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    Il campo-scuola 5 anni dopo



    (NPG 1977-05-21)

    Ad alcuni giovani, che hanno partecipato a campo-scuola organizzati attorno ai temi di cui riferiamo in questo DOSSIER, abbiamo chiesto di ripensare all'esperienza vissuta, con il distacco originato dalla distanza nel tempo.
    Ecco qualche risposta.
    La lettura di queste testimonianze non fornisce soltanto la «cronaca» di un campo-scuola, che rivive nel ricordo e nelle conseguenze. Dice anche una certa «circolarità educativa»: perché un campo impostato su determinate problematiche (e, magari, carente su altre) decide un conseguente ritorno al quotidiano (con pregi e con problemi...).

    Ho scoperto il «confronto»

    Sono contento che mi sia data la possibilità di ripensare, di rifiltrare alla luce della mia vita, dei miei impegni attuali un'esperienza «ecclesiale» di qualche anno fa. Concretamente ritengo che più di «qualcosa» di Ulzio sia rimasto. All'età di 15-16 anni è importante fare delle scelte.
    Penso che la prima adolescenza sia una fase estremamente delicata per la vita di un individuo. Infatti alcune opzioni fatte a questa età coinvolgono parecchie scelte future. Inserire in questo momento una proposta che sia allo stesso tempo uno strumento di analisi e di azione sul «sociale» e un impianto teorico di valori inerenti al senso dell'esistenza significa offrire al giovane un progetto serio per la vita, problematica questa che ogni giovane vive sensibilmente.
    Per coloro i quali già possiedono un abbozzo di progetto e stanno «annaspando» in un impegno diretto, in un qualsiasi servizio all'uomo c'è la necessità di fare chiarezza, di approfondire, di qualificarsi, di specializzarsi. Per questi ed altri motivi ritengo sia stato estremamente utile offrire ai gruppi giovanili un servizio di questo genere.
    Veniamo all'esperienza personale e di gruppo.
    Credo che l'esperienza dei campi abbia chiarito in me parecchie cose, soprattutto a livello di «specifico» del cristiano nella società.
    Molte volte si rischia di morire nell'attivismo, nel senso che le attività ti prendono, ti trascinano e non ti offrono spazio per «rivedere».
    Il campo, anche se occorrerebbe distinguere fra i diversi campi, aveva la funzione per me, di «boccata d'aria», di «messa in ordine», di crescita, di farmi fare «qualche passo più in là». Nelle mie scelte, nei miei orientamenti hanno inciso parecchio i campi scuola. Tutta la dimensione politica penso di averla ereditata da quella esperienza. Intendendo la parola «politica» nel senso più lato del termine. Concretamente una certa visione globale dei problemi, dei fenomeni sociali; un'attenzione alla realtà come luogo di vivificazione dei valori cristiani alla luce dell'Incarnazione; la dimensione di autonomia del profano; la necessità di cercare delle tecniche, degli strumenti di analisi e di intervento umani per la realtà sociale; la sintonia tra fede e impegno sociale. Questo mi ha consentito di focalizzare sempre meglio il mio impegno nella comunità giovanile di Valdocco fino a costringermi a scelte compromettenti, più chiare.
    Evidentemente tutto questo affiancato ad una scoperta dei poveri, degli emarginati, degli sfruttati, dei problemi giovanili come categorie privilegiate dell'Amore di Dio e quindi come luogo primario del mio servizio. Tutto ciò non solo a livello personale ma di gruppo. Ritengo che sia stata proprio l'esperienza dei campi a far maturare la scelta da parte di un certo numero di persone di impegno nel Comitato di quartiere, arricchendo necessariamente il nostro centro giovanile di tutte le problematiche del quartiere, contribuendo perciò a iniziare concretamente lo scambio interno-esterno. Evidentemente questo vale anche per me ín prima persona.
    Ho abbandonato quella visione un po' chiusa di impegno esclusivo all'oratorio. Ho scoperto il «fuori». Ho capito che le urgenze erano all'esterno e la vita di Valdocco aveva un significato di «scuola», di preparazione, di esperienza ecclesiale che doveva avere un necessario sbocco verso la vita nel significato più ampio (scuola, famiglia, lavoro, «quotidiano» insomma). Da qui tutta una mia rivalutazione della professionalità come luogo «interessante» per una presenza cristiana qualificata.
    Un altro valore indiscutibile che i campi scuola ci hanno trasmesso è quello del confronto. Trascorrere 5 o 6 giorni, per quanto pochi possano essere, a contatto con altri gruppi, persone, esperienze obbligava alla verifica. Smontava la presunzione di verità che forse è una tra le malattie più pericolose di un gruppo. Scoprire che altri fanno diversamente le cose che tu fai, hanno scelto altri campi di servizio che tu hai dimenticato spesso perché tu ritenevi banali, secondari, «costringe alla crisi», alla messa in discussione. E questo è più che positivo. Questa dimensione ci è tornata molto utile a Valdocco; da qui abbiamo imparato a rispettare gli impegni diversi, visto che nella nostra comunità ci sono un sacco di servizi, abbiamo appreso a confrontarci in clima di fratellanza.
    Alcuni di noi proprio perché hanno capito, avendo toccato con mano, la rilevanza di questa esperienza si sono dati da fare per organizzare dei campi estivi che servissero come revisione dell'attività, degli impegni assunti per gli animatori e come primo vero scontro ideologico con la struttura sociale ed ecclesiale e con i valori cristiani per i più giovani. Ormai questa esperienza va avanti da tre anni e riteniamo sia una tappa molto importante di qualificazione per la comunità e un passaggio obbligato per chi vuole lavorare come animatore sulla pelle degli altri.
    Due aspetti negativi o per lo meno carenze che io ho rilevato.
    Credo che il campo, per quello che ho affermato, ponesse le premesse per un dialogo fra i gruppi che avrebbe dovuto continuare nel tempo. Mi pare che a questo livello il dialogo del dopo campo sia mancato o sia stato molto frammentario. Forse è mancata la necessaria volontà per condurlo avanti.
    Il secondo aspetto negativo lo ritrovo a livello di fede. Forse sarebbe da verificare con altri, ma mi pare che ai campi fosse un po' carente l'approfondimento teologico, le motivazioni cristologiche a tutto l'impianto portato avanti (figure del
    Cristo storico, nascita dei vangeli, Chiesa primitiva). Collegato a questo anche la dimensione preghiera poteva essere più sfruttata, anche perché si trattava di una vera esperienza di Chiesa.
    È ovvio che ogni esperienza ha il suo specifico, ogni campo seleziona «i punti fermi» che intende raggiungere, ritengo però che pigiare un po' di più l'acceleratore su questi temi sia di aiuto ad una maturazione più radicata nella fede del giovane.
    A questo punto credo di aver esaurito i punti che volevo «sfiorare». Penso tutto sommato di aver però dato un'impressione sommaria della mia gratitudine per l'esperienza dei campi che ha permesso a me e ad altri amici di Valdocco di continuare «più da adulti» il cammino della comprensione «dell'evento Cristo».
    Marco

    Dal campo un nuovo modo di fare gruppo

    Dopo l'esperienza di Ulzio, che nel nostro gruppo «provinciale» (di mentalità) e «chiuso» ha risuonato come il classico fulmine a ciel sereno, è iniziato un lento, ma continuo processo di cambiamento dei rapporti interpersonali nel gruppo e, insieme a questo, un rivoluzionamento dei rapporti fra il gruppo e la «gerarchia parrocchiale». Se infatti fino ad allora il gruppo era sopravvissuto grazie ai forti legami interni di amicizia, da allora si è aperta man mano una strada diversa: si iniziava a parlare di «gestione» del gruppo, si affrontava il problema delle strutture della parrocchia...; in altre parole cercavamo affannosamente di risolvere gli interrogativi che ci aveva posto il campo di Ulzio. Dopo qualche tempo, però, ci accorgemmo che non tutto filava liscio.
    I rapporti interni al gruppo erano tesi e pochi erano ancora convinti della validità di continuare.
    Eravamo praticamente in balìa di noi stessi, senza nessuna prospettiva seria per il futuro. Dovevamo in qualche modo scegliere: o disperderci o autogestire il gruppo. Optammo per la seconda soluzione e tirammo avanti da soli per quasi un anno.
    Alcuni avvenimenti riguardanti l'attività di quartiere misero poi in evidenza tutte le frustrazioni che fino ad allora avevamo cercato di nasconderci e, in ultimo, accelerarono il processo di «defezione» in massa del gruppo dall'oratorio. Da allora sono passati due anni e il nostro gruppo continua, anche se in modo saltuario, ad incontrarsi, a parlare, a organizzare campeggi, a partecipare al quartiere, nella scuola... Certo non tutto fila liscio come allora (quando la struttura copriva i «vuoti» delle persone), ma se non altro i contatti che abbiamo oggi, riusciamo a valorizzarli meglio, a viverli più a fondo.
    Anche se tutto questo non è molto pertinente con le domande che mi poni, ho ritenuto che fosse egualmente importante riferirtelo per darti un'idea del quadro in cui le proposte fatte al campo sono maturate attraverso questi anni. Per noi, infatti, l'esperienza di quell'estate ha sempre avuto, nei fatti, un doppio significato: innanzitutto lo stimolo all'esperienza di gruppo (sul modello di quella fatta a Ulzio) e poi la «concretizzazione» di quel modello nella realtà parrocchiale. Devo dire personalmente che il campo di Ulzio ha rappresentato una vera svolta (senza nessuna falsa retorica) nella mia modesta storia di adolescente. Mi ha aperto ad una visione più «strutturale» dei problemi e meno legata ai rancori e all'esperienza individuale.
    Ripensando alla vita del campo, ritengo che i momenti più significativi siano stati, senz'altro, quelli del lavoro in gruppi e della messa.
    Certo però che non sempre i gruppi locali di provenienza riescono ad avere una percezione esatta di come è andata avanti e su quali valori si è mossa l'esperienza di Ulzio, anche perché chi l'ha vissuta in prima persona, ne può aver recepito solo alcuni aspetti parziali. Questi limiti hanno rappresentato una delle maggiori difficoltà per il nostro gruppo, nel senso che abbiamo trovato molto difficile ricercare assieme una «linea di gruppo» che tenesse anche conto della realtà di Cuneo. Il nostro errore più grave, forse, è stato quello di non aver saputo rispettare i tempi di maturazione di ciascuno, per cui ci siamo trovati, dopo qualche tempo, a dover fare i conti con una sottile ma profonda frattura al nostro interno tra i «progressisti» di Ulzio e gli «intimisti» di Cuneo. Questa tensione è stata probabilmente una delle cause della scissione del gruppo.
    Roby

    Le vorrei esperienze più globalizzanti

    La mia risposta non pretende assolutamente di essere onnicomprensiva, ma è certamente onesta e meditata.
    Non penso proprio di darti un'incensata se ti dico che ho cominciato a diventare una persona astuta proprio da Ulzio, un campo, direi, che ha letteralmente dato una svolta alla mia vita e a tutta la comunità di Bolzaneto.
    Personalmente non ho avuto grosse difficoltà allora, ero troppo elettrizzato, le difficoltà sono incominciate quando ho iniziato a rimasticare e a digerire il «mattone» (in senso positivo) del campo.
    Fondamentalmente Ulzio è stata la scoperta della globalità del messaggio cristiano, è stato il sentirsi inserito nel «grande progetto d'amore del Padre». Un progetto in cui io mi sono sentito inserito in un modo irrepetibile e originale. Direi che tutto è cambiato in me da allora, anche se appunto allora colsi più la dimensione «comunitaria» del cristianesimo che quella più specificamente «progettuale», mentre gli altri di Bolzaneto colsero, anche perché più maturi, la seconda.
    È stato l'inizio del servizio quotidiano a tempo pieno, è stato l'inizio del ripensamento sul nodo fede-impegno politico in termini più precisi e mobilitanti, fino allo sbocco comunitario sul «quartiere» che a Ulzio ha avuto un'embrionale partenza.
    Direi che personalmente non c'è stato nel ritmo del campo un momento di maggior incidenza. Tutto per me incideva: dal modo di pregare al modo di celebrare l'Eucaristia, al taglio così pastorale e coinvolgente del momento prettamente contenutistico.
    Mi sembra che uno sbocco debba essere istituzionalizzato dopo questo campo, quello di una revisione annuale della strada percorsa, di tutti quei gruppi che stanno marciando sulle linee-frontiera della Chiesa, gruppi chiaramente incarnati in situazione di quartiere e parrocchia.
    Un consiglio però te lo do. Ho paura che tante di queste esperienze di campi-scuola che hanno privilegiato nettamente il problema politico, abbiamo portato molte persone ad inaridimenti e a riduzionismi. Vorrei che queste esperienze risultassero più globalizzanti, più capaci di far vivere una incarnazione nel quotidiano più pienamente umana e più gioiosamente cristiana.
    Sergio


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