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    Per una pastorale della scuola: il motodo non direttivo di Rogers



    Roberto Rosina

    (NPG 1977-03-57)


    Premettiamo agli articoli che seguiranno un brano tratto dal libro «Le famiglie, la Chiesa e la fede», dossier pastorale del Centro Nazionale dell'Insegnamento Religioso Francese, edito dalla LDC nel '76. Ci pare una pagina particolarmente interessante anche per educatori cristiani impegnati nella scuola. La domanda: «esiste un'educazione cristiana?» trova tutto il suo significato in quegli insegnanti che desiderano qualificarsi pastoralmente.
    «L'espressione «educazione cristiana» oggi suona male a parecchi. Pare che essa implichi una dualità (educazione umana - educazione cristiana), dualità che, per strano che possa sembrare, è contemporaneamente un retaggio del passato e un problema tipicamente moderno. Una volta non era affatto raro che tutte le ragioni dell'educazione fossero in chiave cristiana, acriticamente, sottovalutando ogni altra considerazione, anche elementare, di natura psicologica o sociale. Oggi, che è invalsa l'abitudine di tener conto dei fattori psicologici, la domanda sarebbe un'altra: esiste ancora un'educazione cristiana? Una adeguata considerazione dell'uomo e un trattamento psicopedagogico appropriato non sarebbero sufficienti o comunque non sarebbero sostanzialmente determinanti per una sana educazione? La fede non sarebbe un qualcosa che va al di là degli schemi pedagogici, con la possibilità di turbarne persino il normale funzionamento provocando, ad esempio, nel bambino eccessivi sensi di colpa?
    Non risolveremo certamente un problema simile in poche righe. Qui noi troviamo, applicato ad un settore determinato, il problema dei difficili rapporti tra scienze umane e fede cristiana. È compito degli specialisti dell'uno e dell'altro settore approfondire le ricerche su questi rapporti.
    Per quanto riguarda genitori ed educatori, essi sono impegnati nella pratica e non nella teoria, nell'azione immediata più che nella ricerca, e pertanto converranno facilmente sulla convinzione che non si può mirare a formare l'uomo da una parte e il cristiano dall'altra. Potrà dunque chiamarsi educazione cristiana quella che viene impartita in ambiente in cui abitualmente si professa la fede – anche se in forma embrionale – e sempre in connessione vitale con l'esperienza spicciola di ogni giorno, esperienza che viene di volta in volta corroborata, valutata, ridimensionata, superata o accettata con esplicito riferimento al Vangelo. Non esiste quindi rottura ma continuità tra «educazione» e «educazione cristiana». L'educazione è sempre cristiana – come la stessa vita – talvolta per l'intenzione dei genitori (condivisa progressivamente e a proprio modo dai figli che si fanno grandi), talvolta perché si ammette di essere condotti ad un procedere generale della vita che ha la propria origine nel Vangelo. Ma non c'è nulla di più difficile da amministrare in una famiglia che questo riferimento religioso. La tentazione da parte dei genitori di strumentalizzare l'autorità di Dio a vantaggio del proprio potere è davvero grande. La parola di Dio ha una tale carica sull'animo infantile che nel suo Nome si può far loro fare qualsiasi cosa. E questo è il metodo migliore per preparare degli increduli o degli indifferenti per il giorno in cui il giovane si emanciperà dalla soggezione dei genitori e con essa respingerà tutto ciò che le ha fatto da sostegno. Come fare allora perché un'educazione cristiana non sia un'educazione costrittiva ma, al contrario, un'apertura alla libertà? Probabilmente e al di là di ogni tecnica, solo il livello spirituale dei genitori potrà riuscirvi. A condizione, ad esempio, che essi informino la propria vita e specialmente il loro atteggiamento di educatori sullo stampo del Vangelo. A condizione che rifiutino di apparire di fronte ai figli come il «modello perfetto», modello di umanità o di vita cristiana, e invece appaiano loro come dei «testimoni», persone alla ricerca di Dio, e non come dei detentori infallibili –cioè proprietari! – di una verità che un giorno o l'altro finirebbe per accusarli».

    Carl Rogers è da parecchi anni uno degli psicologi e dei pedagogisti nordamericani più in vista e più discussi. Come psicoterapeuta egli ha messo a punto una nuova forma di terapia, da lui chiamata in un primo momento «non direttiva», e in seguito «centrata sul cliente». Rogers concepisce fondamentalmente la terapia come un rapporto di aiuto nel quale il terapeuta ha solo la funzione di aiutare il paziente (il «cliente») a prendere atto dei suoi problemi. L'originalità di Rogers consiste nell'aver applicato questo metodo alla pedagogia. Per Rogers, tra terapia e insegnamento c'è molta affinità, in quanto in ambedue i casi si instaura un rapporto personale tra un individuo che «aiuta» ad apprendere e un individuo che deve capire, studiare, ecc. Per cui l'insegnante non è altro che un «agevolatore» di ciò che gli allievi devono scoprire da soli: il compito dell'insegnante è solo quello di facilitare l'autonomo processo conoscitivo degli alunni.
    In questo articolo R. Rosina prende in esame la teoria di Rogers, ne mette in evidenza intuizioni e limiti e formula delle applicazioni valide per una pastorale della scuola.

    Ogni incontro con gli scritti di Rogers (1) è problematico, in quanto rischia di provocare impressioni estreme e di significato diverso. Alcuni, infatti, «scoprono» in Rogers il paladino della creatività personale; altri invece l'accusano di essere uno spontaneista incolto che presume, per aver trovato alcune formule ad effetto quali «non direttivo», «autenticità», «congruenza», «centrato sul cliente», di poter sorvolare su problemi complessi che altri orientamenti teorici, ben più sperimentati sul piano operativo, continuano a considerare irrisolti, e ad affrontare con prudente circospezione.
    In tutte queste valutazioni, sia positive, sia negative, vi è certamente qualcosa di esatto. Ma in tutte vi è anche, con altrettanta certezza, un fraintendimento essenziale: esse trattano l'oggetto cui si confrontano dando per scontata una teoria rogeriana, teoria da cui deriverebbero una tecnica psicoterapeutica ed un metodo pedagogico. Ora, se vi è una costante nel lavoro di Rogers, è quella dell'evoluzione e della revisione critica delle proprie esperienze precedenti. Quindi non è sul piano di una teoria o di una tecnica rogeriana che va cercato il contributo di Rogers. Si ritrova, invece, in ambiti più limitati, ma pure rilevantissimi quali: l'analisi del significato di ogni rapporto interpersonale che ha condotto, fra l'altro, alla demitizzazione della cosiddetta unicità del rapporto psicoterapico; l'individuazione delle tappe successive che contrassegnano il divenire del processo terapeutico (e di qualsiasi processo di cambiamento della personalità); lo sforzo di tradurre in termini operazionali concetti fenomenologici ed esistenziali con la conseguente elaborazione di metodi di rilevazione e misurazione dei fenomeni che si verificano nel quadro del rapporto interpersonale. Il testo, cui ci riferiremo in modo particolare in tutta la nostra trattazione, è intitolato Libertà nell'apprendimento. Fu scritto da Rogers nel 1969.
    Rogers presenta in questo libro alcune valide esperienze di insegnamento; indica le strade che, a suo giudizio, possono condurre a creare un clima di libertà nell'apprendimento, illustra le sue convinzioni sull'insegnamento e sull'apprendimento. In particolare vengono in risalto due temi: il primo concerne il modo con cui è possibile facilitare l'apprendimento; il secondo è che non si possono preparare veri educatori (più in generale, operatori capaci di instaurare e sostenere rapporti di aiuto) in contesti autoritari.
    L'apprendimento ha senso e si verifica, secondo Rogers, soltanto quando esso è significativo, automotivato, e basato sull'esperienza. «Ciò di cui voglio parlare a tutti costoro (insegnanti,...) è l'apprendimento; ma non nel senso di quel bagaglio di nozioni aride e inutili, subito dimenticate, con cui viene imbottita la testa del povero scolaro indifeso, condannato a fare le spese di una routine ferrea e stantia! L'apprendimento come intendo io è quell'insaziabile curiosità che spinge, per esempio, il ragazzo adolescente a impadronirsi di tutto ciò che riesce a vedere, udire o leggere in fatto di motori a scoppio, al fine di aumentare il rendimento e la velocità del suo "bolide" costruito a casa. E ancora: parlando di apprendimento ho in mente lo studente che dice "Sto facendo delle scoperte e tutto ciò che traggo dall'esperienza e assimilo finisce col diventare effettivamente parte di me". Mi riferisco insomma a tutte quelle forme di apprendimento in cui il soggetto va sperimentando più o meno in questi termini: "No, non è questo che voglio"; "Ecco! Questo si avvicina a ciò che mi interessa, di cui ho bisogno"; "Ah, finalmente! Ora afferro e comprendo davvero quello che mi serve e che mi preme sapere"» (2).
    Non si tratta quindi di un mero trasferimento di un determinato bagaglio culturale dal docente al discente, ma di un'esperienza che comporta la partecipazione globale della personalità del soggetto, che ha una reale e profonda incidenza su di lui, che viene valutata direttamente dal soggetto, e che quindi ha per lui un significato essenziale, interno, se così si può dire, e non più esterno, cioè determinato da programmi che decidono quello che deve o non deve ancora sapere, e che quindi è automotivata. E in questo caso non ha più senso parlare di insegnanti, docenti, professori,... ma di «catalizzatori», di «facilitatori», di «agevolatori» di una determinata esperienza.
    Quali sono in definitiva le mansioni dell'«agevolatore ?
    Rogers le riassume così:
    1) deve darsi da fare per stabilire il clima o atmosfera iniziale in cui dovrà maturare l'esperienza di gruppo o di classe;
    2) l'«agevolatore» serve a individuare e chiarire i propositi degli individui della classe o i propositi più generali del gruppo;
    3) egli fa assegnamento sul desiderio di ogni studente di perseguire gli scopi che hanno un significato per lui, come forza motivazionale che sottende ogni apprendimento significativo;
    4) egli considera se stesso come mezzo a disposizione del gruppo;
    5) egli cerca di organizzare e di rendere facilmente disponibili il più gran numero possibile di mezzi per apprendere;
    6) rispondendo alle espressioni del gruppo di classe, ne accetta sia il contenuto intellettuale, sia gli atteggiamenti emozionali;
    7) una volta stabilito in classe il clima di accettazione, l'«agevolatore» è in grado di fare di se stesso un discente partecipe;
    8) egli prende l'iniziativa di condividere i propri sentimenti e i propri pensieri con il gruppo, semplicemente con una partecipazione personale, che gli studenti possono accettare o respingere;
    9) nel corso dell'esperienza di classe vigila costantemente le espressioni indicative di sentimenti forti e profondi;
    10) nella sua opera di «agevolatore» dell'apprendimento, il leader cerca di riconoscere e di accettare i propri limiti.

    PRINCIPI PER FONDARE UNA NUOVA PEDAGOGIA

    I principi ai quali Rogers si riferisce e che ha scoperto per mezzo della propria esperienza sono i seguenti:
    • «Tutti gli esseri umani hanno un " potenziale " naturale per l'apprendimento». Più semplicemente, l'uomo è naturalmente curioso, almeno nella misura in cui il sistema educativo non attenua in lui quel desiderio di conoscere il mondo. Bisogna perfino andare oltre. L'individuo è pronto ad affrontare ostacoli ed a subire insuccessi quando vuole veramente apprendere. Così il bambino che cerca di camminare: cade, si fa male, ma si rialza e ricomincia.
    • «L'apprendimento autentico si produce quando lo studente sente che la materia che apprende si accorda con le mete che egli si propone». Rogers dà l'esempio dell'individuo che apprende a guidare la macchina. Se lo desidera veramente, se ne prova veramente il bisogno, guadagnerà moltissimo tempo su colui che non è altrettanto «motivato».
    • «Ogni atto di apprendere che implica un cambiamento nell'organizzazione personale di un individuo – nella percezione che ha di se stesso – costituisce una minaccia per lui e incontra resistenze». Perché, chiede Rogers, tanto furore contro gli adolescenti con i capelli lunghi? Con la scelta di questa «moda» essi manifestano in una certa maniera la loro opposizione a certune norme dei costumi «borghesi». L'insegnante si sente minacciato nei suoi «valori» e per difendersi cerca di imporre i propri valori ai suoi allievi, che, a loro volta si sentono minacciati e resistono.
    • «Questi apprendimenti minacciosi per la personalità vengono compresi ed assimilati più facilmente quando le minacce esterne sono più deboli». Se gli sforzi del bambino che legge ad alta voce vengono derisi, il suo apprendimento della lettura sarà enormemente compromesso e ritardato. Al contrario, se questo bambino si abitua a stimare se stesso ed a misurare i propri progressi, questi saranno allo stesso tempo più sensibili e più rapidi.
    • «La maggior parte degli apprendimenti autentici sono acquisiti per mezzo della pratica»; vale a dire con un confronto diretto ed empirico con i problemi pratici, con i problemi sociali, con i casi personali, con i problemi di ricerca. Questo è evidentemente il principio dei «metodi attivi».
    • «L'apprendimento è facilitato quando lo studente assume una parte della responsabilità nello sviluppo di questo apprendimento». Questo avviene allorché lo studente sceglie le proprie direzioni di lavoro, scopre da sé le proprie fonti d'informazione, formula i propri problemi. Allora apprende meglio e in modo più autentico.
    • «L'apprendimento volontario, deciso personalmente dallo studente, quello, dunque, che lo impegna totalmente – sensibilità ed intelligenza – è anche il più duraturo e il più penetrante. Lo studente allora sa che quel che apprende gli appartiene veramente, ma senza dover confrontare il suo giudizio con quello di una qualsiasi autorità.
    • «L'indipendenza, la creatività, la fiducia in sé sono facilitate quando ciò che conta fondamentalmente per lo studente è la realizzazione di se stesso, mentre il giudizio dato dagli altri è secondario, o è di minore importanza». Infatti gli adolescenti se rimangono troppo a lungo dipendenti – a casa o a scuola –dalle valutazioni e dai giudizi altrui, non raggiungeranno mai la propria maturità, oppure in quel momento si ribelleranno.
    • «L'apprendimento più utile socialmente nel mondo moderno consiste nell'apprendere come apprendere, è un'apertura permanente all'esperienza e all'assimilazione interna del processo di cambiamento». Questa accettazione del cambiamento, questa disposizione al cambiamento, cose alle quali Rogers è particolarmente attaccato, gli sembrano non solo imposte dal mondo attuale, ma sono per lui anche le condizioni stesse perché la cultura presente sopravviva. Non v'è motivo di preoccuparsi, come molti fanno, se le conoscenze acquisite nel passato non permettono di risolvere i problemi presenti. Al contrario, bisogna persuadersi (e vivere comodamente in questa convinzione) che sarà sempre necessario assimilare nuove conoscenze su situazioni sempre mutevoli.

    APPLICAZIONI VALIDE DELLA TEORIA ROGERSIANA PER UNA PASTORALE DELLA SCUOLA

    Al centro della prospettiva di Rogers riposa una concezione della persona come valore, che appare caratterizzata dalle connotazioni dell'organicismo, dell'ottimismo, dell'antideterminismo, della dinamicità. Su questa base antropologica si innesta la caratteristica raffigurazione della relazione terapeutica (o, più in universale, di ogni e qualsiasi rapporto intersoggettivo) come relazione di aiuto, relazione nella quale «uno dei partecipanti cerca di favorire nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità, un migliore funzionamento ed una più grande capacità di affrontare la vita».
    Fra le relazioni di aiuto, quella cui Rogers ha dedicato la più specifica attenzione è la relazione terapeutica, che viene definita come terapia centrata-sul-cliente. Il cliente, in questo caso l'allievo adolescente, viene a ricollocarsi al centro di un processo di mutamento in cui si ristabilisce l'unità del continuum vitale e coscienziale della persona, secondo una linea che può utilmente venire riassunta e condensata nel seguente prospetto:

    1977-3 0003

    Considerare qualcuno come persona significa ammettere che questo soggetto umano ha in sé la capacità di assumere liberamente la direzione della propria crescita. Nella concezione rogersiana vi è una particolare insistenza sul termine «mutare»: il vivente cosciente si definisce per l'equilibrio essenzialmente «instabile», ossia per la sua capacità di modificare efficacemente e felicemente i suoi modi di adattamento alla realtà circostante. La condizione di mutamento nel soggetto umano è la possibilità di concepire adeguatamente la propria esperienza soggettiva, poiché essa instaura la possibilità per l'individuo stesso di valutarla e di modificarla.


    Bibliografia

    CARL R. ROGERS, Libertà nell'apprendimento, Giunti-Barbéra, 1973.
    ID., Psicoterapia di consultazione. Nuove idee nella pratica clinica, Astrolabio, 1971.
    CARL R. ROGERS - G. MARIAN KINGET, Psicoterapia e relazioni umane, Boringhieri, 1970.
    CARL R. ROGERS, Terapia centrata sul cliente, Giunti-Barbéra, 1970.
    ID., Partners, Astrolabio, 1971.

    NOTE

    (1) Carl R. Rogers è nato 1'8 gennaio del 1902 in un sobborgo di Chicago, Oak Park. Suo padre era un uomo d'affari e un giorno acquistò, per suo diletto, una fattoria. È da quel momento che Rogers prese contatto con la natura e manifestò interesse per l'osservazione scientifica. La sua famiglia era molto religiosa e Rogers accettò il punto di vista religioso per un certo periodo di tempo, favorito anche dalla lettura del filosofo cristiano Kierkegaard, poi un po' alla volta se ne distaccò. Uno degli eventi importanti della sua vita fu il viaggio in Cina all'età di venti anni, viaggio che ha compiuto in quanto partecipante ad una conferenza internazionale di studenti: questo viaggio gli consenti di sviluppare enormemente le sue idee. Al suo ritorno, Rogers continuò gli studi di psicologia. Nel 1939 scrisse il libro: «Il trattamento clinico dei ragazzi difficili» che gli valse l'offerta di una cattedra all'Università di Ohio. Nel 1957 si trasferì all'Università di Wisconsin dove effettuò ricerche terapeutiche sugli schizofrenici. Ha passato così la maggior parte della sua vita ad esercitare la psicoterapia ed a fare ricerche in questo campo. Solo di recente, il settore della pedagogia – al quale peraltro si è sempre interessato – è divenuto il centro delle sue occupazioni e dei suoi studi.
    (2) C. R. ROGERS, Libertà nell'apprendimento, Giunti-Barbéra, Firenze 1973, p. 7.


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