Giorgio Zanardini
(NPG 1977-03-62)
Il rinnovamento didattico esige fantasia e costa fatica, ma presuppone anche una adeguata preparazione, se non si vuole introdurre la novità per se stessa, creando delusione e scontento nei ragazzi che si ritrovano strumenti passivi di sperimentazioni altrui.
L'esperienza del Teatro-Scuola si inserisce tra le novità di maggior rilievo nel rinnovamento didattico. Occorre al riguardo superare per sé e per gli allievi la mentalità che si stia perdendo tempo.
La drammatizzazione infatti si pone come nuovo valore didattico socializzante, mettendosi contro l'imitazione e la ripetizione a memoria, obbligando i ragazzi a scegliere i materiali e a selezionarli, facendo entrare l'insegnante in un ruolo di vera animazione.
Maggio. Aria tiepida e lucida; è tempo di stare all'aperto. Le scuole preparano scenette, spettacoli per i genitori, «festa della Scuola», con inviti alle autorità locali e cittadine se è possibile. È la sagra del meglio, del più riuscito, del primo della classe.
– Ma che bravo insegnante, e i suoi ragazzi come sono stati preparati bene! Ci rivediamo al prossimo anno! – Festival di parole inutili. Il fatto denota però interesse per il teatro, la drammatizzazione, la recitazione. I ragazzi amano molto riprodurre con gesti e parole, fatti e sentimenti. E la scuola purtroppo rimanda solo a un momento tale esigenza, la burocratizza, la colloca all'ultima parte dell'anno, la mitizza, in fondo la svuota di un contenuto autentico, per ridurla a un momento decorativo e retorico. Noi riteniamo che il teatro dei ragazzi sia molto importante per la formazione umana.
Un teatro senza palco
Il teatro è un itinerario conoscitivo che alunni ed insegnanti percorrono insieme. È un porsi in rapporto al mondo e alle persone, esprimere sé e tentare di esprimere il sé toccato dagli altri. Si tratta di una rappresentazione della vita, un lavoro di libera espressione; un teatrare sé ed «essere» teatro, cioè riportare all'esterno quello che ci succede dentro, ogni qualvolta una situazione ci chiama a dichiararci.
La drammatizzazione non punta di natura sua a montare «uno spettacolo», ma è un lavoro scolastico (compiti e lezioni) di introspezione, osservazione, descrizione.
Nella sua dinamica ha una
– fase della spontaneità: si lascia spazio alla improvvisazione che è una disposizione per cogliere i segnali e i segni;
– fase della creatività: è il lavoro di gruppo;
– fase della realizzazione: è la partecipazione operosa di ogni alunno nell'inserimento totale della classe.
È una vera e propria forma di comunicazione-partecipazione e una elaborazione collettiva dell'azione per successivi interventi tecnici e ideologici. Siamo di fronte ad una forma di scrittura-azione che si espande liberamente.
La drammatizzazione si basa: su una socialità partecipata da tutta la classe, su una realtà che è accettata o rifiutata.
Un teatro di tutta carica
La drammatizzazione, perché non si esaurisca in una sterile ricerca del nuovo ad ogni costo nella scuola, deve avere alcuni momenti di verifica. La maschera deve essere percepita dagli alunni come il diverso da noi, riconducibile per alcuni comportamenti fondamentali all'essere uomini. Da qui l'attenzione da porre al teatro dei burattini:
– una fiaba che sia sempre decodificata, non mai ripetuta, ma riinventata nelle situazioni quotidiane della vita;
– far pervenire in coscienza che il linguaggio parlato è una forma di espressione alternativa al linguaggio scritto, superando il privilegio della parola scritta per comprendere in sé parola, gesto, suono e immagine;
– il suono-rumore addestra il ritmo inventivo, lo sostiene e lo potenzia;
– l'esplorazione del mondo di sé e fuor di sé deve comportare un arricchimento della creatività artistica;
– i gesti non solo devono essere percepiti come un bisogno di espressione, ma si configurano nella necessità di comunicare con gli altri.
«La maestra è un'attrice statale»
La scritta, comparsa sul cartellone durante una rappresentazione, segnala un rapporto preciso (e anche politico) con l'insegnante. La drammatizzazione porta invece nella classe la disponibilità del maestro. Ragazzi e insegnante si pongono a confronto attraverso il teatro con la realtà della famiglia, della società, degli adulti, iniziando dal luogo dell'aula e dalle esperienze della classe. Si realizza un diverso rapporto, si tratta di «un uso» reciproco, per un reciproco imparare a modificarsi insieme. .$ una costante benefica manovra contro l'autoritarismo del docente e la passività del discente.
La drammatizzazione si pone come nuovo valore didattico socializzante; poiché mettendosi contro l'imitazione, e la ripetizione a memoria, obbliga
a scegliere i materiali e a selezionare i modi di presentarli.
L'insegnante entra nel suo vero ruolo di animatore.
Il copione è la nuova antologia
Un lavoro così impostato conduce allo sviluppo della logica, alle sue cause, e agli effetti. Ordina gli strumenti del lavoro e crea un'attesa per quelle fasi del gioco che ancora non sono state consumate.
Si scaricano sul soggetto degli stimoli all'astrazione e all'espressività personale, al ricupero di tutte le sue forze di percezione, all'utilizzazione di materiali poveri. L'aggressività infantile entra in un canale di sbocco attraverso una proposta di lavoro più manuale che intellettiva, e tale proposta è apparentemente rivolta a uno solo, ma in realtà è per tutti e ha bisogno dell'operosità di tutti.
È ampliata la capacità di adattamento a situazioni diverse, si genera nuove idee, adattando la realtà e gli oggetti alle diverse soluzioni inventate.
Favorisce la concentrazione attraverso esercizi ritmici, sonori mimici e sensoriali, utilizzando interventi di stimolo analogico, induttivo, immaginativo. Punta a ricercare il che cosa si è detto su un certo argomento.
La storia è ricuperata come esperienza di vita, fatto umano. La cultura del passato è azione di vita.
La dimensione estetica non è trascurata, ma l'azione espressiva è nettamente in funzione sociale. Ci ritroviamo una drammaturgia che muta il comportamento individuale e collettivo.
La giornata tipo di un ragazzo
Una delle aree privilegiate di descrizione è l'ambiente che circonda la scuola, i quartieri sono l'incontro-scontro con la società degli adulti. Si prepara ora in una prima media della nostra scuola «una giornata tipo dei ragazzi nel proprio quartiere».
Traccia del lavoro:
in casa al mattino
– la sveglia sempre orribile
– la tragedia del bagno unico per tre, quattro persone assonnate e di premura
– la colazione
con il sacco dei libri verso scuola
– gruppetto di amici, studenti più grandi
– vigile urbano
– macchine, tram, traffico ingolfato
in classe
– caratteri dei professori
– una lezione di matematica o a scelta
al self-service
– in fila col vassoio
– personale assistente e inserviente
in cortile
– quattrocento in poco spazio
– il gioco nel parcheggio delle macchine
in casa alla sera
– rientro dei familiari, musi lunghi e nevrastenici
– ruolo della televisione
la notte
– coi suoi sogni.
I ragazzi impegnati in un lavoro ora tratteggiato vengono a riempire un intero spazio di creatività e di socialità. Si educheranno a vicenda, perché le tensioni di un lavoro collettivo divengono esse stesse fattori di educazione.
Gli alunni sono così gli animatori-produttori di un teatro che punta a cambiare loro e la società.
È nata la nuova esperienza
Dalla traccia di lavoro che ci eravamo proposto si è realizzato:
– in casa al mattino
– con il sacco di libri verso la scuola
– in classe
– scenette libere
Hanno lavorato le Seconde Medie seguendo la scaletta:
– espressione libera in classe da parte di un gruppo
– stesura del copione
– ripresentazione del gruppo secondo il copione
– critica da parte della classe (originalità dell'idea, analisi strutturale del testo-copione, le unità d'azione, logica della successione, interpretazione dei personaggi, gesti, voce, dizione, analisi della sintassi orale, lessico).
Gli insegnanti durante i lavori hanno inteso porre agli alunni delle ipotesi di lavoro, di confronto con la pratica, di progettazioni e di allenamento. Si è passato dalla spontaneità alla produttività, dall'improvvisazione alla operatività, il creare convinti che non è fare dell'estetismo vacuo, ma entrare in un'area conoscitiva.
Abbiamo indotto il ragazzo al quotidiano per dargli la dimensione di un futuro possibile, non solo criticabile. Nasce così una teatralizzazione «dal basso», come scrittura – azione collettiva, comunicazione di esperienza il cui pregio principale è la perdita della esteticità.
Nasce un teatro che vede i cambi e li provoca. Senza direttamente volerlo nasce la strategia del mutamento e della distruzione.
Insieme per litigare
Il lavoro dei gruppi non è stato semplice. I caratteri sono venuti in conflitto, ma man mano che tutti riuscivano a dare il «proprio» contributo, si andava creando un modo autentico di vivere insieme in relazione alla scoperta della necessità di esprimersi. Si sdrammatizzano strati inconsci di inferiorità.
Abbiamo posto ai ragazzi alcune domande:
1) Che cosa è stato per me fare teatro?
– stato come esplorare una caverna sconosciuta.
– Ho capito che il teatro è una cosa che serve quasi come una fabbrica e non un utile passatempo come credevo prima.
– Il fatto mi ha reso popolare per quanto riguarda i miei parenti, ormai tutti mi considerano un mini attore.
– Dimenticare i problemi che mi inseguivano a sconfiggere per una volta compiti e professori. E attaccare a modo mio questa società dei grandi.
– Salire sul palco è sempre un'avventura.
– Come un avvio verso il successo.
– Ha risvegliato in me un sogno che fin da piccolo ardivo realizzare: fare l'attore.
– A guardare in faccia alla realtà.
– Un'esperienza eccitante, un'occasione per diventare più maturi, più uomini.
– Soltanto di una cosa sono certo: fare teatro si è una altra persona, più importante.
– Ho scoperto doti che non pensavo di avere: la creatività.
– Trovo il teatro adatto alle persone spigliate e non timidi come me.
– Èstato un rischio da correre. E io l'ho corso.
– Suscita orgoglio e emozione.
– Èstato come un gioco, ma ha richiesto un grande impegno artistico, fisico, morale.
– L'ardito desiderio di confidare agli altri i fatti cui assistiamo.
– Un'esperienza che non differisce dalle altre fatte a scuola.
2) Luci, musiche, colori, platea: emozioni
– Un disimpegno artistico. Una rara evasione parascolastica. I riflettori su di me. Uno scherzo con la realtà. Un'emozione felice.
– Anche la pulizia del palco è importante, ma il pubblico e gli attori sono il vero teatro.
– le luci ti isolano dal mondo e i colori dei vestiti ti trasferiscono in epoche lontane e fantastiche.
– All'inizio ero emozionato, ma poi quando mi sono giunte le risate del pubblico mi sono sentito a casa mia.
– Dall'alto le teste dei genitori erano una pianura scura.
– L'arcobaleno dei colori bagnava i nostri volti.
– Quando toccò il mio turno tremavo tutto per la paura di sbagliare. Ho pensato di entrare con grinta e sveltezza. Le luci mi sono state amiche. Hanno cancellato la gente.
– Avevo le unghie tagliate, quando salii sul palco (me le ero mangiate nell'attesa).
– Il mio corpo era assorbito in un collage di colori.
– Io ho fatto il tecnico delle luci. Mi sembrava di manovrare la centrale di una metropoli.
3) Il teatro ha cambiato in me qualcosa
– Non sono mai stato vicino a spettatori che mi guardavano.
– Prima non sapevo molte parole. Il teatro ha cambiato il mio «italiano».
– Alcune espressioni del linguaggio, solamente questo.
– Prima di tutto sotto l'aspetto culturale: abbiamo imparato cose nuove. C'è poi un miglioramento dei rapporti tra i vari compagni di gruppo, che hanno per la prima volta lavorato in gruppo seriamente. L'unico aspetto negativo è la rivalità sorta tra i vari gruppi.
– Da timido mi ha fatto diventare un po' più aperto.
– Tutti siamo diventati un po' più sciolti nel parlare.
– Preparando la scenetta ognuno esprimeva la propria idea e si stava ad ascoltarla e bisognava lasciarlo parlare come egli ascoltava te.
Dai giudizi dei ragazzi emerge che l'azione teatrale si esaurisce spesso con la rappresentazione pura e semplice. Per essere veramente «azione» deve destare le coscienze, analizzare i problemi e giudicare la stessa società nella quale siamo immersi.
«Il bambino non può mettere nella sua personificazione altro che il contenuto della propria esperienza» (Marcault e Brosse).