua riflessione sul mistero del Dio fatto uomo, morto e risorto; e della testimonianza che ne consegue.

    Recupero della vera missione della Chiesa

    Solo su questo terreno, non c'è dubbio, i giovani possono ritrovare una credibilità della Chiesa. Una Chiesa, cioè, capace di pronunciare un giudizio profetico sul mondo e sulla storia in nome di valori – soprattutto la fine del sistema di guerra e l'avvento, reale e non utopistico, della pace perpetua nell'unità planetaria della famiglia umana – che rappresentano ormai una sorta di discriminante assoluto per il futuro dell'uomo. Nel senso che: o quei valori si realizzano rapidamente in strutture socio-politiche internazionali o lo stesso determinismo tecnologico a servizio della volontà di potenza non ancora del tutto esorcizzata in alcuni gruppi umani scatenerà prima o poi la catastrofe generale. Finora l'uomo era costretto ad avere un futuro, ora non più; ora è libero di volerlo o di non volerlo, diceva Mounier dopo Hiroshima.
    È questa libertà che in qualche modo segna davvero il passaggio a una età adulta dell'uomo; ed è l'educazione a tale libertà radicale, alla libertà cioè di costruire un futuro a misura di questa nuova età in cui siamo entrati, respingendo le oscure minacce, che i giovani chiedono.
    In altri termini: la società secolarizzata, escludendo il «Dio tappabuchi» di Bonhoeffer, e allo stesso tempo ponendo l'uomo di fronte a una responsabilità radicale da assumere totalmente in proprio, in nessun
    modo delegabile ad altri, toglie alla Chiesa lo spazio per qualsiasi tipo di alleanze (di alienazioni) temporalistiche, se vuol salvare la sua specifica funzione di segno della trascendenza della persona e dell'unità degli uomini. Ne consegue che i gruppi e le associazioni giovanili, spontanei o istituzionali, perdono consistenza e significato se intendono funzionare in qualche modo diretto o indiretto, come strutture di consenso a questo o a quel sistema (guai se concepissimo il loro «volto nuovo» come passaggio da fondi di riserva per il partito cattolico a fondi di riserva per i partiti marxisti). Si possono ritrovare soltanto se educano ad essere creatori del proprio destino, a «demitizzare» tutti i modelli storici (compresi, appunto, quelli che si richiamano al marxismo), a esercitare in continuità la critica responsabile della coscienza personale (o di gruppo); in una parola, se diventano, nell'attuale momento storico, strutture della contestazione e del dissenso, animate dal giudizio profetico cristiano sulla storia.

    Rischi, Prospettive, Interrogativi

    Se i giovani credenti inseriti in gruppi e associazioni pluralistiche per impegni di tipo socio-politico-culturale riuscissero a manifestare sempre questa carica radicalmente liberante della fede cristiana, saprebbero vincere, crediamo, anche i rischi sia della riduzione immanentistica della salvezza escatologica (cioè della perdita di ogni identificazione autentica del Cristo morto in croce e risorto) sia della possibile rinnovata tentazione integrista (cioè della identificazione del Cristo con certe strutture). Rischi oggi indubbiamente presenti in più di un'esperienza, dove l'accento sulla comunità in senso sociologico finisce per sfumare eccessivamente il primato della comunione in senso spirituale. Ma l'essenziale è la possibilità di disporre di una fede adulta, matura, consapevole: talvolta, si badi, nella nostra passione per il problema della Chiesa come popolo di Dio, delle sue strutture da riformare, della comunità concreta da far vivere nella Chiesa locale, rischiamo di metter troppo da parte il discorso sulla fede, che resta un fatto essenzialmente personale. All'età adulta del mondo deve corrispondere un cristianesimo adulto, frutto di frequentazione assidua della Parola, di esperienza liturgica, di catechesi approfondita.
    Donde derivi, per esempio, la coscienza chiara che la Chiesa non è mai compiuta e perfetta, ma è sempre in costruzione progressiva, in riforma costante; che la promozione, all'interno, di un'opinione pubblica attiva, responsabile, consapevole, è una necessità vitale riconosciuta già da Pio XII; che la contestazione delle leggi e delle istituzioni ecclesiastiche inadeguate è un dovere prima che un diritto; che i modi di esercizio dell'indispensabile funzione di guida dei pastori non sono mai fissati una volta per sempre; e via dicendo.

    A che servono i gruppi confessionali?

    Potremo allora ipotizzare i gruppi giovanili in senso strettamente confessionale come gruppi di catecumenato verso una fede adulta? Certo, riuscire a istituzionalizzare, con grande varietà e libertà di forme, lasciando ampi spazi alle iniziative particolari nelle diverse situazioni, il lavoro di catechesi, dalla infanzia alla Prima Comunione, all'adolescenza con la Cresima e oltre, in modo che la maggiore età cronologica coincida con la maturità della fede: certo, questo è un compito che ci sta dinanzi e a cui né le strutture attuali né il costume del popolo cristiano si mostrano adeguati. Abbiamo tuttavia la fondata impressione che per i giovani seguitare a frequentare la messa domenicale senza un coerente impegno anche di sviluppo nella conoscenza della fede sta cessando di aver senso. Cioè o si rinunzia, facendo coincidere secolarizzazione con rifiuto dei modi esterni di professare la fede (con la cessazione di rilevanza da parte del problema religioso) o si prosegue, ma allora con l'esigenza di rendersi chiaramente conto di ciò che si fa. Secolarizzazione dell'esistenza e cristianesimo domenicale, o di abitudine, evidentemente divergono in radice.

    Verso una catechesi globale

    Cosicché l'ipotesi accennata ha un suo fondamento oggettivo. Tuttavia, ci lascia oltremodo perplessi. Ci sembra problematica, cioè, la possibilità stessa di realizzare una catechesi esclusivamente giovanile, separata. La promozione di una maturità della fede avviene, ci sembra, soprattutto nella ecclesia, nell'assemblea globale dei credenti, bambini, giovani, adulti, vecchi, senza nessuna discriminazione. Gli uni possono e debbono servire agli altri: esempio, integrazione, riferimento. Abbiamo costatato, in certe parrocchie giunte a un grado rilevante di evoluzione, che la cosiddetta «messa dei giovani» a un certo punto ha dovuto dilatarsi, diventare messa di tutti anche contro le intenzioni e i programmi. Non si vuol certo negare la necessità diremmo fisiologica di una iniziazione cristiana dei giovani che proceda a sé, almeno per un certo tempo: ma sempre in vista dell'inserimento dei giovani nella comunità intera, il più sollecitamente possibile (qui si parla di comunità in senso lato, prendendo la parrocchia come elemento-base tuttora in piedi). Forse la frammentazione lungamente attuata dall'Azione Cattolica ancora ci condiziona troppo; e lo specialismo dei «rami» è stato un tributo eccessivo pagato alla tecnicizzazione moderna che ci ha fatto dimenticare, con gli eccessi assurdi ormai reiteratamente denunciati, la realtà unitaria del popolo di Dio, dove il giovane può alimentarsi alla fede del vecchio e viceversa.
    Vorremmo poi osservare che un problema assai grave della Chiesa oggi – in certe situazioni non solo condizionante ogni buona volontà di lavoro ma addirittura paralizzante – è proprio la distanza e l'incomprensione reciproca fra la massa dei credenti, smarrita, disorientata, scontenta, e i gruppi più avanzati, di solito giovanili. Una distanza e una incomprensione che spesso si manifesta semplicemente come conflitto, appunto, di generazioni. Programmare una pastorale giovanile separata può contribuire ad aggravare il problema anziché avviarlo a soluzione. Né vale affermare che occorre attendere il cambio di generazione perché la mentalità nuova sia acquisita da tutti; in quanto si applicherebbe un criterio indiscutibile e provatissimo dal punto di vista sociologico ma vi sarebbe da chiedersi se, dal punto di vista della fede, del carattere soprannaturale della Chiesa, abbiamo davvero il diritto di occuparci tanto dei giovani, e tanto poco dei non più giovani. Non compiamo, così facendo, una scelta soltanto umana (in definitiva, si direbbe, politica) e scarsamente ecclesiale? Il gruppo giovanile come catecumenato verso una fede adulta non dovrebbe trovare prima possibile il suo sbocco naturale nella partecipazione della propria esperienza alla più vasta comunità di appartenenza, in un dialogo costante e tenace, tenuto aperto nella convinzione di non aver soltanto da dare (conosciamo sicurezze orgogliose di giovani credenti, del resto ammirevoli, che si sentono un po' troppo primi della classe) ma anche da ricevere?
    Concluderemo sottolineando come i due piani, o le due prospettive – solo apparentemente definibili come esterne e interne alla Chiesa – siano in realtà una sola (già lo si era avvertito): perché la crescita dell'uomo nei suoi valori umani e storici è già una crescita cristiana, è già una dinamica ordinata alla Chiesa in quanto segno della risurrezione.
    «Quanto più un uomo è se stesso tanto più in lui è operante Dio»: ecco un tema di fondo del Catechismo olandese da tener ben presente coi giovani, ma anche con tutti gli uomini d'oggi. Perché è anche il tema che ci dice come il cristianesimo non sia una religione ma qualcosa di molto diverso, la presenza di Dio nella storia. E questo è un elemento di importanza decisiva in tempi di secolarizzazione: che vuol dire tramonto irreversibile della religione.

     

    Alcune posizioni dell'autore, se ci trovano consenzienti in una linea generale di studio, sul piano metodologico comportano qualche annotazione.

    (a) Se la maturità di fede avviene nell'ambito della comunità ed è a indirizzo unico, il punto di riferimento è il cristiano adulto, in unità e organicità. Sul piano pedagogico, però, al giovane rimane viva l'urgenza di interventi particolari, proporzionati alla sua sensibilità e al suo livello di maturazione. Praticamente si giustifica quindi l'esigenza di una catechesi specializzata, di un ritmo proprio nelle celebrazioni liturgiche, di uno spirito associativo peculiare. Più volte la Rivista è tornata su questi temi, per indicare come sono complementari il fatto dell'inserimento nel momento «adulto» e la specificità giovanile.

    (b) Pur accettando la necessità di aprire prospettive e dimensioni di molti gruppi giovanili «confessionali», in un contesto pluralistico come è quello in cui i giovani oggi vivono, è essenziale la presenza di gruppi di appartenenza, in cui la testimonianza di fede sia vissuta, prima di essere proclamata, proprio per creare quello stato continuo di «catecumenato» di cui parla Gozzini.

    (c) Poiché la fede è per gli altri, i gruppi giovanili di testimonianza cristiana sono invitati al dialogo con tutti. Senza giungere ad una privatizzazione del cristianesimo, le strutture formali che chiudono e fanno discriminazione, sono chiamate a lasciar posto alla convivenza operativa e riflessiva con tutti.

    (d) La necessità di ritrovare la convergenza tra l'umano autentico e il cristiano (convergenza non sempre, di fatto, espressamente avvertita) comporta un continuo processo di «discesa nel profondo» dell'uomo, per giungere alle soglie più vere, dove si rifrange il volto di Dio, ed un'attenzione costante per costruire un fascio di motivazioni, ben integrate ed esaltanti, che diano sicurezza in questo deciso e urgente impegno di umanizzazione.
    Anche qui, ritorna un discorso già frequente sulla Rivista.
    (n.d.r.)


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